Innocenza Starace, nata a San Giovanni Rotondo nel 1961, vive e lavora a Manfredonia (FG) dove esercita la professione di avvocato penalista. Moglie e madre di due figlie che definisce “fate”, è capo scout nel gruppo AGESCI di Manfredonia.
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Diario dell'avvocato di Giusy Potenza |
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La meridiana, a partire dai vissuti, dalle inquietitudini, dalle marginalità un itinerario di ricerca e di incontro possibile per tutti: dall'identità alla relazione dal potere alla nonviolenza radicale. |
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PREMESSA “Chiamo per conto di un amico, una giovane uccisa si trova vicino allo stabilimento ex Enichem”. È un giorno di novembre piovoso quello in cui la telefonata, ovviamente anonima e inquietante, giunge al commissariato di Manfredonia. I poliziotti corrono e rinvengono il corpo di una giovinetta con il volto sfigurato e privo di alcuni denti. I jeans abbassati fino alle ginocchia. La ragazzina non aveva le scarpe e indossava una maglia gialla dal collo alto. Le braccia rivolte all’indietro. Il viottolo dove il corpo è disteso è di terra battuta e procede parallelo alla statale che porta alle spiagge di ciottoli bianchi di Mattinata e alle scogliere dei lidi di quella frazione di Monte Sant’Angelo dal breve nome di “Macchia”. Un luogo appartato, anche se vicino ci sono masserie frequentate da pecorai. Resti di biancheria intima, disseminati qua e là sull’erba, ne fanno intuire l’uso e la gente che lo frequenta quando cala la sera. Il corpo avrà presto un nome: Giusy. È la figlia quindicenne di Grazia Rignanese e Carlo Potenza, di cui era stata denunciata la scomparsa il giorno prima dai genitori, pazzi di terrore e rabbia. Inizia il giallo più sconcertante che abbia mai vissuto questa terra garganica, già insanguinata da faide e violenze. I suoi figli, però, seppur spesso presi da incomprensibili attacchi di violenza, mai si erano macchiati del sangue di una ragazzina innocente. In queste pagine vi è quella storia. È un diario cronaca perché registra i fatti, documenta le vicende, riporta gli atti giudiziari e le testimonianze raccolte negli interrogatori e nella fasi processuali; ma registra anche ciò che lo sguardo della donna avvocato, cittadina di Manfredonia, mamma di due ragazze, educatrice scout, non può fare a meno di vedere. Nella vicenda di Giusy si può entrare in modi diversi. Con la curiosità morbosa dei media o con il legittimo dovere di far luce sulla verità. Con i “lo avevamo sempre detto” della folla anonima e numerosa, sempre presente ad ogni cambio e colpo di scena o con il grido “vendetta e non giustizia” del nonno. Con la rabbia composta ma all’improvviso furente e aggressiva del padre o con il silenzio assordante del suicidio della mamma, ancora più assordante per la morte con lei del bimbo che ha un nome ma non viene al mondo. Con lo sguardo dolce e ammiccante di Michela e il suo prendersi cura, nell’abisso della tragedia, dei capelli di chi le sta accanto: “posso farti i capelli?” Io ci sono entrata perché coinvolta come avvocato di parte. La famiglia mi ha dato fiducia, abbandonandosi totalmente a me. Ci sono entrata al punto tale da capire che la ragione vera da trovare in questa storia non è solo quella della morte di Giusy, ma la ragione per cui si può morire a quindici anni in una città come Manfredonia (ma è solo Manfredonia?) che guarda a se stessa e ai suoi giovani voltando lo sguardo dall’altra parte. Dalla posizione privilegiata di chi è catapultato in una vicenda drammatica e complessa, tragica nel suo apparire e nel suo evolversi, mi è stato permesso di avere uno sguardo più profondo. Di quello sguardo il libro non priva il lettore, il quale può scegliere, una volta terminato la lettura con la sentenza, di ritenere la vicenda conclusa. Oppure può ricominciare, pagina dopo pagina, a rileggere la storia e le domande vere che quel corpo trovato di fronte all’orizzonte, lasciano aperte. A queste domande ho dato forma non per futura memoria di Giusy ma per il futuro dei ragazzi che a quindici anni hanno molte domande, molti sogni, molti problemi. Ma non sempre hanno la fortuna di trovare le persone giuste. |
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La nostra esperienza editoriale nasce nel 1987 a Molfetta (BA), nel vivace clima di impegno sulle questioni dell’emarginazione, della pace e della nonviolenza creatosi intorno alla coinvolgente figura del vescovo, Antonio Bello. In questi anni la ricerca editoriale si è sviluppata soprattutto sui temi delle culture formative e sulla spiritualità. Non fare libri comunque ma libri che servono perchè utili, preziosi. Libri perfino necessari, indispensabili. Libri che nascono perché c’è un problema vero e perché c’è un vissuto, un’esperienza da comunicare. Libri che mettono in rete competenze e in circolo idee. Libri prima da leggere poi da mettere in pratica, da usare, da verificare. Libri che facciano crescere una nuova cultura delle relazioni e una nuova coscienza delle responsabilità. Libri che parlino, insomma, la lingua aperta, innovativa del futuro e a coloro che credono che cambiare sia, nonostante tutto, possibile. |
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