ALESSANDRO

TETI

TORRICELLA PELIGNA NEGLI ANNI 50 & 60

 

 


LE FESTE PATRONALI

Canosa di Puglia, Acquaviva delle Fonti, Gioia del Colle, sono località indicate dai cartelli posti lungo l'assolata e rettilinea autostrada (A14) che va a spegnersi a Taranto.
I1 paesaggio, a volte ricco di vigneti e uliveti, a volte brullo, con i bianchi agglomerati urbani che si stagliano nitidi sul cielo turchino, ha una caratteristica tutta particolare che cattura l'attenzione del visitatore, sia pure in una infuocata giornata estiva. Però quei nomi, dapprima indifferenti, man mano che si procede, praticamente in solitudine, cominciano ad evocare qualcosa di remoto e familiare: le feste patronali che si svolgevano nel passato a Torricella. I1 10 e 11 luglio in onore di S.Marziale,il 9 e 10 settembre per S. Rocco e S. Domenico. I più rinomati complessi bandistici provenivano appunto da quelle città pugliesi. Si trattava di grosse formazioni costituite al minimo da 70 elementi. Dopo aver sfilato per il corso, i musicanti si suddividevano in tre o quattro gruppi per suonare nei vari quartieri: le Piane, le Coste, il Calacroce, S.Antonio, seguiti dall'immancabile "chinocchia" sulla quale si raccoglievano "pizze dolci”, "taralli", forme di "cacio" ed altri generi alimentari che poi venivano venduti all'asta. Dietro ai suonatori si formava un allegro codazzo di bambini vestiti a nuovo con l'abito della prima comunione, chi con un paio di occhiali di celluloide, chi con pistole ad acqua, chi con fucili ad aria acquistati nelle bancarelle. Anche gli adulti sfoggiavano abiti con cravatta e tailleurs, nonostante la forte calura. In quei giorni non si lavorava; dalle contrade tornavano "li massariuoli" a piedi o a bordo di asini o cavalli.
Nel pomeriggio si svolgeva la partita annunciata dal banditore all'uscita dalla messa: "Oggi alle ore 16 grande incontro di calcio a Torricella - Villa S. Maria. Intervenite tutti!”
I1 risultato era scontato, in casa aveva la meglio sempre la nostra squadra; l'arbitro, essendo torricellano e non di un paese neutrale, mai si sarebbe azzardato a far vincere gli ospiti, non solo per amor di patria, ma soprattutto per evitare il rancore della tifoseria locale nei suoi confronti, vita natural durante.

La gara di ciclismo

Ai tempi dei mitici Coppi e Bartali si effettuava un’appassionante gara ciclistica che consisteva nel ripetere una decina di volte il seguente percorso: Viale Paolucci, Corso Umberto, curva De Stefanis, Via Occidentale, quest'ultima (come noto) è costituita da un'impervia salita degna di un gran premio della montagna di prima categoria che metteva a dura prova i pochi, ma coraggiosi corridori torricellani: Domenico Antrilli (Mingh de Paiacce), Antonio Larcinese (Panzètt), Antonio Cicchini (emigrato in America), Saverio Di Cino (Samy) ed in qualche edizione Amedeo Silla , figlio del maresciallo che resse la Stazione dei Carabinieri negli anni '50.
Erano tempi in cui il ciclismo raccoglieva il maggior numero di appassionati dopo il calcio.
Nelle fiere si vendevano i caratteristici berrettini a spinchi, muniti di visiera di celluloide colorata con su raffigurati i campioni del momento: Coppi e Bartali innanzitutto, ma anche Magni, Bevilacqua, Poblet, Bobet, ecc. Verso l'imbrunire si dava inizio ai giochi popolari: la corsa nei sacchi,il tiro alla fune, la gara degli spaghetti e per finire l'albero della cuccagna, in cima al quale si ponevano salsicce, un prosciutto, della pasta, un provolone e un fiasco di vino: tutti generi di prima necessità che facevano gola a tanti giovani perciò, nonostante l'ardua impresa, la schiera dei concorrenti era sempre ben nutrita. Prima di cena si dava inizio alla processione.
La statua del Patrono, San Marziale, era attorniata da quattro ragazzi che reggevano dei grossi fusti sormontati dalle "marrocche" (pannocchie), essendo anche protettore delle attività agricole. Visse in epoca paleocristiana e morì martire in tenera età.
San Rocco era francese, i fedeli gli erano particolarmente devoti perchè si prodigò per la cura dei malati di peste, di cui lui stesso fu vittima.
San Domenico veniva invocato ogni volta che in un cespuglio si sentiva un fruscio "San Dumineche mè aiuteme tu!" . Poteva trattarsi di una vipera e il Santo proteggeva dall'eventuale morso di qualsiasi serpente.
Dopo cena il corso si riempiva di gente, paesani e "frastieri"; ai lati si mettevano le bancarelle dei venditori di lupini e "nucèll" (noccioline), dei giocattoli, de "lu gelatare", del tiro a segno con il fucile ad aria compressa del famoso "Zi Giuvann" con un cappello da ammiraglio eternamente imbronciato perchè tutti stuzzicavano la sua inseparabile scimmietta apostrofandola con "scimia cula pelate, scimia cula pelate".
Nei pressi del viale si collocavano le giostre dei cavalli di cartapesta per i piccoli e quelle con le sedie per i grandi.Verso le nove cominciava lo spettacolo musicale su una cassa armonica a cupola riccamente decorata e illuminata da migliaia di piccole luci colorate. Alla banda, in abito di gala, si univano i cantanti lirici e il direttore di orchestra.Bisogna dire che, nonostante la bravura degli artisti e il repertorio eseguito (Verdi, Rossini, Bellini,…) ben pochi ascoltavano con interesse l'esibizione. Tutti gli altri o erano distratti, o chiacchieravano ad alta voce, qualcuno sbadigliava, i marmocchi assonnati frignavano in continuazione. Addirittura una volta un tizio un po' alticcio, durante la pausa, ebbe l'ardire di pretendere: "Maestre, baste che ssì stupedaggene che fa menì lu sonn, nu vulème sendì le bell canzunètt: Lu cardìll, Lu passarièll".
Insomma non era il clima adatto per un concerto lirico. Comunque sia, ad un certo punto la prassi esigeva che una bambina facesse omaggio di un mazzo di fiori al maestro. Allora tutti i bandisti si alzavano in piedi ed eseguivano "La leggenda del Piave". Cosa c'entrasse la I° guerra mondiale con i fiori, non si è mai saputo.

La moda dei cori

Negli anni '60 le bande furono progressivamente soppiantate dalle orchestre di musica leggera, che attiravano molta più attenzione ed ascolto grazie alle formose cantanti che, intonate o stonate, garantivano la presenza di una moltitudine di giovani. Però presto ci si accorse che in quel modo la festa si riduceva ad uno spettacolo serale e notturno; la mattinata non era più ravvivata dalle note della banda, sembrava un giorno come gli altri.
Allora qualcuno ricorse ad un palliativo: siccome per mancanza di fondi, non si poteva usufruire contemporaneamente di un complesso bandistico e di un 'orchestra, si utilizzò la cosidetta “ciabbòtt” formata da sette, otto pensionati che per quattro soldi, con una grancassa, un tamburo, i piatti, una tromba e un clarinetto, facevano un po' di chiasso suscitando più pena che ilarità. Ma anche le orchestrine ebbero vita grama poichè, udite! Udite! le cantanti con i loro abiti succinti, facevano insorgere cattivi pensieri nei giovanissi, almeno così ritennero le autorità ecclesiastiche delle varie curie. I numerosi "pigliatori di feste" rischiarono all'improvviso di ritrovarsi sul lastrico, ma così non fu, sia perchè cominciarono a prendere piede le feste dell'Unità, sia perchè diedero impulso ad uno spettacolo nuovo: i cori folcloristici, che non provocavano certo scandalo dal momento che,le donne indossavano vesti lunghe fino alle caviglie.
In poco tempo spuntarono cori come funghi in tutto l'Abruzzo.
Bastavano una decina di ragazzi con cappellacci del nonno e altrettante ragazze con sottane della nonna e una fisarmonica. Ma subito si resero conto che lo spettacolo esibito era "una minestra riscaldata" a base di campanelle tintinnanti, masserie abbandonate e contadinelle dal cuore infranto, il tutto condito con una musica sciatta, melensa e sempre uguale.
Una volta capito che l'esibizione di ragazze in costume da bagno non era più scandalosa, si tornò ai complessi di musica leggera, con buona pace dei bigotti e con la soddisfazione di tutti gli altri.