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Alessandro Baricco
Data di pubblicazione: 17/08/00
La  Repubblica

Ottimismo, tanti slogan e l'ossessione dei bambini Molte "cose di sinistra" negli interventi dei delegati democratici. Ma in quattro giorni di Convention della pena di morte non ha parlato nessuno

Los Angeles - Parlano, gli automi smerigliati democratici, e, sorpresa, dicono cose di sinistra. Dato che nel loro DNA non c'è la benchè minima traccia di comunismo o socialismo, sono una specie di sinistra vergine. Esattamente quel che sogna di essere la sinistra europea. 

A starci attenti, ti accorgi che la sinistra vergine ha cinque parole d'ordine forti. Le prime tre sono quasi commoventi: assistenza sanitaria per tutti, scuole pubbliche allo stesso livello di quelle private, impegno a disarmare il Paese (non l'esercito, per carità: la gente, quelli che girano con la pistola sul cruscotto). Giuro che, sentite qui, sono cose di sinistra. In Europa farebbero sorridere. Qui no. Le altre due parole d'ordine suonano un po' meno obsolete: difesa dell'ambiente, tutela dei diritti delle donne. Su queste, anche l'Europa sta ancora lavorando. 
A questo pacchetto di buone intenzioni si aggiunge una curiosa posizione sullo Stato assistenziale. Di solito la frase è: dare alla gente una chance per uscire dalla palude, dalla rete, del Welfare. E' Clinton che ha iniziato con questa acrobazia, tipicamente centrista: il Welfare è un dovere, ma anche una trappola. Il disoccupato va aiutato (e da queste parti la cosa non è scontata), ma un disoccupato che vive con i soldi dello Stato è un binario morto, uno spazio bianco, una cellula del Paese immobilizzata. Non basta farla sopravvivere: bisogna rimetterla in movimento. Per il bene suo e del Paese. 
Al di sopra di queste indicazioni, la sinistra vergine usa una trinità di superslogan che fa decollare gli entusiasmi. Il primo è molto americano: dare a tutti, e cioè a ognuno, l'opportunità di diventare ciò che vuole diventare. Suona bene, ma è chiaro che può voler dire di tutto. Infatti è una parola d'ordine anche della destra. Il secondo superslogan è più chiaramente anti-repubblicano: siamo il partito della gente, non dei privilegi. Put people first. Metti la gente davanti a tutto. Scandito bene davanti a una folla di delegati caricati a molla, è una cosa che fa saltare il banco. Comunque, il migliore superslogan è il terzo. Ci si vede dietro la mano di un buon copy. L'ha scandito forte e chiaro Hillary. Leave no child behind. Più o meno: non lasciamoci dietro nemmeno un bambino. Che sembra la frase di un marines pazzo in procinto di radere al suolo un villaggio vietnamnita, ma che in realtà significa: stiamo percorrendo a grande velocità la strada del progresso e della prosperità: facciamo in modo che nessuno dei nostri figli possa rimanere indietro. 
Questa dei children, dei bambini, è, per loro, un'autentica ossessione. Si può dire che infallibilmente, ogni volta che parlano in pubblico, prima o poi, cascano sui bambini. E' come il crepitare di un'antica paura, che continua ad accompagnarli, in modo irrazionale, anche adesso che non ci sarebbe più motivo. E' come se fossero ancora dei pionieri che ogni giorno lavorano come bestie e sanno che creperanno prima di vedere i frutti della semina, e allora guardano i loro figli, e i figli sono il senso della loro fatica, e il fallimento dei loro figli sarebbe il loro fallimento. Non è più così, ma quel modo di vedere le cose è rimasto il loro modo di vedere le cose. Dunque: leave no child behind. 
Dopo ore di slogan così, mi son trovato seduto in bus che mi riportava a casa. Subito fuori dallo Staples Center c'è un enorme quartiere dove vedi solo facce ispaniche. Case cadenti, macchine scassate, giardini spelacchiati. All'angolo tra due strade male illuminate il bus ha rallentato per girare. Era già buio, sera tardi. Lì all'angolo c' è una specie di piccolo parco giochi disastrato. Due porte da calcio, piccoline, fatte con tubi da idraulico e lembi di reti sudicie che penzolano dalla traversa. Cemento per terra, con le erbacce che crescono nelle spaccature. Scheletri di poltrone, intorno, una vecchia coperta, un carrello da supermercato. E dei bambini. Quattro contro quattro, pallone di gomma. Dato che la sola luce è quella, gialla, dell' unico lampione superstite lì intorno, la partita ha qualcosa di surreale, macchiata da zone d' ombra completa: se scatti sull' ala e vai a crossare dal fondo, scompari in un buco nero. Il pallone, in area, ci arriva come sputato dal nulla. I bambini si sono fermati a guardare l'autobus. Io mi sono fermato a guardare i bambini. Leave no child behind. 
Non c'è bisogno di conoscere le cifre per capirlo: basta girare un po' l'America a caso, o imboccare una via di Los Angeles e farla da cima a fondo, per capire che si sono lasciati indietro non qualche bambino, ma un sacco di gente. Non se ne sono accorti, là, dentro lo Staples Center? Oppure lo sanno benissimo, ma si raccontano storie? Certo, più che dei mentitori incalliti sembrano allegroni colpiti da un'ilare amnesia. Con la stessa leggerezza con cui, ad esempio, passano quattro giorni di Convention senza mai citare la pena di morte, o ricordando il Kossovo con ottusa fierezza, con quella stessa noncuranza non riescono a rendersi conto che una significativa parte di ciò che dicono è regolarmente smentita a quattro isolati di distanza: non dico nel terzo mondo; dico dietro l'angolo. 
Così mi è venuto in mente lo svedese. Lo svedese è il protagonista di un romanzo bellissimo di Philip Roth che si intitola Pastorale americana. E' uno da Staples Center. Una specie di Al Gore. Quello che giocava da dio nella squadra di football, e poi ha sposato Miss New Yersey, ha ereditato il lavoro dal padre, è un uomo giusto, legato ai valori americani, ricco ma non con protervia, vagamente di sinistra, onesto, felice, meravigliosamente a posto. Non si allontana mai dal dettato di una corretto e civile cammino. Tutto ciò, per quelli dello Staples Center, è un teorema: scientificamente dovrebbe produrre progresso, prosperità, e una generazione in più di beata America. Roth però è uno scrittore crudele, non un governatore democratico. Così, quello che fa quel libro è raccontare lo sfascio della vita dello svedese, l'inopinato ribellarsi della vita quotidiana all'elementare meccanismo di causa effetto che dovrebbe, da un americano esemplare, far sgorgare un'America esemplare. Il teorema impazzisce, e intorno allo svedese brulicano rovine e domestiche apocalissi. 
Allo Staples Center è pieno di svedesi che si rifiutano di perdere la propria fede nel teorema. I fatti contano poco. Si direbbe che non li vedano neppure. Chiusi nel loro set televisivo, storditi da quella interminabile Domenica in, si ripetono ossessivamente che tutto va bene, e che la replica di se stessi è il progetto per il futuro. Il vice di Gore, Lieberman, uno che ha l'appeal di Dini, ha staccato una frase, nel suo discorso, che la diceva lunga. A un certo punto ha rischiato il salto mortale e l'ha detto: a quarant'anni da Kennedy, noi, di nuovo, abbiamo una nuova frontiera. Arrivato lì era un po' come uno stopper partito in dribbling nell'area avversaria. Ero curioso di vedere come ne usciva. Ma la nuova frontiera, ha proseguito, non è davanti a noi. Ah no? La cosa si faceva sempre più interessante. Dove diavolo può essere una nuova frontiera? Dietro? La nostra nuova frontiera è dentro di noi. Proprio così ha detto. E' dentro di noi. Poi ha detto qualcosa d'altro, ma a me quello bastava. Era esattamente quello che cercavo di capire da giorni, ma non riuscivo a sintetizzare in una frase. Eccola lì la frase. La nuova frontiera è rimanere sul posto, e fare di quel posto un monumento, migliore possibile, ma immobile. L'elettrizzante piano è: tramutarsi in se stessi. 
Cosa può imparare la sinistra europea da un sinistra così? Faccio fatica a capirlo. Penso a quello slogan, leave no child behind, e mi viene in mente che dopo quattro giorni di lavaggio del cervello, di inesausta digestione di un granitico modello di umanità, senza incrinature e senza dubbi, mi sembra più ragionevole uno slogan opposto. Date ai bambini almeno una chance di rimanere indietro. O di scappare di fianco. O di saltare oltre. Inventatevi qualcosa perché crescano con almeno una piccolissima possibilità di pensare che questo non è l'unico mondo possibile. Lasciateli andare. Tanto non la berranno a lungo questa storia che la nuova frontiera è il giardino di cosa vostra, e conquistarla significa tagliare l'erba ogni settimana e non rovinarla quando si fa il barbecue. Prima che arrivino lì con un camion di letame e ve lo scarichino sul vialetto del garage, lasciateli andare.

La Repubblica, 19 agosto 2000.

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Ultimo Aggiornamento_Last Update: 10 Nov. 2001