ALESSANDRO

TETI

TORRICELLA PELIGNA NEGLI ANNI 50 & 60

 

 

LA PRIMA COMUNIONE

"Oh che giorno beato, il ciel ci ha dato..." Così cantavano i ragazzi, quando facevano la Prima Comunione, avviandosi in fila dall'asilo alla chiesa, accompagnati dal folto gruppo di parenti. Le bambine vestivano di bianco e portavano in mano un mazzo di fiori; invece i maschi indossavano il classico abito, la camicia e la cravatta, quella con l'elastico, volgarmente det¬ta "taiafréne". A1 braccio pendeva un bel fiocco bianco con fran¬ge dorate e con il simbolo dell'eucarestia. Per i più si trattava del primo vestito della loro vita e doveva durare, come minimo fino alla Cresima, per questo i genitori così esortavano i sar¬ti del paese: "Faile bèll comede ca chiss é carn che crésce!".
Se qualcuno ha voglia di osservare una vecchia foto di quel giorno lontano, avrà l'occasione di notare che le falde della giacca calavano fin quasi alle ginocchia. Ma i vantaggi erano indiscutibili: un simile vestito si poteva indossare per diversi anni, in tutte le occasioni solenni: Natale, Pasqua, S. Marziale, d'inverno e d’estate, con il sole e con la pioggia e, se conser¬vato con la nafialina, andava bene fino alle soglie della chia¬mata alle armi. Un altro canone sancito dalle abitudini ormai consolidate, era che il vestito dovesse essere di lana "Tand a Turecéll fa sole nu pare di misce de call, lu rièst fa sèmbre lu frédd!" E già ma la Comunione si faceva a giugno e "lu sudore culave a pisciarell". Per fortuna che in chiesa d'estate c'era (e c'è ancora) quell'invitante frescura che miti¬gava un po' la calura. Prima del giorno fatidico i comunicandi dovevano frequentare un corso di catechismo (la duttrìne) presso 1' asilo infantile e rigorosamente suddiviso in due gruppi: uno per i maschi e uno per le femmine. Si trattava di tenere a mente un centinaio e passa di domande e risposte concernenti tutto lo scibile della religione cattolica: preghiere, comandamenti, atti di dolore, precetti, virtù, opere di misericordia e via di questo passo, insomma era un formidabile mezzo per esercitare la memoria. Ma ovviamente non tutti si piegavano al cruccio di perdere il proprio tempo per imparare argomenti di cui oltretutto capivano poco o nulla, nonostante la pazienza delle catechiste e l'incentivo del voto. Fatto sta che al termine delle lezioni tutti, addottrinati o no, superavano l'esame finale. Ma non era finita, infatti tre giorni prima di ricevere il sacra¬mento, bisognava trascorrere un periodò di ritiro presso l'asilo durante il quale non era consentito aver contatto alcuno con gli estranei, per non essere indotti in tentazioni peccaminose. Penultimo atto del cerimoniale: la confessione. Si suol dire: "Chi è senza peccato, scagli la prima pietra". Dunque si partiva dal presupposto che tutti erano peccatori, quindi fuori la verità! Ma siccome nel novero dei Comandamenti difficilmente si trovava¬no delle inadempienze (anche per l'incomprensione dei termini, ad esempio NON FORNICARE aveva qualche attinenza con le formiche?), ecco che le catechiste venivano in ausilio dei penitenti suggeren¬do i peccati; ho detto le bugie a mia mamma, ho mangiato la mar¬mellata di nascosto, ho detto una parolaccia alla mia compagna, ho fatto la spia... In breve, gratta gratta, anche dalla più candida delle fanciulle veniva fuori qualcosa di cui chiedere venia. A1 termine della confessione i ragazzi si domandavano a vicenda quanti pater, ave e gloria gli erano stati imposti; dal numero si poteva arguire qual era la gravità delle malefatte.
La cerimonia religiosa era molto suggestiva ed anche commovente, diverse mamme, nonne, zie non riuscivano a trattenere le lacrime nell'attimo in cui i propri ragazzi assumevano per la prima volta l'ostia consacrata. I1 pranzo a casa era piuttosto parco e con po¬chi invitati, non solo per le ristrettezze economiche, ma soprat¬tutto per rammentare che il giorno della Prima Comunione doveva essere principalmente una festa dello spirito, non a caso anche i più diavoletti in quell'occasione diventavano dei mansueti angioletti. I1 poneriggio, finalmente liberi dai pesanti ed ingom¬branti vestiti, i ragazzi potevano scaricare la tensione accumula¬ta nella mattinata e parlavano soprattutto dei regali ricevuti: qualche braccialetto, gli orologi erano scarsi perché si aspet¬tava la Cresima per riceverli dai rispettivi compari. Molti erano invece i doni in denaro, una rarità per quei tempi, perciò bene accetti. Chi racimolava dieci mila, chi venti mila li¬re; di questi soldi, una parte si spendeva per far fronte alle com¬pere sostenute da poco o per il materiale scolastico, la parte residua finiva in buoni postali fruttiferi, nell'attesa che, col passare degli anni, si rimpinguassero sempre più. Campa cavall¬o…