OceanoMare_Home PageAlessandro Baricco >> Biografia e Bibliografia

Home > Ipse scripsit (scritti da Baricco) > Miscellanea

___ MENU ___ Il nostro valzer di fine secolo 
  News
> Community
>
Ipse scripsit
> Interviste
> Speciali
> Totem
> Holden
> Opere

   » City
   » Seta
   » Novecento
   » Oceano Mare
   » Castelli di Rabbia
   » Altre opere
   » Articoli vari...
> Bio e Bibliografia
           ___

> E-mail
> Cerca nel sito
> Link 
> Mappa
> Disclaimer
> Ringraziamenti
> Su questo sito...

           

Alessandro Baricco
Data di pubblicazione: 03/01/99
La Repubblica

Il mondo dei teatri lirici ha le sue innocenti tradizioni. Una vuole che in vista del Capodanno si metta in cartellone Die Lustige Witwe, La vedova allegra. Champagne e feste tutto il tempo: il nesso è innegabile. Quest' anno c'è cascata, tra gli altri, l' Opéra Bastille, a Parigi, che per tutto dicembre, compresa una spiritosa recita la sera del 31, ha messo in scena il capolavoro di Franz Lehár. Adorno la considerava, senza mezzi termini, musica leggera. Immagino che, in quanto tale, non prendesse in considerazione l'eventualità di ascoltarla. Non sapeva cosa si perdeva (sapeva però un sacco di cose indubbiamente più importanti).

Se uno non ha fondato la Scuola di Francoforte, in genere non può non amare la Vedova Allegra. Leggerezza in stato di grazia, stupidità al top dell'eleganza. Il vuoto assoluto, ma quello che rimane nella stanza quando il Tutto va un attimo in bagno. Un vuoto geniale.

Lehár lo confezionò con una musica che non la smette mai di danzare, e quando proprio vuole lasciare il segno prende la via maestra del valzer, scollinando qualsiasi dolore e o intelligenza, e immettendo l'umanità tutta giù per la discesa di quel fatidico tre quarti, irresistibile piano inclinato per gaie apocalissi. Lippen schweigen/ ' s flüstern Geigen/ Hab mich lieb! (le labbra tacciono/ i violini mormorano/ Amami!): c'è una melodia più esatta per andare, con classe, in malora?
La cosa più allucinante, e in definitiva affascinante, della Vedova allegra è la data in cui andò in scena per la prima volta: 1905. L' Impero di cui sarebbe rimasta insuperata icona stava, per l'appunto, andando in malora, lento a morire come il vecchio Imperatore dei romanzi di Roth, e feroce come l'ultima Unione Sovietica. Ma quel che più importa: mancavano nove anni - la miseria di nove anni - all'esplosione della Prima Guerra Mondiale, cioè di quella che Hobsbawn ha definito la più feroce guerra della storia dell' umanità, e Vonnegut (uno scrittore americano mattacchione) il primo tentativo, fallito, fatto da questo pianeta di suicidarsi (il secondo, dice lui, è stata la Seconda Guerra Mondiale: fallito anche quello; si attende la terza per vedere come va a finire). Ripeto: nove anni. Stavano sull'orlo dell'Apocalisse e cosa gli viene in mente di fare? Lippen schweigen, 's flüstern Geigen. Com'è possibile? Non si accorgevano di niente? C'era uno sciopero dei giornali durato anni? A Vienna erano tutti ubriachi? Possibile che non si accorgessero della polveriera su cui stavano ballando il valzer?
Possibile. Me l'ha spiegato un libro.

Il libro si intitola La nuova colonizzazione, è uscito da poco per Baldini & Castoldi, e raccoglie i resoconti vari di testimoni che, o perché reporter o perché impegnati in associazioni di volontariato, hanno visto coi loro occhi certe significative pieghe del nostro Impero: non di quello austro-ungarico, del nostro: il ridente villaggio globale dove l'Occidente trionfatore coltiva la propria opulenza. Così, in quattrocento pagine, si incrociano Guatemala, Corea del Nord, Sudan, Algeria, Afghanistan, Brasile, Croazia, Irak, Congo, Albania, India e così via: in un lieto catalogo del dolore che la colonizzazione prima, e le nuove colonizzazioni adesso, hanno contribuito a generare in giro per il mondo, inseguendo, a nome dell'Occidente vincitore, l'elettrizzante sogno della globalizzazione. In genere, per globalizzazione si intende la curiosa circostanza che ti vede a Bangkok mangiare per due lire lo stesso hamburger che fanno in Connecticut, confezionato in una scatoletta fabbricata in Perù, e commercializzato da una ditta a capitale misto franco-giapponese: uno scanzonato collage. I curatori del libro - quelli dell'UNA, un'associazione che riunisce sette organizzazioni italiane di solidarietà internazionale - si sono fatti un' idea diversa: la globalizzazione è il dominio dei paesi ricchi esteso ovunque può essere utile, a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo. Abbastanza una schifezza. Che accade tutti i giorni, ogni giorno dell'anno.

E noi? Noi balliamo il valzer. Possibile? Possibile.

L'Impero austro-ungarico metteva insieme, sotto il tallone viennese, dodici Paesi e diciannove nazionalità diverse. Non ci voleva molto per prevedere una catastrofe. Quelli della Vedova allegra ci ridono su. Si inventano un regno che si chiama Pontevedro (vaga assonanza con Montenegro) e se lo immaginano in bancarotta: tanto da far dipendere la propria salvezza dal patrimonio di una volubile vedova. Allegra. Tutto si risolve tra una festa all'ambasciata e l'altra, tra corna reali o presunte, e grisettes parigine che danno un tono all'ambiente. In caso di sussulti dell'intelligenza o di nostalgie mitteleuropee, si indica Chez Maxime, accogliente locale parigino, come ideale linimento e definitiva cura. Alla fine chi si ama se lo dice: Lehár stacca note memorabili, e gli amanti ballano. Valzer. Commozione in platea.

Possibile? Possibile.

Sentite questa: hanno scoperto, come si sa, che produrre un paio di scarpe in estremo oriente invece che in Colorado costa meravigliosamente meno: niente sindacati, molta fame, salari minimi. Non si fa direttamente (è poco carino), si subappalta a una ditta locale. Contenti tutti: là lavorano e quindi mangiano, qui le scarpe costano meno e il mercato si moltiplica. Prodezze della globalizzazione. Ora prendiamo la Nike. Ogni anno dà a Michael Jordan, perché continui a farci sognare le sue scarpe, 20 milioni di dollari. Bene: sapete quanti anni dovrebbe lavorare un lavoratore indonesiano per portare a casa la stessa cifra, lui che le scarpe le fa? 23 mila anni.

Lippen schweigen, 's flüstern Geigen.

La Vedova allegra bisogna andare a vederla al Theater an der Wien, poco fuori dal Ring, a Vienna. Gli orchestrali l' hanno suonata talmente tante volte che si portano da casa delle riviste e le tengono sul leggio, e le leggono quando sul palco si recita e non si canta. Però, quando il comico in scena improvvisa, loro si alzano, perché sono giù, in buca, e da lì non vedono bene, e ridono come matti, applaudono, fanno commenti a voce alta. Poi, con gli occhi ancora pieni di lacrime dal gran ridere si risiedono e attaccano il valzer d'ordinanza, alcuni un po' in ritardo perché sono ancora lì a riporre il fazzoletto con cui si sono rumorosamente soffiati il naso, e naturalmente staccano un 3/4 che solo loro sanno fare così, al mondo, con un rubato dentro e subito dopo un ralenti che non c'è modo di imparare, o ce l'hai o te lo sogni e basta. A Lippen schweigen, 's flüstern Geigen si commuovono. Sempre. Ne sono sicuro.

Qualche altro bel numerino? Bene. Nell'allegro villaggio globale di cui siamo fieri gestori, i bambini muoiono di fame. Questo si sapeva. Vogliamo provare a quantificare? Contano solo quelli sotto i cinque anni, sono 13 milioni all'anno. Di fame, non di altro. Solo di fame. Quelli che lavorano (i bambini non dovrebbero lavorare, dovrebbero giocare) sono 250 milioni. Via col valzer.

E parliamo un po' di guerra e pace. Quelli delle organizzazioni di solidarietà se ne intendono. La storia degli americani gendarmi del mondo non l' hanno bevuta. Non fabbricano pace, dicono: difendono risorse e mercati. Non so se hanno ragione, non ho le prove. Però mi ha colpito un'altra loro osservazione. Le sanzioni economiche, espediente per costringere alla pace, molto amato dai pacifisti e dai politici di buona volontà. Quelli della Croce Rossa internazionale si sono messi a studiare che effetti, realmente, hanno. Risultato: c'è un solo caso in cui si possa dire che siano servite a qualcosa: il Sud Africa. In tutti gli altri casi, quello che sembra evidente è che gli embarghi economici non fabbricano pace ma schiacciano le fasce deboli della popolazione. Irak: il reddito pro capite, nell'88, era di 355 dollari. È sceso a 65 nel '91 e a 44 nel '92. Hanno fatto dei calcoli, che prenderei con le pinze ma completamente sballati non saranno: il numero dei morti in Irak per conseguenze dirette dell'embargo è di gran lunga maggiore di quello delle vittime civili durante l'operazione "Desert storm". Meglio bombardare, allora? No. Meglio difendere un principio che non mi sembra pellegrino: "l'imposizione di sofferenza alle popolazioni civili è un mezzo inaccettabile per l' ottenimento di fini politici, non importa quanto lodevoli".

All'Opéra Bastille, invece, non era come a Vienna, era tutto molto triste. Brutta regia di Lavelli, orchestra che non ne sa nulla di gaie apocalissi, pubblico serio come al Parsifal. La Vedova e Danilo neanche ballavano, a Lippen schweigen: ma si può? Per i melomani: la vedova era Frederica von Stade. Curiosa illusione ottica: guarda te come finisce Cherubino, a lasciargli solo il tempo.

Dunque il titolo è: Le nuove colonizzazioni. Provate. Non è per il piacere di sentirsi cattivi, la Storia non è così semplice, non è mai solo colpa nostra. È per capire su cosa stiamo ballando, con maestria e leggerezza, con del genio, alle volte, niente da invidiare a Lehár, per essere franchi. Anche noi abbiamo i nostri valzer, e ballarli da dio forse fa parte del nostro dettato, ma: sotto il parquet, è guano. Don't forget, please.

La Repubblica, 3 gennaio 1999.

Grazie a questo sito, tramite cui ho potuto reperire questo articolo.

_____________________________________

Home :: News :: Community :: Ipse scripsit :: Opere :: Interviste :: Totem :: Holden :: Speciali :: E-mail :: Ringraziamenti  :: Mappa :: Disclaimer :: Link

 Français :: English : Deutsch

Ultimo Aggiornamento_Last Update: 10 Nov. 2001