La cultura della castagna

di

TARQUINIO TOLASSI

La presenza a Patrica di importanti ed estese coltivazioni di castagni ha creato, ovviamente, una utilizzazione dei boschi e dei prodotti che hanno portato alla formazione di una serie di atteggiamenti, di mentalità, gesti appartenenti alla cultura ideale e materiale del nostro paese. Si deve parlare di cultura e non di civiltà della castagna perché la situazione economica non è tale da determinare, né ha determinato, una prevalenza di questo prodotto su altri più ampiamente coltivati qui a Patrica. Sul piano strettamente economico e sociologico, al di là di una accertata importanza verbale, non sembra che castagni e castagne abbiano avuto un ruolo dominante, ma hanno occupato uno spazio limitato, anche se nell’arco dell’anno e per alcune famiglie, hanno sicuramente rappresentato un peso molto importante.

  Posizione geo-topografica dei “ colli” di Patrica

 

I cosiddetti colli sono solitamente piccole proprietà, mai superiori ai tre ettari, tutti destinati a castagneto. I castagneti sono posizionati tra i 200 e i 700 metri di altitudine. C’è un solo caso di un piccolo castagneto posto sullo scollinamento di monte Cacume, in direzione sud, a circa 800-850 metri sul livello del mare. Il posizionamento dei castagneti è doppio: da una parte ci sono quelli che si affacciano sulla valle del Sacco e dall’altra quelli esistenti nel bacino della cosiddetta Valle. Il versante nord-est dei Lepini che guarda la valle del Sacco ospita diversi castagneti che terminano con le due macchie poste nel territorio di Patrica, Resignano e Piana, e con quelle al confine con Supino. Queste ultime, che scendono a livelli più bassi, 150-200 metri, sono le rimanenze di estese macchie selvose, disboscate tra il Settecento ed Ottocento. Risalendo verso l’alto colle di Patrica, si trovano altri castagneti nelle fenditure delle valli e nelle zone di più ripido scollinamento. Tutti questi boschi delle basse colline prospicenti la pianura del Sacco, sono soprattutto utilizzati come boschi cedui, infatti sono inframezzati da querce e piante similari da taglio. La parte interna della Valle, con l’esclusione del fondo, caratterizzato da prati, appezzamenti coltivati a vigna e a orto e da alcuni oliveti che si estendono soprattutto sul versante ovest del colle di Patrica, è quasi completamente ricoperta di folti castagneti posti sia al di sopra che al di sotto della strada che conduce a Supino e che raggiungono le quote più elevate, circa 700 metri, col colle delle Ulletta sul versante est dell’altura di Mastro Marco. La zona della Valle è senza dubbio la più ricca di castagneti da frutto ed è quella che ancora oggi produce la maggior parte delle “camiselle” che si raccolgono nel territorio di Patrica. I colli sono i più antichi e, nonostante questo, i meglio conservati perché i meno attaccati dalle malattie, prima fra tutte il “cancro della corteccia”. Oltre a quello delle Ulletta bisogna ricordare altri grossi castagneti: Colle Caino, Molella, Colle dei lupi, Colle Zucono, Fossatone, Colle Cappadozzi, Costa di Luca, Colle Za Liva, Colle Rasimuccio, posti a corona intorno al bacino della Valle, alle propaggini delle alture di Cerasulo, Cretarossa e Lannio. Essi hanno sempre rappresentato una buona fonte di guadagno per tante famiglie dei nostri nonni e ancora oggi raccontano molto della storia di Patrica contadina e montanara con i sacchi di mosciarelle vendute nelle fiere e nei mercati ciociari.

Il  castagno

 

Nel territorio di Patrica esistono due tipi di castagneti: quello a crescita selvatica, molto fitto, con piante dal tronco snello e dritto e quello costituito da individui originariamente selvatici e poi innestati, con fusto alto, molto robusto e chioma ampia, per la produzione dei frutti commestibili. Il castagneto selvativo viene tagliato ogni dodici anni circa e fornisce ottimo legname da lavoro e da costruzione, travature per tetti, pali di sostegno per vigneti, doghe per la costruzione di tini e botti. Il frutto, la castagna porcina (in dialetto patricano “furcina”), è di grosse dimensioni, bella a vedersi, ma quasi im­mangiabile quando è fresca se non si ha la pazienza di togliere la sansa che ricopre, ostinatamente attaccata, la polpa e che vi si interna rendendola molto aspra. Anche se sono decisamente insipide, si possono consumare cotte a caldarroste, ma l’uso più comune che se ne fa è quello di darle come mangime a suini ed equini. Chi non ha un castagneto di proprietà può rifornirsi liberamente di castagne porcine nei boschi comunali e, se i proprietari non sono interessati alla raccolta, anche in quelli privati. Per non correre rischi però e per evitare malintesi, conviene accontentarsi di quelle che cadono sulle strade o sui tratturi con diritto di passaggio che attraversano o fiancheggiano i castagneti. Anche il castagneto da frutto, quando è troppo vecchio o quando la scarsa produzione non compensa il lavoro necessario per il suo mantenimento, diventa un ottimo fornitore di legname dal colore bruno chiaro con venature rossicce, molto resistente all’umidità, durevole perché robusto e pesante, adatto a tutti gli usi, compreso quello di legna da ardere. E all’epoca in cui in ogni casa si usava il carbone per cucinare sui vecchi fornelli in muratura costruiti accanto al camino, nei colli si accendevano numerose carbonaie alimentate principalmente con legna di castagno. Col castagno si fanno ancora tavole, adoperate, fino a qualche decennio fa, per tavolati di soffitti e, anche se si è perduta l’abitudine soprattutto perché nel nostro paese sono ormai scomparsi gli artigiani, si possono costruire infissi e mobili. Armadi e comò in legno di castagno delle nostre nonne, nonostante le "svendite" ai rigattieri e i baratti con oggetti frivoli e di poco valore di alcuni anni fa, arredano ancora oggi qualche casa di Patrica e non sfigurano certamente; pur nella loro semplicità, al confronto con i mobili moderni. Il castagno da frutto è un albero maestoso e longevo che può raggiungere dimensioni veramente notevoli quando riesce a trovare il suo habitat preciso formato da un giusto equilibrio tra temperature non troppo rigide e natura del terreno. Se la temperatura scende al di sotto dei -10° può diventare dannosa per le piante; medie annuali comprese tra gli 8° e i 13° sono l’ideale. Nei boschi di Patrica, specialmente in quelli che circondano la Valle, esistono numerosi esempi di enormi castagni secolari che raggiungono facilmente anche i 30 metri di altezza. Eccezionale è quel castagno, conosciuto come “a castegna dullu Ulletta”, che si distingue fra tanti altri, anch’essi di grosse dimensioni, nel colle omonimo. Di questo vero e proprio patriarca della natura vecchio di secoli, restano in piedi 5-6 metri di tronco originario, che ha un diametro di m. 2,77, da cui si partono ben sette giovani castagni, castagni nel castagno, in piena produzione. E a proposito di produzione c’è da dire che la massima la si ottiene intorno ai quaranta, cinquanta anni di età e se l’albero è integro e ben sviluppato può dare fino a un quintale di frutti. E’ bene ricordare che un tempo alcune parti del castagno venivano sfruttate per le loro proprietà. Dalla corteccia e dalle foglie si ricavava il tannino usato per la concia delle pelli. Un pugno di foglie, messo in infusione in un litro di acqua bollente, era un ottimo rimedio per combattere ogni tipo di tosse.

  Coltivazione del bosco

 

Il castagno è uno dei pochi alberi da frutto che, pur non richiedendo eccessive cure, garantisce ogni anno un’apprezzabile produzione. Se però, oltre alla quantità, si vuole, ottenere anche una buona qualità di frutti, il castagneto va coltivato. Le operazioni da compiere sono poche, non richiedono ec­cessiva fatica e si eseguono una volta l’anno o quando è necessario. A Patrica pochi proprietari usano coltivare i loro castagneti. Tra essi c’è Angelo Ferrari, del cui colle accennerò in seguito, il quale, con l’esperienza del vero appassionato, mi ha parlato delle attenzioni e delle cure essenziali che un casta­gneto richiede. Le piante debbono essere sempre mantenute pulite dai piccoli germogli, i polloni, dalla base fino al callo dell’innesto. I polloni selvatici o “furcini”, come vengono chiamati a Patrica, se lasciati crescere liberamente, tolgono buona parte delle sostanze nutritive al resto della pianta. Quando è necessario, dall’albero vanno potati i rami secchi o inutili per dargli maggior vigore. E’ bene anche tagliare gli esemplari quasi completamente secchi, irrecuperabili e quindi improduttivi per dar aria, sole e spazio alle radici degli altri in buona salute. Gli alberi eliminati si possono comunque sostituire con l’innesto di nuovi astoni da uno fino a cinque, sei anni di età. Essi si tagliano ad un’altezza di un metro, un metro e mezzo e si aspetta la crescita dei giovani polloni nella primavera successiva. Poi si prelevano degli anelli di corteccia, muniti di gemme, da polloni della stessa età tagliati da un albero di camiselle e si inseriscono in quelli selvatici dell’astone, preventivamente scortecciati. Se l’operazione viene fatta in modo corretto, si può ottenere una prima piccola raccolta di camiselle già dopo tre, quattro anni. Un secondo tipo di innesto, quello “a spacco”, si può eseguire su astoni da due fino a quattro o cinque anni. Si taglia l’astone a un metro e mezzo da terra, si praticano due incisioni a croce nelle quali si inseriscono marze di polloni di camisella, si stringe bene l’innesto legandolo con vimini o rafia e lo si copre di muschio o di catrame per proteggerlo dal freddo. Anche in questo caso i primi frutti si ottengono dopo pochi anni.

  Malattie dell’albero     

 

Anche i castagneti di Patrica, con l’eccezione di qualcuno posto a quote più elevate, non sono stati risparmiati da gravi malattie che ne hanno compromesso di molto la produzione. La più distruttiva è, senza dubbio, quella apparsa da circa trent’anni e denominata “cancro della corteccia”. E’ una malattia che provoca il disseccamento progressivo della chioma iniziando dalla cima e, se non si riesce a fermarla (si dice che basti tagliare la parte già attaccata dal cancro e ormai compromessa, operazione però molto pericolosa, considerando l’altezza dei castagni) può far morire interi boschi rendendoli simili a quelle foreste scheletriche del Nord Europa, distrutte dalle piogge acide. La malattia, per fortuna, sembra che da qualche anno si sia arrestata senza alcun intervento da parte dell’uomo, fugando così le preoccupazioni di noi tutti che ormai ci eravamo rassegnati all’idea di Patrica priva delle sue camiselle. Qualche proprietario di castagneti sta procedendo alla sostituzione delle piante distrutte dal cancro della corteccia con l’innesto di nuovi astoni.

  La ”vendita” del colle e delle castagne

 

I cosiddetti colli sono tutti di proprietà privata. Il Comune possiede la macchia di Resignano che però non è stata predisposta per la coltivazione delle castagne commestibili. Buona parte delle famiglie patricane possiede un colle, ma non tutti i proprietari raccolgono le castagne. Oggi, alcune famiglie contadine, raccolgono il prodotto e lo rivendono direttamente agli incettatori; altre, invece, vendono la raccolta a raccoglitori abituali. Esiste un gruppo di persone che sono abitualmente raccoglitrici. Esse ricavano dalla vendita un piccolo reddito oltre che una scorta di frutti per consumo familiare. Questi ultimi prendono a raccogliere il frutto dai proprietari dei boschi attraverso una contrattazione diretta orale nella quale si prevede un compenso in denaro o in natura, oppure entrambi. L’ammontare del compenso in denaro viene stabilito dopo una sommaria valutazione della produzione del castagneto, tenendo conto della estensione e del numero delle piante. Per quanto riguarda il compenso in natura, al proprietario del castagneto appartiene generalmente 1/3 del raccolto, mentre i 2/3 vanno al raccoglitore. Il prezzo delle castagne è fissato dagli incettatori, varia di anno in anno e può salire sensibilmente quando la produzione è scarsa. Se una partita di frutti è lavata e selezionata, se cioè non presenta castagne bacate o porcine, i raccoglitori possono pretendere un prezzo superiore rispetto a quello che si pratica normalmente in quell’anno.

  La ”camisella”

 

La camisella patricana è una castagna di piccole dimensioni (circa la metà rispetto a quelle del più noto marrone), ma dal sapore gradevolissimo e inconfondibile, molto apprezzata dai buongustai, ottima sia fresca che conservata. E’ chiamata così per via della "camicia", la sansa, che si distacca molto facilmente dalla polpa, anche quando il frutto è appena caduto. La grandezza varia tra i 20 e i 30 millimetri. Quando però il bosco viene coltivato e gli alberi potati in modo corretto, si possono ottenere delle camiselle che raggiungono quasi le dimensioni degli stessi marroni. Un esempio di castagneto ben coltivato, come ho detto prima, è quello di Angelo Ferrari al colle delle Molella. Specialmente nella parte rinnovata con nuovi innesti, egli riesce a ricavare camiselle veramente fuori del comune, che conservano lo stesso gusto di quelle normali. Come tutte le castagne, anche la camisella ha un elevato potere nutritivo perché ricco di zuccheri, grassi, amidi e sostanze azotate. Da alcuni anni, alla fine di ottobre, la Pro loco organizza una sagra, conosciuta ormai in tutta la provincia, che richiama a Patrica centinaia di forestieri e di buongustai. La “Sagra dull’acquata i dulla callarosta” contribuisce sicuramente a valorizzare ancora di più, e nel modo più simpatico, quello che è sempre stato il più noto prodotto dell’agricoltura patricana. L’accoppiata poi delle caldarroste con l’acquata, vinello leggero, dolce e frizzantino, è una delle più indovinate.

  La raccolta

 

Prima che inizi la caduta delle castagne è necessario pulire il sottobosco dei colli. Questo lavoro va eseguito generalmente nella seconda metà di settembre, dura alcuni giorni e al termine il terreno deve risultare perfettamente pulito da felci, sterpi e rovi. Considerato il difficile accesso ai colli per i mezzi meccanici, la pulitura avviene con i soliti attrezzi tradizionali: falce, falcetto e rastrello. Le sterpaglie vengono ammucchiate in vari spiazzi, a di­stanza dagli alberi e incendiate. I residui della combustione sono ottimi concimi per il terreno del colle. Per poter trovare e raccogliere senza difficoltà le piccole camiselle e anche per evitare il pericolo di spiacevoli incontri con la vipera dei castagneti (generalmente quella della specie aspis), molto abile a mimetizzarsi col marrone del terreno e delle foglie secche, la maggior parte dei raccoglitori usa spazzare con scope di ginestre fabbricate sul posto. Importante è la costruzione delle “parate” e “paratele” in quei castagneti posti in forte pendenza. La “parata” è una sorta di piccola diga formata da felci, sterpaglie, terra e frasche e ha la funzione di fermare la corsa delle castagne che rotolano lungo il pendio. Vengono costruite in serie e trasversalmente. L’ultima, quella più in basso, segna generalmente il confine tra due castagneti e non permette alle castagne di terminare la loro corsa nella proprietà altrui il quale diverrebbe il legittimo proprietario di esse. La caduta delle castagne inizia tra la fine di settembre, se le giornate sono piovose (l’umidità favorisce l’apertura del riccio), e i primi giorni di ottobre. Se invece la stagione è secca, se l’estate si protrae fino ad autunno inoltrato, cadono i ricci interi, appena aperti in una fessura che lascia intravedere in frutti. Per riempire un cesto si impiegano delle ore e occorre molta attenzione per “scardare” i “palladi” (termine dialettale patricano dei ricci pieni appena caduti). Per compiere questa operazione oggi si usano dei robusti guanti da lavoro per proteggere le mani dalle dolorose punture delle spine. Una volta si eseguiva a mani nude con conseguenze facilmente immaginabili. Durante il primo periodo della caduta i raccoglitori si recano nei colli una volta al giorno, di primo mattino, ma, quando questa diventa più intensa e soprattutto dopo le notti ventose, essi restano nel castagneto per l’intera giornata e si attardano fino a sera a vigilare la caduta delle ultime camiselle con lo scopo di non farsele rubare da persone di passaggio. Ci sono delle famiglie di raccoglitori che non tornano a casa nemmeno per l’ora di pranzo perché il desinare viene pre­parato sul posto. Le donne cucinano la pasta e apparecchiano su tavoli rustici costruiti in modo approssimativo dagli uomini. E con quale gusto, bambini e ragazzi, mangiano quegli spaghetti all’aria aperta, a contatto diretto con la natura, lontano dai pericoli e con le forchette di legno! Sono sensazioni che io stesso ho provato, invitato un giorno a pranzo sotto un grosso castagno dalla famiglia che raccoglieva le camiselle in un colle di proprietà di mio padre. I componenti delle famiglie che raccolgono le castagne lavorano tutti, ragazzi compresi, e adottano una efficacia tecnica di raccolta disponendosi “a ventaglio” all’inizio del colle per risalirlo frugando in tutti gli angoli, anche nei più nascosti.

  Il  furto

 

Per quanto riguarda la questione dei furti nei castagneti privati accennata prima, bisogna dire che questo è sempre stato un capitolo diviso fra "tragedia" e farsa per via di incomprensioni seguite da grossi litigi a volte, e di giochi a gatto e topo o a guardie e ladri altre. Qualche decennio fa, e specialmente durante gli anni di carestia della seconda guerra mondiale, subire furti a ripetizione di castagne, che per molte famiglie contadine rappresentavano la principale fonte di sostentamento, significava una tragedia vera e propria per diversi motivi, primo fra tutti il mancato guadagno dalla loro vendita con cui acquistare generi di prima necessità: farina, pasta, sale, zucchero. E ci rimase molto male mia nonna quella volta quando, dopo aver faticato una intera giornata al colle Caino per raccogliere due mezzi sacchi di castagne già pronti per essere caricati sull’asino e riportati in paese, se li vide sparire da sotto il naso per qualche attimo di distrazione, rubati da qualcuno nascosto e che non aspettava occasione migliore. Oggi molti castagneti sono più controllabili perché toccati o attraversati da comode strade carrozzabili. Ma anche i locali e i forestieri intenzionati a rimediare un rifornimento gratuito di castagne, arrivano con le macchine. Quello dei forestieri raccoglitori di camiselle a sbafo, diventato con gli anni un fatto leggendario, è sempre stato un problema di difficile soluzione per proprietari e raccoglitori i quali, una volta, all’avvicinarsi di qualche gruppo sospetto, si lasciavano allarmi di fischi e richiami da un colle all’altro. Altri, per mantenere alla larga i malintenzionati, manifestavano la loro presenza cantando o parlando ad alta voce. Il problema esiste ancora oggi, e anche se la mentalità della gente è cambiata di molto, resta pur sempre un fatto antipatico. E non possono reggere le giustificazioni di chi si approfitta delle castagne dicendo che i castagneti, non essendo recintati, possono sembrare di proprietà comunale o abbandonati perché, se così fosse, nessuno si sognerebbe di rimetterci tempo e fatica per pulirli. Il consiglio migliore, quindi, per chi volesse raccogliere un po’ di castagne in un bosco privato, è quello scontato: chiedere il permesso al proprietario che sicuramente non gli negherà una tasca di squisite camiselle.

  Il  trasporto

 

Per poter trasportare la castagne raccolte durante la giornata occorrono sacchi, canestri e cesti e, una volta giunte in paese, vengono sistemate ad asciugare in granai e cantine. Oggi il trasporto si effettua ancora a dorso d’asino (per chi ce l’ha, essendo questo animale in via di estinzione, almeno a Patrica) o di mulo per quelle castagne raccolte in colli posti a quote più alte (Ulletta, Colle dei lupi, Colle Caino). Chi non possiede uno di questi animali cerca di farselo prestare se vuole evitare di trasportare le castagne con i sacchi in testa o sulle spalle. Da quando è stata costruita la pedemontana che conduce a Supino e che circonda tutta la Valle, le castagne di questa zona, sia quelle dei colli posti al di sopra che al di sotto o attraversati dalla strada stessa, vengono trasportate con i fur­goni, se si tratta di quantità consistenti, oppure con autovetture. Con gli stessi mezzi giungono in paese o nelle abitazioni dei raccoglitori che risiedono in campagna, anche le castagne dei colli della Cardigna, degli Illori e della Verdesca, contrade attraversate dalla provinciale che conduce a Patrica o da strade comunali. Un tempo tutte le castagne venivano trasferite nei luoghi di conservazione, in attesa di essere vendute o consumate, esclusivamente a dorso d’asino, con i sacchi sulle spalle gli uomini e in perfetto equilibrio sulla testa, cercando con la “broglia” di rendere meno doloroso l’attrito con la cute, le donne. Ricordo ancora bene la fatica dei raccoglitori che risalivano carichi per la Marotta. Di tanto in tanto si riposavano poggiando i sacchi su posatoi ad altezza d’uomo per poterseli risistemare sulle spalle o sulla testa senza troppo sforzo, badando anche all’asino, anch’esso carico, che spesso non ne voleva proprio sapere di proseguire lungo la dura mulattiera. Chi aveva un pagliaio nel colle o anche nei pressi, depositava li le castagne in attesa di trasportarle in piccole quantità a casa, a seconda delle necessità.

  La conservazione

 

Le camiselle, come ho già detto, sono molto gustose quando vengono consumate fresche, appena cadute, sia crude che bollite o arrostite. Per mantenerne più a lungo la freschezza, tante persone usano conservarle nel congelatore per poi consumarle durante l’inverno, magari a Natale, a “vallini”, le ballotte patricane, o a caldarroste. Un altro sistema per avere le castagne come appena raccolte, per tutto l’inverno, è quello di sistemarle in un recipiente, sommerse nell’acqua, per nove giorni. L’acqua va cambiata ogni giorno, possibilmente alla stessa ora. Si stendono poi per altri tre giorni all’ombra in modo che perdano completamente l’umidità e infine vanno messe in sac­chetti di tela e conservate in luogo asciutto. Due sono però i sistemi più antichi di conservazione delle camiselle, ancora oggi in uso. Il primo è simile al precedente perché prevede un bagno di otto giorni nell’acqua, dopo averle scelte accuratamente, eliminando le bacate. Al termine del bagno si stendono ad asciugare al chiuso, rimescolandole continuamente. In questo modo si conservano fresche per qualche mese, per essere poi consumate nei soliti modi che si conoscono. Il secondo è quello dell’affumicamento ed è sicuramente il più conosciuto anche dai forestieri, perché tutti avranno, almeno una volta, assaggiato le famose mosciarelle patricane. Ancora oggi c’è chi fa le mosciarelle nell’identica maniera e usando gli stessi metodi e mezzi dei nostri antenati, metodi particolari nati, forse, proprio qui nel nostro paese. Le castagne vanno prima scelte e poi fatte asciugare per circa otto giorni al sole. E già abbastanza mosce si stendono sulla “rata”, un graticcio praticabile e quindi molto robusto, fatto di canne intrecciate e legate con corde e vimini, montato in vecchie abitazioni o più spesso in pagliai a mo’ di soffitto. Vengono affumicate per dieci, dodici giorni tenendo il fuoco acceso al centro del pagliaio anche la notte e, per non correre il rischio che si spenga, i componenti le famiglie dei mosciarellari stabiliscono dei veri e propri turni di sorveglianza che si rende ancora più necessaria avendo a che fare con materiali e strutture estremamente infiammabili. Non mancano difatti notizie di qualche furioso incendio scoppiato di notte, molti anni fa e che ha distrutto in pochi attimi pagliaio e mosciarelle gettando sul lastrico, è il caso di dirlo, quel contadino un po’ distratto o vinto dal sonno per la troppa stanchezza. Al tempo dei nostri nonni la sorveglianza del fuoco nel pagliaio poteva rappresentare una delle rare occasioni di incontro che si offrivano ai giovani dei due sessi. Erano incontri fatti di innocenti sguardi e ammiccamènti sotto il controllo vigile di persone anziane, maliziosamente complici, a volte, di uno dei due e che spesso si concludevano, dopo qualche mese, in felici matrimoni. Le castagne sulla “rata” vanno rimescolate una volta al giorno perché col calore “sudano” ed è necessario che si asciughino perfettamente in modo che non ammuffiscano. Per produrre più fumo possibile si usano frasche e ricci vuoti, meglio se umidi, legna verde e felci. Ho ancora bene impresso quando, fino ad alcuni anni fa, ogni pagliaio della Valle, della Cardigna o degli Illori veniva utilizzato per affumicare le camiselle. Era uno spettacolo quello dei tetti fumiganti il giorno e del chiarore dei fuochi che filtrava attraverso le fessure tra le tavole dei pagliai, la notte: immagini da presepe vivente, mancava solo la neve. Uno dei tanti appuntamenti, assieme a quello della vendemmia, della conserva nelle scife, delle prugne e dei fichi messi a seccare lungo le strade e i vicoli del paese, approfittando di ogni piazzetta o angolo assolato, della stessa fiera di sant’Anna, appuntamenti che segnavano giorni e periodi precisi nel calendario degli impegni del contadino patricano. Come ho detto prima, c’è qualcuno che ancora affumica le castagne sulla “rata”. La maggior’ parte degli attuali mosciarellari però usa far seccare le camiselle al sole, sui terrazzi, negli orti e anche in qualche piccolo spazio che si incontra lungo le strade con i gradini. Altri ancora nei vecchi e ormai rari forni a legna. Le mosciarelle sono pronte non appena la buccia si distacca facilmente dalla polpa, diventata molto dura. Esse possono essere consumate così, al naturale, per chi riesce a sgranocchiarle, oppure tènere dopo averle messe per otto giorni in ammollo. Con le mosciarelle si fa un’ottima farina molto usata in tempo di guerra quando scarseggiava o addirittura era introvabile quella di grano o di granturco. A questo punto credo sia doveroso ricordare i nomi di alcune vecchie famiglie di mosciarellari patricani, persone ormai scomparse, che hanno contribuito, attraverso la vendita di un prodotto tipico, a far conoscere Patrica e la sua gente contadina in tanti paesi vicini, raggiunti a piedi, con asini e carretti. Questi i nomi scaturiti da una rapida indagine condotta presso persone anziane: Gerardo e Maria Belli, Giuseppe e Maria Belli, Saverio e Maria Compagnoni, Antonio e Luisa Guerrieri, Plautilla Montini, Augusto e Geltrude Stefanacci, Gasperino e Maria Stefanacci, Giacinto ed Evarista Valle e anche Luigi Vallecorsa, mio bisnonno. La tradizione delle mosciarelle patricane dura ancora oggi grazie ai discendenti, ai parenti, figli e nipoti di alcuni dei vecchi mosciarellari. Maria Bufalini, Eligio e Clorinda Valle, Gino e Angelina Conti, Giuseppe e Bernina Valle, Natalino e Lina Valle, Aurora Belli che continua da sola il lavoro svolto per tanti anni con il marito Angelo, recentemente scomparso, preparano essi stessi le mosciarelle e le vendono.

  L’uso ed il consumo

 

A Patrica si sono sempre regalate le castagne, sia fresche che mosciarelle. Anni fa si regalavano, appena raccolte o in occasione delle feste più importanti, soprattutto a parenti ed amici che risiedevano in città, assieme ad altri prodotti “caserecci” come formaggi, polli ruspanti e salsicce, per ricambiare i loro panettoni e torroni, regali “cittadini” e quindi molto apprezzati, specialmente dai bambini di casa. E un sacchetto di mosciarelle si trovava sempre nella calza della Befana di una volta come riempimento. in compagnia di fichi secchi, noci ed altra frutta che non costava niente, per lasciare meno spazio possibile e risparmiare su cioccolatini, caramella e giocattolini. L’usanza di regalare castagne continua ancora oggi. Chi le dona è sicuro di far cosa gradita a quella persona che le riceve trattandosi di uno dei pochi prodotti ancora veramente genuini. Come si sa, le castagne si possono consumare cuocendole in diversi modi, usandole per preparare dolci antichi e moderni e utilizzando la loro farina per focacce, torte, biscotti e gustose farinate. Le caldarroste con le camiselle patricane sono molto buone se si usano frutti un po’ secchi e se vengono arrostite sulle braci e non sul gas come qualcuno suole fare oggi, avendo l’accortezza di farle stufare, dopo la cottura, coprendole per alcuni minuti con un panno. Esse erano un ottimo passatempo nelle sere invernali, accompagnate da un buon bicchiere, accanto al focolare, quando ancora non c’era la televisione. Per i “vallini”, le castagne bollite, si usano invece frutti freschi per ottenere una polpa molto tenera e pastosa. I “vallini” sono quindi apprezzati dalle persone anziane che hanno problemi di denti e molto dai bambini. Una delle più antiche maniere di consumo delle mosciarelie è quella di farle bollire per preparare gli  “‘nzini cotti”. Si sbucciano battendole in un sacco, poi si immergono nell’acqua calda per poter togliere più facilmente la sansa secca e quindi si fanno bollire, per circa quattro ore, con sale e qualche foglia d’alloro. Dopo la lunga bollitura diventano morbidissime e si consumano col brodo di cottura come una minestra. Agli “‘nzini cotti” si ricorreva spesso in tempi di fame e, in certi periodi più neri, diventavano addirittura pietanza unica a pranzo o a cena perché, essendo molto nutrienti, potevano sostituire tutto il resto che non si poteva acquistare. Sono sempre stati anche un piatto tradizionale natalizio e si preparano ancora oggi: un dessert dolcissimo al termine del cenone, a cui non rinunciano né grandi, né piccoli. Gli “‘nzini cotti” resi come un purè, costituiscono uno degli ingredienti, assieme a cacao, zibibbo, noci tritate e succo di limone, dei "canascioi", antichi dolci natalizi, tipicamente patricani e lepini. E per completare la ricetta dirò che l’impasto degli ingredienti sopra citati, si avvolge in una sfoglia fatta con farina, uova, latte, olio e zucchero e si formano delle specie di grossi ravioli che vanno cotti al forno, possibilmente a legna. Ai non patricani a cui non è mai capitata l’occasione per farlo, consiglio di recarsi nel nostro paese durante le feste di fine anno per assaggiarli, ne vale la pena. Ritornando ancora al discorso della farina precedentemente toccato, c’è da aggiungere che essa si ricava dalle mosciarelle ben secche e fatte ulteriormente indurire nei forni. E’ una farina molto dolce, il cui uso, non so perché, a Patrica si è molto ridotto. C’è ancora però chi prepara le farinate, adatte sia alle persone anziane che ai bambini, perché nutrienti e digeribili e anche torte con latte e uova, molto indicate per la prima colazione. Tartufi, budino, montebianco, frutti sciroppati, sono alcuni dei moderni dolci che hanno come ingrediente base le camiselle e che le donne patricane preparano per le feste invernali, ogni qual volta se ne presenti l’occasione, oppure a richiesta, soprattutto dei bambini. E che dire del miele di fiori di castagno? L’usanza di allevare api a Patrica è sempre stato un fatto ristretto a pochissimi appassionati. Qualcuno di questi, parecchi anni fa, installava le arnie nei castagneti di sua proprietà e ne ricavava un miele dal colore bruno e dal gusto forte e deciso, valido rimedio naturale per curare le malattie da raffreddamento. E dei giochi dei ragazzi di una volta in cui le castagne rappresentavano il premio al vincitore? Nel “carózzo”, ad esempio, una specie di gioco dei birilli in versione povera, le camiselle sistemate in piccole piramidi in fila, sostituivano spesso le “pippitille”, i nòccioli di pesche, non sempre reperibili. I più esperti, quelli che sapevano dosare meglio il lancio della “staccia”, un pezzo di mattone o un sasso piatto, riu­scivano a far crollare le piramidi con estrema facilità e la soddisfazione per la vittoria era pari a quella di aver rimediato una buona merenda fatta di castagne.

  Un po’ di storia: il “ruspo” delle castagne

E’ sicuramente. interessante la notizia che ci dà il signor Angelo Savorelli nell’articolo dal titolo “Profumo di Patrica” apparso sul Corriere della Sera del 3-12-88 dove, a proposito delle nostre castagne definite “le migliori del mondo”, aggiunge che “nel ‘500 il celebre medico romano Castore Durante ne tesseva le più ampie lodi”1 . Ma, nonostante questo, non sappiamo con precisione (come del resto per tanti altri luoghi d’Italia) quando e in che modo sia stata introdotta la coltivazione del castagno a Patrica. Non sappiamo altresì come si è giunti a definire l’attuale situazione boschiva che probabilmente è piuttosto recente. Notizie storiche sicure sono poche e tutte relative alla documentazione comunale. Il Comune, nell’ambito dei diritti collettivi, che oggi chiamiamo usi civici, vendeva annualmente il cosiddetto “ruspo delle castagne”. Questo consisteva nella libera raccolta delle castagne residue dopo quella effettuata dai privati nei loro castagneti e nella raccolta o pascolo delle castagne nei boschi comunali. C’è tutta una serie di questioni sull’esercizio del diritto al “ruspo” che ha causato controversie con i signori baroni di Patrica, ma ciò non rientra nell’oggetto di questo discorso. Il “ruspo” dei boschi comunali era venduto annualmente al migliore offerente per una somma che, riferiscono i documenti settecenteschi, era molto consistente. Esso è. rimasto sicuramente in esercizio fino a tutto il Seicento e deve essere decaduto nella prima metà del Settecento con l’affermarsi della libera proprietà privata. Nell’Ottocento abbiamo notizie di un assetto colturale della macchia Resignano che il Comune recuperò dal principe Colonna e destinò al taglio, secondo un preciso piano di coltivaziòne2 .

  Conclusione

 

Termina qui questo mio modesto lavoro con la speranza di aver in qualche modo contribuito alla conoscenza di qualcosa che fa parte della storia del nostro paese e con l’augurio che altri, a livelli di analisi più sofisticata, possa offrire un’immagine più dettagliata della vita e dei problemi del nostro passato. Mi propongo, comunque, di ampliano in un prossimo futuro con una ricerca più approfondita perché l’argomento mi ha veramente appassionato per diversi motivi, primo fra tutti l’aver riscoperto dei valori quasi dimenticati, vissuti distratta­mente in questi tempi, incalzati come siamo dai ritmi che la vita odierna ci impone. Ricordarli e mantenerli vivi è, secondo me, di fondamentale importanza specialmente per i piccoli centri come Patrica, per non perdere quel patrimonio di conoscenze e di cultura accumulato dalle generazioni che ci hanno preceduto.

 

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I       Ho consultato le più note opere del celebre medico, ma non ho potuto riscontrare traccia di questa notizia. Ho scritto al sig. Savorelli per un riscontro, ma ancora non ricevo risposta.

2   I documenti relativi si trovano nell’Archivio storico comunale, nel fondo della Delegazione Apostolica dell’Archivio di Stato di Frosinone, e nel fondo del Buon Governo dell’Archivio di Stato di Roma.