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Alessandro Baricco
Data di pubblicazione: 15/01/02
La Repubblica

Due tipi di piaceri ci arrivano dalla lettura: uno nasce dal gusto di seguire una vicenda con il lieto fine, l'altro è più sottile e si lega alle trasformazioni dei personaggi. 
Una conversazione con Franco Moretti, grande esperto del genere romanzesco.
Considera la lettura una "passione tranquilla", capace di essere sempre di moda Un tempo faceva effetto che qualcuno raccontasse storie totalmente inventate, oggi la lunghezza delle frasi si è dimezzata, potenza della televisione.

Una volta ho letto una elegantissima definizione del piacere di leggere: una passione calma. L'ha scritta Franco Moretti e per accompagnare l'uscita della Biblioteca di Repubblica la cosa migliore mi è sembrata fare una breve chiacchierata con lui: tra quelli che studiano i libri è, in questo momento, una delle voci più intelligenti e meno banali.

Alessandro Baricco_ L'avventura del romanzo - La Repubblica, 15 gennaio 2002, p.41

 E' il curatore de Il Romanzo, la grande opera in cinque volumi che l'Einaudi ha iniziato a pubblicare qualche mese fa. Tra i suoi libri, Opere Mondo, bellissimo.

Studia e insegna all'Università di Stanford, ma la cosa credo sia piuttosto casuale: non ne dedurrei niente circa la fuga dei cervelli italiani all'estero. " A dire il vero quella definizione l'ho copiata da un economista, Hirschmann. Lui la usava per definire l'ethos commerciale della borghesia tra 600 e 700. Una passione tranquilla. Un bell'ossimoro".

Come passione è una faccenda antica o è un'invenzione dei borghesi ottocenteschi?
"No, si può dire che ci sia da sempre. Già con i primi romanzi ellenistici, era così. Se no, uno come Giuliano l'Apostata non si sarebbe preso la briga di tuonare contro i romanzi e chi li leggeva".

Perché per secoli ce l'hanno avuta tutti con il romanzo?
"Perché leggerlo era un piacere, e il piacere non era ben visto dalle istituzioni. E poi perché la letteratura era fatta di menzogne. Adesso noi ci siamo abituati, usiamo la magica parola fiction: ma un tempo faceva effetto che qualcuno intrattenesse la gente raccontandole delle storie inventate, completamente false. Era una cosa destabilizzante".

Tu tornavi a casa e trovavi tua moglie imbambolata a leggere di principesse e cavalieri...
"Più o meno".

Destabilizzante.
"Già".

Secoli a demonizzare i libri e poi adesso a lamentarsi che nessuno legge.
"Non è che proprio li demonizzassero tutti".

No?
"Per dire: mentre Giuliano l'Apostata tuonava, c'erano addirittura dei medici che teorizzavano le facoltà terapeutiche della lettura".

Per curare cosa?
"L'impotenza".

Ah.
"Hanno trovato i documenti, non è uno scherzo".

Probabilmente pensavano alla letteratura erotica.
"Probabilmente".

Rifaccio la domanda: secoli a demonizzare i libri e adesso a lamentarsi che nessuno legge.
"Nessuno legge?".

Dicono.
"Mah".

Possibile che la "passione calma" sia passata di moda?
"A me sembra che resista. Voglio dire: non è invecchiata. Quel che si può dire è che ha molta concorrenza. Si amavano i romanzi per il piacere di seguire un intreccio, e adesso quel piacere è offerto dal cinema. Così come la televisione ha preso su di sé il fascino del racconto a puntate, un genere su cui Balzac o Dickens fecero la loro fortuna. E poi l'elettronica, lei pensi ai videogames, narrazioni anche quelle...".

Eppure il libro resiste.
"Ha resistito benissimo. Il suo successo è coinciso con l'alfabetizzazione di massa: ancor oggi vive della forza di quella straordinaria avventura collettiva. Bisognerà vedere quando passerà la prossima alfabetizzazione, quella che probabilmente insegnerà a tutti a usare i computer. Allora non lo so cosa succederà. Ma è ancora lontano. Qui all'Università iniziano ad arrivare solo adesso dei giovani che hanno sostituito, integralmente, il libro con uno schermo. E non sono poi tanti".

Ma leggere è mai stato, davvero, un gesto popolare, realmente diffuso? Per esempio, nell'Ottocento, quanti erano a leggere romanzi?
"E' difficile dirlo. Le cifre sono traditrici, perché c'erano quelli che leggevano, ma c'erano anche moltissimi che ascoltavano leggere. Magari non sapevano nemmeno leggere, ma qualcuno lo faceva per loro, ad alta voce. Quelli che facevano sigari nelle fabbriche cubane lavoravano mentre qualcuno gli leggeva Il conte di Montecristo: nelle statistiche dove sono?".

Va be', ma un'idea vaga la si avrà, no?
"Diciamo che probabilmente a leggere romanzi era il 30, 40 per cento della popolazione. Non so se questo significa che era un gesto popolare. Certo in America, per tutto l'800, i romanzi non raggiunsero la diffusione che avevano i sermoni. Voglio dire: un successo veramente popolare, tipo quello della televisione oggi, è un'altra cosa".

A parte la bella definizione di "passione tranquilla", lei come lo racconterebbe il piacere di leggere un romanzo?
"Io credo che ci siano fondamentalmente due tipi di piacere. Il primo nasce dal gusto di seguire una vicenda in cui i personaggi restano sempre uguali, ma una serie di ostacoli esterni ne rimanda la felicità. Felicità che poi spesso è sintetizzata nell'unione amorosa. Ecco, quello è un tipo molto particolare di piacere. Dà una certa sicurezza, perché i personaggi sono come certezze intoccabili: è il mondo, poi, che li tratta male, e nemmeno per sempre".

Secondo tipo?
"Un po' più sottile. E' il piacere di assistere alle trasformazioni di un personaggio. Trasformazioni magari anche in peggio, non importa. Il bello è vederlo cambiare, crescere, diventare qualcun altro. Direi che è un piacere soprattutto ottocentesco: e non ha mai veramente soppiantato il primo".

Guardando la lista dei libri di Repubblica, mi fa un esempio di quel piacere lì?
"Dedalus... o Il giovane Törless".

E esempi del primo tipo?
"Beh, è più difficile... questi sono tutti libri del Novecento... forse Cent'anni di solitudine, benché in un modo molto particolare".

E come lo racconterebbe tutto quel che è successo nel Novecento?
"Diciamo che per un bel pezzo del 900 il piacere della lettura si è perso per strada. Provo a sintetizzare?".

Provi.
"Come diceva Schönberg: venne in mente che si poteva provare a creare un ordine, nella scrittura, senza ricorrere ai compromessi che erano imposti dall'imperfezione dei nostri sensi. Le Avanguardie furono quello: il tentativo di saltare la nostra imperfezione e ripristinare l'oggettività del materiale. Naturalmente ne vennero fuori libri quasi illeggibili, ma non per questo inutili. A tanti anni da quegli esperimenti, resta la forza di un sogno geniale: fare un salto al di là dei sensi, delle regole della nostra percezione. Saltare di là e vedere che cosa accadeva. Una bella avventura".

Esempi?
"La Trilogia di Beckett, Aragon, naturalmente Joyce".

Nella lista non ci sono.
"No, non ci sono".

Quando l'ha letta, la lista, cos'ha pensato?
"Beh, innanzitutto che mancavano appunto i libri tosti, per così dire. Che so, Tre esistenze di Stein, o Il contadino di Parigi di Aragon, o L'anno nudo di Pil'njak, o anche solo il Rilke del Malte...".

E degli italiani in lista che ne dice?
"Fenoglio!".

Nel senso?
"Nella lista non c'è Fenoglio!".

Non potevano esserci tutti.
"Lo so, lo dico così, è un gioco".

Allora giochi fino in fondo: ci sarà un titolo che l'ha fatta arrabbiare.
"L'amante... la Duras, ma suvvia, non scherziamo...".

Leggere romanzi è un gesto difficile?
"In che senso?".
"No, voglio dire, visto che si fa tanta fatica a far leggere la gente, dobbiamo dedurre che è un gesto difficile, in qualche modo elitario?".
"Beh, leggere Beckett, sì, è difficile. Ma Hammett, o Simenon... No, direi che, anzi, il romanzo da sempre è una delle narrazioni che ha cercato maggiormente di entrare in rapporto con la gente. Ad esempio si è spesso sforzato di usare una lingua standard, a portata di più persone possibili. Certo, magari, nel tempo, le cose sono un po' cambiate. Ma quella ricerca non si è mai interrotta. Posso fare un esempio?".

Prego.
"L'influsso della televisione. Ho letto uno studio di un signore che si chiama Todd Gitlin. Lui ha studiato la lista dei best sellers del New York Times. Quindi non si parla solo di alta letteratura: si parla di best sellers. Beh, è andato a misurare la lunghezza delle frasi: nei libri di 50 anni fa e poi, risalendo, fino ai libri di oggi. Ha scoperto che c'era un'unica fondamentale, differenza: quando la televisione è diventata uno strumento di massa, la lunghezza delle frasi si è dimezzata. Come se i libri si fossero rassegnati ad allinearsi ai ritmi e al battito cardiaco della televisione".

Domanda finale.
"Sì".

E' un po' ingenua.
"Faccia pure".

Un'umanità che legge romanzi è un'umanità migliore?"
Migliore?"
.
Sì... in qualche modo migliore.
"Chissà. Non saprei. Dovessi dire, se penso ai secoli passati, a tutti quelli che non sapevano leggere... la parte di umanità cui non venne permesso di leggere... beh, io sarei stato dalla loro parte, dovendo scegliere, avrei preferito stare con loro. Ho risposto?".

 

La Repubblica, 15 gennaio 2002

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Ultimo Aggiornamento_Last Update: 10 Nov. 2001