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Alessandro Baricco
Data di pubblicazione: 17/09/02

City Reading Project
È un reading, non una regia. Leggerò da 'City´, scritto per una voce narrante ideale"

Adesso gli amici mi incontrano e mi dicono «Cos´è questa storia che fai una regia teatrale?» Ma in realtà non è proprio così. Cioè, non è affatto così. Provo a spiegare. 

Intanto è un reading. Uso la parola inglese perché quel gesto lì (un autore che legge i propri libri in pubblico) continua a essere un gesto soprattutto anglosassone. Da noi usa meno. Dunque, un reading. E per la precisione un reading di alcune pagine di City. Mentre scrivevo quel libro pensavo spesso che leggerlo a voce alta sarebbe stato l´ideale.

Così quando il Festival Romaeuropa mi ha offerto uno spazio per fare «ciò che volevo», prima mi son venuti in mente un paio di progetti deliranti, poi ho pensato che era l´occasione buona per leggere a voce alta il western di City, e magari anche qualcosa della storia di boxe, e se me lo lasciavano fare un paio di lezioni del prof. Mondrian Kilroy. E lì la cosa ha cominciato a complicarsi.


Dopo cinque anni di Totem in giro per teatri italiani, io la mia idea di cosa debba essere letto a voce alta e in pubblico me la son fatta. E la riassumerei così: non c´entra niente con il recitare un testo, ha molto a che fare con il raccontare una storia. E poi: non è teatro ma può usare alcune armi del teatro (luci, suoni, spazi, movimento). In un certo senso ho ereditato dall´esperienza di Totem un´idea allargata del concetto di reading: qualcosa che sta prima del teatro ma al di là del semplice aprire un libro e leggere. Non che io sappia esattamente di cosa sto parlando: è giusto l´intuizione di uno spazio che ho scoperto facendo Totem e che riamane ancora da esplorare. Il lavoro che farò per il festival Romaeuropa è per me proprio questo: andare a vedere cosa c´è laggiù. Magari non troverò niente. Magari verrà fuori qualcosa di emozionante. E´ una cosa un po´ a rischio. Per cui andava fatta. 
In pratica, sul palcoscenico ci saliranno altre voci (la mia ci sale solo una sera), alcune di attori, altre di non-attori. A loro chiederò di leggere, e, per favore, di non recitare (si può chiedere a un attore di non fare l´attore? Vedremo). Tanto per facilitarmi le cose ho fatto un casting per trovare qualcuno che fosse abbastanza selvaggio o bravo da suonare la propria voce in un modo già un po´ vicino a quello che ho in mente io. E per fortuna mi sembra di averli trovati. È un po´ dura convincerli che un intero teatro può rimanere senza fiato davanti a uno che si limita a leggere: ma fanno finta di credermi. Per aiutarmi a lavorare con loro ho chiamato Lorenza Codignola, lei sì regista vera e propria. È abituata a lavorare con i cantanti d´Opera: di anomalie se ne intende.


Poi ho scelto la musica. Nel senso che porterò dei musicisti a suonare sul palco, insieme alle voci. Ho scelto gli Air perché sono andato a un loro concerto, a Milano, e son rimasto secco. C´era, dentro quella musica, un´idea di tempo che mi sembrava vicinissima al tempo, anomalo, della lettura ad alta voce. Tutto il resto c´entrava meno, a cominciare dal numero di decibel che mi stava aggredendo, ma se il tempo è lo stesso il più è fatto. E così verranno anche loro. E poi ho scelto Giovanni Sollima perché avevo ascoltato alcune cose sue in cui musica e voce recitante erano fuse insieme in un modo che mi sembrava geniale. E poi è uno che costruisce emozioni. Non sta lì a far arabeschi di intelligenza per scienziati dei suoni. Fa musica, nel senso più completo. Sono felice che, nel gruppo, ci sia anche lui.


Poi c´è la faccenda del movimento. Va be´ che quelle voci sono soprattutto strumenti che suonano parole, ma alla fine sono anche persone fisicamente presenti lì sul palco, e pensarle impalate come statue non è bello. Per cui il problema è studiare un´idea di movimento, per loro. Dato che in quel genere di cose non ho il minimo talento, ho chiesto di lavorare con me a Raffaella Giordano, che è ballerina e coreografa. Con questo non voglio dire che quelle voci, là sopra, balleranno. Lo escludo. Ma cercheremo di individuare per loro un modo di essere fisicamente là sopra che c´entri qualcosa con il gesto che stanno facendo.

Dato che a tutto questo va aggiunto l´uso delle luci e la presenza di un impianto scenografico, la gente, giustamente, si chiederà che differenza c´è, allora, con il teatro vero e proprio. Ecco una domanda di cui conosco la risposta senza essere in grado di pronunciarla. Mi sa che in casi come questi le parole contano poco: meglio fare le cose e la gente capirà. O non capirà e allora hai sbagliato. Si vedrà. Non è una situazione diversa da quella che, ricordo, ha accompagnato la nascita di Totem: Vacis, Tarasco e io sapevamo cosa stavamo per fare, ma non riuscivamo bene a spiegarlo agli altri. Adesso posso dire che la gente ha capito. Non so perché, ma mi viene da pensare che anche questa volta succederà la stessa cosa. 

La Repubblica, 17 settembre 2002