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di Michele Serra 
Data di pubblicazione: 10/09/2002

Un autore anomalo e spiazzante che seduce per il suo modo di farci sentire complici

Un lettore apre il nuovo, esile Baricco (Senza sangue, Rizzoli, pagg. 105, euro 10), si ritrova in mezzo alla scena madre di un western all'italiana, ha la precisa sensazione che un pretesto o un contesto varrebbe l'altro, si chiede perché non Chinatown o Capri, si sente quasi urtato dalla spavalda determinazione con la quale uno scrittore lo porta a spasso in luoghi e situazioni in fondo straletti e strascritti (e stravisti al cinema), una fazenda polverosa, gente che spara, bambini spaventati nascosti nelle botole, si chiede perché mai sta leggendo quel libro, e perché proprio quel libro è stato scritto...

Questo fatidico "perché?", nella maggior parte dei casi, è la domanda che mette fine alla lettura. Con Baricco funziona al contrario: l'incipit della sua storia è così arbitrario, e in fondo ingenuo (quasi "era una notte buia e tempestosa") che viene naturale sospettarne una funzione recondita. Dopo poche pagine smetti di dirti "non me ne importa nulla di questi tizi che si sparano", e magari controvoglia apri un credito in favore del racconto, e dello scrittore: "e va bene, sei riuscito a incastrarmi, adesso voglio assolutamente capire a che cosa ti servono, e a che cosa mi servono, questi tizi che sparano".

Non so spiegare bene - non sono un critico letterario - come funzioni esattamente questo meccanismo di seduzione. Come, cioè, pochi ingredienti classici, perfino scontati, riescano a scatenare in chi legge l'urgenza di sapere come va a finire la storia. Fatto sta che in Senza sangue questo meccanismo mi è sembrato infallibile: mano a mano che il racconto si dipana te ne senti prigioniero, e che il finale sia poi un grandissimo finale, emozionante e asciutto, è in fondo solo un lussuoso "di più", perché il gradimento del lettore è già garantito dalla spontaneità e dal piacere con il quale si segue la trama.
Questa capacità (così rara tra gli scrittori italiani) di costruire storie, di architettare le frasi e i capitoli in strettissima connessione con le esigenze del racconto, e di nient'altro, fa di Baricco uno scrittore anomalo, e spiazzante. Una critica surciliosa tende a declassarlo a intrattenitore di lettori non troppo pretenziosi, e magari sub-colti. Ad abile sceneggiatore per pubblici di massa che sgranano gli occhi di fronte a un "esotico" che li sprovincializza (i personaggi di Senza sangue hanno nomi ispanici). Ma che sia davvero un declassamento non è affatto certo, così come non è certo che la narrativa non debba e possa avere, tra i suoi scopi, anche quello di riempire bravamente il (lungo) spazio che separa un inizio da un finale. E poi: non ci si può lamentare sempre dei bassi metodi e dei bassi linguaggi con i quali si tenta di pascere gli appetiti allargati del pubblico, e poi prendersela con uno scrittore-divulgatore che comunque riesce a cambiare, in molto meglio, i termini del dibattito: non è la "scrittura popolare", è la popolarità della scrittura ciò che preme al Baricco scrittore quanto al Baricco affabulatore televisivo.

Baricco ha fama di star letteraria, e conseguentemente di scrittore narciso, per via di certi trascorsi televisivi (ottima televisione e ottima divulgazione, tra l´altro) e di un aspetto fisico sinistramente adatto a compiacere il pubblico della narrativa, che come è noto è in buona prevalenza femminile. Per paradosso (o forse per compensazione), nei suoi libri la persona-scrittore è del tutto impercepibile. Ha la forza di fidarsi così ciecamente della storia che sta raccontando da lasciarle l'intero campo, e se così tanti lettori lo amano è forse perché giudicano amabile, e anche umile e intelligente, questo suo farsi puro strumento del racconto. Le poche sbavature di questo libro (alcune allusioni non molto necessarie ai massimi sistemi e al "senso della vita", messe in bocca a personaggi che forse non ne avvertono l'urgenza) paiono sortire da qualche residua esitazione di Baricco circa la natura del suo lavoro: come per dimostrare che, volendo, saprebbe anche spostare la scrittura su terreni "alti".
Non ne ha alcun bisogno. Il suo talento (alto) è nella capacità di catturare l'attenzione, convincere il lettore che non è tempo perso, e condurlo fino al termine di una storia. E´ un talento non comune, frutto di tecnica e di profonda conoscenza dei meccanismi della narrazione. Il largo successo dei suoi romanzi, non solo in Italia, dimostra che il piacere della lettura dipende anche, se non soprattutto, dalla sensazione non statica, non mortificante, di imparare una storia della quale cento pagine prima non sapevi nulla, e cento pagine dopo è anche tua.

Naturalmente, questa acquisizione non è uguale per tutti - non a tutti piacciono le stesse storie. Uguale per tutti, però - specialmente per chi diffida dell'oscurità della letteratura, e se ne sente inferiore, e complessato - è la gratificazione di sentirsi finalmente complice della scrittura. Questo aspetto magari accomodante, ma voluto e cercato fino al virtuosismo e all'esercizio di stile, ha attirato su Baricco qualche accusa di furbizia. Diciamo che ci sono furbizie ben più perniciose. E che riuscire a costruire attenzione, interesse e anche passione attorno ai libri (non solo i propri) è comunque un bell'esercizio di stile.

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