Samradh
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Samhradh – Vento d’Autunno

L’anima colta della musica celtica

Il gruppo bolognese giunge al secondo album seguendo un discorso artistico basato sull’integrazione tra musica celtica e medioevale. Una proposta veramente interessante, per molti versi una voce fuori dal coro.

Intervista di Alfredo De Pietra

La prima considerazione che viene spontanea ascoltando la sofisticata, avvincente sonorità dei Samhradh, è che ormai il panorama musicale “celtico” nostrano è veramente cresciuto. In tutti i sensi, sia dal punto di vista qualitativo che della diversificazione dell’approccio, e quindi dell’offerta al pubblico. C’è chi predilige la dimensione della session, altri intendono il celtismo soprattutto in chiave di riscoperta delle tradizioni della propria terra, altri ancora non disdegnano coraggiose coabitazioni con l’elettronica e la world music…e c’è poi chi – come i Samradh appunto – predilige un lavoro di ricerca filologica, che porta inevitabilmente alla riscoperta dei punti in comune con la musica medievale, o più in generale “antica”, se preferite. Ed è un’operazione anch’essa “coraggiosa”, che rifugge da facili consensi, ma che porta a risultati convincenti come la realizzazione del recentissimo album Vento d’Autunno.

I Samhradh (sito web http://xoomer.virgilio.it/samhradh/, email harpmusic@tin.it ) comprendono Mario Lipparini (arpa bardica e low whistle), Silvia Raule Lipparini (arpa celtica e salterio ad arco), Sathya Argentieri (flauto traverso) e Federico Oppi (bodhrán), e giungono a questo secondo album a tre anni di distanza dal precedente, intitolato Pioggia d’Estate.

Il loro mondo musicale è raffinato e affascinante, e i sessantaquattro minuti di Vento d’Autunno si ascoltano con vero piacere. Non è mai una musica “urlata”, quella dei Samhradh, le tinte (acustiche) sono quelle dei colori pastello, e il loro discorso artistico – che talvolta richiama alla memoria certi album “medievali” del primo John Renbourn – è improntato a una grande coerenza, abbinata a una notevole eleganza del tessuto musicale, come testimoniato dal set irlandese presente sulla nostra compilation di questo mese, “Dobbin’ Flowery Vale/The Right Of Man/Snow On The Hills/The Ash Plant”. Mario Lipparini ci ha parlato delle scelte musicali che sono alla base di Vento d’Autunno

Quando è scattata la "molla" che l’ ha fatto avvicinare a questa musica?

“Studiavo il programma di chitarra al conservatorio. Quando, verso il 9° anno di strumento, venne il momento di affrontare la musica moderna e contemporanea, una crisi di rigetto mi riproiettò verso la barocca. Cominciai tra l’altro a trascrivere per chitarra alcune musiche dall’arpa di Turlough O’Carolan, o a interpretarne le trascrizioni di alcuni chitarristi classici e folk.”

E come mai si  indirizzò verso l'arpa?

“Proprio durante questa fase di “fascinazione” esercitata dalla musica irlandese e in particolare dall’arpa celtica, in un negozio di Bologna fu esposta una piccola “venticinque corde”, molto rifinita, provenivente da un antiquario che stava rifacendo un salotto. La tentazione fu fortissima, nonostante allora fosse per me una spesa proibitiva. Presi quindi alcune lezioni da una maestra di arpa classica della mia città, per verificare se vi fossi portato: lei mi incoraggiò molto, complice la predisposizione naturale per l’arpa che ogni chitarrista possiede. L’approccio all’arpa celtica rimane a tutt’oggi uno dei più difficili contatti con gli strumenti tradizionali irlandesi, a causa della scarsa diffusione, del costo elevato, e non ultimo il grosso rischio di concludere cattivi affari.”

Come vede l'attuale scenario italiano della musica celtica?

“Credo che questo grande revival della musica celtica a livello europeo e mondiale, all’interno del quale inserirei anche quello italiano, il secondo dell’era moderna dopo quello degli anni Settanta, abbia sia aspetti positivi che negativi: dal punto di vista dell’ascolto, l’abbattimento delle barriere mediatiche ha fatto tanto, e pertanto si è affinato molto “l’orecchio irlandese” o forse si può dire “l’orecchio etnico” delle persone. In Italia credo che stiamo assistendo anche a un maggior contatto con i veri portatori della tradizione, i gruppi storici del folk, e all’apertura (musicalmente parlando) delle altre aree di influenza dei celti oltre quella irlandese; ad esempio, nell’ambiente degli arpisti è di questi ultimi cinque anni l’intensificarsi dell’interesse per la musica bretone. D’altro canto, questa così grande diffusione della musica, degli strumenti e dei corsi e metodi di facile accesso, ritengo porterà ad un maggior numero di “contaminazioni”. Bisognerà saper scavare un po’ più a fondo per trovare il cosiddetto “pure drop”, ovvero il rigore nel tradizionale sulle melodie, sugli arrangiamenti e sulla scelta degli strumenti.”

Secondo lei è più giusto parlare di musica celtica o di musica irlandese, scozzese, bretone, ecc.?

“Se come musica celtica si intende “musica dei celti”, è un’accezione che non condivido. A costo di essere considerato tradizionalista e conservatore sono d’accordo con quegli studiosi che indicano come scomparsa la musica dei celti. Se per musica celtica ci si riferisce al movimento attuale di rivitalizzazione e riscoperta della musica delle aree di influenza celtiche, sono perfettamente d’accordo. Preferisco riferirmi alla musica che suono con l’area di più diretta provenienza, anche perché una musica può risultare più interessante se oltre a suonarla se ne approfondisce l’origine, il testo, se esiste, i passi di danza…Aggiungo che cerco di utilizzare il termine “celtico” il meno possibile, perché nell’esplosione mediatica sul celtismo attuale, mi sembra che sia troppo inflazionato.”

Come e quando nascono i Samhradh?

“Nascono nel 1998, dopo qualche timida precedente apparizione, come desiderio di presentare ad un pubblico quello che fino ad allora era stata una passione, un approfondimento personale. Sin dall’inizio, ma anche oggi, l’obiettivo centrale di ciascuno spettacolo del gruppo è il coinvolgimento del pubblico nella fascinazione e nella passione per l’arpa e la sua musica. Difficilmente riusciamo a limitare un concerto ad un’apparizione senza dialogo come molti concerti di musica classica (anche quando è richiesto dal committente…). Un piccolo aneddoto: ad un concerto-conferenza, ci sono state poste alcune domande sulla connessione dell’arpa con il divino, o con la magia. La nostra risposta è che l’arpa è sì, un “oggetto magico”, ma lo è perché crea un “incanto”. Questa è la nostra esperienza: l’arpa crea un incanto, affascina, lascia a bocca aperta, e non solo l’anfiteatro di bambini seduti a gambe incrociate ai busker festival, ma anche l’uomo adulto tecnologico tutto compreso nel suo lavoro e nei suoi problemi.”

Silvia Raule è sua moglie. E' facile o difficile condividere professione e affetti, soprattutto in campo artistico?

“È l’esperienza più totalizzante al mondo! Condividere una grande passione con tua moglie è la più grande benedizione che possa capitare. Perché la coppia assume una nuova identità al suo interno, in cui si instaura una indissolubile armonia, ma anche agli occhi degli altri, per i quali siamo “quei due che suonano l’arpa”. Ormai il gruppo ha i suoi fans, e quando capita di battere un territorio conosciuto, e di uscire in concerto con l’arpa da soli, ci si può senz’altro aspettare la domanda “dove hai messo tua moglie ?”. Immancabile in quei casi una dedica al coniuge, e ai nostri due marmocchi.”

Ci dica qualcosa del repertorio dei Samhradh. Si direbbe che prediligiate una musica che tiene in gran conto anche l'importanza della musica medievale...

“La colpa non è nostra. E’ colpa di quella meravigliosa persona che ci costruisce gli strumenti (Michele Sangineto, n.d.r.)…Deve sapere che un’arpa celtica è diatonica, cioè non può suonare i diesis e i bemolle. A una semplice arpa diatonica si può aggiungere un set di chiavi per poter impostare almeno i diesis ad inizio brano (i più agili li modificano anche durante l’esecuzione). Su un’arpa di nuova costruzione conviene aggiungere queste chiavi soltanto dopo un periodo di assestamento, come è puntualmente avvenuto per l’arpa di Silvia. Durante il periodo necessario per questo “tagliando” che è durato qualche settimana, il nostro liutaio ha prestato un salterio ad arco a Silvia per provarlo… ed è stato subito amore! Il salterio è uno strumento medievale e adatto alla musica medievale, perciò a Silvia va il merito dell’inserimento di quel repertorio nel gruppo. Del resto l’analogia tra la musica irlandese, scozzese, bretone, gallese, con la medievale è evidente. I modi su cui si articolano le melodie, il dorico e il misolidio oltre l’ipodorico che ben conosciamo anche nella musica moderna, si sono fermati in Europa nel Medioevo, limitandosi poi quasi solo all’ipodorico, mentre nelle isole britanniche ed in particolare in Scozia, Irlanda e Galles c’è stato un isolamento musicale fino al Settecento, cosa che ha consentito alla musica tradizionale di quei Paesi di conservare tutti i modi, e un’autonomia di costruzione delle melodie che è quel sapore che riconosciamo subito in questo tipo di musica. Inoltre questo isolamento a livello di musica colta non è valso a livello popolare, per cui troviamo stupefacenti analogie di brani uguali per ritmo e melodia ma inseriti in contesti diversissimi. E’ noto il caso di una melodia dei “Cantigas di Santa Maria” (raccolta di musiche dei pellegrini che si recavano a Santiago de Compostela) che fa parte al contempo di un compendio di musiche arabe medievali, ma è anche un saltarello napoletano ed uno strathspey scozzese.

Per questo non ci sentiamo né solo un gruppo di musica “celtica” né solo un gruppo medievale, perché ci è sembrato che i nostri strumenti potessero parlare senza snaturarsi entrambi i linguaggi.

Vento d'autunno arriva a tre anni di distanza dal vostro album di esordio. Come è cambiata la vostra musica in questo periodo?

“I musicisti sono gli stessi, si è aggiunto un paio di strumenti di contorno, le melodie sono degli stessi periodi, e provengono dai medesimi luoghi, ma del gruppo è cambiata la sensibilità.

Gli strumenti e le mani che li suonano sono ora da tenere a freno, per mantenere l’equilibrio tra la ricerca filologica e l’energia che inevitabilmente trasuda da ogni nota. Sentiamo anche il calore del pubblico che ci circonda e ci ha accompagnato in più di ottanta concerti in questi tre anni, e questa esperienza non poteva che incidere profondamente sulla nostra maniera di interpretare. Non dimentichiamo, con una lieve punta d’amarezza, di essere ormai irrimediabilmente “moderni”, e di non poter essere sempre perfettamente filologici, anche se cerchiamo di incanalare positivamente la nostra creatività e tener sempre presente la ragione per cui suoniamo.”

Perché il titolo Vento d'autunno?

“Ci piaceva l’idea di rappresentare anche con il titolo la continuità e l’evoluzione del gruppo.

Essendo il nome del primo CD Pioggia d’Estate, abbiamo voluto confezionare un album adatto alla stagione autunnale in cui sono state preparate ed arrangiate le musiche, con quel “movimento” in più rappresentato dal vento. Anche la copertina vuol dare un’idea di movimento, con la flautista che accenna un passo di danza e i musicisti che ruotano intorno all’arpa, come in un sabba.”

Come è stato accolto questo CD?

“Bisogna premettere anzitutto che questo CD è stato lungamente “richiesto”. Alcuni appuntamenti fissi disseminati lungo l’anno hanno creato un solido gruppo di affezionati che seguono il gruppo anche a grande distanza. L’idea di uscire con un nuovo album è sorta dal loro appoggio, dalla naturale evoluzione del repertorio che non consentiva più al primo album di rappresentarci, e dalla voglia continua di migliorarci. Questo CD è stato accolto da chi ci conosce con un sospiro di desiderio, ma anche nei nuovi ambienti ha avuto il buon impatto che speravamo.”

Progetti futuri....

“Un viaggio in Irlanda con gli strumenti, apparizioni anche all’estero, qualche pubblicazione non solo audio, e sempre più concerti nei posti più belli. E naturalmente, nonostante si sia appena registrato un disco, stiamo già studiando un nuovo repertorio…”