(1907-1980)

Mario Cazzola figlio di Giuseppe, operaio tessile e Michelina Paletti nasce a Valdagno il 27 novembre 1907.

L'abitazione della famiglia si trova nell'agglomerato in località "Vallarsa", un nucleo di case trovatosi a ridosso della "Fabbrica", quasi improvvisamente. Così tanto a ridosso da essere sacrificato negli anni successivi quando questa attua uno dei tanti ampliamenti. In questo periodo lo sviluppo dell'industria si cerca "in loco": immobili e maestranze sotto il diretto controllo e gestione della proprietà, che pratica un indiscutibile patronato.

Anche sua madre, che proviene dal milanese, lavora in fabbrica. Michelina è anche "una testa calda". Ama il lavoro, ma non la "schiavitù del lavoro". Considera il lavoro una necessità per la serena sopravvivenza, anzi forse lo tratta come una opportunità da cogliere e svolgere con senso di dovere, giusto per sentirsi dentro l'animo appagata e dignitosa. Ma quelli sono anche tempi duri e gli scontri tra operai e padrone non possono non esserci.

Da una parte c'è ancora nelle narici l'odore della terra e della stalla, che mal si attaglia con quello acre della fabbrica: difficile fin dall'origine si dimostra la trasformazione della manodopera contadina in manodopera operaia industriale, disciplinata e presente. Opposizione, anzi un vero rigetto con forti punte di assenteismo verso la dura turnazione nei reparti di filatura, tessitura, tintoria e altri si verifica, magari suffragato dall'impellenza "fuori" di piantare nella terra fresca di aratura qualche cereale, di andare a "far fieno", o raccogliere qualcosa sul finire della stagione. Ma la fabbrica ha, anch'essa, le sue ferree regole, i suoi costi e la sua ricerca economica.

Tempi duri, si diceva. Durissimi anzi sono i 145 giorni di scontro antimarzottiano, che si concludono nell'autunno del 1921 e chiudono, con particolare amarezza per la classe operaia, che ricorderà a lungo questa epica lotta fallita solo per il tradimento del sindacato clericale, tentennante e possibilista col padronato, con una perentoria dichiarazione di cessazione di ogni forma di sciopero e l'accoglimento, quasi in toto, delle richieste padronali sottoscritta nel documento di conclusione del Convegno nazionale tessile svoltosi a Milano, il giorno 21 novembre 1921.

Michelina faceva parte di uno dei tanti comitati pro operai. Con altri è licenziata, su due piedi. Il suo coraggio di lottatrice, nella convinzione di bontà dei suoi ideali sociali, lei cittadina di una metropoli, nella quale già sono smussate alcune spigolosità grette ed arretrate, non è qui certamente premiato.

Si ritrova quindi costretta, sulla sbuffante "vaca mora", a ridiscendere fino alla stazione di fondo valle per poi proseguire sulla locomotiva a vapore per raggiungere la sua ospitale terra lombarda.

Nel comasco imparerà l'arte del ricamo raggiungendo un'apprezzata maestria. Ritorna a Valdagno brava ricamatrice, in particolare di fiducia della famiglia dell'importante imprenditore tessile e dei benestanti della città.

Dalla "Vallarsa" demolita per far posto agli uffici centrali e ad alcune villette per dirigenti della Fabbrica, la famiglia si trasferisce al Villaggio Margherita, a Maglio di Sopra, di recentissima costruzione. Primo nucleo di quel vasto complesso abitativo e di servizi che sarà conosciuto col nome di "città sociale" di oltre Agno.

Mario è il terzo di cinque figli (Maddalena, Alice, Mario, Ugo e Alessandro). Nel 1914 nasce il fratello Ugo. Frequentano l'asilo dei Carmini. Ed ogni giorno, "Al leon de teracota/ inquatà sora la mura/ se rendea el dovuto omaggio/ suggerio da la paura. Pianzotando e finfotando/ superato el pontaron/ semo in brazzo de la Togna/ che ne speta sul porton"....

... Questi sono i semplici, schietti versi tratti da un componimento che Mario scriverà ricordando quel tempo.

Mario e Ugo avevano ideologie contrastanti.

Mai tra i due ci saranno però diverbi sostanziali. Ognuno seguirà la propria strada non mancando nei momenti del bisogno di fraterna comprensione ed assistenza.

Mario ama la musica.

Il saxofono baritono ( chissà perché ) è il suo strumento con il quale per molti anni, entusiasticamente, partecipa alla attività concertistica del Complesso Bandistico V.E. Marzotto, del quale ne fa parte fin dal 1927/28. Evocherà spesso, nei discorsi tra amici musicanti o estimatori della Banda musicale, i tanti concerti in varie città italiane, i successi, di questa, ai concorsi musicali internazionali degli Anni Cinquanta a Bolzano e Ostenda, in Belgio. Come ricorderà i concerti annuali a Udine, nella chiesa di San Francesco e quelli a Valdagno, nella scuola di musica, in occasione della festa patronale di Santa Cecilia, alla presenza del conte Gaetano Marzotto con i suoi numerosi invitati. Per queste occasioni, che Mario considera del tutto speciali, il saxofonista Cazzola studia la parte con meticolosità.

Socialista convinto è al tempo stesso sincero ammiratore del liberale conte Marzotto.

Apparente contraddizione è, solamente, in un uomo che guarda alle azioni positive, alla sostanza dei fatti della quotidianità, più che alle enunciazioni universali, anche se importanti e politicamente "rivoluzionarie".

E' bastato un diverbio con un suo superiore per lasciare subito la Fabbrica, già mal sopportata, ed emigrare in Germania per qualche anno.

Al rientro l'aspetta la guerra. Nel 1942 è richiamato in Sardegna.

A fine conflitto si impiega presso la Tipografia Zordan, in Corso Italia a Valdagno. Più tardi rientrerà nella fabbrica dei Marzotto rimanendovi fino alla pensione.

Mario ama dunque la politica.

Ma ancor più sente l'amor di patria e il desiderio di socializzazione. Per questo è un estimatore e collaboratore di Ugo Nizzero, fondatore della S.e.P., nel 1947, associazione aperta a chiunque amasse la montagna ed avesse la passione per la bicicletta, ma anche entusiasta animatore di tante iniziative a carattere patriottico: commemorazioni in onore dei caduti nelle guerre, inaugurazioni di cippi, edificazioni di cappelle votive e monumenti ed altro. Il suo mondo è il Monte Pasubio. Il nome di Nizzero, col suo fido amico Mario, è legato anche alla "Chiamata della Primavera", unica manifestazione, dal secondo conflitto, capace di richiamare in Valdagno decine dl migliaia di persone, stipate in ogni angolo ad ammirare i carri mascherati, gruppi folcloristici giunti da altri luoghi, anche fuori provincia, in sfilata lungo le vie della città.

E Mario sempre lì dentro fino al collo nell'organizzazione, "incredibile", del vulcanico Nizzero ad annotare tutto per trarre utilità a vantaggio di iniziative future in un cantiere perenne.. e comporre magari qualche poesia (Risuona Valdagno/ di canti argentini/ che grida festose/ di grandi piccini!/ Che folla Sepista/ è tutta una schiera/ che attende festante/ la sua Primavera/..  (Chiamata della Primavera, l955).

Mario ama la radiestesia.

Al punto di scrivere all'editore Vannini di Brescia, nel 1976, di suggerirgli "una persona (radiestesista) giusta (e discreta) per richiedere una ricerca (da compiere) circa lo stato di vitalità di un congiunto, che da circa un anno è affetto da grave malattia..".

Le meraviglie di questa scienza nuova lo attraggono. Trascorre ore col pendolino in mano sospeso sopra la carta dell'"Uomo astronomico", o sopra quella della "Rosa dei venti e Raggi fondamentali", o quella del "Quadrante indicatore delle malattie", o quella del "Quadrante indice dei sentimenti", o quella del "Quadrante indice delle attitudini intellettuali". E' curioso e al tempo stesso è ansioso di captare da quegli impercettibili, per altri "misteriosi", incomprensibili, oscillazioni la "conoscenza" del ciò che potrà accadere di bene o di male, di bello o di brutto. Fantasticare ..forse.. oltre l'evidenza, qualche volta.

Mario ama i libri.

Lui, magazziniere in fabbrica, sogna ai trovarsi tra scaffali colmi non di spole di filato o bobine di lana, ma di libri da riordinare, catalogare, sfogliare, vendere anche. Già, perché nel sogno lui è un libraio e un rilegatore.. Possiede realmente un torchio in legno con il quale si applica, con passione, a rilegare dispense, fascicoli, riviste inserti, libri.

Mario ama la poesia.

E qui si impongono, nel tentativo di cogliere l'essenza della sua poetica, alcune considerazioni. Lui innanzitutto non è poeta da "dolce stil novo", non dunque un ricercatore, ma un istintivo, un osservatore a volte perfino "romantico" e acuto delle cose del passato. Un partecipe narratore di avvenimenti impressi sul foglio con l'inchiostro dell'ironia o della malinconia, della leggerezza o della passione. Autodidatta. Parla di stagioni "strambe", "de nevegade", "de snoli e sgarue", "de fora febraro", "del noare in tè l'Agno", "da la vaca mora" e di tante altre cose. ...Deliziosi acquerelli dipinti per registrare le "robe" di Valdagno.

Trascorre il suo tempo libero tra un mare di carte, ricorda Margherita sua figlia, nel chiuso del suo regno, come lui chiama la piccola cantina della sua dignitosa casetta in Val Grossa. Scrive, di tutto un po’. Collabora per anni col "Bollettino del Lanificio V.E. Marzotto" e con "il nostro campanile" de la Pro Valdagno raccontando "in punta di penna, con estro e fantasia, fatti, ambienti, persone, che fanno il vivere del nostro paese -sottolinea in una nota il nipote Francesco Fiori, animatore di questo semplice, ma significativo ricordo di Mario Cazzola- e li esprime attraverso racconti brevi..".

Un "reporter" prezioso e garbato della memoria di cose che stanno ancora li, dietro l'angolo, a ricordare le radici di tutti, o quasi.

Molto spesso firmava i suoi pezzi con la sigla CiEmme: Cazzola Mario.

Mario è uomo semplice, onesto e buono.

Ama la casa e la famiglia, la moglie Maria, i figli Giuseppe e Margherita e i nipoti Paolo, Michile, Carlo.

Mario Cazzola è figlio del suo tempo e piace ricordarlo col suo sorriso enigmatico, forse ironico, con lo sguardo che corre sopra, penetrante e pronto a cogliere, con penna alla mano, una particolarità ispiratrice.

Muore, poco più che settantenne, nel 1980, vent'anni da questi giorni e dalla fine di quel secolo, il Novecento, attraversato da ben due guerre mondiali, scoppiate proprio nel cuore dell'Europa civilizzata, dominato da accesi, drammatici idealismi politici e sociali, che cultura e scienza non sono valse ad impedire che la barbarie penetrasse nella civiltà occidentale cosi tanto da far dubitare che il cammino della civiltà stessa potesse essere riavviato ed affrontare il terzo millennio.

Vittorio Visonà

Valdagno, 6 giugno 2001