VIAGGIO NEL REGNO DEI
PROTISTI


I N D I C E

Presentazione
Prologo
Contatto
Viaggio in una goccia d'acqua
Ciliati
Vorticelle
Amebe
Anisonema
Euplotes
Rotiferi
La fotografia
Alghe:
Closterium - Pediastrum
Diatomee
Coleps
Flexibacter
Phacus
Ematococco
Gonium
Oxytricha
Shock Ipotonico
Shup cadde nel microscopio
Come fare?
Ritorno
Viaggio nello stagno
Spirogira
Idra
Trichodine
Fillipode
Larva di Zanzara
Anabaena
Riposo
Lionotus
L'ascensore
Lumachina d'acqua
Esplosione
Ovatura di Lumachina
Larva di Libellula
Missione di salvataggio
Larva di Ditisco
Informazioni
Volvox
Rientro alla base
Epilogo
Risorse Internet
Ringraziamenti
Raccolta dei filmati

PRESENTAZIONE

Se vi dicessimo che accanto al mondo che conosciamo esiste una dimensione parallela, probabilmente non ci prendereste sul serio. Eppure esiste veramente un mondo sconosciuto alla gran parte della gente. Esso è il mondo dei protisti, esseri viventi microscopici, formati da una sola cellula. A causa delle loro minuscole dimensioni, questi curiosi e simpatici organismi vivono nascosti agli occhi degli uomini, indaffarati come sono nelle loro faccende. Eppure, quello dei protisti è un mondo davvero affascinante e che vale la pena di essere conosciuto.

Allo scopo di introdurvi a questo mondo fantastico, abbiamo preparato un breve racconto corredato, come mai è successo finora nei resoconti di viaggi su altri pianeti, da alcuni autentici filmati su forme di vita aliene. Se questo racconto riuscirà ad intrattenere piacevolmente anche coloro che ancora non conoscono i protisti, e possibilmente a farglieli amare, ci considereremo particolarmente soddisfatti. Speriamo che gli altri lettori ci perdonino.

Oltre ai protisti, nel racconto ci saranno alcuni personaggi umani ed un robot. Le conversazioni con loro rappresentano delle occasioni per aggiungere informazioni sui protisti, ma anche per ricordare che il modo di vivere attuale non è che uno dei tanti possibili. In questo modo si spera di riuscire a delineare una sorta di antropologia generalizzata, nella quale protisti, umani, robot, ciascuno nelle proprie forme e modo di essere, rappresentano altrettante manifestazioni della vita.

Probabilmente la lettura sul monitor del computer di questo racconto vi sarà piuttosto faticosa. Vi consigliamo di stampare il testo e di limitarvi ad usare il computer solo per osservare i filmati. Questo racconto dovrebbe essere letto contestualmente alla visione dei filmati, tuttavia è stato scritto in modo da avere una certa autonomia e da poter essere letto anche di per sè, senza quindi osservare i filmati.

PROLOGO

Era agosto. Faceva un caldo infernale. Tutti i vicini erano in ferie. Il sole arrostiva tutto quello che vedeva. Neppure l’aria osava muoversi. Io ero in giardino, sdraiato su di una brandina all'ombra di un albero. Non sapevo che cosa fare e mi annoiavo terribilmente. 'Ci vorrebbe qualcosa di stimolante, di veramente stimolante, non la solita vacanza', pensavo. 'Per esempio?... Beh, per esempio un viaggio su di un pianeta di un altro sistema solare, alla scoperta di popolazioni aliene. Sarebbe proprio interessante osservare l’aspetto e le abitudini di popolazioni molto diverse da noi. L'antropologia mi ha sempre affascinato e l’antropologia aliena dev'essere davvero fantastica!'

'Ma è inutile pensarci, ci vorranno ancora secoli prima di potere fare viaggi del genere… ma con tutta questa noia intorno e le cicale che stridono direttamente dentro le mie orecchie che cosa mi costa fantasticare? E poi non sarebbe neppure indispensabile andare su di un pianeta così lontano per vedere degli strani esseri viventi, basterebbe fare un viaggio fra i protisti del laghetto del giardino.' Nel mio giardino ho scavato una pozza di un paio di metri quadri di superficie per ospitare le rane e i tritoni che vivono da queste parti. Ogni tanto prelevo campioni d’acqua da questo piccolo stagno e mi diverto ad osservare le forme di vita microscopiche che vi abitano. E’ una vera meraviglia osservare questi strani organismi! E’ un passatempo davvero rilassante. A volte, quando torno a casa stressato dall'ufficio, prendo il microscopio e mi distendo guardando questi magnifici esseri viventi dalle forme e dalle abitudini più curiose.

'Sarebbe bello essere miniaturizzati, in modo da potere visitare direttamente quel mondo fantastico.' Mi ricordo che durante una mostra di microscopi che avevo visitato alcuni anni fa, c’era una bambina che osservava dei piccoli crostacei d’acqua dolce al microscopio. Con quello strumento gli animaletti apparivano enormi, come dei mostri. Guardandomi impaurita, mi disse:
"Ma sono proprio spaventosi!"
"Allora", le dissi, "tieniti forte al tavolo, perché se caschi dentro al microscopio, poi dovrai combattere con quei mostri!"
La bambina afferrò subito il bordo del tavolo, anche se rideva. I bambini sono sempre pronti a seguirti. Con un adulto invece faresti una gran fatica a spiegargli che cos’è un dispositivo di miniaturizzazione, come funziona, e poi tirerebbe fuori un sacco di obiezioni.

'Che caldo! Non riesco neppure a dormire. C’è anche una mosca che mi ronza intorno e che si diverte a posarsi su di me proprio quando sto per addormentarmi.'

'Non dovrebbe essere poi così difficile realizzare un dispositivo di miniaturizzazione, o variatore dimensionale che dir si voglia: basterebbe modificare un microscopio e fare in modo che anziché ingrandire (o ridurre) le immagini delle cose, si limitasse ad ingrandire (o ridurre) le cose stesse. A pensarci bene, un simile dispositivo dovrebbe anche essere più semplice da realizzare di un microscopio. Infatti, mentre un microscopio deve prima estrarre l’immagine di un oggetto e poi ingrandirla, ad un variatore dimensionale basterebbe ingrandire direttamente l’oggetto, senza nemmeno dover estrarre la sua immagine!'

'Ecco che un simile strumento usato in un senso potrebbe ingrandire un microrganismo alle dimensioni di un pallone, mentre usato nell'altro senso sarebbe in grado di rimpicciolire l’osservatore, trasferendolo in scala ridotta sul piano focale dell'obiettivo.'

'In pratica, come bisognerebbe fare per essere miniaturizzati? Beh, per prima cosa occorrerebbe avvicinarsi agli oculari del microscopio ormai trasformato in variatore dimensionale. A quel punto basterebbe avvicinarsi un po' di più di quanto è necessario ad osservare le immagini per venire risucchiati nel tunnel ottico e ritrovarsi miniaturizzati sotto l'obiettivo nel giro di pochi istanti. Per riacquistare le proprie dimensioni naturali occorrerebbe semplicemente percorrere il cammino inverso, vale a dire spiccare un salto verso l'obiettivo e si verrebbe nuovamente risucchiati dal tunnel ottico che ci riporterebbe al di qua degli oculari, proprio dove ci si trovava prima di essere miniaturizzati.'


CONTATTO

Mentre riflettevo sul microscopio miniaturizzatore e sul viaggio nello stagno, all’improvviso mi si materializzò davanti un variopinto gruppo di turisti. Come diceva il loro accompagnatore, un tizio grosso come un orso, venivano dal futuro e la loro agenzia di viaggi li aveva mandati da me per un safari fra i protisti.
"Bene!", dissi alzandomi dalla brandina, "questa è proprio una buona idea! Vi prego di aspettare solo un paio di minuti che devo fare una piccola modifica al microscopio e poi potremo partire. Però, prima di tutto dobbiamo presentarci."
"Certo!", disse l’accompagnatore facendosi avanti con la mano tesa. "Mi chiamo Shup!", e mi stritolò la mano.
"Io Giorgio", dissi soffiandomi sulle dita.
"Lo sappiamo. Sappiamo tutto di lei."
"Lei?… vorrai dire te."
"Si, si, va benissimo. Sappiamo tutto di te."
"Ah, si? E come fate a saperlo? … e poi che cosa sapete?"

"Questi sono i signori Gresz e questi i loro figli Tenny e Blik."
Il signor Gresz, un po' magro, vestito alla Africa Korps, gli occhi nascosti dentro folte sopracciglia, si fece avanti esitando, spinto dalla moglie in pantaloni e camicetta a disegni geometrici.
"Io mi chiamo Reena, e lui è Zoolt", disse lei ridendo.
Tenny era una ragazzina di un quattordici anni che mi guardava con il capo inclinato e lo sguardo intenso. Aveva una gonna corta, stivaletti e una graziosa maglietta bicolore con tagli trasversali.
Blik, sui dieci anni, stava sparando ai miei gatti con una pistola tutta strana, così che per il momento non riuscii a vederlo in viso.
"Questa è Lelki." Si fece avanti una ragazza carina, sulla trentina, vestita di una tuta aderente e che per vedermi dovette aprirsi un varco nella frangia.
"Questo è Splek", disse l’accompagnatore, tirando per la manica un ragazzo sui vent'anni, vestito di nero. Portava un grosso paio di occhiali opachi immerso in un cespuglio di riccioli biondi, macchiati di viola e che ondeggiavano al ritmo di qualcosa che sapeva solo lui. Un simpatico angelo dark.
"E questo è Julius, un robot domestico addetto a mansioni di servizio." Il robot rimase rigido, senza dare segni di particolare vitalità. Non mi ero accorto di questo robot. La sua sagoma umanoide l'aveva fatto confondere fra i visitatori. Rimasi piacevolmente sorpreso della sua presenza. Avevo sempre desiderato conoscere un robot.

Mentre i turisti si ambientavano, presi da parte l’accompagnatore e ci mettemmo d’accordo sui dettagli dell’operazione. Lui non sarebbe venuto con noi, ma sarebbe rimasto nella consueta dimensione, a nostra disposizione per aiutarci in ogni evenienza. Avremmo comunicato con lui per mezzo di una coppia di ricetrasmettitori. Mentre parlavamo, ne approfittai per sistemare il microscopio, trasformandolo in variatore dimensionale, in modo che fosse in grado, come dicevo prima, di ridurre le nostre dimensioni alla partenza e di ripristinarle quando saremmo tornati indietro.

Chiamai Cristina, mia moglie, che stava stendendo dei panni ad asciugare e le presentai i visitatori. Le spiegai che stavamo per fare un viaggio in una goccia d'acqua. Lei rise della battuta e disse che potevamo fare quello che volevamo. Le dissi che Shup sarebbe rimasto in casa ad aspettarci e di avvertire in questo senso anche Silvia, nostra figlia. Cristina tornò ridendo alle sue faccende e noi alle nostre. Non si era neppure accorta del robot.

"Allora, che cosa aspettiamo a partire? L’astronave è pronta." Dissi al gruppetto di turisti. "Purtroppo, per alcuni trascurabili motivi tecnici, non andremo su di un pianeta lontano. Resteremo sulla Terra, ma non preoccupatevi troppo perchè gli alieni li incontreremo ugualmente. Andremo a visitare popolazioni che vivono nell'acqua. Ora venite con me, ci imbarcheremo su questo microscopio transdimensionale. Si tratta di un modello speciale, dotato di miniaturizzatore e che ci permetterà di passare dalla nostra dimensione a un'altra, quella del microcosmo. Ecco, il microscopio transdì è pronto! E' un discreto modello a cinque obiettivi e due oculari. Dispone anche del contrasto di fase, ma lo useremo solo qualche volta."

"E’ stato collaudato?", mi chiese Shup in un orecchio.
"Macchè! Però partirò io per primo", risposi sussurrando. Invece di mostrarsi preoccupato, Shup mi dette una gomitata d'intesa che mi lasciò senza fiato.
"Tanto hanno già pagato!", disse sottovoce, "… e poi quest'anno non ho ancora perso nemmeno una comitiva!"
Lo guardai perplesso, massaggiandomi lo stomaco.

"La cosa migliore sarebbe stata fare questo viaggio nello stagno del giardino, ma è troppo pericoloso. Se siete d’accordo, andremo in una goccia d’acqua prelevata sempre dallo stagno, ma posta sul vetrino del microscopio", dissi rivolto a tutti.

"Mamma, io non ci voglio venire!", Blik mugugnava con la sua madre.
"Dai, non fare così! Non ti posso lasciare qua. Sarà una visita interessante, vedrai", disse sua madre nel tentativo di convincerlo.
"Ma io non ho voglia di andare in quella goccia. Non c'è niente e mi annoierò. Voglio stare qua con i gatti."
"Non ti preoccupare, vedrai che non ti annoierai!", gli dissi.
"Odio le visite, odio i musei!", piagnucolò il bambino.
"Questo non è un museo. La goccia dove andremo è piena di strani organismi viventi. Neanche allo zoo hai mai visto degli animali come questi. Ti assicuro che ti divertirai!" Il bambino mi guardò.
"E va bene..." disse, ma non pareva molto convinto.


VIAGGIO IN UNA GOCCIA D'ACQUA

Mi raccomandai con Shup di restare sempre in ascolto della ricetrasmittente. Presi un vetrino portaoggetti per microscopio e con un contagocce gli depositai sopra un po' d’acqua raccolta nello stagno. Come si fa normalmente in microscopia, coprii il liquido con un sottile vetrino coprioggetti e misi il tutto sul piano portavetrini del microscopio, sotto all'obiettivo. Detti un’occhiata al preparato per verificare che ci fossero protisti interessanti e per togliere gli eventuali organismi pericolosi.

"Ecco, è tutto pronto, possiamo partire!" Anche il gruppo era pronto ed impaziente.

"Adesso venite qua, uno per volta. Avvicinatevi al microscopio. Guardate dentro agli oculari e continuate ad avanzare come farò io, il resto verrà da sè. Io partirò per primo e tornerò per ultimo. Ah, dimenticavo di dirvelo, stiamo per entrare nel regno dei protisti. I protisti sono esseri tipicamente unicellulari, ma ve ne sono alcuni che vivono in forme coloniali. In questo reame incontreremo anche individui microscopici appartenenti ad altri regni della natura, come quello delle monere (batteri), dei funghi, delle piante e degli animali. Infatti, incontreremo anche esseri pluricellulari di dimensioni comparabili a quelle dei protisti. Per difenderci dall'assalto dei protisti... che a volte sono piuttosto voraci," dissi abbassando il tono, "ciascuno di noi avrà un bastone ad elettroscarica."
Verificammo il buon funzionamento dei ricetrasmettitori, uno dei quali venne preso da Zoolt, che era l'addetto alle comunicazioni con la base. Quindi Shup distribuì i bastoni ad elettroscarica. Mi raccomandai con Zoolt di badare al robot durante la sua miniaturizzazione e di partire per ultimo.

"Allora, siete tutti pronti?... Va bene, si parte!" Mi avvicinai al microscopio e…

ZZZZZZZzzzzzzzzzzOOOoooooooooMMmmmmm.......………..

Per alcuni lunghi istanti, mi trovai a cadere come in un pozzo profondissimo e il cuore mi finì in gola. Come immaginavo, la caduta sul coprioggetti non fu dolorosa perché alle minuscole dimensioni che ora avevo, il mio peso era trascurabile e quasi galleggiavo nell’aria. Anche una formica può cadere da grandi altezze senza farsi male. Quali dimensioni?… ero grande alcune decine di millesimi di millimetro (o micron, µm), come un protista medio. A quelle dimensioni, una coccinella di 8 mm mi sarebbe sembrata lunga 200 metri.

Mi alzai e mi preparai a ricevere gli altri che arrivavano uno alla volta. Ben presto il gruppo fu al completo.
"Ci siamo tutti?"
"Si", rispose Zoolt.
"Bene, allora seguitemi!"
Ci dirigemmo verso il bordo del vetrino coprioggetti. Dovemmo camminare un po’ per arrivarci. Sotto ai nostri piedi potevamo già vedere strane forme nuotare.

"Ora che siamo arrivati al bordo del coprioggetti, ci dobbiamo tuffare nell’intercapedine d’acqua che c’è qua sotto, prima di arrivare al vetrino portaoggetti."
Quell’intercapedine misurava una decina di metri di spessore. Mi ci tuffai e mi trovai a nuotare nell’acqua, seguito rapidamente dagli altri. Attorno a noi vedevamo nuotare globi della dimensione di una palla da tennis, eliche grandi come un cavatappi che avanzavano ruotando rapidamente attorno al loro asse. Ogni tanto passava vicino a noi qualche cosa di più grande, ma che non riuscimmo ad identificare. Per un po’ osservammo stupiti il brulichio di vita che ci circondava. Gli organismi che vedevamo erano tutti trasparenti, tanto che si vedevano comodamente i loro organuli interni.

"Come mai non anneghiamo? Perché respiriamo sott’acqua?", chiese Tenny.
"Ehm... Perché i nostri corpi ora sono molto piccoli e l’ossigeno diffonde all'interno direttamente dall’acqua in cui siamo immersi", rispose Zoolt anticipandomi. Evidentemente doveva avere una buona preparazione scientifica.
"E perché l’acqua non ci entra in bocca o nel naso?"
"Questo è dovuto alla tensione superficiale dell’acqua e alla piccola dimensione di quegli orifizi. Te ne renderai conto meglio se provi a soffiare dell’aria fuori dalla bocca."
Tenny e anche altri provarono a emettere aria, ma davanti alla bocca si formava una superficie lucida leggermente incurvata verso l’esterno: solo l’inizio di una bolla.
"… e poi io non ho… orifizi!", esclamò Tenny.
Ci mettemmo tutti a ridere.

Intanto Shup ci osservava con il microscopio. Gli facemmo segno che andava tutto bene e lo salutammo. Lui continuò ad osservarci per un po’, poi si stancò e se ne andò via. Come d’accordo, prima di abbandonarci, spense l’illuminatore del microscopio e inserì uno specchietto sotto il condensatore, orientandolo in maniera da farci arrivare un po’ di luce. In questo modo avremmo avuto una luce meno calda rispetto a quella inviata dal sistema di illuminazione del microscopio e l'acqua fra i vetrini sarebbe evaporata più lentamente.


CILIATI

"Bene! Siamo arrivati all'interno della goccia d'acqua prelevata dallo stagno del giardino. Come vedete, quest’acqua è ricchissima di vita. Queste piccole sfere, cavatappi, bastoncelli, che si muovono attorno a noi sono batteri: cocchi, spirilli, bacilli. Spesso vedrete batteri muoversi intorno ai protisti. Ma ecco laggiù i primi protisti. Li vedete come si muovono su quei detriti alla ricerca di cibo? Guardate come sono tutti circondati da ciglia. Infatti sono dei Ciliati. E’ per mezzo di queste ciglia che nuotano e che si procurano il cibo. Questi organismi, come tutti i protisti, sono unicellulari, sono costituiti cioè da una sola cellula, mentre il nostro organismo è composto da migliaia di miliardi di cellule ed è quindi pluricellulare."

"La cellula dei protisti è molto complessa. Infatti deve svolgere tutte le funzioni necessarie alla sua vita. Dispone di un abbozzo di sistema nervoso che fa muovere le ciglia in modo coordinato o anche singolarmente, dispone di un'apertura orale o citostoma, di vacuoli digestivi e di vacuoli escretivi che hanno le stesse funzioni dello stomaco, degli intestini e dei reni. All’interno di queste cellule, potete osservare altri organuli quali il macronucleo, il micronucleo, ribosomi, mitocondri, cloroplasti, pirenoide, stigma."

Nell'allontanarmi dal Robot, non riuscivo a capire bene se egli stesse osservando i ciliati oppure no. Non aveva reazioni particolari e il suo sguardo era piuttosto fisso. Finora il robot mi aveva un po' deluso. A quanto pare, capiva e rispondeva, ma tutto sommato era poco di più di un computer con le zampe. Volevo comunque saperne qualcosa di più.
"Che cos'è esattamente quella macchina? E' un robot, un androide, un cyborg, che cosa?", chiesi a Zoolt.
"E' un semplice robot antropomorfo. Ha un cervello di neuroni molecolari. Le sue prestazioni possono arrivare a quelle di un uomo."
"Avete costruito anche androidi e cyborg?"
"Abbiamo tante parti composte da tessuti vivi artificiali per comporre un androide, ma siamo ancora lontani dal poterlo assemblare completamente. I cyborg non ci interessano."
"Sono molto diffusi da voi i robot?"
"Ce n'è almeno uno in tutte le case. Sono dei comodi assistenti domestici. Non potremmo più farne a meno."


VORTICELLE

Eravamo giunti nei pressi di un protista a forma di campana e che era attaccato al fondo per mezzo di un lungo peduncolo.
"Vedete quella campana con l'apertura dotata di ciglia che vibrano rapidamente? E’ una Vorticella. Anche lei è un ciliato ed è unicellulare. Alcune specie di vorticelle formano colonie di decine o anche centinaia di individui. Questa è accompagnata solo da un'altra vorticella mezzo nascosta. Vedete quanti oggetti le turbinano intorno? Sono trascinati dal vortice creato dalle sue ciglia che battono rapidamente. In questo modo gli oggetti vengono richiamati verso il citostoma dell'organismo e, se sono della dimensione giusta, vengono ingeriti."

La vorticella scattò improvvisamente all’indietro, richiamata dal lungo peduncolo che ora era a forma di molla e il suo corpo si era contratto in una sfera. Era stata colpita da un oggetto troppo grosso per essere ingoiato ed essa si era difesa ritraendosi. Ma ora si stava distendendo nuovamente. Riaprì la corona di ciglia, o peristoma, ed ecco la sua vibrazione ripartire.
"Sembra che abbia un motore", dissi. "Vedete quei corpuscoli verdi dentro la vorticella? Si tratta di alghe unicellulari che essa ha ingoiato e che sta digerendo."

Stavo per avvertire il gruppo di fare attenzione a non farsi risucchiare, quando vedemmo Splek a gambe e braccia spalancate roteare al centro del vortice. Impaurita, Lelki mi afferrò per un braccio. Per fortuna alla vorticella bastò una breve elettroscarica per ritrarsi. Il vortice si fermò e prendemmo Splek che dietro ai suoi occhiali non aveva capito bene che cosa fosse successo, quindi ci allontanammo dal protista. Gli tolsi gli occhiali e lui fissò attonito la vorticella che si distendeva e che riprendeva a battere le ciglia.
Mi staccai da Lelki che mi si era aggrappata. Presi per mano il piccolo Blik che si divertiva ad infierire sulla vorticella con il suo bastone ad elettroscarica. Intanto i Gresz guardavano la vorticella e si scambiavano commenti meravigliati.

"Ecco un’altra vorticella. E' attaccata ad una spirogira. Stranamente, mantiene sempre il peduncolo ritratto", dissi guardando Blik.

Finalmente incontrammo una colonia di vorticelle. "A differenza dalle vorticelle che abbiamo già visto, il loro colore è verde. Si tratta di una specie di vorticelle che al proprio interno ospita alghe unicellulari con le quali vive in simbiosi e scambia nutrimenti. Vedete con che frequenza si ritraggono? Spesso le vorticelle si disturbano a vicenda."

Mentre il gruppo osservava la colonia, ne approfittai per togliermi qualche curiosità.
"Da quanti anni siete venuti? Anzi, fra quanti anni verrete?… ma come si fa a dirlo?", chiesi a Zoolt.
"Vuoi sapere da che anno veniamo?", chiese lui guardandomi da dentro le sopracciglia.
"Si, era proprio questo che volevo sapere."
"Da noi è il 2260."
"E che cosa è successo di importante nel frattempo?"
"Beh, sono successe tante cose... Però non posso dirti nulla", disse anticipandomi. "Mi dispiace veramente, ma non siamo autorizzati a darti notizie sul futuro, anzi, ce lo hanno proprio vietato!"
"Ma come?! Venite dal futuro, io ho sempre sognato il futuro e adesso che siete qui non mi dite niente?"
"Mi dispiace, ma proprio non possiamo. Potrebbero avvenire delle anomalie spaziotemporali, dei cortocircuiti", disse con un'espressione contrita. "...qualcosa ti possiamo dire, però non potrà trattarsi di avvenimenti importanti, ma solo di notizie di poco conto. In ogni caso, tu prova a chiedere, vedrò che cosa potrò dirti."
Mi rendevo conto che Zoolt aveva ragione. Quello che diceva era perfettamente logico. Mi chiedevo solo come mai che tutte le cose più interessanti sono vietate.


AMEBE

Mentre osservavamo la colonia di vorticelle, Tenny lanciò un grido. Era restata impantanata, se così si può dire, in un ammasso gelatinoso.
"Che cosa hai pestato?", chiese Reena ridendo con una mano davanti alla bocca.
Senza dire una parola, Zoolt si avvicinò e dopo essersi ben sistemato cominciò a tirare Tenny con tutte le forze.

"E’ un'Ameba", dissi divincolandomi da Lelki, che comunque mi stava sempre vicina. "Non è tanto pericolosa per noi perché siamo abbastanza grandi. E' troppo piccola per fagocitarci, anche se ci sta provando."
"Ma è disgustosa!", disse Tenny. "Ma non ha una forma? Sembra un… un… un enorme sputo!"

Con una scarica elettrica l’ameba lasciò finalmente la presa e cominciò a fluire via.
"Questa è la sua forma… quello di non averne una definita. Però, anche se vi sembrerà strano, ogni specie di ameba ha una propria forma, diversa da quella delle altre."
"E come fa a sapere dove va, dal momento che dentro di lei rotola tutto?", chiese il ragazzino correndo accanto all’ameba che strisciava via rapidamente.
"Mah, questo piacerebbe saperlo anche a me!", dissi. "E tu, Lelki, non avere tutta questa paura, vedrai che andrà tutto bene." Lelki mi fece cenno di si e chiese scusa.

Con la coda dell’occhio vidi Blik fagocitato e che si dibatteva con solo i piedi fuori dall’ameba. [Ameba durante una fagocitosi].

Poco dopo, Blik mi passò accanto.
"Come hai fatto a liberarti dell’ameba?"
"Siamo diventati amici."
"E come hai fatto a fare amicizia?"
"Le piace giocare, non mi voleva mangiare."
"Ah,… che peccato!"
Ormai l’ameba seguiva Blik come un cagnolino. Era divertente vederla assumere la forma di quel ragazzino, e poi quella di Splek, ma coi capelli ancora più arruffati e ancora più molleggiato. Sembrava che nell’imitarli, ci mettesse dell’ironia.

Non seppi resistere alla tentazione di parlare con il robot.
"Ciao Julius, mi chiamo Giorgio. Sono contento di avere un robot nel gruppo. Posso scambiare due chiacchiere con te?" Egli mi ascoltò con attenzione.
"Io sono un'Unità Domestica BIOMET, modello C28. Il mio numero di serie è KH025324. Mi chiamano Julius. Presto servizio nella comunità di Ework." La sua voce era metallica e senza inflessioni, proprio come tutti immaginano la voce dei robot. Nei suoi occhi non brillava nessuna scintilla di vita, ma almeno mi aveva capito e aveva risposto a tono.
"Avevi mai visto dei protisti?"
"No Signore."
Stavo pensando a come continuare quella conversazione stentata, quando vidi arrivare un flagellato.


ANISONEMA

"Sta arrivando un flagellato! E' un'Anisonema." Vidi per primo il protista che si avvicinava. Finalmente vedemmo qualcosa senza che Lelki mi si avvinghiasse addosso.
"Ma ha il flagello davanti!", disse Tenny meravigliata vedendo quel protista avanzare preceduto da un lungo flagello mobile che sembrava esplorare il terreno davanti a lui.
"Già", dissi, "immagino che ti aspettavi che un flagellato avesse il flagello di dietro e lo usasse per spingersi avanti come un motoscafo. In effetti ci sono dei flagellati fatti così, ma come ormai avrai cominciato a renderti conto, i protisti sono degli esseri bizzarri, spesso sfuggono alle nostre aspettative e categorie. Sembra che si divertano a sorprenderci… Ti dirò di più, anche se non ha cloroplasti, quella è un’alga, e pur essendo un’alga, come vedi si muove rapidamente. Non solo, ma anzichè sfruttare la fotosintesi clorofilliana per nutrirsi, si ciba di sostanze che assorbe dall’ambiente e di batteri che ingerisce, come farebbe un animale. Adesso che vediamo l'anisonema da dietro, potete notare che questo protista non ha solo il flagello anteriore, ma se ne trascina dietro anche un secondo. Entrambi nascono dallo stesso punto situato anteriormente alla cellula, ma poi prendono direzioni opposte. Quello che è strano è che quest’organismo non usa neppure il flagello rivolto all’indietro per nuotare, ma lo trascina."

"E’ curioso", disse Tenny, "che pur avendo due flagelli non ne usi nessuno per nuotare."
"Usa un po' quello anteriore… Figuriamoci se Blik non lo faceva!" Il pestifero ragazzino aveva afferrato il flagello di trascinamento e si stava facendo tirare dall’anisonema.

"Chissà che cosa dice di te la tua insegnante!", chiesi a Blik.
"Non abbiamo la scuola…"
"Ma cosa dici?"
"Te l’ho detto!"
"Ma va là!"
"Non ci credi?"
"Vuoi dire che vi danno una pastiglia della matematica e l’altra della storia?", feci nel tentativo di estorcere qualche informazione.
"Ma nooo, come sei buffo!"
"Allora come fate a …" Blik che fino a quel momento mi aveva girato vicino, attaccato al flagello di trascinamento dell'anisonema, lo aveva lasciato per correre dietro a un piccolo ciliato roteante.


EUPLOTES

Ci dirigemmo verso un ammasso di spirogire e di oedogonium, due alghe filamentose, e ci arrampicammo in mezzo a quella strana foresta acquatica. Da lontano vidi un Euplotes.

"Attenzione, fra poco vedrete un organismo unicellulare che ha le zampe. In realtà non sono zampe, ma ciglia. Più precisamente sono dei cirri, risultanti dalla fusione di più ciglia. Quello che sorprende di questo microrganismo è che riesce a muovere i cirri ventrali uno alla volta, individualmente, per camminare, proprio come fanno gli animali superiori, con la differenza che lui è unicellulare. Pensate quanto dev'essere complessa la cellula di cui è composto!" Ci arrampicammo ancora un po’ finchè arrivammo vicino all’euplotes. Nel vedere questo microrganismo da vicino, rimasero tutti sorpresi dalla sua mobilità.
"Questo protista cammina rapidamente sui filamenti delle alghe. Probabilmente troverà qualche batterio o altro da mangiare."

Mentre tutti guardavano meravigliati l’euplotes, chiesi a Lelki:
"Questa volta non hai paura, vero?"
"No, è molto carino l’euplotes, non credevo che esistessero degli animali così."
"Non sono animali, sono protisti… Che lavoro fai?"
"Lavoro? Non è che noi lavoriamo proprio… mi occupo di recuperi ambientali."
"Recuperi ambientali?"
"Si, autostrade, edifici, monumenti che non servono più… li demoliamo, poi spesso restituiamo gli spazi alla natura. Mi occupo del progetto degli spazi liberati."
"Perché demolite le strade? Non usate le automobili?"
"Le automobili! Hahahhahaha, che buffo che sei! Sei proprio buffo!" Non riusciva a trattenersi dal ridere e si mise una mano davanti alla bocca.
"Si può sapere che cosa avete da trovarmi tutti buffo? Ma che cosa avete? Che cosa sono tutti questi segreti? Volete parlare?"
"Non possiamooo… te l'ha già detto Zoolt."
"Ma perché?"
"Perché, perché... quante domande fai!", disse prendendomi in giro. Rimasi un po' a pensare.
"Ma ce l’hai il ragazzo? Almeno questo me lo potrai dire… o no?"
"No, si, quasi. Cioè non ce l’ho, me lo puoi chiedere, ma anche se ce l’avessi non sarebbe come qua da voi … è tutta un’altra cosa"
"Ok, ho capito, lasciamo perdere… Mi sembrate più strani voi dei protisti!"


ROTIFERI

"Guardate su quell’alga laggiù, c’è un Rotifero."
"E’ mono o pluri?"
"E’ pluri, cara Tenny."
"Anche se è pluri, è grande quanto tanti altri mono."
"Già, strano vero? Pensa a quanto saranno piccole le sue cellule. Ne possiede un migliaio."
"Quanto tempo vive?"
"Una settimana circa. Osservate la parte anteriore dell’animale. Vedete quelle ciglia? Il loro battito sincronizzato, simile a quello delle vorticelle, dà l’impressione che abbia delle ruote, ed è per questo l’hanno chiamato rotifero. Ci sono numerose specie di rotifero, spesso così diverse l’una dall’altra che fareste fatica a riconoscerli come tali. Un’altra caratteristica è il piede, di solito composto da due corte appendici. Ancora tipico dei rotiferi è quell’apparato masticatore, chiamato mastax, che vedete nella posizione diciamo della gola. Con il loro rapido movimento, le ciglia anteriori richiamano particelle di cibo. Tenetevi tutti bene stretti alle alghe perché se il rotifero si volta verso di noi, potrebbe risucchiarci."
Non avevo neanche finito di dirlo che il solito distratto di Splek era già lì che roteava in un mulinello. Non se n’era neanche accorto, ma adesso era nelle fauci del mostro e la situazione era pericolosa perchè poteva ricevere un morso.

"Presto, aiutatemi con le elettroscariche!… E tu mollami!"
Attaccato da alcuni di noi, il rotifero si contrasse, ma Splek era rimasto catturato fra le ciglia. Zoolt e io ci arrampicammo sul corpo del rotifero e corremmo verso il suo capo. Ma l'animale si contorceva e facevamo fatica a rimanere sulla sua groppa senza cadere. Ogni tanto dovevamo fermarci per aggrapparci a qualche asperità. Quando arrivammo vicino a Splek, tagliammo alcune ciglia del rotifero, quindi tirammo fuori il ragazzo e fuggimmo nella foresta di alghe per proteggerci dall'animale.

"Ma si può sapere che cosa c’è di tanto interessante da guardare in questi occhiali?", chiesi spazientito a Splek, inforcando i suoi occhiali. "Se proprio non ti interessano i protisti potevi anche…. Ma cosa c’è qua dentro? Oddio!… Tieni questi aggeggi infernali! Mi gira la testa."
"Per forza, è una trasmissione esadì!", fece Splek ridendo.
"Adesso però non metterli più. Ti abbiamo già salvato due volte."

"Zoolt, ascolta, prima ho scambiato due parole con il vostro robot."
"Ah, si? E come ti è sembrato?"
"Era proprio di questo che ti volevo parlare. Se ti devo dire la verità, ne sono rimasto un po' deluso. Forse sarà che sono sempre stato piuttosto ottimista nei confronti delle prestazioni che potranno avere i robot, ma mi aspettavo qualcosa di più da un robot costruito fra 260 anni ...rispetto al mio tempo."
"Le sue caratteristiche possono essere regolate. Adesso non sono particolarmente elevate."
Non feci molto caso a quello che aveva appena detto Zoolt.
'Probabilmente i problemi da risolvere per realizzare dei robot veramente intelligenti sono più complessi di quanto immaginavo', pensai e lasciai cadere la conversazione.


LA FOTOGRAFIA

Eravamo arrivati ad una radura luminosa. Il terreno era sgombro da detriti. Da lontano si vedevano alcuni protisti.
"Che cosa ne dite se ci facessimo una fotografia per ricordo?", chiesi tirando fuori la mia macchina fotografica. I Gresz si guardarono in faccia. Lelki e Tenny si trattenevano a stento dal ridere.
"Mamma che cos’è una fotografia? Mamma che cos’è una fotografia? Mamma che cos’è una fotografia?", chiedeva Blik a voce alta.
Mi si avvicinò Zoolt: "Posso guardarla? E' da tanto che non vedo oggetti antichi come questo."
Anche Splek arrivò: "Cos’è? E' una macchina litografica?"
"Non c’è una pietra dentro, ma una pellicola, non siamo così primitivi", dissi rivolto a Splek.
Invitai tutti a schierarsi e Reena mi aiutò. Chiamai l’ameba a scattare la foto, ma non riuscimmo a capirci bene, anche perchè il protista aveva la mania di fagocitarsi la macchina. Così misi l’autoscatto e prendemmo il protista in mezzo a noi. Dal canto suo, il robot era spesso in mezzo ai piedi e anche in quel momento sembrava piuttosto frastornato tanto che dovetti girarlo verso la macchina fotografica.

"Adesso ne faccio una io!", disse Splek tirando fuori da una tasca uno strano oggetto.
"Che cos’è?", chiesi.
"Un’esadì ortomorfica. Invece la tua macchina è una antica duedì, se non sbaglio."
"Ah, capisco!", dissi un po’ depresso e mi misi in posa, mentre tutti gli altri continuavano a camminare.
"Puoi venire, è già fatta!", disse Splek dopo una dozzina di secondi, consegnando a tutti un cartoncino bianco. Mentre guardavo perplesso quel cartoncino sopra e sotto, Splek mi dette una lente.
"Tieni, per vederla devi usare questa. Gli altri non ne hanno bisogno."
"Di che cosa si tratta?"
"Niente di speciale, è una lente esadì."
"Cioè?"
"Se la metti sull’esagramma, ricostruisce la scena."
"Ah, che bello!" Misi la lente sul cartoncino e all’improvviso riapparve la scena ripresa da Splek, ma con le persone in carne ed ossa.
"Ma cosa fai? Non devi farlo adesso! Non vedi che finiamo l’uno contro l’altro?"
"Ma questo coso, ricrea gli oggetti materiali?"
"Certamente, che cosa credevi? E anche in movimento. Non solo, ma puoi anche parlare alle persone, abbracciarle. Sei in esadì, non dimenticarlo."
"Abbracciarle? Hai detto abbracciarle???"
"Si abbracciarle… non c’è niente di strano."
"Vuoi dire che se la applico su una rivista di moda, tanto per fare un esempio come un altro, ottengo le modelle in carne ed ossa?" '...Prodigi dell’ottica!'
"Si, ma dev'essere una delle nostre riviste… almeno credo."
"E' incredibile!", dissi guardando Zoolt che seguiva la conversazione.
"Effettivamente puoi interagire con le persone riprese. In ogni caso, se proverai a parlare loro, le troverai come addormentate. Quelle restituite dalla lente non sono gli originali, ma soltanto un loro intervallo spaziotemporale... non è facile da spiegare", disse Zoolt.
"… e se applico questa lente su di una foto delle mie che cosa succede?", chiesi.
"Probabilmente non funzionerà allo stesso modo. Le tue sono foto duedì, non dimenticarlo."
Misi la lente e la foto in tasca e chiusi la lampo.


ALGHE

Durante questo viaggio nell’acqua di stagno compresa fra il vetrino portaoggetti e quello coprioggetti, vedemmo numerose alghe azzurre, alghe verdi e alghe coniugate che descrissi ai visitatori.
"Le alghe azzurre sono dei batteri capaci di fotosintesi clorofilliana. Sono chiamate anche Cianoficee. Probabilmente sono stati i primi organismi comparsi sulla Terra capaci di produrre da sè sostanze nutritive. La loro origine risale a oltre 3 miliardi e 800 milioni di anni fa. Le altre alghe sono invece protisti. Il termine di alga verde ha un valore tassonomico, non indica il colore. Infatti,  non tutte le alghe verdi sono di colore verde, ma anche gialle o bluastre, in certi casi perfino rosse."

"Le coniugate sono alghe verdi molto belle. Alcune di esse sono formate da due semicellule simmetriche affiancate. Molto bella è la falce del Closterium, un’alga coniugata formata da due parti simmetriche." L'alga che vedevamo sembrava la falce della Luna nel cielo blu del crepuscolo. "Il Pediastrum è una deliziosa alga verde dall’aspetto geometrico e con le cellule periferiche appuntite."

Mi arrivarono delle voci concitate. Splek, Tenny e Reena stavano discutendo alle spalle del robot. Questi era immobile e aveva uno sportellino aperto dietro alla schiena. L'espressione del robot era piuttosto allarmata .Ogni tanto, l'uno o l'altro armeggiava dentro lo sportellino. Evidentemente non erano d'accordo sul risultato da ottenere. Guardai Zoolt con uno sguardo interrogativo.
"Stanno regolando il robot", disse.
"E perchè litigano?"
"Il fatto è che i robot vengono fuori dalla fabbrica tutti uguali."
"E allora?"
"Allora alla gente non va bene. Ognuno lo vuole a modo proprio, quindi li personalizzano a seconda delle proprie necessità e... gusti", disse l'ultima parola con una punta di disapprovazione.
"Uhm, mi sembra di capire, ma spiegati meglio se puoi." Ero ansioso di saperne di più sui robot.
"Beh, dietro alla schiena di ogni robot c'è un pannello di controllo dal quale puoi regolare le sue caratteristiche. In questo modo, puoi regolare il quoziente intellettuale per l'astrazione e per le altre funzioni.... quelle che comunemente vengono chiamate abilità. Per esempio puoi stabilire che egli sia bravo nei lavori ripetitivi di fabbrica oppure nelle faccende domestiche oppure nell'assistere pazienti e così via."
"Mi sembra una bella cosa. Però continuo a non capire che cos'hanno da litigare."
Zoolt si era fermato un po' a riflettere. Probabilmente si chiedeva che cosa poteva ancora dirmi, senza sbilanciarsi troppo.
"Devi sapere che dal pannello di controllo puoi anche definire la personalità del robot. Per esempio, il carattere: tranquillo o emotivo, taciturno o loquace; l'umore: ottimista o pessimista; puoi definire perfino il tipo psicologico: maschile, femminile o gay tanto per fare degli esempi. Probabilmente loro non sono d'accordo su come regolare il carattere e le capacità del robot."

Ero rimasto sbalordito. Non immaginavo che si sarebbe arrivati a tanto.
"E' davvero stupefacente quello che mi dici... Comunque, a parte le divergenze dei nostri tre amici su come personalizzare il robot, non capisco proprio a che cosa possa servire la regolazione del QI. Mi sembra una faccenda davvero ridicola. Non è meglio che il robot sia intelligentissimo? Potrebbe nello stesso modo svolgere tanto i lavori ripetitivi quanto quelli creativi, potrebbe occuparsi di pezzi meccanici, ma anche di persone e svolgerebbe ognuno di questi compiti egregiamente."
"Ne sei proprio sicuro?", chiese Zoolt ridendo. "Il fatto è che in proporzione all'intelligenza aumenta anche la coscienza."
"Adesso che cosa c'entra la coscienza? Non vorrai dire che quei barattoli di pomodori ambulanti hanno anche una coscienza?!"
"Si, hanno la coscienza! ...Proprio come noi umani, esattamente come noi", mi accorsi di avere la bocca aperta e la chiusi. "... e un robot molto intelligente non accetta di fare a lungo lavori ripetitivi: si ribella, ti manda a girare. Se lo fai diventare molto creativo, non riesci più a fargli rispettare le regole e a farlo lavorare in una catena di montaggio. Per lavorare in fabbrica, non ha bisogno di essere affettuoso, ma lo deve essere se deve badare a dei bambini oppure se deve assistere dei pazienti. Però se diventa troppo sensibile negli affetti, si può legare troppo alle persone, con le possibili conseguenze che puoi bene immaginare. Vedi a che cosa serve la regolazione delle sue capacità?
"Aspetta un po', vuoi dire che anche un robot si rompe le scatole, diventa indisciplinato, si innamora?"
"Certamente!... Devi regolarlo in base ai compiti che deve svolgere, altrimenti non ne sarebbe adatto e combinerebbe dei guai. Non solo, ma le abilità nelle varie funzioni devono essere armonizzate. Non puoi portarle tutte al massimo livello, ne otterresti una personalità a dir poco piena di conflitti interni."
"Sembra che mi stai parlando di una persona, non di una macchina."
"...Non dovrei proprio dirtelo, ma devi sapere che quando costruirono il primo robot autenticamente intelligente, lui si mise a chiedere di essere trasformato in uomo. Voleva vivere e divertirsi come noi. Soffriva della sua condizione."
"Soffriva?"
"Si, proprio così. Aveva delle crisi esistenziali, non accettava di essere un robot."
"Questa poi!..."
"Non solo, ma robot molto intelligenti sottrarrebbero spazi di creatività e di lavoro agli uomini. Capisci quindi perchè hanno dovuto stabilire dei limiti all'intelligenza dei robot per uso civile? ...E non è solo per questi motivi che si limita il QI di un robot. E' anche una questione di feeling, di preferenze. Se vuoi un amico con cui conversare, un'intelligenza superiore potrebbe metterti in imbarazzo."
Mi misi a ridere: "A me questo non procurerebbe proprio nessun problema. Chi vuoi mai che non sia pronto ad ammettere l'esistenza di persone più intelligenti di lui?!", chiesi.
"Beh, capita", rispose.
Mentre ci rimettevamo in cammino, pensai che avevo abbastanza materiale per riflettere per almeno un paio di mesi. Vidi Julius che camminava dinoccolato vicino a Splek. Ogni tanto, i due accennavano movimenti di arti marziali. Evidentemente la discussione l'aveva spuntata il ragazzo.
'E noi umani, chi ci regola?', mi chiesi. 'Dobbiamo essere adatti a tutte le stagioni, e poi ci vengono le nevrosi ...ci innamoriamo, con tutte le conseguenze di cui sopra...'


DIATOMEE

Intanto Blik veniva verso di noi, seduto su di una sorta di barchetta.
"Guardate che cosa ho trovato!", disse raggiante. "E laggiù ce ne sono delle altre." Ci avviammo verso quella direzione. L'arrivo del bambino ebbe anche il merito di interrompere il corso dei miei pensieri, che rischiava di divenire sempre più aggrovigliato.

"Sono Diatomee, alghe unicellulari provviste di un astuccio siliceo formato da due gusci o teche di cui quello superiore è più grande e ricopre quello inferiore, un po' come il coperchio di una scatola. All’interno di questo astuccio si trova il protoplasma cellulare. Gli astucci sono cosparsi di minuscoli fori, incisioni e rilievi disposti in modo regolare a formare graziosi reticolati. Le diatomee possiedono strutture talmente belle e in una tale varietà di forme che vi sono appassionati che si dedicano esclusivamente alla raccolta e allo studio di queste alghe", dissi.
"Ma come fanno le diatomee a muoversi, visto che il loro organismo è rinchiuso in un astuccio?", chiese Tenny.
"Già… non è facile capirlo. Il guscio inferiore di queste alghe possiede dei fori e soprattutto una fessura longitudinale, detta rafe. Una parte del citoplasma fuoriesce da questa fessura e produce una secrezione collosa che scorre lungo il rafe, provocando il movimento della diatomea, un po’ come se fosse provvista di un cingolo."

Rimasero tutti stupefatti da questo strano sistema di locomozione. Alcune diatomee scivolavano intorno a noi. Una di esse che ci passava davanti si fermò, rimase immobile per qualche istante e poi, con un piccolo scarto, ripartì in direzione opposta. Attraverso il guscio trasparente e riccamente traforato si potevano vedere due cloroplasti arancione e alcune goccioline gialle di grassi di riserva.
"Non credevo che i protisti potessero essere così belli", disse Splek a Tenny. Anche Lelki guardava incantata queste strane alghe racchiuse in un guscio decorato come uno scrigno prezioso, e che si muovevano come… carri armati. Raccogliemmo alcuni gusci di diatomea per osservarne la struttura più da vicino.

Più avanti c’erano i gusci vuoti di una grossa diatomea morta il cui aspetto ricordava una conchiglia marina. Presi per mano Lelki e la feci entrare in un guscio. Mentre mi allontanavo ad osservarla, lei mi guardò con un’espressione interrogativa, ma io sapevo quello che stavo facendo e chiesi a Splek di fare un’esadì alla ragazza, badando bene di riprendere anche il guscio ai suoi piedi e quello alle spalle, che era un po' sollevato.
"Che cosa state facendo?", chiese Lelki.
"Una fotografia rinascimentale", risposi. "Per farla come si deve ti dovresti spogliare, ma, visto che non hai i capelli abbastanza lunghi per coprirti, lasciamo andare", dissi spostandole un po' la frangia dagli occhi.
"Ma che cosa dici?", chiese Lelki ridendo. Nel suo sorriso splendeva qualcosa di eterno.


COLEPS

Mentre stavamo allontanandoci dalle diatomee, venimmo sfiorati da una cellula che roteava sopra di noi.
"Questo è un Coleps, un ciliato. Vedete com’è tutto cosparso di ciglia? La cellula ha delle costolature longitudinali ed altre orizzontali che la fanno somigliare ad una botte", dissi mentre il gruppo guardava sopra le proprie teste una decina di coleps vorticare attorno a dei detriti. "Nel lato posteriore di questo ciliato potete osservare alcune corte punte caratteristiche."

Approfittai della vicinanza di Lelki per togliermi una curiosità:
"Come mai avete deciso di fare un viaggio fra i protisti?"
"L'agenzia di viaggi di Shup ha fatto un po' di confusione. Non c'erano più posti sull'astro... sull'aereo. Abbiamo dovuto aspettare diverse ore perchè si chiarisse la situazione. Non ci potevano rimborsare il biglietto, così ci siamo trovati con qualche giorno di attesa per l'imbarco e da riempire in qualche modo. Quindi, piuttosto che restare nella sala d'attesa dell'aeroporto, abbiamo pensato a un diversivo."
"Ho capito, ma l'idea di vedere i protisti chi l'ha avuta?"
"E' stata di Zoolt, era una sua vecchia curiosità trascurata da sempre."
"E perchè siete venuti proprio da me?"
Lelki si guardò intorno imbarazzata. Abbassò la voce e disse: "Durante un precedente viaggio con lo sferoide temporale, ti aveva visto che raccoglievi campioni d'acqua dal tuo laghetto e che li osservavi al microscopio. Ti aveva tenuto d'occhio in alcune altre occasioni e ci ha detto che costruivi strumenti scientifici."
"Ah, ecco come si spiega la faccenda! Così siete rimasti a piedi e non sapevate dove andare. Che consolazione! Mi sembrava ben strano che a dei turisti interessasse un viaggio fra i protisti! Quindi siete in una visita involontaria. Spero che non vi stiate annoiando troppo!" Ero proprio depresso.
"Ma che cosa dici? E' bellissimo quello che ci stai mostrando. E' stata una vera scoperta per tutti. Adoro il regno dei protisti, veramente!" Queste ultime parole di Lelki mi rincuorarono un po'.


FLEXIBACTER

"Guardate quella specie di filo di ferro come si agita!", disse Splek.
Quello che vedemmo non era certo un organismo grosso, ma era sicuramente strano e buffo. Si trattava di un filamento sottile, probabilmente un Flexibacter, che si contorceva e si agitava freneticamente accanto ad un altro filamento simile, immobile. Lo spessore di questo filamento non arrivava al micron e la sua lunghezza era di circa 40 µm. Per noi era dello spessore di 2 cm ed era lungo un metro circa. Al suo fianco passava una piccola diatomea. Quello che stupiva era come un organismo così sottile avesse tanta energia per muoversi in quel modo. Tutti ci chiedevamo che cosa stesse facendo, ma non lo si capiva proprio.

Vidi Tenny armeggiare dietro la schiena di Julius. Ora il robot recitava poesie alla ragazza, con un atteggiamento grave e assorto. Poco prima, invece sorvegliava Blik, probabilmente istruito in tale senso da Reena. Evidentemente Tenny, Reena e Splek si erano accordati nell'usare il robot a turno.


PHACUS

Più avanti, dopo avere girato intorno ed oltrepassato una bolla d'aria tanto grossa da toccare i due vetrini, incontrammo un’alga piatta a forma di cuore, con un aculeo posteriore obliquo e che nuotava volteggiando tranquillamente.
"E’ un Phacus, un’alga flagellata. Anch’essa ha il flagello in posizione anteriore. Come molte altre alghe flagellate, possiede un organello sensibile alla luce. Si chiama stigma e potete vederlo come una macchietta rossastra vicina al punto di innesto del flagello." Il phacus continuava a volteggiare sopra le nostre teste. Poco dopo riprendemmo il cammino.

"Ci avete mai pensato che noi siamo i pronipoti di organismi come questi?", chiesi.
"In che senso?", chiese Splek.
"Secondo gli scienziati, deriviamo dall’evoluzione di organismi unicellulari, in particolare di alghe flagellate", risposi.
"Ma non derivavamo dalle scimmie?"
"Certo, ma quella è una tappa intermedia. Eravamo scimmie dieci-quindici milioni di anni fa, eravamo anfibi circa 400 milioni di anni fa, ma se risali a circa 800 milioni di anni fa eravamo dei protisti. Come dicevo prima, sembra che il nostro antenato più diretto fosse proprio un’alga flagellata."
Splek era rimasto pensieroso.
"A scuola ti lasciavano tenere quegli occhiali?", gli chiesi.

"Che varietà di forme hanno questi protisti!", esclamò Tenny che teneva per mano Splek.
"Già, ma non sono diversi solo nella forma. Se li esamini a livello molecolare, troverai differenze talmente grandi che la differenza fra due protisti può essere maggiore di quella fra il protista nostro antenato e noi stessi. Infatti i protisti sono comparsi almeno due miliardi di anni fa e da allora non hanno mai smesso di evolvere e di formare nuove specie."
"Allora il phacus è il nostro antenato?", chiese ancora Tenny.
"Non ho detto proprio il phacus, ma un'alga flagellata. Non so quale."


EMATOCOCCO

Le sorprese si succedevano l’una all’altra. Ora eravamo tutti con il naso verso l’alto ad ammirare una sfera trasparente, con al centro una massa periforme di colore giallo-verde brillante, che roteava con un movimento vibrante.
"Questo è un Haematococcus, per gli amici Ematococco. Appartiene alle alghe verdi. Possiede due flagelli della stessa lunghezza, ma dotati di movimento diverso e che provocano questa andatura tremolante della cellula. Il corpo cellulare è situato all'interno di una rigida teca trasparente ed incolore alla quale è attaccato con strisce di citoplasma."
"E’ molto bello! Ha come una luce nascosta", disse Lelki.
"Questo può essere dovuto ai pigmenti fluorescenti che la cellula possiede e che usa nella fotosintesi. Queste alghe vengono allevate per ricavare carotenoidi da usare in campo medico. Molte alghe unicellulari vengono allevate per estrarre sostanze utili, quali per esempio pigmenti fluorescenti che vengono utilizzati in medicina e nella ricerca biologica per colorare preparati istologici."

"Dove vive quest’alga?", chiese Reena.
"Vive nell’acqua dolce. La puoi trovare anche in acque molto pulite come le sorgenti e in pozze d’acqua piovana. Normalmente queste alghe sono di colore verde, ma quando non trovano nutrimento, si fissano al fondo, diventano immobili e assumono un colore rosso dovuto all’abbondanza di carotenoidi. Ti puoi accorgere della loro presenza perché rendono rosso il fondo della pozza. Il loro nome deriva proprio da queste caratteristiche di essere di colore rosso come il sangue (in greco haima) e di essere sferiche (in greco kòkkos, granello)."

"Qualcuno di voi ha una torcia elettrica?", chiesi.
Zoolt mi porse un cilindro e mi mostrò come dovevo usarlo. Ecco un bel fascio di luce che usciva dalla torcia.
"Guardate!", dissi puntando il fascio di luce sull’ematococco. Immediatamente dalla cellula scaturì una soffusa ma intensa luce bluastra. Era uno spettacolo!
"Qualche anno fa, ho allevato cellule come queste in un piccolo impianto. Se illuminavo una provetta di coltura con un fascio di luce, la vedevo divenire fluorescente."
"Anch'io voglio allevare quest'alga!", disse Blik.
"E' facile! Dal fondo di una pozza rossa raccogli qualche ammasso di cellule. Aiutandoti con un microscopio ed una pipetta, preleva qualche cellula di ematococco evitando di raccogliere altri protisti e mettila in un recipiente con acqua pulita. Eventualmente ripeti l'operazione con le cellule già raccolte. Mettile in una provetta o meglio in un vasetto trasparente contenente dell'acqua ricca di sali minerali. Puoi arricchire di sali minerali l'acqua di rubinetto aggiungendovi un po' di terra e facendola bollire per qualche minuto. Poi dovrai lasciarla raffreddare e decantare. Infine dovrai filtrarla. Questo tipo di acqua va bene anche per allevare altre alghe unicellulari." Vidi Blik più attento di come l'avevo mai visto. Fui sicuro che avrebbe provato a fare una cultura di alghe microscopiche.


GONIUM

Sentimmo l’acqua vibrare, ma non ci spaventammo perché si trattava di una vibrazione dolce. Arrivava verso di noi un gruppo di otto alghe verdi flagellate, disposte su di un piano a formare un piccolo tappeto.
"Questo è un Gonium. Si tratta di un'alga coloniale. Ora ne vediamo una colonia formata da otto cellule, ma normalmente sono composte da sedici individui. Ogni cellula possiede due lunghi flagelli. Ogni tanto la colonia si ferma, poi riprende a nuotare."

"E’ incredibile come delle cellule così piccole riescano ad essere tanto complesse. Ma come fanno a muovere le ciglia?", chiese Zoolt.
"I microrganismi nascondono segreti stupefacenti di cui la gente nemmeno sospetta. Le ciglia, per esempio, sono formate da un fascio di microtubuli proteici che scorrono l'uno lungo l’altro e ne provocano l'incurvamento. Lo sapevate che alcuni batteri muovono il flagello facendolo ruotare per mezzo di un vero e proprio motore elettrico?"
"Motore elettrico???", chiese Zoolt fermandosi.
"Si, visto al microscopio, il flagello di quei microbi sembra avere un movimento di battimento come quello delle ciglia, in realtà esso è rigido e a forma di elicoide. Nel punto in cui è innestato nella membrana, viene fatto ruotare da speciali proteine che producono un flusso rotante di ioni." Il viso di quelli che mi stavano ascoltando aveva assunto un’espressione meravigliata.
"Anche i meccanismi molecolari che gestiscono i cromosomi durante la divisione cellulare sono fantastici. Tuttavia, per osservare questi meccanismi, bisognerebbe scendere ad una dimensione inferiore. Dovremmo miniaturizzarci ancora di più di quanto non siamo già."

Una strana variazione di pressione dell’acqua ci mise in allarme. Le orecchie faticavano ad abituarsi alla nuova situazione. Alcune spirogire si avvicinarono a noi rapidamente e ci sospinsero in avanti di parecchi metri. Cercai di guardare oltre le spirogire e mi accorsi che venivano premute da una grossa bolla d’aria. Guardai in alto e vidi che il vetrino coprioggetti si era abbassato notevolmente.

"L’acqua si sta prosciugando", dissi a Zoolt. "Dobbiamo avvertire Shup di tirarci fuori di qua."
"Corriamo qualche pericolo?"
"Certamente non dovremo essere qua quando l’acqua si sarà completamente prosciugata. Rischiamo di venire schiacciati dal coprioggetti", dissi in modo che sentisse solo lui.
Zoolt cominciò a chiamare la base, ma Shup non rispondeva.


OXYTRICHA

Dalle sue dimensioni si sarebbe detto un tappeto, o meglio un grosso materasso peloso. Ci raggiunse scivolando rasoterra, e facendo vorticare tutto quello che c'era davanti al suo largo citostoma circondato da ciglia vibratili.
"Questa è una Oxytricha, un ciliato appiattito, tutto coperto di ciglia. Come per l’euplotes, sul lato addominale, alcune di queste ciglia, sono fuse in cirri che il protista può muovere sia insieme che isolatamente, riuscendo quindi sia a nuotare che a camminare. Come vedete, questo protista ingerisce molta acqua. Per evitare di gonfiarsi si serve di quel vacuolo pulsante che è molto attivo nel raccogliere l’acqua in eccesso nella cellula e nell’espellerla fuori dalla membrana", dissi.

Blik non credeva ai suoi occhi: aveva davanti a sè un autentico tappeto volante! Prima che qualcuno intuisse quello che stava per fare, si buttò sull'oxytricha, afferrandosi ad alcune ciglia. Il protista partì a retromarcia, poi in avanti a una velocità pazzesca. Blik gridava di gioia, ma dopo alcune virate e giravolte improvvise, l'oxytricha riuscì a sgropparsi di dosso l'intruso e si fermò. Blik cercò di montarci nuovamente sopra, ma il protista lo scansò abilmente più volte annusandolo e poi se ne andò. Blik lo chiamò correndogli dietro, ma inutilmente.

"Allora, Shup risponde?"
"No, non capisco perchè… eppure la trasmittente funziona. Ma... guardate qua sotto!", disse Zoolt.
Sotto di noi, attraverso il vetrino e per merito dello specchietto del microscopio, potevamo vedere Shup che rideva con Cristina e Silvia.

Intanto le bolle d’aria si allargavano ed il vetrino coprioggetti scese ancora e pericolosamente. Ormai non potevamo più restare in piedi senza piegare il capo.
"Che cosa fa quel disgraziato?"
"Adesso balla", disse Zoolt.
Lanciai un'imprecazione. "Ma qua ci sta crollando il tetto in testa!"
Scrutai attraverso il fondo del microscopio. Shup sembrava divertirsi quanto mai in vita sua. Era tutto scamiciato e si dimenava ballando davanti a mia moglie che a sua volta rideva tanto da non riuscire più a ballare.
"Quando esco di qua, li strangolo tutti!", dissi.

"Proviamo ad uscire dall’acqua. Se ci riusciamo, possiamo attraversare il microscopio senza il suo aiuto", dissi. Ci avvicinammo al bordo del vetrino, e cercammo di superare il menisco dell’acqua. La superficie dell'acqua all'inizio cedeva deformandosi facilmente, ma dopo un po' opponeva una forza sempre maggiore alla sua penetrazione. Ci mettemmo tutti d'impegno a spingere contro il menisco. Anche il robot ci provò, ma la tensione superficiale dell'acqua era troppo forte per noi e, dopo numerosi e vani tentativi, dovemmo abbandonare l’impresa.
"Dobbiamo assolutamente richiamare l'attenzione di Shup prima che sia troppo tardi", dissi a Zoolt.


SHOCK IPOTONICO

Mentre cercavamo una soluzione a questo problema, un’altra grossa onda d’urto ci segnalò che le bolle d’aria si allargavano. Molti protisti stavano incistandosi. Eravamo tutti preoccupati, perfino Blik non giocava più.
"Perchè i protisti si fermano?", mi domandò Blik.
"Stanno cominciando a formare la cisti."
"A che cosa serve la cisti?"
"Serve a sopravvivere alla mancanza d'acqua. Devi sapere che quando l'acqua viene a mancare, molti protisti formano una cisti. Quando l'acqua ritorna, oppure se le cisti vengono trasportate dal vento fino ad una pozza d'acqua, in poco tempo quei microrganismi assorbono l'acqua e tornano a vivere. Una cisti è come una piccola astronave che li aiuta a trovare un nuovo mondo favorevole alla loro vita. In questo modo, possono andare anche dall'altra parte del mondo e forse perfino nello spazio."
"Che bravi che sono! E noi lo possiamo fare?"
"Direi proprio di no, Blik. In certi casi, sono più bravi loro di noi."

"Ha risposto! Shup ha risposto!", gridò Splek.
Corsi da Zoolt, alla trasmittente.
"Digli di darci subito un poco d’acqua e poi di tirarci fuori." Zoolt inoltrò le nostre richieste e qualche minuto dopo vedemmo la punta di una pipetta avvicinarsi al vetrino tremolando.
"Teniamoci per mano, presto!" Una corrente d’acqua ci travolse e ci trasportò centinaia di metri più avanti, mentre il vetrino coprioggetti si sollevava rapidamente. Quando ci fermammo, vedemmo dei protisti gonfiarsi rapidamente.
"Che cosa succede?", chiese Lelki.
Un protista esplose. Il suo citoplasma si disperse nell'acqua. Si vedevano le ciglia del suo peristoma vibrare come se appartenessero ancora ad un organismo intatto.
"Acqua distillata!", esclamai, "ci ha dato acqua distillata! Ma dove l’avete trovato quell’accompagnatore?"
"I protisti scoppiano perché assorbono troppa acqua a causa della pressione osmotica. E’ lo shock ipotonico", disse Zoolt, ma non l'ascoltava nessuno: eravamo tutti troppo preoccupati nell'osservarci gonfiare a vista d'occhio. Avevamo delle braccia che sembravano cocomeri e il viso era diventato una palla. Facevamo fatica a vedere attraverso la fessura degli occhi.
Fortunatamente i sali già presenti nell’acqua, che fino a poco prima stava prosciugandosi, ora tornavano a sciogliersi. Quindi l’effetto dell’acqua distillata si smorzò rapidamente e la situazione si stabilizzò. Lentamente cominciammo a sgonfiarci.


SHUP CADDE NEL MICROSCOPIO

Intanto Shup stava armeggiando per riportarci alla base. Ma, nel tentativo di aiutarci, l’accompagnatore si sporse un po’ troppo sugli oculari, venne risucchiato dal tunnel ottico e cadde sul coprioggetti. Si rialzò disorientato. Gli ci volle un po', ma finalmente capì di essere stato miniaturizzato anche lui. Cercammo di attirare la sua attenzione battendo sul vetro coprioggetti, sotto ai suoi piedi. Non aveva più la trasmittente, quindi dovemmo comunicare con lui a gesti. Gli facemmo segno di tornare su, ma lui capì di venire giù. Così corse fino al bordo del vetrino e si tuffò nell’acqua. Io e Zoolt ci guardammo in faccia.
"Adesso sì che siamo a posto!", dissi mentre Zoolt allargava le braccia.


COME FARE?

Quando Shup arrivò in mezzo a noi non fu proprio accolto calorosamente, e quando si rese conto della situazione in cui ci aveva messi, ne rimase costernato, ma ormai non c’era più niente da fare. Non poteva più tornare indietro e nessuno di noi poteva uscire di lì, tanto forte era la tensione superficiale dell’acqua.

"Adesso non ci rimane che richiamare l’attenzione di Silvia" dissi, ma lei guardava la TV. L’unica cosa che potevamo fare era quella di utilizzare un raggio laser, ma lei ci voltava le spalle. Dopo un po’ Silvia spense la TV.
"Adesso si mette lo smalto sulle unghie!", esclamò Zoolt sconsolato.

Arrivò Cristina con un vassoio di tazzine, the e biscotti.
"Dov’è andato Shup?", chiese.
"Non lo so, era qui poco fa. Non era in cucina con te?"
"No! Credevo che fosse qua."
"E' strano, forse è in bagno..." Silvia si mise a chiamare Shup. Finalmente guardò verso di noi e si accorse di un bagliore rosso provenire dal microscopio. Si insospettì e venne a vedere. Noi agitammo le braccia e le facemmo segno di rispondere alla trasmittente.
"Pronto, spedizione chiama base, ci ricevete?" Zoolt riuscì a farsi sentire.
"Si vi ricevo, ma che cosa ci fate lì? E dov’è andato Shup?" Chiese Silvia stupefatta.
"Lascia perdere, è qua con noi, ti spieghiamo tutto quanto dopo. Piuttosto devi aiutarci ad uscire da qua," le dissi.
"Va bene, ma che cosa devo fare?"
Le spiegai il procedimento e corremmo tutti verso il bordo del coprioggetti.


RITORNO

Come d’accordo, guardando nel microscopio e facendo attenzione a non cadervi dentro anche lei, Silvia immerse l’estremità di un filo di cotone bianco da cucire nel meato d’acqua, in corrispondenza del nostro gruppetto. Una forte corrente ci risucchiò e finimmo tutti in mezzo alle fibre di una fune di 10 metri di diametro e lunga alcuni chilometri. Con un paio di pinzette, Silvia raccolse questo cavo e lo depositò delicatamente sul vetrino coprioggetti. Avendo il cotone assorbito l’acqua, ci ritrovammo praticamente asciutti. Aiutammo Reena a districarsi dalle fibre, quindi saltammo sul coprioggetti e corremmo sotto l’obiettivo.

"Ecco, ora ci prepariamo a tornare alla nostra dimensione", dissi rivolto al gruppo radunato. "Fate un salto verso l’obiettivo e vedrete che passerete dall’altra parte del microscopio." '...Almeno spero!', pensai.
Zoolt ed io prendemmo Blik e lo lanciammo in alto. Con grande sollievo vidi che il ragazzino veniva risucchiato dal tunnel ottico del microscopio miniaturizzatore. Con un salto, uno alla volta partirono anche gli altri e per ultimo saltai anch’io dall’altra parte, raggiungendo la dimensione normale.

Ci rallegrammo abbracciandoci per la buona riuscita del viaggio.
"Che stanchezza! Saremo stati via almeno otto ore", disse Reena.
"Siete stati via due ore", la corresse Shup guardando il suo orologio.
"Due ore? Com’è possibile?"
"Con la riduzione della dimensione, si ha una dilatazione temporale", spiegò Zoolt con un bagliore dentro alle ciglia.

Quando Cristina si accorse del robot cominciò a gridare.
"Stai calma, in fondo non è altro che un mucchio di barattoli di conserva", le dissi per calmarla.
"Meeerda che bello!", disse invece mia figlia incantata. Non per niente lei era appassionata di film di fantascienza e di orrore.
Il robot era bello nella struttura meccanica, ma di una bellezza tutta particolare. Era però nei movimenti dove il robot mostrava i suoi limiti. Vedendolo camminare e muoversi vicino a Lelki, il contrasto non poteva essere maggiore. La delicatezza, l'armonia, la ricchezza del repertorio dei movimenti della ragazza contrastavano con la rigidità e la povertà di quelli della macchina. Ogni movimento della ragazza era inconsapevolmente perfetto: arte allo stato puro. L'andatura meccanica e fisica del robot aveva invece qualcosa di grottesco. Avevo sempre sognato un robot, ma vedendolo realmente ne ero rimasto colpito. E dire che era simpatico, era un buon diavolo e mi faceva anche pena vedendolo in quella sua situazione. Eppure un senso di inquietudine mi assaliva vedendolo. Il pensiero che eserciti di robot potessero un giorno sostituirsi a noi umani, mi lasciava sgomento. Decisi che il progresso doveva essere nelle misure e proporzioni umane o non era progresso.

Eravamo stanchi ed affamati. Chiesi a Cristina se ci faceva da mangiare. Zoolt e Reena si offrirono di aiutarla. Mentre il gruppo si disperse, perché qualcuno andava in cucina, altri in bagno o a sistemarsi, cominciai a raccontare a mia figlia incredula come avevamo potuto fare quel viaggio e alcune cose di quelle che avevamo visto. Dopo una mezz'ora arrivarono anche Lelki e Tenny e lasciai Silvia in loro compagnia. Le ragazze si guardarono a vicenda con evidente interesse e cominciarono a farsi domande sui rispettivi vestiti, sui trucchi, ma anche su come vivevano, etc.

"E’ prrrontooo!", gridò mia moglie.
Prendemmo posto intorno alla tavola sistemata in giardino all’ombra di un albero e cominciammo a mangiare. Notai che Tenny, seduta di fianco a Splek, era incerta davanti al piatto. Blik invece era già alle prese con le tagliatelle e anche se non sapeva bene come si mangiano, riuscì a cavarsela con disinvoltura, usando forchetta, coltello, cucchiaio e qualche volta direttamente la bocca.
"Non conoscete le tagliatelle?", chiesi a Lelki che mi sedeva a fianco.
"No, non conosciamo più niente di questa cucina."
"Come mangiate?… me lo puoi dire?"
"E’ semplice: abbiamo delle grosse fabbriche che producono alcune sostanze alimentari di base. A questi materiali vengono aggiunte altre componenti per renderli più o meno densi, più o meno fibrosi, arricchirli di vitamine, cambiare loro colore, profumo e sapore. Ne vengono fuori cose che assomigliano a bistecche, a dolci, a tutto quello che vuoi. Questo è quello che avviene nelle società più progredite."
"Oddio!… ma sono buone da mangiare almeno?"
"Mica tanto! Ma è comodo perché ci risparmia molte fatiche in cucina. E soprattutto non si devono più uccidere tanti animali per cibarci."
"Ecco, questa è una conquista di civiltà. Ma ce la fate a mangiare sempre quella roba?"
"Beh, io qualche volta cerco di fare da mangiare da sola. Molti ingredienti si possono ancora trovare in commercio. E poi ci sono anche appassionati di agricoltura che vendono i loro prodotti."
"Non ti piacciono le comodità… future?"
"Si, ma… mi piace anche mangiare cibi più naturali, fare preparazioni partendo da ricette."
"Allora la cultura della cucina tradizionale si è persa?"
"Direi proprio di si, purtroppo."

Nella tavolata c’era allegria. Vollero fare un brindisi alla guida, cioè a me e poi uno alla cuoca, però bevevano vino e diventavano sempre più allegri. Splek ci fece una delle sue strane fotografie. Alla fine, Reena si alzò per fare un discorso a nome del gruppo. Disse che erano stati tutti molto contenti del viaggio, ma che se era possibile avrebbero voluto continuarlo. Però non più in una goccia d'acqua, ma questa volta nello stagno. Blik si mise a gridare di si, che voleva tornare fra i protisti.
'Che strano! Ero convinto che ne avessero avuto abbastanza', pensai.
"Per me va anche bene, tanto sono in vacanza e non so che cosa fare altrimenti", dissi. "E poi devo confessare che mi sono divertito tanto anch’io. In fondo questa è stata la prima volta che ho finalmente potuto condividere con qualcuno il mio interesse per il mondo dei protisti. Però…"
"Quando si riparte?", mi interruppe Blik.
"Aspetta un momento... Però, dicevo, andare nello stagno non è come visitare una goccia d'acqua messa fra i vetrini del microscopio. Nello stagno ci sono molti altri organismi, anche di grosse dimensioni. Insomma è pericoloso."
"Così ci divertiremo di più!", esclamò Splek entusiasta, ma le donne non erano altrettanto convinte.

Zoolt avanzò una proposta:
"Potremmo restare in una zona tranquilla nello stagno."
"Mi hai fatto venire un'idea!", dissi "Potremmo entrare in una capsula Petri e fare entrare al suo interno un po' d'acqua dello stagno. Lì dentro dovremmo essere abbastanza tranquilli."
La proposta fu accolta da un mormorio di assenso, anche se per Splek e Blik in realtà questo non era proprio quello che desideravano.
"Va bene, allora andiamo a visitare lo stagno!", dissi.
"Yahooo! Quando si riparte?", chiese ancora Blik.
"Adesso è tardi. Restiamo in compagnia per la serata. Ripartiremo domani mattina", dissi.
Blik protestò che voleva partire subito, comunque trovò interessanti i gatti con cui giocare. Tirò la coda a Joelle, una bella gatta nera e si beccò un graffio. Mélodie invece era riuscita a scappare e giocava con lui da dietro ad un cespuglio.

Quando finimmo di mangiare, gli ospiti si mostrarono interessati a vedere come vivevamo. Così, mentre alcuni andarono in cucina ad esaminare i mobili e gli elettrodomestici, altri restarono in sala da pranzo ad esaminare la TV, il videoregistratore, l’impianto HF, il computer, i microscopi ed altri strumenti di ottica. La mia moderna casa pareva diventata un museo polveroso. Il computer che a me sembrava lo strumento più progredito che possedevo, per loro invece era quello più antiquato. Splek tentò di ordinare al computer qualche cosa, e si mise a ridere quando si accorse che quell'apparecchio non capiva nulla.

"Davvero non c’è più la scuola?", chiesi a Lelki che era quella meglio disposta a rispondere alle mie domande.
"C’è ancora, eccome!"
"Che birbante quel Blik, mi aveva detto che non c’era più."
"E’ una scuola impegnativa. Sono occupati anche di pomeriggio. E’ per questo che qua si diverte tanto."
"Complessivamente com’è la vostra società? Vi trovate bene?"
"Uhm… è difficile da vivere. Abbiamo fatto grandi progressi tecnici. Per certi versi viviamo meglio di voi, ma molte cose non le abbiamo risolte. Mi chiedo se riusciremo mai risolverle. Altre cose ancora probabilmente vanno anche peggio che nel passato."
Stavo per fare altre domande, ma ebbi timore delle risposte. Mi accorsi che preferivo non sapere nulla. Mi limitai a domande più innocue.

"I tuoi compagni di viaggio sono tuoi amici?"
"Si, apparteniamo alla stessa comunità."
"Che cosa fanno i signori Gresz?"
"Lui è un ricercatore, un geofisico. Lavora nella climatologia. Lei è un’assistente sanitaria."
"Temevo che ci fosse qualche biologo qua in mezzo… sai, non è che conosco tanto bene i protisti. Non sono altro che un dilettante."
"E tu, non ti trovi bene nel tuo tempo?", mi chiese.
Mi accorsi quanto fosse generale ed impegnativa la stessa domanda che le avevo rivolto prima. Anch'io dovetti pensarci un po’.
"Siamo troppo occupati con il lavoro, poi alla sera ognuno si rintana in casa propria. Mancano i rapporti sociali, e non solo quelli fra uomini, capisci?"
"Qualcosa cambierà… in meglio. Non ti posso dire che cosa... Però restiamo sempre insoddisfatti."
"Dev’essere quello che ci frega!"

Verso sera, dopo che furono passate alcune ore di conversazioni e di visite nei dintorni, si andò a dormire. A quel punto mi venne in mente che non avevamo letti per tutti.
"Non ti preoccupare", disse Zoolt, "ci arrangiamo, vedrai!"
"Non vorrete mica dormire per terra?!", chiesi.
"Guarda!", mi fece. Premette il pulsante di uno strano aggeggio che posò a terra e si sdraiò in aria, sopra un letto invisibile, avvolto in una nebbiolina azzurra.
"...E' un sistema confinato di coordinate spaziali, una sorta di bolla gravitazionale".
Ormai non mi meravigliavo più di niente. "Va bene, va bene, ci vediamo domani mattina alle 9. Buona notte a tutti!", dissi.

Dopo essersi lavati e cambiati, eccoli tutti distribuiti in varie stanze, mentre galleggiavano in aria. Prima di addormentarmi pensai all’avventura di quel giorno. Cercai di immaginarmi il mondo da cui venivano quei turisti, ma non ci riuscii. Finalmente la stanchezza ebbe il sopravvento e mi addormentai.


VIAGGIO NELLO STAGNO

Presto, la mattina dopo, Blik saltò sul mio letto perchè voleva partire subito.
"Allora non ti sei annoiato con i protisti, vero?"
"Voglio tornare nei vetrini. Non voglio andare nello stagno. Mi fa schifo quell'acqua verde."
"Ma ne sei proprio sicuro? Lo stagno è peggio di una giungla", gli dissi in un orecchio.
"Dici davvero?"
"Pensa che una volta ho visto nello stagno uno stentor, un protista con una bocca talmente grande da essere più grande del suo stesso corpo."
"Ma non è possibile!"
"... lo stentor ha la forma di un imbuto e nuota con la bocca sempre spalancata. E' tanto famelico che a volte... mangia se stesso!"
"Che cosa stai dicendo???", disse Blik, incredulo, ma con gli occhi spalancati.
"...Ma hai ragione, lo stagno è un posto troppo pericoloso per un bambino piccolo come te."
"Allora ci vengo!"
"No, sei troppo piccolo, ti lasciamo a casa!"
"Mammaaaaa!" Blik stava per piangere.
"Ma dai, non vedi che scherzavo? Ti prendiamo con noi."

Quando avemmo finito la colazione, ci preparammo per il secondo viaggio. Anche in questo caso, prima di partire mi misi d'accordo con l'accompagnatore sui metodi operativi per la partenza e soprattutto per il nostro ritorno.
"Mi raccomando, Shup! Questa volta stai sempre in ascolto, stai sempre pronto ad aiutarci."
"Certamente, non ti preoccupare! Dove vuoi che vada?"
Ora il gruppo era al completo e pronto ad iniziare la seconda parte del viaggio fra i protisti, ma questa volta nello stagno. Si erano messi in fila per la miniaturizzazione. Davanti a tutti Splek e Blik si litigavano il primo posto dopo di me, per ultimo sarebbe partito Zoolt.

Come per la prima volta, partii per primo. Mi sporsi sugli oculari e dopo qualche istante angosciante caddi nella capsula Petri che avevo messo sotto l’obiettivo. La capsula Petri è un recipiente di vetro molto basso. Ha il diametro di circa 8 cm e il bordo alto 1 cm e la usavamo senza coperchio. Dopo avere toccato il fondo della capsula, mi misi a radunare gli altri viaggiatori a mano a mano che arrivavano. Dopo di me, arrivò Blik, poi Splek, quindi uno alla volta arrivarono tutti gli altri. La caduta non ci procurò danni anche perché nel recipiente c’erano alcuni metri d’acqua.

"Adesso che ci siamo tutti, teniamoci per mano perché Shup ci porterà nello stagno e, quando l’acqua entrerà nella capsula, ci saranno dei vortici che potrebbero facilmente allontanarci l'uno dall'altro e disperderci."
Come convenuto, l'accompagnatore portò la capsula allo stagno e la immerse delicatamente vicino alla riva, nei pressi di un ammasso di alghe di colore verdastro e piene di bolle d'aria che, soprattutto per i profani di microscopia, avevano un aspetto piuttosto sgradevole per non dire decisamente rivoltante. L’acqua entrò lentamente nel recipiente, trascinando con sè un po’ di alghe filamentose. Shup lasciò lì la capsula perché avremmo esplorato quello spazio protetto e comunque quello sarebbe stato anche il luogo di raccolta per il ritorno. Per un po’ venimmo trascinati da un'impetuosa corrente d’acqua tiepida, ma riuscimmo a rimanere uniti tenendoci per mano, come in un girotondo. Quando la corrente si esaurì, ci trovammo di nuovo avvolti da centinaia di magnifici microrganismi che nuotavano in tutte le direzioni. Il sole creava meravigliosi riflessi sulla loro membrana e spesso anche sul lato opposto.

"Eccoci sotto il pelo dell'acqua di questo pianeta sconosciuto: lo stagno del giardino." Stagno è un termine esagerato, in realtà era una misera pozza di un paio di metri quadri di superficie, ma adesso che eravamo alti pochi micron, per noi era grande quanto un oceano.
Tenny chiese: "Come mai sento questo strano formicolio? Più che un formicolio è come se mi dessero continuamente tanti piccoli colpi. Anche quando eravamo fra i vetrini lo sentivo."
"E’ il moto Browniano", rispose Zoolt, "quanto più aumenta la temperatura, tanto più le molecole si muovono rapidamente e sbattono fra di loro e contro altri oggetti. Al microscopio si vedono spesso piccoli oggetti muoversi caoticamente anche senza essere animati. Questo avviene per via del moto Browniano."

Un grido. Mi sentii Lelki aggrappata con braccia e gambe.
'Cominciamo bene!', pensai.
Cercai di staccarmela, ma non ci riuscii. Mentre lottavamo, vidi alcuni enormi tentacoli verdi sfiorarci. Girai meglio il capo.
"E’ un’idra, attenti è pericolosa! Scappiamo!" L’idra era un polipetto lungo alcuni millimetri, ma a noi appariva un mostro di centinaia di metri.
"Correte tutti qua!", gridai. "Rifugiamoci in mezzo a questa foresta di spirogire."


SPIROGIRA

La foresta di alghe era un posto tranquillo, i tentacoli dell'idra non potevano più raggiungerci e non correvamo più nessun pericolo, così potei riprendere la descrizione di quello che vedevamo.
"Anche se forma ammassi verdastri che possono apparire piuttosto disgustosi alla gente comune, la Spirogira è invece una graziosa alga filamentosa. Sebbene ora ci appare come un tubo del diametro di circa mezzo metro, in realtà è molto sottile: circa un quinto del diametro di un capello. Essa è divisa in settori e il suo aspetto è dunque quello di una canna. Ad ogni settore corrisponde una cellula, tuttavia quest’alga è da considerarsi unicellulare perché le sue cellule non sono differenziate e non sono organizzate a formare un superorganismo. Ogni settore, o meglio cellula, di quest’alga, ha uno o più cloroplasti. Essi sono di forma elicoidale e sono aderenti alla parete interna della cellula. Il nucleo si trova circa al centro della cellula, ma è difficile scorgerlo perché è molto trasparente. Quando è in riproduzione sessuata, due filamenti di spirogira si affiancano, le cellule appaiate stabiliscono un collegamento fra loro, tanto che i due filamenti assumono l’aspetto di una scala a pioli, e le cellule di un filamento trasferiscono il materiale nucleare a quelle dell’altro."

"C'è anche la riproduzione asessuata?", chiese Splek, tanto per fare una battuta.
"Certamente che c'è. Fra i protisti è il tipo di riproduzione più frequente. Per esempio la scissione è una delle forme di riproduzione asessuata, durante la quale la cellula di un protista duplica i suoi principali organi interni, nucleo compreso. Confina ogni copia in due lati opposti della cellula la quale si divide in due cellule figlie, sostanzialmente identiche a quella di partenza."
"Che differenza c'è con la riproduzione sessuata?", chiese ancora Splek.
"Nella riproduzione sessuata, i geni provengono da due cellule diverse, ma appartenenti alla stessa specie. Quindi nelle cellule figlie, si hanno geni provenienti da entrambi i genitori. Invece nella riproduzione asessuata i geni provengono da un unico genitore. Quindi, mentre nella riproduzione sessuata nelle cellule figlie si hanno nuove combinazioni di geni, in quella asessuata si ha sempre la stessa combinazione." Splek non disse nulla, ma forse stava cercando di ricordarsi che cosa stava facendo a scuola durante le lezioni di biologia.

Mentre ci riparavamo dietro alle spirogire, alcuni di noi accarezzavano le lucide pareti di queste enormi canne trasparenti e ne osservavano l’interno, ammirandone la struttura e gli organelli.

Vidi Julius accanto a me. Ne approfittai per parlare un po' con lui.
"Caro cuore d'acciaio, come stai? Ho notato che lo sportellino che hai dietro la schiena suscita interesse!"
"Signore, vorrei tanto che lo lasciassero stare!"
La voce del robot mi colpì. A parte il timbro ancora un po' metallico, non era più senza inflessioni come prima, non era più un'impersonale voce di sintesi, ma tutti gli accenti e le inflessioni erano normali, lasciava addirittura trasparire delle emozioni!
"Chiudilo a chiave!", gli dissi.
"Non posso, non ci arrivo e poi non lo potrei fare: è un diritto degli umani quello di regolarmi."
"In un certo senso ti invidio. Sapessi come vorrei averlo anch'io un pannello di controllo come il tuo! Così, quando ho il morale a terra, mi basterebbe girare una manopolina ed eccomi tornato ottimista e felice."
"Lei non sa che disperazione è invece per me questa faccenda."
"Perchè mai?", chiesi sorpreso.
"Non hanno nessun riguardo per me, mi trattano come un mucchio di ferraglia. E poi che senso hanno le mie emozioni se sono legate a delle manopole? Che senso hanno i miei sentimenti e i miei tentativi di adattarmi a loro se il primo che viene mi scombussola tutto?"
Rimasi meravigliato di fronte a queste obiezioni. Quel robot aveva proprio una piena coscienza di sè e soffriva davvero della propria condizione. Mentre il robot continuava a parlare, cominciai a sentirmi a disagio di fronte a suo modo pacato, ma lucido e profondo di parlare.
'Forse quello che diceva Zoolt è proprio vero', pensai. 'E' chiaro che se il robot avesse un QI un po' più basso, molti di questi problemi non lo turberebbero più.'
"Coraggio, Julius! E' la vita! E poi non credere che noi umani stiamo tanto meglio di te."
"Almeno voi avete un senso. Anche le vostre emozioni hanno un senso. Avete milioni di anni di evoluzione e di vita sociale alle vostre spalle. Noi robot non siamo altro che un gioco di potenziali elettrici definiti sommariamente da una fabbrica!"
Non sapevo più che cosa dire. Con una scusa mi congedai da Julius e dopo un po' raggiunsi Zoolt.

"Guarda Zoolt, che quel robot è un po' strano. Non è che mi metta in imbarazzo, tutt'altro, ma fa di quei discorsi! E' così depresso! ...Non sarebbe il caso di dargli un'aggiustatina dentro lo sportellino?"
"Vuoi dire che ritoccando un po' il suo QI, potrebbe stare meglio?"
"Beh, effettivamente un piccolo ritocco non gli farebbe male ...lo dico per il suo bene!"
Zoolt non potè evitare un sorriso che gli andava da un orecchio all'altro.
"Hai visto?", mi disse. "C'è un limite naturale anche all'intelligenza!"
"Adesso comincio a capire certe cose..."
"Già! Anche se non siamo sempre delle cime, forse siamo fatti meglio di quanto pensiamo."


IDRA

Le pareti delle spirogire erano trasparenti, così potevamo vedere chiaramente l'idra al di là delle alghe che si contorceva. Un paio di tentacoli sfiorarono le spirogire dietro alle quali ci eravamo rifugiati.
"L’Idra che vedete lì fuori, è un microscopico polipetto…", disse Blik scimiottandomi.
"Mica tanto microscopico, è gigantesco!", disse Lelki.
"Per noi non è certo piccolo!", aggiunse Reena.
"E’ orribile!", sussurrò Tenny ad occhi stretti.
"Purtroppo è anche pericoloso perché nei suoi tentacoli ci sono cellule capaci di sparare a distanza degli aghi silicei che iniettano una sostanza paralizzante e narcotizzante nel corpo della vittima. In questo modo l’idra cattura piccole prede e le ingoia. Il corpo delle idre ha una struttura a sacco, quindi i resti di ciò che mangia vengono espulsi dalla bocca."

"Sembra che porti con sè un bambino", osservò Tenny.
"Brava! In effetti quella più piccola è un'idra figlia, nata per gemmazione."
"Riproduzione asessuata", disse Splek.
"Proprio così! Normalmente le idre si fissano sul fondo per mezzo di un piede, ma sono anche in grado di camminare con movimenti a compasso o facendo capriole. Il diametro del corpo di questa idra che per noi è di 5 metri, in realtà è di 0,2 millimetri", dissi.
"Acc… fece Blik, e come mai che è tutta verde?"
"Buona osservazione! In ogni caso non tutte le idre sono verdi. Questa specie lo è perché fra i suoi tessuti vivono in simbiosi delle alghe unicellulari. Sembra che ogni tanto questa specie di idra si nutra direttamente di queste alghe, digerendone qualcuna."
"Però l’idra non è unicellulare, vero?", chiese Reena.
"Effettivamente no. L’idra è uno di quegli organismi pluricellulari di dimensioni microscopiche che vivono in questo mondo in miniatura." Ero contento del gruppo. Stavano tutti attenti a quello che vedevano e a quello che dicevo loro. Splek aveva perfino messo via gli occhiali. Blik sembrava sempre distratto a giocare, ma in realtà ascoltava e con la coda dell'occhio ci guardava. Fortunatamente l’idra non si era fissata al fondo, così si allontanava, anche se lentamente.


TRICHODINE

"Che cosa sono quelle strane ventose che si muovono sull’idra?", chiese Reena che in quel momento mi era vicina.
"Sono Trichodine, dei ciliati a forma di ventosa che vivono sul corpo di piccoli animali acquatici. Si spostano sulla loro epidermide, e a volte sembra che litighino fra di loro, forse per motivi di spazio."
"Siii, guarda come si corrono dietro!", esclamò Blik eccitato. "Una si è anche staccata, adesso nuota nell’acqua e torna a posarsi sull’idra, anzi sopra un'altra ventosa, che forti che sono!"
Intanto il corpo dell’idra era sfilato tutto davanti a noi. La vedevamo muovere lentamente i tentacoli mentre si allontanava. Ogni tanto si contraeva, per poi tornare a distendersi lentamente.

Il robot mi affascinava e, tutte le volte che potevo, cercavo di parlargli.
"Dimmi Julius, come passi la tua giornata normalmente?"
"Alla mattina porto i bambini a scuola, Signore. Poi riordino la casa e preparo da mangiare. Al pomeriggio istruisco alcuni robot..."
"Istruisci dei robot? Ma che bisogno hanno dei robot di essere istruiti?"
"Si tratta di robot di recente fabbricazione. Devono essere istruiti."
"Ma guarda! Sono i tuoi bambini?"
"In un certo senso, si. Hanno ancora il nome provvisorio, si chiamano X2 e X4."
"Ma i robot non escono dalla fabbrica programmati?"
"No, gli automi sono programmati. I robot invece devono essere educati come i bambini e poi addestrati per i lavori che devono fare."
"Quindi hai una tua famiglia. Sta a vedere che hai anche una moglie!", dissi scherzando.
"Vivo nella comunità. Ho una compagna umana... è qui nel gruppo."
Per poco non caddi per terra dalla sorpresa.
"Ehm... Basta così, Julius, grazie!", lo interruppe Zoolt. "Scusami Giorgio, ma lui non sa ancora che ci sono delle informazioni che non ti possiamo dare. Se permetti, lo istruisco e poi potrete continuare la conversazione."
Non sapevo più che cosa fare e che cosa pensare, tanto ero confuso.
'Chi sarà poi la sua compagna? Come può una donna mettersi con un robot? E poi un robot di che sesso è?' Mi scoppiava la testa, così decisi di non pensarci più per un po'.

"Ecco, l’idra se n'è andata, possiamo uscire!", dissi.


FILLIPODE

Un grido lacerante lanciato a pochi centimetri dalle mie povere orecchie mi produsse un mezzo infarto. Una specie di battello fluviale a pale, ma dotato di antenne che battevano l’acqua a scatti come remi, ci passò sulle teste producendo una forte vibrazione.
"E’ un Fillipode", dissi, "comunemente chiamato pulce d’acqua o Dafnia." Mi dibattei con Lelki per liberare almeno un braccio e per indicare la dafnia. "E’ un piccolo crostaceo d’acqua. E' grosso alcuni decimi di millimetro, ma per noi misura almeno 20 metri. Il suo corpo è racchiuso fra due corazze emisferiche da cui escono solo le zampe. Guardate la trama esagonale di cui sono coperte le corazze: ogni poligono di questa trama corrisponde ad una cellula. Questo crostaceo usa le antenne per nuotare e le zampe come organo filtrante per catturare particelle alimentari."
Il crostaceo se ne andò rapidamente nuotando sott'acqua com'era venuto e riuscii a liberarmi dalla presa di Lelki.

Per quanto cercassi di non pensarci, non riuscivo ad evitare di farlo. Le parole del robot mi frullavano in testa senza posa:
'è qui con noi... la sua compagna è qui con noi! E chi sarà?' Tenny era da escludere perchè troppo giovane ed evidentemente interessata a Splek. Reena era sposata con Zoolt. Non restava che... Lelki!!! Nooo, non era possibile! Dov'era adesso quella ragazza? Mi era stata attaccata fino a un attimo fa...

Mentre cercavo Lelki, ero furioso. Gelosia? Impossibile! Non avevo nessun diritto di essere geloso, ma se non era gelosia, dovevo confessare che era sicuramente qualcosa che le somigliava molto. Ma non potevo essere geloso di lei: ero sposato e poi non mi potevo innamorare di quella ragazza: fra un po' se ne sarebbe andata via e ne avrei sofferto inutilmente. Trovai Lelki e la presi in disparte. Avevo un diavolo per capello, dovevo calmarmi. Non sapevo da che parte cominciare e lei mi guardava aspettando di sapere che cosa avevo da dirle. Le feci un sorriso per prendere tempo, ma continuavo a non trovare il modo giusto per cominciare.

"Sembra che quel robot abbia una famiglia", dissi finalmente.
"Già, istruisce dei giovani robot", rispose.
"Non solo..."
"Non solo, cosa?"
"Mi ha detto che ha anche una compagna..." Lelki cominciava a sentirsi a disagio.
"Che cosa vuoi dire?"
"A quanto pare sei la compagna di un robot."
"Non mi sono messa con nessun robot. E' il mio robot domestico."
"Non è vero, è il robot della comunità."
"E allora, che cosa cambia? E poi nella comunità ci sono tanti robot."
"Perchè ti metti con un robot e non con un essere umano?"
"I robot non sono come credi tu. Sono molto migliori di tanti uomini."
"Hai avuto un'esperienza negativa?"
"Una?"
"Ce le hanno tutti le esperienze negative... che cosa credi?"
"... Non mi sono veramente messa con quel robot, sto solo aspettando di trovare l'uomo giusto."

Passò qualche lunghissimo istante.
"Scusami, Lelki. E' che quando ho saputo che ti eri messa con quel robot, non ci ho più visto. Capisco benissimo che non ho nessun diritto su di te, ma non so che cosa mi è successo. Non so neanche se è stato un attacco di gelosia. Ero prontissimo a sapere che avevi un uomo, anzi me l'aspettavo proprio e ne sarei anche stato contento, ma non ero pronto a sapere che si tratta di un robot. Sapere che perfino un robot riesce a battermi in questo genere di cose, mi ha fatto perdere il lume della ragione."
"Ah, ma allora ce l'avevi con il robot, non con me!"
"No, il robot non ne ha colpa ...e neanche tu ne hai. Perdonami. Non dovevo trattarti così. E' che non capisco più niente."
In effetti avevo una notevole confusione in testa. Non riuscivo a capire se ce l'avevo con il robot o con la ragazza o con le donne in generale o piuttosto con me stesso perchè non ero mai riuscito a capirle o se ce l'avevo con il Fato o con il mondo intero. Sicuramente in quel momento ce l'avevo con tutto e con tutti.
"Una volta che trovo uno che mi va bene...", disse lei sorridendomi, forse per tranquillizzarmi. Ma io mi chiesi se non le andassi bene proprio perchè questa relazione era impossibile.
"Lo sai bene che non possiamo... Forse in una prossima vita...", dissi guardandola, ma la mia espressione doveva essere davvero molto depressa perchè mi accorsi che Lelki mi guardava con compassione.


LARVA DI ZANZARA

Un intenso vorticare dell’acqua ci avvertì di un nuovo arrivo. Questa volta Lelki mi afferrò per la testa.
"Lasciami, non capisci che non vedo più niente? Mollami, accidenti!." Mi resi conto che stavamo roteando in un vortice. Anche gli altri gridavano, ma non riuscivo a fare nulla. Annaspando alla cieca, trovai un appiglio e mi ci aggrappai con tutte le forze. Sentivo l'acqua turbinare violentemente intorno a me. Improvvisamente l'appiglio si ruppe e finimmo in mezzo a delle setole che sbattevano e che ci ingoiavano. Azionai alla cieca il bastone ad elettroscarica. Mi accorsi che le setole in qualche modo ci avevano sputati. Il turbinio si allontanò e poco dopo, ci adagiammo sul fondo. Lelki lasciò la presa e finalmente potei guardarmi intorno.

"Cos’è stato?", chiesi a Splek che aveva di nuovo gli occhiali e masticava una gomma.
"E che ne so?"
"Figuriamoci quello che hai visto tu dietro a quegli occhiali!"
"Vorremmo saperlo anche noi che cos’era", disse Reena.
"Ci siamo tutti?", chiesi con apprensione.
Dopo una breve verifica, il gruppo apparve al completo.

"Era come un grosso testone rivolto verso il basso, con due ventagli che si agitavano facendo turbinare l’acqua tutt’intorno", disse Zoolt. "Aveva un corpo affusolato cosparso di ciuffi di peli, e in fondo una specie di tubo che sfociava alla superficie dell’acqua… come un antico tram, più o meno."
"Ah, doveva essere una zanzara, la larva di una zanzara, di una Culex in particolare", dissi. "Poteva risucchiare qualcuno di noi, siamo stati fortunati!… Forse dovremmo andarcene di qui. Anzi, andiamocene proprio!"
"Noooo!" "Noooo!" "Noooo!" "Noooo!" "Noooo!" "Noooo!", un coro di no mi sorprese. Pensavo che invece avrebbero accettato.


ANABAENA

"Beh, se proprio non volete tornare alla base, continuiamo pure l’esplorazione, ma per adesso riposiamoci un po’", dissi sedendomi sul filamento di un’alga sconosciuta che sembrava una collana di perle. Anche gli altri ne approfittarono.
"Sedetevi! Ci sono altre alghe come questa qua in giro."

Dopo un po’ ci trovammo spostati l’uno dall’altro. Ci accorgemmo che le alghe su cui ci eravamo seduti avevano l’inconveniente di scivolare lentamente, così ogni tanto dovevamo cambiare posto per restare vicini. Erano delle Anabaena, delle alghe azzurre, praticamente dei batteri dotati di capacità fotosintetica. Erano come delle collane di cellule di forma sferoidale. Ogni cellula era legata ad un’altra a formare un piccolo treno che avanzava lentamente. Numerose sono le specie di alghe azzurre filamentose.


RIPOSO

"A proposito, dov’è Lelki?" Volevo sgridarla perchè mi aveva impedito di vedere la zanzara, aggravando la situazione di pericolo. 'Se trovo Lelki me la mangio viva!' Pensavo, ma lei si nascondeva in mezzo agli altri. Stavo per cominciare a sgridarla, che mi precedette dicendo:
"Il fatto è che ho paura… Non so perché, ma tutte quelle bestie… cercherò di dominarmi, magari prenderò un calmante."
"Ma con tutte quelle medicine che avete voialtri del futuro, come fai ad avere ancora paura?"
"E’ che non mi piacciono le medicine. Non prendo pastiglie se non sono costretta. Se prendi una pastiglia non affronti più i tuoi problemi… Preferisco stare male, ma essere me stessa."
"Sei davvero coraggiosa! Credevo che ormai non aveste più problemi come questi."
"Magari!… ma se vuoi prendo un calmante."
"Ma quale calmante!", feci io. "Se hai paura stammi vicina, ma non mi impedire di muovermi e soprattutto non mi accecare."
"Ci proverò!"
"Brava!… Ma cosa ne dici? Non ne hai abbastanza di tutti questi pericoli? Ce ne andiamo di qua?"
"Se ci sei tu, non ho paura."

"Se avete fame, possiamo mangiare un cloroplasto di spirogira, altrimenti il suo pirenoide, a meno che non preferiate il citoplasma di un’ameba", dissi.
"Bleah!", "No grazie!", "Non abbiamo fame!", risposero Tenny, Lelki e Reena insieme.
Zoolt invece, si avvicinò ad una spirogira, con il coltello ne aprì una cellula e ne tirò fuori una massa verdastra che distribuì ai volontari.
"E’ buona e dolce!" Splek ne fu entusiasta. Anche a Blik il cloroplasto piacque, così Tenny ne assaggiò un po’ e poi cominciò a mangiarne.
"Certo non ha il sapore della carne", dissi. "Piuttosto sa di torta di carote."
"Vuoi dire che mangiate ancora la carne?", chiese Tenny inorridita.
"Beh, si… che cosa c’è di strano?"
"Ma che schifo! Siete proprio dei selvaggi, dei cannibali!", e andò a vomitare dietro a un... granello di sabbia. Splek le corse dietro in aiuto.
"Che cosa le ha preso?", chiesi a Lelki.
"Non mangiamo più carne", rispose.

"E quando torneremo grandi, che cosa succederà a quello che abbiamo mangiato?", chiese Blik.
"Boh! Non lo so", risposi. "Ma almeno ti piace stare qui?… Che cosa ne dici dei protisti?"
"Una gran figata, tu grande capo!", rispose Blik correndo incontro ad un'ameba per darle da mangiare un pezzo di cloroplasto. Le amebe che incontravamo non erano come quelle che si vedono al microscopio, che appaiono piatte, ma erano in tre dimensioni e spesso avevano pseudopodi protesi verso l'alto. Quella che aveva trovato Blik era molto più alta di lui ed era abbastanza ramificata in pseudpodi protesi verso l'alto.

"Zoolt, dobbiamo provare il collegamento con la base", dissi.
"Si, certo!", rispose scaricando a terra il ricetrasmettitore. Gli altri componenti del gruppo ne approfittarono per sedersi nuovamente per terra.
"Pronto Shup, pronto, mi ricevi?"
"Pronto Shup, pronto, mi ricevi?"
"Uno, due, tre, quatto, pronto, pronto…... niente!"
"Cosa fa quel rimbambito?", chiesi a Zoolt che si strinse nelle spalle. Vidi Lelki cambiare espressione.
"Tu non ti agitare, vedrai che risponderà!"
"Continua a chiamarlo!", dissi a Zoolt. "Forza voialtri, si riparte!"

Camminavamo sul fondo della capsula che era in leggera pendenza. Ad un certo punto, ci accorgemmo di avere raggiunto il bordo. Così proposi di ritornare alla base. La mia proposta non trovò nessuna adesione.
"Io non voglio tornare a casa. Mi piace stare qua!", disse Blik a sua madre. Anche gli altri dissero che volevano continuare l'esplorazione.
"Ma siamo arrivati al bordo della capsula. Che cosa facciamo adesso? Torniamo indietro?", chiesi.
"Siamo partiti da poco tempo, perchè non ce ne andiamo un po' di là?", propose Splek.
"Potrebbe essere pericoloso", obiettai. "E tu che cosa ne dici?", chiesi a Zoolt.
"Beh, se ce la vedremo brutta, potremo sempre tornare di qua", rispose.
Così decidemmo di oltrepassare il bordo della capsula e di avventurarci un po’ nello stagno. Nel gruppetto si riaccese l'entusiasmo. Guardai attraverso il vetro della capsula per assicurarmi che non ci fossero pericoli immediati. In quel punto il bordo della capsula era sotto il pelo dell’acqua. Superato il bordo, ci dirigemmo nuotando verso il fondo, che dall'alto appariva in parte libero e in parte ricoperto da alghe filamentose.

Il fondo dello stagno era davvero sorprendente! Quando camminavamo fra i vetrini del microscopio e anche nella capsula Petri, il fondo era liscio e quasi completamente sgombro, il fondo dello stagno era invece brulicante di vita. Sembrava uno sconfinato mercato all'aperto di un pianeta alieno. Una folla di microrganismi di innumerevoli specie si muoveva ovunque. Fra di essi, numerosissime erano le diatomee che scivolavano in tutte le direzioni. Ciliati di tante specie strisciavano sul fondo o nuotavano a tutte le quote. Numerose erano anche le alghe flagellate. Spesso incontravamo delle amebe e dovevamo fare attenzione a scansarle. Tutti questi microrganismi mobili si aprivano un varco fra innumerevoli alghe immobili, detriti organici e gusci vuoti di diatomee. Per le loro dimensioni e per il loro modo di muoversi i rotiferi parevano leoni marini ed emergevano sopra tutti gli altri microrganismi. Le oxytriche attraversavano la folla correndo veloci come automobili sportive, scagliando intorno tutto quello che incontravano.


LIONOTUS

Poco dopo avere iniziato il cammino sul fondo dello stagno, incontrammo un ammasso fitto di detriti, dentro il quale, a giudicare dai movimenti del materiale, ci doveva essere qualcosa di grosso. Stavamo cercando la causa di questi movimenti quando vedemmo sporgere da sotto ai detriti una lunga proboscide pelosa che strisciò lungo le gambe di qualcuno di noi.
"Aaaaah!" Lelki era scappata indietro. Anche gli altri fecero qualche passo indietro.
"Niente paura, è un Lionotus, basta stargli lontano che non vi farà niente. E’ un ciliato di dimensioni notevoli." Era dotato di due proboscidi, se così si può dire, una davanti ed una di dietro, che esploravano incessantemente l’ambiente circostante alla ricerca di batteri e di detriti organici.
"Ha una forma che ricorda vagamente un cigno... con due colli", dissi.


L’ASCENSORE

Poco distante da noi, una bolla d’aria trascinava in alto un grosso ammasso di detriti.
"Guardate quella bolla! Sta funzionando da ascensore. Trasporta quel materiale fin sotto al pelo dell’acqua. La superficie dell’acqua è un luogo importante perché raccoglie gli oggetti che salgono dal fondo in quanto sono più leggeri dell’acqua, ma dall’altro lato riceve anche quelli più pesanti dell’aria. Approfittiamone per salire di quota e per vedere che cosa succede a quel livello!"
Qualcuno cominciò ad arrampicarsi sulle spirogire.

"Aspettate!", dissi, "Sfruttiamo anche noi quel tipo di ascensori. Vedete quell'altra bolla impigliata in quelle alghe azzurre laggiù? Se tagliamo i filamenti che ancorano quel materiale al fondo, lei trascinerà tutto in alto. Saliamo dunque anche noi su quell'ascensore!"
"Buona idea!", disse Reena contenta, "Così ci riposiamo un po'!"

Ci dirigemmo verso l’ascensore, vi montammo sopra e ci aggrappammo alle alghe. Zoolt recise l'ultimo filamento che ancorava l’ascensore al fondo e partimmo verso l'alto. Blik si arrampicò sulla bolla d’aria e cominciò a saltarci sopra facendola risuonare. Intanto salivamo rapidamente. Mentre aspettavamo di raggiungere la superficie, spiegai che queste bolle sono normalmente prodotte dalle stesse alghe. Si tratta di bolle ricche di ossigeno, prodotto di scarto della fotosintesi clorofilliana. Osservando lo stagno, spesso scorgevo ascensori come questi. A volte capitava che, arrivate alla superficie, una o più bolle scoppiavano e l'ascensore ricadeva. Ma le alghe continuavano a produrre bolle, così che dopo un'oretta l'ascensore ripartiva e via di seguito. Guardammo il pelo dell’acqua avvicinarsi e la luce farsi più intensa. Toccata la superficie dell’acqua, l’ascensore ondeggiò qualche volta per poi stabilizzarsi.


LUMACHINA D'ACQUA

"Oooooohhhhh!"
"Che cosa succede?"
Stava passando una lumachina d’acqua. Niente di speciale, direte voi, ma per noi era grande un paio di centinaia di metri, anche se in realtà misurava meno di un centimetro. Tuttavia, quello che meravigliava di più non erano le sue dimensioni, ma il fatto che scivolava appoggiata alla superficie dell’acqua, ma da sotto. Non so se si è capito bene. La lumachina stava strisciando capovolta sotto il pelo dell’acqua al quale aderiva. Guardammo incantati questa lumachina scivolare lentamente. Che si potesse scivolare sotto il pelo dell'acqua e perfino riuscire ad avanzare, come se quella superficie fosse solida, era qualcosa che lasciava tutti a bocca aperta.

"E’ una lumachina d'acqua, una Physa", dissi. "Normalmente questi molluschi strisciano sulle pareti e sul fondo degli stagni, sassi, piante acquatiche, foglie cadute in acqua, alla ricerca di alghe microscopiche e detriti di cui si cibano. Per questo animale, la superficie dell'acqua è interessante perchè è un luogo in cui si raccoglie molto cibo."


ESPLOSIONE

"Fermo, non fare così!" Quella peste di Blik stava trafiggendo la bolla con il suo bastone a elettroscarica. Paffffff! Un’esplosione seguita da una violenta onda d’urto e da forti vibrazioni mandò tutti a gambe all’aria. Era scoppiata la bolla d’aria del nostro ascensore, riversando tutto il suo gas nell’atmosfera. In realtà, la bolla non esplose, semplicemente si congiunse con l'atmosfera, ma l'elevato valore delle forze tendenti ad espellere il gas dalla bolla produsse l'effetto di una vera e propria esplosione per chi come noi aveva le dimensioni di un microrganismo e si trovava nelle sue vicinanze. Nella rapidissima chiusura della bolla, alcune gocce d’acqua vennero proiettate verso l’alto, e in una di queste c’era Blik, che roteava felice come se fosse sul migliore dei Luna Park. Quando la sfera che conteneva il ragazzo cadde sull’acqua, per un po’ rimase a ruotare rapidamente sulla superficie come una trottola, poi si fuse con essa. Blik stava ora cadendo sul fondo, ma anche il nostro ascensore aveva cominciato a scendere. Eravamo tutti l’uno sull’altro e Lelki aveva gli occhi sbarrati, dei begli occhi tra il grigio e il verde.

Appena avemmo raggiunto il fondo, senza dire una parola, io e Zoolt prendemmo Blik e con sottili filamenti lo legammo come un salame. Zoolt lo agganciò alla trasmittente che teneva in spalla, sordo ad ogni protesta e grido del ragazzo.

Crack! Ci fu un rumore secco. Tenny si allontanava furiosa da Splek che si stava chinando a raccogliere i suoi meravigliosi occhiali a pezzi.
"Ma sei tutta scema? Con quello che li avevo pagati!", disse.
"Che cosa succede?", chiese Reena a sua figlia.
"E’ un cretino!!!", rispose furiosa. "Sta sempre dietro a quel cavolo di occhiali!"
"Ma non fa niente di male", disse Reena. Ma Tenny alzò le spalle e se ne andò.
'Se non altro, anche nel futuro il mondo continua a girare, e probabilmente gira ancora come adesso', pensai.


OVATURA DI LUMACHINA

Per mantenerci un po' di più al sicuro, ci inoltrammo verso una foglia che toccava il fondo di taglio. Era talmente grande che si perdeva a distanza. Passando dietro alla foglia, un altro "Oooooohhhhh!" risuonò dal gruppo. Lo spettacolo che si presentava era veramente eccezionale: sulla la foglia aderiva un ammasso gelatinoso e trasparente. Al suo interno c’erano decine di embrioni di lumachina d’acqua. Ciascuno di essi si trovava all’interno di uno spazio ovoidale fluido, nel quale il giovane gasteropode si muoveva lentamente. Sebbene la zona fluida ovoidale ci apparisse piuttosto grande, in realtà essa era lunga circa 0,8 mm ed era racchiusa fra due membrane. L’embrione di lumachina, di cui si vedevano le macchie scure degli occhi, era già provvisto di guscio, ma questo era ancora trasparente e ci permetteva di vedere chiaramente il cuore pulsare mentre l'animale scivolava senza posa lungo le pareti dell'ovoide.

"Sono dolcissimi!", disse Lelki rivolta a Reena che annuì incantata.
"Posso prenderne uno?", chiese Blik.
"Non puoi, sei legato."
"Posso farlo io!", disse Splek arrampicandosi sull'ovatura.
"Certamente!", risposi, ben immaginando quello che sarebbe successo. Infatti il ragazzo cominciò a tagliare l’ammasso gelatinoso con un coltello, ma presto si trovò talmente immerso e invischiato nella mucillaggine che non riusciva più né ad avanzare né ad indietreggiare. Dovemmo aiutarlo a tornare fuori tirandolo a fatica in due.
"Devi sapere che quella gelatina serve proprio a difendere gli embrioni dai predatori e… dagli scocciatori come te", dissi.
Per un po' Splek rimase a guardare l'ovatura, tutto imbronciato.


LARVA DI LIBELLULA

Mentre stavamo osservando l’ovatura e Splek faceva una ripresa esadì, vedemmo un’ombra avvicinarsi. Prima era appena percettibile, poi più oscura, sempre più grande. Ci guardammo in faccia. "Attaccatevi forteee!"

Una bestia mai vista, enorme, un mostro di inaudita bruttezza si avvicinava. Per noi era lungo almeno 500 metri (2 cm circa). Pieno di spine enormi, peli grossi come pali del telefono. Sporco di detriti che cadevano da tutte le parti, stava emergendo dal fango dove usava nascondersi. Sei zampe terminanti in grossi uncini doppi, due occhi composti che sembravano un mosaico di piastrelle esagonali trasparenti, un muso con mascelle dentellate, due corte antenne. Enormi vermi cercavano cibo sul suo corpo fangoso che ospitava anche colonie di vorticelle e che si trascinava dietro alghe filamentose.

"E’ una giovane larva di libellula. State bene stretti al fondo. Lei non ci vede e fortunatamente siamo troppo piccoli per essere una preda per questo mostro." Dissi sperando di rincuorare il gruppo, ma sapevo che avremmo potuto essere inghiottiti ugualmente. Intanto, Lelki tremava al mio fianco, in preda ad un attacco di panico.

Per mezzo di alcune piastrelle di colore nero, i gialli occhi del mostro sembravano guardarci. Con uno scatto, le mascelle si sporsero in avanti e catturarono un crostaceo d’acqua grande come una casa (circa un millimetro) che venne immediatamente triturato e inghiottito. Dopo avere camminato sopra il gruppo terrorizzato, la larva ci superò.

Forse Splek voleva dimostrare a Tenny il suo coraggio, sta di fatto che senza dire nulla si staccò dal gruppo e si mise a nuotare verso il mostro brandendo il bastone ad elettroscarica. Appena raggiunse l'animale, lo colpì in fondo all'addome. Probabilmente la scarica stimolò una fibra nervosa perchè la larva fece uno scatto. Il sifone che il mostro aveva in fondo al ventre risucchiò una grande quantità d’acqua e poi la proiettò con violenza all’indietro. La larva si staccò dal fondo e partì in avanti come un aereo a reazione. Il violento getto d’acqua fece perdere la presa ad alcuni di noi. Purtroppo vidi anche che Splek venne risucchiato dal ventre della larva, ma non potei vedere se ne uscì perchè il getto mi scagliò lontano e sollevò molti detriti. Quando mi fermai, mi accorsi che Lelki non c’era più. Ero proprio allarmato. Gli scrupoli mi assalivo. Non avrei mai dovuto accettare di avventurarci nello stagno. Lo sapevo che era un luogo pericoloso e mi rimproveravo di essermi lasciato condizionare così facilmente dagli altri.

Quando quello che restava del gruppo fu radunato, risultavano dispersi in tre: Splek, Lelki e Blik. Preoccupata per la sorte del suo ragazzo e di suo fratello, Tenny piangeva disperatamente. Ci mettemmo subito a cercarli. Il punto di ritrovo era l’ovatura. Trovammo Blik poco lontano, ancora legato come un salame. Era finito contro la foresta di spirogire che avevamo al nostro fianco e che l'aveva trattenuto.

"Eccoti qua Blik, stai bene?", gli chiesi.
"Sono stanco di essere legato. Liberami!"
"Ma neanche!"
"Voglio giocare."
"Ci mancherebbe!"
"Ti prometto che starò più attento."
"’frega niente!"
"Ti prometto che vi ubbidirò.
"Ancora meno!"
"Se mi liberi ti dico tutto quello che vuoi sapere."
"…", lo guardai negli occhi, "Tutto?"
"Tutto!"
"Va bene, ti slego. Però ne parleremo dopo perchè prima dobbiamo trovare gli altri dispersi."
Con il coltello tagliai i filamenti che legavano Blik e lo liberai. L'avrei liberato comunque, perchè potesse difendersi da solo in caso di pericolo. Non era stato prudente tenerlo legato.
"Ecco fatto, ma non allontanarti dal gruppo!" Blik si mise a correre in tutte le direzioni, come un cucciolo appena liberato dalla catena.

"Sento Lelki gridare!", disse Reena guardando più avanti.
"Cerchiamola, è qui nei dintorni!", aggiunse Zoolt.
Seguendo la direzione delle grida, trovammo la ragazza ad alcune centinaia di metri di distanza. Era rimasta impigliata alla base di in una tela che formava una specie di tendone da circo. In realtà era una ragnatela. Era la tana di un ragno subacqueo, un'Argyroneta aquatica, un ragnetto di 16 millimetri di lunghezza, 11 mm per la femmina, il quale passa praticamente tutta la propria vita in acqua. Per fortuna il proprietario di quella ragnatela non si era accorto di nulla e se ne stava tranquillo dentro alla sua bolla d'aria che teneva la tana tesa verso l'alto. Comunque neppure lui sarebbe stato interessato ad una preda così piccola. Da parte sua, la ragazza non si era accorta dell'animale. Tagliammo le sottili fibre di seta che la trattenevano e la liberammo. Lelki fu molto sollevata nel ritrovarsi fra di noi e ci abbracciò tutti.

"Venite a vedere qua, vieni anche tu Lelki", dissi e portai il gruppetto sotto la tana del ragno. La bolla d'aria formava una camera di circa 400 m di diametro.
"Aiuto!" Alcuni componenti del gruppo furono spaventati dal ragno che videro dentro alla camera d'aria. In effetti, a molte persone i ragni non piacciono, e per loro vederne uno di 180 metri doveva essere qualcosa di terrorizzante. Cercai di spiegare loro che il ragno aveva creato la bolla che sosteneva la sua tana compiendo numerosi viaggi alla superficie dove egli raccoglieva aria con la peluria che circondava il suo addome che diveniva argentato, ma essi si allontanavano più in fretta che potevano. Nessuno di loro volle restare a vedere il ragno uscire dalla sua tana, neanche se aveva il ventre argentato e neppure se l'avesse avuto dorato e tempestato di pietre preziose. Così tornammo al punto di ritrovo, vicino all'ovatura di lumachina.

"Zoolt, sono preoccupato per Splek. Chissà dov'è finito. Andiamo a cercarlo. Dovrebbe essere in quella direzione", dissi indicando la direzione del getto d'acqua prodotto dalla larva. "E tu, Reena, mantieni il gruppo radunato ed aspettaci qua, vicino all'ovatura. Tenete con voi il robot, potrebbe servirvi."


MISSIONE DI SALVATAGGIO

Zoolt ed io ci incamminammo alla ricerca di Splek. Dovevamo aprirci un varco fra i detriti e la folla di microrganismi che popolava il fondo. Camminavamo da una decina di minuti, quando all'improvviso per poco non venimmo investiti da una sorta di treno con una dozzina di vagoni: un enorme verme segmentato. Si trattava della larva di un Chironomide. La sua testa, insieme con una metà dell'animale, era sollevata e oscillava ampiamente a destra e a sinistra. Ogni tanto si fermava per addentare quello che gli capitava a tiro. Cercammo di fuggire più presto possibile per non essere travolti o sbranati. Finimmo per essere scagliati in alto, ma fu soprattutto il verme stesso a salvarci, cambiando direzione.

La situazione era rischiosa. Non potevamo continuare a camminare a lungo sul fondo dello stagno, era troppo infestato da organismi pericolosi. Salimmo allora su di una foglia adagiata sul fondo. La sua superficie era molto più pulita del fondo dello stagno e questo ci permetteva di evitare gli animali nascosti fra i detriti. Per un po' camminammo lungo la sua nervatura centrale, sopra grossi macigni di quarzo trasparenti, che non erano altro che granelli di sabbia. Spesso alcuni macigni si muovevano sotto di noi, nascondendo animali che vi strisciavano sotto. Così lasciammo anche il fondo valle per camminare sul fianco in pendenza della foglia. Ora i microrganismi erano rari, soprattutto lo erano le diatomee. Questa era una zona abbastanza tranquilla e camminavamo spediti. Spesso l'ombra di microrganismi che nuotavano sopra di noi si stagliava ai nostri piedi. Avvicinandoci alla fine della foglia pensavo che purtroppo avremmo dovuto tornare sul fondo dello stagno, invece trovammo un'altra foglia in parte coperta dalla prima. Questa seconda foglia era in un avanzato stato di decomposizione. I microrganismi avevano ormai rimosso buona parte del parenchima. Quello che rimaneva era principalmente la bianca trama delle nervature della foglia. Questa struttura era molto bella da vedere. Tra le nervature principali, si stendeva un reticolo di celle poligonali di 10 - 20 metri (0,4 - 0,8 mm) di apertura, che per la maggiore parte dei casi erano vuote. Saltammo sopra questa trama per proseguire. Anche questa foglia era relativamente libera da microrganismi, quindi potevamo avanzare facilmente ed evitare i rotiferi perchè li avvistavamo in tempo. Meno facile era evitare le veloci oxytriche che spesso sbucavano all'improvviso dalla parte inferiore della foglia, attraversando una celletta priva del parenchima. Tuttavia questi ciliati non erano pericolosi per noi, come non lo erano neppure quei ciliati sferici della dimensione di un pallone che ci roteavano intorno. Sentimmo delle vibrazioni. Il parenchima sotto ai nostri piedi si sollevò, ma dal momento che era semitrasparente lasciava intravedere la sagoma di un chironomide. Mentre indietreggiavo, ebbi il tempo di scorgere due mandibole superiori a forma di uncino e di colore bruno che si abbassavano ad ogni morso convergendo su di una mandibola inferiore. L'azione di queste mandibole era molto efficace, tanto che in pochi morsi il verme aveva perforato il parenchima. Lo stavo osservando mentre svuotava la celletta, quando si mise a passarci attraverso. Zoolt mi tirò via con uno strattone e scappammo più avanti. Il chironomide uscì completamente dal foro e venne verso di noi compiendo ampie oscillazioni. Per evitare questo mostro, ci buttammo attraverso una celletta e ci aggrappammo al suo bordo per non cadere sul fondo buio dello stagno. Il verme ci passò sopra mordendo a caso la foglia in più posizioni. Appena egli fu abbastanza lontano, risalimmo sullo scarno pavimento. Vedemmo il verme staccarsi da una zona ricca di nervature e nuotare verso la superficie con rapide contorsioni che gli facevano assumere una forma a otto, prima in un senso e poi nell'altro.

Camminavamo da un'ora buona, quando da lontano vedemmo finalmente Splek. Stava costeggiando un grande buco circolare nel fondo fangoso. All'improvviso da quel foro emerse un enorme verme di colore rosso. Era un Tubifex e quel buco era l'uscita della sua tana. Il verme cominciò ad ondeggiare vigorosamente, ma non ce l'aveva con Splek. Non ce l'aveva con lui neanche quando si incurvò e cominciò a dragare fango e ad inghiottirlo. Il ragazzo era terrorizzato da questa improvvisa apparizione e dal raspare di questo animale proprio vicino a lui. Ci mettemmo a correre e, nonostante le forti correnti prodotte dal verme, raggiungemmo il ragazzo passando dietro ad una roccia e lo prendemmo con noi. All'inizio credeva di essere stato catturato da un animale, ma fu entusiasta nel vederci. Ci allontanammo subito dal verme e ci incamminammo verso il resto del gruppo, presso l'ovatura di lumachina.

Gli chiesi come gli era venuta l'idea di arrampicarsi sulla larva della libellula. Disse che non sapeva che la larva avrebbe potuto risucchiarlo con quell'apertura posteriore e che comunque non l'avrebbe fatto mai più. Nel tornare indietro, una grossa ameba ci assalì cercando di fagocitarci. Era un esemplare grosso come un mammut. Facemmo appena in tempo a vedere uno dei suoi pseudopodi trasparenti sulle nostre teste che riuscì ad afferrare me e Splek. Trattenuti dalla gelatina e schiacciati verso il terreno, non riuscivamo più manovrare i bastoni a elettroscarica e Zoolt aveva perduto il suo cadendo. La situazione si stava facendo pericolosa. Con un lungo coltello, Zoolt cominciò a vibrare fendenti sulla membrana dell'ameba, ma le ferite si richiudevano immediatamente, essendo la membrana di quel protista estremamente mobile. Ormai l'ameba ci aveva completamente fagocitati, ma fortunatamente eravamo piuttosto indigesti per lei. Infatti sentivamo bruciare gli occhi e pizzicare la pelle, ma i lisosomi di quel protista non riuscivano a sciogliere la nostra membrana. In effetti, noi non avevamo una membrana direttamente esposta ai succhi gastrici dell'ameba come un comune microrganismo, ma una molto più robusta epidermide formata da strati di cellule indurite. Zoolt non sapeva come fare per salvarci. Per fortuna riuscì a recuperare il suo bastone, ma si accorse che non aveva un grande effetto sull'ameba. Allora egli ne svitò l'impugnatura e ne estrasse la batteria. Con il coltello ne aprì l'involucro facendo uscire un liquido bluastro e l'immerse nel citoplasma dell'ameba, subito sotto la membrana. L'ameba ebbe una reazione piuttosto improvvisa e si contrasse assumendo una forma sferica, ma dove il liquido era più concentrato si produsse un buco nella membrana e da esso fuoriusciva copioso il citoplasma. Attraverso il foro sulla membrana, Zoolt infilò un braccio nel citoplasma del protista per afferrare le nostre mani, quindi cominciò a tirarci. Finalmente, aiutandosi anche con scariche per provocare contrazioni del protista, riuscì a liberarci. Eravamo inzuppati di citoplasma. Ci volle un po' di tempo per ripulirci da quella melassa. Da parte sua l'ameba aveva perso un buon terzo del suo citoplasma, ma non sembrava averne risentito più di tanto, il foro sulla membrana si era richiuso e il protista cominciò a fluire via.

"Come ti è venuto in mente di usare l'elettrolita di quella pila?", chiesi a Zoolt.
"Gli acidi sono molto dannosi per le membrane biologiche e l'ameba ha una membrana molto sottile... poi non avevo tante altre risorse. Ci ho provato!"
"E ha funzionato! Grazie, Zoolt".
"Di nulla!"
"Chissà come era potente quell'acido!", esclamò Splek.
"Non era tanto potente, era più o meno come un'aranciata... almeno credo", disse Zoolt.
"Allora perchè l'aranciata non fa un buco anche nel nostro stomaco quando la beviamo?", chiese Splek.
"Perchè lo stomaco è protetto dalla mucosa gastrica. Invece l'ameba non aveva nulla che difendesse la sua membrana. Tieni presente che essa è formata da due soli strati di molecole", risposi mentre Zoolt assentiva.

Riprendemmo il cammino verso il gruppetto che ci aspettava. Seguivamo un percorso un po' diverso da quello dell'andata, ma riuscimmo a trovare le foglie di prima. Ogni tanto dovevamo girare attorno a dei nematodi, dei vermi sottili che spesso si agitavano freneticamente con un movimento ondulatorio. Ad un certo punto, finimmo in mezzo a un ammasso di alghe sferiche di colore verde, generalmente riunite a gruppi di due coppie. Ciascuna coppia era circondata da una gelatina e da ogni cellula partivano due lunghi e sottili flagelli. Sia la gelatina che i flagelli erano trasparenti e scarsamente visibili così che rallentavano notevolmente il nostro cammino. Più avanti, usciti da quell'ammasso, ci mettemmo a camminare in equilibrio su alghe filamentose che si muovevano come tappeti mobili, scegliendo quelle che andavano nella nostra stessa direzione. Arrivammo anche ad attaccarci ad un rotifero che nuotando, passò sopra di noi. Egli salì di quota e da quell'altezza potevamo vedere il panorama sottostante. Numerose sfere scorrerevano lungo filamenti di spirogira come vagoni di metropolitana monorotaia. Si trattava di fillipodi che come d'abitudine cercavano alimenti lungo le alghe filamentose. Approfittammo di questo passaggio finchè l'animale non cambiò direzione. Ricademmo su di una foglia e proseguimmo il cammino verso la capsula che ormai riuscivamo a vedere emergere dalle foreste di spirogire, seppur da lontano.


LARVA DI DITISCO

Quando arrivammo in vista del punto di ritrovo, ci accorgemmo che non c'era nessuno. Vedendo che in compenso, proprio in quel luogo, la larva di libellula aveva ingaggiato un combattimento con la larva di un Ditisco, mi venne un attacco di panico. Questa larva era, se possibile, ancora più spaventosa di quella della libellula. Aveva un corpo affusolato e teneva il posteriore a contatto con la superficie dell'acqua per respirare. Sotto il suo corpo c'erano sei sottili zampe. Ma dalla testa appiattita sporgevano due spaventose ed enormi falci spalancate. Con uno scatto assalì l'avversaria trafiggendola con quelle armi tremende. La larva di libellula si divincolò e a sua volta morse l'avversaria con le proprie mandibole che si proiettarono in avanti. Intorno agli animali in lotta, l'acqua era agitata da forti correnti e vortici. La larva del ditisco è talmente feroce che non solo uccide girini e piccoli pesci, ma attacca anche i propri fratelli, li uccide e li divora, finchè di una intera nidiata non resta che un solo individuo. Ma non era il caso di dirlo agli altri.

Eravamo molto preoccupati perchè il gruppo non c'era più.
"Probabilmente si saranno nascosti nei paraggi", riuscii a dire a Zoolt che annuì.
"Andiamo a cercarli!", disse.
Ci alzammo in piedi e ci mettemmo ad esplorare il territorio circostante. Finimmo contro un'ampia colonia di vorticelle. Non potevamo aggirarla perchè avremmo perso troppo tempo. Così decidemmo di attraversarla. Però la foresta di peduncoli era molto fitta. Appena ne sfioravamo uno, si ritraeva e il corpo della vorticella ci impediva di avanzare. Zoolt si sfilò il coltello dallo stivale e cominciò a tagliare i peduncoli, aprendo un varco. Non più trattenute dal peduncolo reciso, le cellule partivano verso l'alto trascinate dalla loro stessa corona di ciglia. Così potemmo attraversare agevolmente la foresta di vorticelle. Finalmente, dopo una buona mezz'ora di ricerche, trovammo il gruppo nascosto in un ammasso di alghe. Stavano osservando terrorizzati il combattimento fra le larve, che ora si studiavano tenendosi a distanza. Furono molto contenti nel vederci tornare e anche noi eravamo molto risollevati nel vederli tutti sani e salvi. Tenny, in lacrime, corse ad abbracciare e a baciare Splek, ma poi gli dette un sonoro schiaffo e se ne andò. Con una mano sulla guancia, Splek era rimasto inebetito.
"Questa è tutta matta! Mi vuoi spiegare che cavolo ti prende adesso?", disse correndole dietro.

Mentre i due ragazzi chiarivano in qualche modo i loro problemi, mi si avvicinò Lelki.
"Come mai non ti sei aggrappata a me questa volta?", le chiesi.
"Si che mi ero aggrappata, ma ho perso la presa. La corrente mi ha mandata lontano."
"Hai visto che mostri?"
"Disumani! Quando mi sono trovata da sola e impigliata nella tela, credevo di morire di paura. Adesso, stammi vicino!"
"Torniamo nella capsula, non voglio fare altri brutti incontri!", dissi.
Questa volta, furono tutti d’accordo. Quindi ci mettemmo in movimento. Splek aveva uno strano cappello. Era una trichodina.
"Guardate Splek!", gridò Blik.
"Come sei carino con quel cappello!", disse Tenny ridendo. Intanto il protista ruotava lentamente sul capo del ragazzo, muovendosi su di una corona di piccole ciglia.
"Stai attento perchè succhiano l'ospite" dissi a Splek, ma prima che lui avesse il tempo di reagire, la trichodina se n'era andata.
"Come mai se n'è andata?", chiese Splek.
"Evidentemente non ha trovato niente da succhiare!", disse Tenny facendo ridere tutti.

Ormai vedevamo la capsula a poche centinaia di metri di distanza. Poco dopo superammo nuovamente il suo bordo e ci inoltrammo al suo interno.

"Per favore, Zoolt, chiama la base. Dobbiamo lasciare questo posto: è troppo pericoloso."
"Va bene, provvedo subito!… Pronto, pronto, qui gruppo di esploratori chiama base, rispondete prego!… Pronto, pronto…"
"Tu Lelki resta qui con Zoolt. Arrivo subito", le dissi.


INFORMAZIONI

Mentre Zoolt chiamava l’accompagnatore, ne approfittai per parlare con il ragazzino.

"Ciao Blik, mi avevi promesso di rispondere alle mie domande. Vediamo se mantieni le promesse."
"Si che le mantengo!"
"Che cosa dice di te tuo papà? Non ti sgrida mai?"
"Zoolt non è mio padre."
"Allora chi è?"
"E’ uno degli adulti della comunità."
"Allora neanche Reena è tua madre?"
"Si, è mia madre, ma noi bambini siamo allevati in comune."
"Non vorresti avere un padre?"
"Ne ho già tanti…"
"Scusa, c’è qualcosa che mi sfugge… Allora perché vi hanno presentato come una famiglia?"
"Per non confonderti le idee."
"Quanti anni hai?"
"Trentasei"
"Ma se ne avrai si e no dieci!"
"Uffaaa!"
"Allora la Lelki quanti ne ha, 90?… No, no non voglio saperlo, stai zitto! … Dove vivete, in città?"
"Si, ma non sono come quelle che conosci. Viviamo vicino a spazioporti, in villaggi che sembrano di formaggio coi buchi. Ci sono poche città grandi, altre sono orbitanti."
"… Formaggio coi buchi. Mamma mia! Va bene, basta così! Non dirmi più niente, ne ho abbastanza!"
"Ho dieci anni! Ho dieci anni!… Hahahhahaha! Il formaggio coi buchi… Hahhahahaha!", gridò Blik scappando via.
"Grrrrrrr, se ti prendo!..." 'Non si capisce niente di questi qua. Chissà quante balle mi ha raccontato quel piccolo manigoldo', pensai.


VOLVOX

Eravamo ancora un po' agitati, quando avvertimmo una vibrazione. Ma non era allarmante, era una vibrazione lieve ed era accompagnata da un suono delicato. Vedemmo arrivare una grande sfera verde che ruotava dolcemente.
"E’ un Volvox, un’alga verde coloniale formata da centinaia di piccole cellule flagellate. Queste cellule sono separate fra loro, anche se ponti plasmatici mantengono in contatto ogni cellula con quelle vicine. Quelle sfere più piccole che il volvox ha al suo interno, sono delle oosfere: praticamente sfere figlie."
Tutti guardavano incantati questo meraviglioso protista che ruotava lentamente davanti a noi, mosso dalla minuscola coppia di flagelli che ogni sua cellula possedeva e che era rivolta all’esterno della sfera..
"E’ splendido!", disse Tenny.
"Si direbbe una sfera celeste", aggiunse Lelki.
"Sembra Skycity!..." disse Splek, ma si prese una gomitata nello stomaco che lo zittì.

Blik salì sopra un mucchio di detriti e riuscì a sfiorare con le mani il Volvox. Cercò di arrampicarsi, ma la sfera si allontanò con una vibrazione armoniosa e presto la perdemmo di vista.
"A questo punto", dissi riprendendomi, "possiamo anche tornare a casa."
Anche gli altri erano stanchi, e a parte una debole reazione di Blik, furono tutti d'accordo nel rientrare alla base.


RIENTRO ALLA BASE

Arrivò di corsa Splek: "Zoolt si è messo in contatto con la base!"
"E che cosa ha detto?"
"Devi parlarci anche tu, al più presto!"
Andai da Zoolt che mi passò il microfono. "Pronto Shup, mi senti?"
"Si, forte e chiaro."
"Shup, dovresti recuperarci perchè nello stagno ci sono animali pericolosi. Siamo sul fondo della capsula, vicino ad una roccia... scusa, vicino ad un granello di sabbia di un paio di millimetri di diametro, lo vedi?"
Dal fondo della capsula, vedemmo un gigantesco Shup che si avvicinava. La sua faccia sembrava una montagna, i suoi occhi delle mongolfiere. Mentre questo viso gigantesco scrutava con attenzione il fondo della capsula, il corpo appariva ridicolmente piccolo e lontano.

Ricordai a Shup come fare per completare l’operazione del nostro recupero. Egli introdusse una pipetta nella capsula e lo guidammo con la trasmittente finché l’imboccatura della pipetta non arrivò abbastanza vicino a noi. Gli gridammo attraverso la trasmittente di farla vibrare di meno. Al nostro segnale, l’accompagnatore ci risucchiò nella pipetta e ci portò via. L'acqua scorreva rapidamente prima in un senso e poi nell'altro lungo il capillare della pipetta. A causa di queste correnti, Lelki perse la presa sulla parete e cominciò a gridare terrorizzata perchè pur oscillando si avvicinava sempre di più all'imboccatura della pipetta. Allora anch'io mi lasciai andare nella corrente nel tentativo di recuperare la ragazza prima che fosse troppo tardi, ma finimmo entrambi nella goccia d'acqua che pendeva dalla pipetta e che minacciava di cadere da un momento all'altro. Nuotavamo all'interno di questa goccia come pesci in un acquario senza pareti. Ci tendevamo le mani per raggiungerci, ma i vortici ci mantenevano in traiettorie circolari separate. Il fatto che questa goccia avesse un diametro di 50 metri non contribuiva affatto a rassicurarmi. Ci raggiunse anche quell'incosciente di Blik. Gridava anche lui, ma di gioia. Tuttavia non si divertì molto perchè, purtroppo per lui, venne nuovamente risucchiato dalla pipetta. Giunto in casa, Shup si avvicinò al microscopio e fece cadere dalla pipetta alcune gocce d’acqua su di un pezzo di carta assorbente che poi mise sotto all’obiettivo del microscopio. L’acqua venne assorbita dalle fibre di cellulosa e ci trovammo all’asciutto.

"Ehi! Ma che cosa succede?", esclamò Zoolt.
"Aiuto!", gridammo.
Quella specie di enorme astronave di vetro che avevamo sopra di noi e che non era altro che quello che vedevamo dell'obiettivo del microscopio, si abbassava e si alzava pericolosamente, e per poco non ci schiacciò.
"Che cosa fa Shup? Doveva farla prima la messa a fuoco! Perché usa il movimento macrometrico?", gridai.
Finalmente il cielo si sollevò e si fermò alcune decine di metri più in alto. Shup ci comunicò che ci vedeva a fuoco e che era pronto a riceverci.

Uno alla volta spiccammo un salto, attraversammo il tunnel ottico del microscopio e finalmente raggiungemmo la dimensione e il mondo ai quali eravamo abituati.
"Eccoci di nuovo a casa!", eravamo tutti contenti.
Mi accorsi che Blik portava in braccio un grosso ammasso gelatinoso.
"Ehi! Dove vai con quell’ameba???", gli chiesi.
"E’ mia. E’ simpaticissima! La porto a casa mia.", rispose.
"Io lo lego un’altra volta!", esclamai mentre presi a correre dietro al ragazzino che lasciò cadere l'ameba e si mise a scappare ridendo.


EPILOGO

Erano le undici del mattino. Ne approfittammo tutti per sistemarci. Verso l’una Cristina gridò:
"E’ pronto da mangiare. La tavola è servita!" Dopo poco, eravamo intenti a mangiare.

"Raccontateci bene quello che avete visto!", disse Cristina.
"Che cosa avete incontrato questa volta?", chiese Silvia.
"Abbiamo incontrato una sfera di un chilometro di diametro e che emetteva una musica divina", cominciò a raccontare Reena, esagerando un po’.
"E quel mostro peloso che per poco non ci ingoiava, non te lo ricordi?", continuò Tenny.
Intanto l’ameba si avvolse a Lelki che stava per cominciare a gridare. Aiutai la ragazza a liberarsi dall’ameba, mentre Cristina e Silvia si guardavano in faccia attonite.
"A me è piaciuto vedere Splek che roteava vicino alla vorticella!", disse provocatoriamente Blik.
"E a me è piaciuto vederti volare in alto risucchiato dalla bolla che scoppiava!", gli rispose Splek.
"Io mi sono divertito un sacco in quel momento!", rimbeccò Blik e non si poteva davvero dubitare della sua sincerità!
Stando all’espressione degli occhi di Tenny mentre guardava Splek non c’era dubbio su quale fosse il più bel protista del mondo.

Splek, Blik e Tenny erano contentissimi del viaggio fra i protisti e volevano anche restare in questo tempo. Splek mi lasciò segretamente un regalo: un pacchetto di foto esadì di modelle del futuro, ma non dovevo dirlo a nessuno: erano foto senza le normali restrizioni applicate ai prodotti esadì: roba che scotta!

"E tu, ti sei divertita?", chiesi a Lelki che sedeva silenziosa di fronte a me.
"E’ stato un viaggio davvero emozionante, ma anche molto bello. C’erano organismi affascinanti."
"Quale ti è piaciuto di più?"
"Mi sono piaciute molto le diatomee, così perfette come sono. Me ne sarei portata volentieri dei gusci a casa come ricordo. E poi mi è piaciuta l’ovatura di lumachina, erano così dolci gli embrioni! Anche il volvox era bello, però quello che non dimenticherò mai erano quei mostri delle larve di libellula e di ditisco!"
"Ci credo! Abbiamo corso un bel pericolo!", dissi. "Potete fare anche viaggi nel futuro?", chiesi cercando di ricavare qualche ultima informazione.
"No, è impossibile. Rispose ridendo. Il futuro non esiste: deve essere ancora fatto."
"Chissà come sono belli quelli nel passato!"
"Già, sono davvero molto interessanti! Però non possiamo interagire con il passato. Di solito restiamo in uno sferoide che ci rende invisibili e che ci impedisce ogni interazione."
"Però con me avete interagito."
"Si, ma fra poco dimenticherai tutto."
"Perché?"
"Shup ti darà una pillola", si morse le labbra per esserselo lasciato sfuggire.
"Ma io non la voglio!… E poi mi dispiace che parti. Lo so che non puoi restare e so anche che non posso venire con te, ma non ti voglio dimenticare. Lasciami almeno il tuo ricordo!"
"Dispiace tanto anche a me partire, ma ti prometto che tornerò!" Di nascosto, Lelki mi dette una sua foto esadì. "Stavo bene vicino a te", disse.
"Ha le restrizioni?", chiesi ridendo.
"Beh, certo che le ha! … La prossima volta vedremo", rispose maliziosamente.
"Siiiiii!", gridò Blik che origliava, "torniamo l’anno prossimo!"
Anche gli altri erano d’accordo e promisero di tornare per un’altra vacanza.
"Davvero tornerai?"
"Promesso!", disse lei con un sorriso.

"Uè, cuore di ferro, ti sono piaciuti i protisti?", chiesi a Julius dandogli una manata sulla spalla.
"Straordinari, veramente straordinari! Ma Le posso fare qualche domanda, Signore?"
"Fai pure!" 'Chissà che cos'ha da chiedermi questa specie di ferro da stiro ambulante', mi domandai sorpreso della sua iniziativa.
"Le molecole sono vive?"
"Certo che no!", risposi ridendo.
"Di che cosa è fatta una cellula?"
"E' fatta di molecole..."
"Però una cellula è viva."
"Si, effettivamente è viva..." 'Eccolo che ricomincia!' Pensai.
"Anche un neurone è una cellula, vero?"
"Si certamente." Mi guardai intorno cercando una scusa per andarmene.
"Un neurone pensa?"
"No davvero! Non pensa. Si limita a ricevere e a trasmettere impulsi elettrici."
"Di che cosa è fatto il cervello?"
"Di neuroni ..."
"Però il cervello pensa."
"Già, il cervello pensa." Julius aveva proprio ragione! Non avevo mai riflettuto sul fatto che il pensiero fosse il prodotto di neuroni, che non pensano, e che a loro volta fossero composti di molecole, che non sono vive. Non ci avevo mai pensato e ora mi sentivo imbarazzato di fronte a quel robot. Quel robot mi intimidiva. Vidi Zoolt, mi accomiatai da Julius e raggiunsi il fisico.
"Zoolt, sei sicuro che va tutto bene in quel robot? Che cosa ne diresti se gli dessimo una regolatina?", gli dissi in un orecchio.
Zoolt era troppo timido per ridere. Si mise una mano davanti alla bocca per nascondere un sorriso che tratteneva a stento.

"Sai, Giorgio? Ti devo confessare una cosa", disse Zoolt.
"Di che si tratta?"
"E' tutta colpa mia... Devi perdonarmi, ma ti ho fatto uno scherzo."
"Quale scherzo? Io non mi sono accorto di niente."
"Quando siamo arrivati, il robot aveva il QI regolato a 30."
"E allora?"
"Beh, dopo che mi hai chiesto perchè non tenevamo il QI del robot ai valori più alti, l'ho regolato al massimo consentito alla mia scheda di ricercatore: a 140."
"Ah, ecco perchè la sua voce è tanto migliorata! Ecco perchè fa tutti quei discorsi complicati!... Ma hai fatto bene, Zoolt. Il tuo scherzo mi ha insegnato tante cose."
"Fra un poco riporterò il QI di Julius al valore che aveva prima."
"Ma come può un robot essere così intelligente? Che programmi usate?"
"Nessun programma!..."
"Come? Ma non è possibile!"
"Usiamo miliardi di minuscoli e semplici processori che funzionano come i neuroni. Come ti dicevo ieri, i nostri robot hanno un cervello neuronale. E' ad architettura associativa, come il nostro. Che poi per pensare si usino dei neuroni naturali o artificiali, non c'è nessuna differenza sostanziale..."
"Già, è vero!"
Anche Julius, mi aveva appena fatto capire che per pensare non c'era bisogno di cellule. Julius non aveva cellule, eppure pensava. Quello che era più proprio della vita: il pensiero e la coscienza non era dunque necessariamente il prodotto di cellule vive, ma della particolare organizzazione dei costituenti elementari del cervello. In questo viaggio avevamo conosciuto degli esseri viventi unicellulari, altri coloniali, degli organismi pluricellulari più o meno complessi, noi stessi esseri umani siamo pluricellulari. Anche Julius occupava il suo posto in questa scala, in quanto acellulare. Ma allora a che cosa serviva la nostra organizzazione cellulare se non era indispensabile neppure per pensare? Essa ci aveva permesso di raggiungere evolutivamente il nostro alto livello di organizzazione e di conquistare pensiero e coscienza, con metodi biologici. Mentre noi siamo il prodotto di una lunga evoluzione naturale, il robot era invece un nostro prodotto e senza di noi non avrebbe mai potuto esistere. In nessun modo avrebbe potuto essere un prodotto dell'evoluzione... e l'anima? Ce l'aveva anche lui?

Mentre ero assorto in queste riflessioni, con la coda dell’occhio vidi Shup mettere qualcosa dentro al mio bicchiere. Appena l’accompagnatore si voltò a ricevere un piatto, ne approfittai per scambiare il mio bicchiere con il suo. Lelki mi vide e mi fece un cenno d'intesa. Anche il robot mi vide, ma prima che potesse dire qualcosa lo girai di schiena e gli abbassai il QI al di sotto di 10. Ormai ero diventato smaliziato nei confronti dei robot. Julius si avvicinò a Shup e aprì la bocca per riferirgli quello che aveva visto, ma invece di parlare aggrottò le ciglia e si fermò. Tutto quello che riuscì a fare fu di guardare con un'espressione ebete il suo interlocutore, indicandogli il bicchiere. Shup ebbe un'intuizione, scostò il robot e disse rivolto a tutti:
"Propongo un brindisi di ringraziamento ai nostri ospiti!" Così si brindò alla cuoca, alla spedizione nel mondo dei protisti e a Silvia che ieri ci aveva salvati. Invitandomi a ripetuti brindisi, e bevendo prima di me per darmi l'esempio, Shup si assicurò che bevessi il mio bicchiere fino in fondo, cosa che non ebbi difficoltà a fare. Osservandoci, Lelki rideva fino alle lacrime.

Ormai si alzavano tutti. I saluti e i baci presero almeno mezz’ora. Zoolt mi ringraziò di cuore e disse che il viaggio fra i protisti si era rivelato di gran lunga superiore alle sue aspettative. Reena mi assicurò che non aveva mai passato una vacanza così stimolante. Blik insisteva chiedendomi di partire con loro e poi mi abbracciò. Nell'abbracciare Lelki, le dissi che l'avrei ricordata per sempre. Alla fine, purtroppo, il gruppetto raggiunse il punto del giardino dove era comparso. Tirato per una manica da Lelki, Shup si guardava intorno smarrito. Il robot continuava a stare alle costole dell'accompagnatore per dirgli qualcosa, ma per qualche ragione i due non riuscivano a stabilire una efficace comunicazione. Mentre i visitatori cominciavano a dissolversi, presi in braccio l’ameba e cercai di infilarla in un oculare del microscopio, ma lei mi fagocitò. Quando mandai l’ultimo saluto ai visitatori, mi trovavo immerso in un enorme budino di gelatina. Sentii che ridevano.

Quando riuscii a liberarmi, l’ameba scappò lontano nel giardino. I visitatori erano ormai partiti e mi aveva assalito un profondo sentimento di tristezza. Corsi dietro all’ameba con una scopa, ma lei scappava e non si lasciava avvicinare. Quando era abbastanza lontana, si divertiva ad imitare le forme di Blik e la mia. Quando assunse quella di Lelki non fui più così sicuro di volerla restringere. Mi accorsi che il protista aveva fagocitato anche la lente e le foto esadì. Fu così che cominciò una furiosa battaglia dall’esito incerto, alla fine della quale, però, riuscii a recuperare la lente e qualche foto. Dopo qualche ora che l’avevo persa di vista, l’ameba mi si avvicinò lentamente. Era piuttosto disidratata. Posi la capsula Petri con un po’ d’acqua sotto al microscopio e dissi all’ameba che l’avrei riportata nel suo mondo, nello stagno. Non so se mi capì, però si lasciò restringere. Pochi minuti dopo, verificando le foto esadì che mi erano rimaste, mi accorsi che quella che mi aveva dato Lelki mancava. Per fortuna non avevo ancora portato l’ameba nel laghetto. Mi tuffai nell’oculare per recuperare il ritratto fagocitato dall’ameba. Non potevo permettermi di perdere l’immagine di Lelki per sempre, piuttosto sarei diventato un protista!

 


RISORSE INTERNET

http://micro.magnet.fsu.edu/moviegallery/pondscum.html    Immagini e filmati di organismi che vivono negli stagni.
http://www.arn.org/behe/mb_mm_index.htm   The Molecular Machines Museum. Esempi di movimento di ciglia, flagelli, etc
http://www.elender.hu/~stefanc/Evolucio/Cells.html   Motore batterico
http://www.bio.utexas.edu/research/utex/   Informazioni sulle alghe e i mezzi di cultura (scegliete: "List of media" e "Media recipes")
http://gwis2.circ.gwu.edu/~biodl/technique/techniques.html   Techniques Used in Studying Ciliates


RACCOLTA DEI FILMATI RICHIAMATI NEL TESTO

Ciliati
Vorticella
Ameba
Ameba (fagocitosi)
Anisonema
Euplotes
Rotifero
Closterium
Pediastrum
Diatomea
Coleps
Flexibacter
Phacus
Ematococco
Gonium
Oxytricha
Spirogira
Idra verde
Idra comune
Trichodine (basso ingrandimento)
Trichodine (alto ingrandimento)
Fillipode (Dafnia)
Anabaena
Lionotus
Embrione di Lumachina
Larva di Ditisco

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