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Racconti
Un lavoro da improntare
Ultimo aggiornamento: dom 9 novembre 2008

Erano giorni che io ed i miei colleghi aspettavamo questa occasione. Un lavoro di perfezione, faticoso e impegnativo. Dopo vari sopralluoghi in zona, avevamo trovato ogni punto debole dove poterci insediare e cercammo così di lasciare delle piccole impronte apparenti, per  non dare troppo nell’occhio. Una volta rilevata e delimitata l’area d’interesse, avvisammo il nostro capo cantiere per procedere con l’avvio ai lavori. << Bene ragazzi! Se tutto è stato progettato con cura e scrupolosità, domani potremmo iniziare il tutto>>. L’appuntamento era fissato in tarda nottata, quando tutto attorno era fermo ed il silenzio dilagava in ogni dove.  Per quanto era scuro, non ricordavo più neanche se la strada che stavo percorrendo, fosse giusta o sbagliata. Di una cosa ero certo, essere all’altezza della situazione. Mi piaceva molto lavorare con i miei colleghi e giorno dopo giorno, avremmo portato a termine il lavoro. La nostra squadra operativa è stata sempre la migliore sul campo e nel territorio. Riconobbi ben presto le  illusorie impronte apposte durante i rilievi e m’apprestai a svoltare a destra. Tutti erano già pronti con tutine verdi e picconi in mano, ma soprattutto con una grinta da vendere.  Il capo cantiere ci diete gli ultimi accorgimenti. << Attenzione a dove mettete i piedi e anche ai terremoti ed inondazioni. Proteggetevi bene dagli attacchi di vento e imprevisti esterni>>. Io ed i miei colleghi ci guardammo in faccia e un solo sguardo tra noi, bastò per far capire ad ognuno, che l’unione faceva la forza e dopo un rito silenzioso propiziatorio, iniziammo i lavori.  Per prima cosa, sfruttammo le tracce di acido che trovammo depositate sul suolo, per poter sciogliere la superficie. Non lasciammo alcun spazio vuoto. Andammo anche a coprire le impronte precedentemente apposte e che ora non vi erano più. Dopo questa prima fase di lavoro, attendemmo nei giorni a seguire, il crearsi delle fessure nelle fortezze  da insediare. Alcune di loro erano già deboli e compromesse all’esterno e quindi non fu difficile accederci.  Solo qualche piccolo granello di calcio, era rimasto attaccato al terreno, ma non ci metteva paura. Avevamo i nostri rudi metodi per far saltare in aria ogni cosa. Le nostre scorte di acido, erano talmente tante che ci permisero anche di espanderci in nuove zone. Tale cosa infatti non era prevista e anzi era un bene per la ditta, ma sicuramente a noi operai avrebbe portato a fare dei lavori straordinari. Così fu. Nelle notti seguenti, la squadra venne divisa in due parti. Una iniziò a rilevare e nuove zone da insediare e l’altra a terminare i lavori precedentemente avviati. Tutto procedeva benissimo, fino a quando una notte non dovemmo fermarci. Fummo disturbati dai suoni lamentosi di una sirena. Il nostro capo cantiere, pensò ad una retata e quindi ai nostri volti in manette. Il nervosismo tra me ed i miei colleghi cresceva forte e prima di renderci conto di ciò che ci stava accadendo, fummo colti da scosse di terremoto e da un inondazione. Per fortuna eravamo preparati a questi imprevisti e nessuno rimase ferito. Questi attacchi esterni durarono per almeno mezz’ora ininterrottamente e quindi esausti, ci addormentammo, l’uno accanto alle spalle dell’altro. Per quella notte i lavori furono sospesi. Il capo cantiere però aveva visto giusto. L’indomani, ancora tutti assonnati e privi di forze, venimmo attaccati da un ulteriore terremoto, stavolta ancora più potente dell’altro e da altre inondazioni e turbini di vento. Le fortezze conquistate, furono in parte risanate e quelle ormai distrutte, lasciarono il posto a profondi fossati in attesa di costruirci nuovi edifici. Il nemico dal camice bianco, ci aveva scoperto e per noi terminò l’avventura. Ci uccise tutti senza esitazione ed io, anche se invano cercai di sfuggirgli, ma ben presto caddi a terra e abbracciai la morte. Prima però di concedermi alla nera Signora, mi domandai <<Come ha fatto il nemico a scovarci dietro l’impronta che non c’era? Qualcuno aveva lasciato troppi indizi.>>. Sapevamo benissimo a cosa potevamo andare incontro, ma purtroppo è andata così. Questa è stata e sarà sempre l’amara vita di un battere dei denti. Oltre l’impronta che non c’era, ci sono sempre state le carie. Oltre l’impronta che non c’era, ci sarà sempre un dentista.  


La recensione del Salice
Racconto finalista del 3° Concorso Letterario Nazionale indetto dal Salice Narrante.

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