RISORGIMENTO

 

 

Il Risorgimento fu il periodo della storia d'Italia durante il quale la nazione italiana conseguì la propria unità nazionale. Le idee liberali, le speranze suscitate dall'illuminismo e i valori della Rivoluzione francese furono portate in Italia da Napoleone sulla punta delle baionette dell'Armée d'Italie. Esiste inoltre un collegamento tra un "Risorgimento letterario" e uno politico per il quale si scrisse di Risorgimento italiano in senso esclusivamente culturale fin dalla fine del XVIII secolo.

Il termine richiama l'idea di una resurrezione della nazione italiana attraverso la conquista dell'unità nazionale per lungo tempo perduta. Tuttavia la stessa unificazione viene vista a volte più come un processo di espansione del regno di Sardegna che come un processo collettivo, il termine è ormai accettato ed ha assunto valenza storica, per questo motivo si parla di unità d'italia.

 

 

I^ guerra  di  indipendenza

II^ guerra di indipendenza

III^ guerra di indipendenza

la spedizione dei mille

CAVOUR

GARIBALDI

VITTORIO EMANUELE II

IL TRICOLORE

 

 

prima guerra di indipendenza: è un episodio del Risorgimento italiano che rappresentò il primo dei numerosi conflitti che opposero il Regno di Sardegna (che in seguito diventerà il Regno d'Italia) all'Impero Austriaco, e che si sarebbero risolti, settant'anni più tardi, con la sparizione del secondo. Essa si divise in tre fasi: due campagne militari (23 marzo-9 agosto 1848, e 20-24 marzo 1849), separate da un periodo di tregua durato alcuni mesi, e la repressione delle repubbliche di Roma e di Firenze, completate dalla riconquista di Venezia.

Dunque, non solo Milano, con le sue "cinque giornate", non solo Roma e la Toscana, ma anche Venezia e le province venete della terraferma in meno di una settimana si erano scrollate di dosso il giogo Austriaco. Il 24 marzo il maresciallo D'Aspre, per ordine del Radetzky, lasciò Padova con gli ottomila uomini della guarnigione e si rifugiò a Verona, Vicenza e Belluno furono libere il 25. Anche il Friuli si sollevò e la fortezza di Palmanova era in mano ai cittadini. Ma poi le province Venete, mentre Carlo Alberto indugiava a Verona, caddero nuovamente in mano agli Austriaci, rimase ancora libera solo Venezia.
All'inizio, si era cercato di riunire in un solo organismo tutte queste città della terraferma, e fu pubblicato a questo scopo anche un proclama, purtroppo non si riuscì a raccogliere tutte le forze in un potere centrale, che provvedesse all'offesa e alla difesa e così si lasciò che gli Austriaci riconquistate le città del Veneto, si rinforzassero a Verona, a Legnago e a Peschiera, che con Mantova costituivano il famoso quadrilatero, e qui si concentrarono e si riorganizzarono per tornare in forza all'offensiva contro il sovrano Sabaudo. Gli Austriaci inoltre per l'imprudenza della Commissione municipale di Venezia, riuscirono ad evitare che le loro undici navi da guerra, fornite d'equipaggi italiani, non uscissero dal porto di Pola per far causa comune con gli insorti, che riuscirono ad impadronirsi soltanto di due legni. Fu un grave danno perché senza la flotta, l'Austria non avrebbe poi potuto bloccare Venezia e avrebbe sofferto danni incalcolabili se fosse stata bloccata nell'Istria e a Trieste.

 indice

 

seconda guerra di indipendenza:   (26 aprile 1859 - 12 luglio 1859) vide confrontarsi l'esercito franco-piemontese e quello dell'Impero austriaco. La sua conclusione permise il ricongiungimento della Lombardia al Regno di Sardegna e pose le basi per la costituzione del Regno d'Italia.

Le ostilita’ fra il regno di Sardegna e l’Austria ripresero il 26 aprile 1859. A fianco dei piemontesi si schierarono 120.000 francesi come previsto dagli accordi verbali di plombières concretizzati in un formale trattato d’alleanza nel gennaio 1859. Le incertezze di cui diede prova il generale Gyulai, capo delle forze austriache, provocò le sconfitte a montebello il 20 maggio e a Palestro il 21 maggio, gli austriaci furono così ricacciati oltre il Ticino. Il 4 giugno ebbe luogo lo scontro di magenta. Gli austriaci avevano risposto con estrema decisione all’assalto degli eserciti alleati e l’esito della battaglia fu incerto per diverse ore, fu soltanto alla sera che Magenta cadde nelle mani dei franco-piemontesi, che ebbero 4.500 perdite contro 10.000, ma i vincitori, probabilmente paghi del risultato ottenuto, non si posero all’inseguimento dell’esercito nemico, in evidente difficolta’ e mal diretto da Gyulai, poco dopo destituito dal suo imperatore Francesco Giuseppe. Il successo arrideva anche al corpo di volontari di Garibaldi che incorporato nell’esercito sardo, dopo aver occupato Varese batteva a San Fermo il generale Urban. L’8 giugno Vittorio Emanuele II e Napoleone III entravano trionfalmente a Milano. Francesco Giuseppe, che aveva assunto il comando dell’esercito, coadiuvato dal generale Hess, riprese l’offensiva, che il 24 giugno si infranse a Solferino e a San Martino nelle battaglie più combattute e sanguinose del risorgimento. Le perdite dell’esercito francese e piemontese assommarono a oltre 2.000 morti e 12.000 feriti. Gli austriaci lasciarono sul campo 2.000 morti e piu’ di 10.000 feriti mentre prigionieri e dispersi superarono gli 8.000. Dal canto suo Garibaldi aveva occupato Bergamo e Brescia e si era aperta la via per il Veneto, mentre la flotta franco-sarda aveva posto il blocco a Venezia. Nonostante la situazione militare più che favorevole, il 5 luglio napoleone III, preoccupato per gli avvenimenti politici interni e internazionali che sembravano a lui sfavorevoli, propose l’armistizio, firmato l’8 luglio a Villa Franca, dalle tre potenze. Tra la seconda e la terza guerra del risorgimento va collocata la spedizione dei Mille condotta da Garibaldi, il quale nel 1860 portò alla liberazione del mezzogiorno d’Italia. Successivamente intervennero anche i piemontesi (l’ordine di Cavour è dell’11 settembre) i quali liberarono l’Italia centrale e sconfissero le truppe pontificie a Castelfidardo per poi dirigersi nel sud dove sostituirono Garibaldi e completarono la conquista espugnando le fortezze di Gaeta il 13 febbraio 1861, di Messina il12 marzo 1861.

 indice

 

terza guerra di indipendenza: appartiene alla più ampia guerra austro-prussiana, della quale rappresentò il fronte meridionale. la convergenza di interessi portò l'8 aprile 1866 a un trattato di alleanza offensiva e difensiva tra l'italia e la Prussia, in funzione antiasburgica. un’attacco da entrambi i fronti avrebbe costretto l’Austria a cedere il Veneto. L’Austria era a conoscenza del patto e temendo l’esercito Prussiano offre la cessione del Veneto in cambio di neutralità. Vittorio Emanuele II rifiuta per onore e fedeltà. L’Italia entra in guerra e viene subito sconfitta a Custoza e nello scontro navale di Lissa ( oggi Vis in Croazia ), l'unica eccezione la fece il solito Garibaldi che con i suoi volontari avanzava in Trentino, ma per nostra fortuna la Prussia vince sull’esercito asburgico a Sadowa . L’Austria è costretta a firmare l'armistizio ma per orgoglio si rifiutò di cedere il veneto all'Italia, che venne ceduto all'Imperatore Francese Napoleone III, che fa da intermediario e lo cede all’Italia 24 agosto 1866. La guerra sostenuta da La Marmora è stata inutile e disastrosa, infatti venne messo da parte e l'esercito venne affidato a Cialdini che lo condusse fino ad Udine, mentre Garibaldi venne fermato in Trentino ( da qui il famoso obbedisco di Bezzecca ). Questa guerra scatenò numerose polemiche, l’Italia venne colpita dalla crisi economica e dalla carestia nelle campagne. Si ebbero agitazioni in tutta la penisola, in particolare a Palermo dove divampò una rivolta, sostenuta da borboni, chiesa e democratici. Fu necessario l’esercito per domare l’ultima rivolta del mezzogiorno: la miseria e la disperazione sfociarono nella massiccia emigrazione di fine ottocento.

 indice

 

la spedizione dei mille: è un celebre episodio del periodo risorgimentale italiano, avvenuto nel 1860 quando un corpo di volontari, protetto dal Piemonte, al comando di Giuseppe Garibaldi, partendo dalla spiaggia di Quarto (oggi Quarto dei Mille, a Genova) sbarcò in Sicilia occidentale, e conquistò l'intero Regno delle Due Sicilie, patrimonio della casa reale dei Borbone

 indice

 

Mappe dell'unificazione italiana

 

 

CAVOUR : Qualche volta la storia è scritta dagli uomini, ma spesso anche dal caso. Se Camillo Benso, conte di Cavour, avesse messo in pratica il proposito di suicidarsi, come lasciava intuire in una lettera del 19 aprile 1859 al nipote Ainardo a causa del fallimento della sua strategia ( concordata con napoleone III ) per trascinare in guerra l'Austria, ora l'Italia, forse, non esisterebbe, invece la guerra arrivò, in extremis. Lui, lo scafato ed illuminato statista, in fondo era fragile, tanto fragile al punto da aver preso in considerazione, più di una volta nella vita, l'idea di compiere l'estremo gesto. L'uomo Cavour è interessante almeno quanto il politico, eppure infinitamente meno conosciuto. Camillo era nato a Torino il 10 agosto 1810, secondogenito del nobile piemontese Michele Benso e della ginevrina Adele di Sellon, il nome gli era stato dato per rendere omaggio a Camillo Borghese e Paolina Bonaparte ( sorella di Napoleone ) che lo tennero a battesimo. Fin da subito mostrò di non avere grande propensione per lo studio, quanto piuttosto per la buona tavola. Dal 1820 al 1825 fu in accademia, dove continuò a dare parecchi grattacapi ai genitori, poi diventa ufficiale del genio, fu spedito in varie località a seguire lavori di fortificazione di presidi militari. Lasciata la divisa a 22 anni Cavour diventa sindaco di Grinzane, dove la famiglia aveva vari possedimenti, a 25 anni prese a girare tra Parigi, Londra, Bruxelles e Ginevra, dove viveva parte della sua famiglia, per studiare la realtà economica e industriale di quei paesi, godendone nel contempo anche la vita e i... vizi. 

 

Molti dei suoi vizi e delle sue virtù emergono dalle migliaia di lettere e dalle memorie custodite presso gli archividi Santena ( residenza estiva dei Benso di Cavour ) Torino e Roma, scritte in buona parte in Francese, la sua lingua natia, non è infatti un mistero che Cavour si esprimesse meglio in Francese che in Italiano, lui stesso scrisse: "la lingua italiana mi è rimasta, sino ad oggi, completamente estranea. Non solo no saprei servirmene con eleganza, ma mi sarebbe impossibile evitare di commettere errori numerosi e grossolani". anelava dunque a guidare un paese di cui non conosceva bene neanche la grammatica. Era stato nelle più importanti capitali europee, ma non aveva mai viaggiato nel resto dello stivale. Negli ultimi anni di vita fece una puntata a Firenze, unica città da lui toccata a sud della "linea Gotica" ma non vide mai ne Roma ne il mezzogiorno, sui cui abitanti nutriva peraltro parecchi pregiudizi, bizzarro che uno così si fosse messo in testa di unificare l'Italia. in effetti la sua idea di Italia era piuttosto una confederazione di tre regni, uno al nord, uno al centro e una al sud, non era proprio quella che poi si realizzò, l'idea di partenza di Cavour era che gli stati Italiani fossero tutti mal governati, pensava che un buon governo liberale e la libertà di commercio potessero da soli cambiare il paese...  ( vedi anche: http://it.wikipedia.org/wiki/Cavour )

indice

 

GIUSEPPE GARIBALDI:  Nato a Nizza il 4 luglio 1807, noto anche con l'appellativo di Eroe dei due mondi per le sue imprese militari compiute sia in Europa, sia in America meridionale, è la figura più rilevante del Risorgimento ed uno dei personaggi storici italiani più celebri nel mondo. È considerato, insieme a Giuseppe Mazzini, Vittorio Emanuele II e Camillo Benso, conte di Cavour, uno dei padri della Patria. I genitori avrebbero voluto avviare Giuseppe alla carriera di avvocato, o di medico o di prete. Ma il figlio amava poco gli studi e prediligeva gli esercizi fisici e la vita di mare, essendo, come lui stesso ebbe a dire, «più amico del divertimento che dello studio». Vedendosi ostacolato dal padre nella sua vocazione marinara, tentò di fuggire per mare verso Genova con alcuni compagni, ma fu fermato e ricondotto a casa. Tuttavia si appassionò all'insegnamento dei suoi primi precettori, soprattutto del signor Arena, reduce delle campagne napoleoniche, che gli impartì lezioni d'italiano e di storia antica. Rimarrà soprattutto affascinato dall'antica Roma. Giuseppe Garibaldi ha incontrato Giuseppe Mazzini nel 1833 a Londra, dove quest'ultimo era in esilio protetto dalla massoneria inglese, e che si sia iscritto subito alla Giovine Italia, un'associazione politica segreta il cui scopo era di trasformare l'Italia in una repubblica democratica unitaria. Dopo il fallimento della rivolta in Savoia dell' 11 febbraio 1833 Garibaldi venne considerato come  uno dei capi della cospirazione, fu condannato alla pena di morte ignominiosa in contumacia in quanto nemico della Patria e dello Stato. Garibaldi si rifugiò prima a Nizza e poi varcò il confine giungendo a Marsiglia, decise quindi di partire alla volta del Sud America con l'intenzione di propagandare gli ideali mazziniani. L'8 settembre 1835 partì da Marsiglia sul brigantino Nautonnier.

 
 

Tornato in Europa per partecipare alla prima guerra di indipendenza contro gli austriaci, Garibaldi si recò il 5 luglio a Roverbella, nei pressi di Mantova, per offrirsi volontario al re Carlo Alberto che, avvertito dai consiglieri della sua partecipazione all'insurrezione di Genova, lo respinse, partecipò comunque alla guerra come volontario al servizio del governo provvisorio di Milano. Con la Legione che aveva organizzato ottenne due piccoli successi tattici, sugli Austriaci del d'Asprè, a Luino e Morazzone.

Dopo la sconfitta piemontese di Novara (22-23 marzo 1849), Garibaldi partecipò ai combattimenti in difesa della Repubblica Romana, minacciata dalle truppe Francesi e Napoletane che difendevano gli interessi del papa Pio IX.  Nonostante i numerosi atti d'eroismo dei patrioti e la strenua opera di difesa organizzata da Garibaldi, l'enorme superiorità numerica dell'esercito francese e di quello napoletano ebbe alla fine la meglio. Roma cadde e Garibaldi, con i suoi, fu costretto alla fuga, che è passata alla storia come "la trafila", una disperata corsa per mezza Italia nel tentativo di raggiungere Venezia, ultimo baluardo liberale delle insurrezioni del '48, dove la Repubblica di San Marco di Daniele Manin avrebbe tenacemente resistito fino all'agosto del '49 alla riconquista austriaca.

La "trafila" rappresentò una delle pagine più drammatiche e dolorose di tutta l'avventura terrena di Garibaldi, perse la moglie, che morì nelle paludi delle Valli di Comacchio, spossata dalla fuga e dalla gravidanza. Al pianto disperato di Garibaldi, che non voleva abbandonare il cadavere della donna, "Leggero" lo avrebbe sollecitato a proseguire la fuga e a mettersi in salvo dicendogli: «Generale, per i vostri figli, per l'Italia...» Alla fine, Garibaldi riuscì a fuggire entrando nel Granducato di Toscana, giungendo infine in Liguria, nel Regno di Sardegna. Qui venne invitato a non fermarsi ed imbarcato per la Tunisia, dove gli fu impedito di sbarcare e, quindi, momentaneamente alloggiato nell'isola della Maddalena, ospite del sindaco per una ventina di giorni. Il governo piemontese, tuttavia, non vedeva l'ora di sbarazzarsi dell'ingombrante figura di Garibaldi e lo trasferì a Gibilterra, dove il governatore inglese gli concesse di sbarcare, però intimandogli di ripartire entro 10 giorni. L'Eroe dei due mondi decise di stabilirsi a Tangeri, accompagnato dagli ufficiali "Leggero" e Luigi Cocelli, accettando l'ospitalità dell'ambasciatore piemontese in Marocco Giovan Battista Carpenetti. Passati lì sei mesi, s'imbarcò per New York (agosto 1850) dove lavorò nella fabbrica di candele di Antonio Meucci. Dopodiché si trasferì in Perù dove cercò un ingaggio come capitano di mare.

Garibaldi tornò in Italia nel 1854. Comprò metà dell'isola di Caprera con un'eredità di 35 mila lire. Partendo dalla casa di un pastore costruì, insieme a 30 amici, una fattoria. Si mise a fare il contadino, il fabbro e l'allevatore: possedeva un uliveto con circa 100 alberi d'ulivo, si occupava di un vigneto con cui produceva vino e allevava 150 bovini, 400 polli, 200 capre, 50 maiali e più di 60 asini. Cinque anni dopo partecipò alla seconda guerra d'indipendenza (maggio-giugno 1859) guidando in una brillante campagna nella Lombardia settentrionale, i Cacciatori delle Alpi. Dopo aver sconfitto gli austriaci nella battaglia di San Fermo occupò la città di Como. In seguito alla vittoria dei franco-piemontesi sull'esercito austriaco, i piemontesi occuparono militarmente la Legazione delle Romagne. Vittorio Emanuele incaricò Garibaldi di controllare il confine tra il Riminese ed il Pesarese, dove cominciava lo Stato della Chiesa. Garibaldi andò oltre i propri compiti, profondendosi nell'attacco di Marche e Umbria. L'iniziativa era prematura ed improvvida (assente il consenso di Napoleone III) e venne bloccata dal generale Manfredo Fanti. Per evitare di creare imbarazzi al governo torinese, Garibaldi fu convinto a dimettersi dal comando in seconda della Lega dell'Italia Centrale.

Nel 1860 Garibaldi organizzò una spedizione per conquistare il Regno delle Due Sicilie. Raccolto un corpo di spedizione composto da circa mille uomini, Garibaldi raggiunse via mare la Sicilia partendo da Quarto, presso Genova con due piroscafi: il Piemonte e il Lombardo. Approdò a Talamone per rifornirsi di armi. Successivamente sbarcò nel porto di Marsala. Dopo lo sbarco sull'isola, il 14 maggio si diresse verso Salemi dove venne accolto con grande entusiasmo dalla popolazione grazie anche all'aiuto del barone di Alcamo che si era unito con una banda di picciotti. In seguito, rinforzato da alcune centinaia di volontari vinse contro le truppe borboniche a Calatafimi. Liberò poi Palermo dando l'assalto alla città, da Porta Termini: assalì le carceri lasciate indifese e liberò i detenuti, dei quali molti si unirono a lui e con le famiglie delle borgate povere della città dettero vita ad una insurrezione popolare, tanto che i borbonici reagirono bombardando i quartieri ribelli ma alla fine la guarnigione del Regno delle Due Sicilie accettò un armistizio che consentì loro di imbarcarsi e fare ritorno sul continente. Vinta la resistenza della piazzaforte di Milazzo, il suo luogotenente Nino Bixio, giustiziò per brigantaggio 5 persone sommariamente processate a Bronte. Il 20 luglio, venne pattuita una lunga tregua con la guarnigione di Messina, che accettava di non infastidire i volontari, a condizione di mantenere il controllo della cittadella. Il 19 agosto i garibaldini sbarcarono in Calabria a Melito, quindi aggirarono e sconfissero i borbonici a Reggio Calabria il 21 agosto. Il 2 settembre i Mille arrivarono in Basilicata. Grazie al sostegno dei filomazziniani Giacinto Albini e Pietro Lacava, Garibaldi non incontrò grossi problemi in terra lucana. Lasciata la Basilicata, approdò in Campania, entrò ad Eboli il 6 settembre e cominciò una rapida marcia verso nord, che si concluse, il 7 settembre, con l'ingresso a Napoli. La capitale era stata abbandonata dal re Francesco II, che aveva spostato l'esercito a nord del fiume Volturno. La battaglia del Volturno fu la più brillante tra quelle combattute da Garibaldi in questa campagna: il 1-2 ottobre le forze garibaldine respinsero brillantemente l'attacco dell'esercito borbonico, riorganizzato a nord di Napoli da Francesco II. Anche se Francesco II aveva perso le speranze di recuperare Napoli, Garibaldi non disponeva delle forze necessarie a condurre l'assedio delle fortezze in cui l'esercito sconfitto si era ritirato (Capua e, soprattutto, Gaeta). Fu quindi risolutivo l'arrivo dell'esercito del Regno di Sardegna, guidato da Manfredo Fanti e da Enrico Cialdini. Garibaldi incontrò Vittorio Emanuele II il 26 ottobre 1860, A Teano Ponte S. Nicola e gli consegnò la sovranità sul Regno delle Due Sicilie. Garibaldi accompagnò poi il re a Napoli il 7 novembre e, il giorno seguente, si ritirò nell'isola di Caprera, rifiutando di accettare qualsiasi ricompensa per i suoi servigi.

Per l'intera esistenza Garibaldi colse ogni occasione per liberare Roma dal potere temporale, cacciandone, se possibile, il papa. Egli era infatti un convinto anticlericale: L'odio verso il papato e il clero e, in particolare, verso Pio IX è testimoniato dal nome che Garibaldi diede al proprio asino, "Pionono" e dal fatto che egli si riferisse al pontefice usando la locuzione «un metro cubo di letame».

Al primo tentativo della Repubblica Romana del 1849 era legata la morte della moglie Anita. La spedizione dei Mille avrebbe avuto come obiettivo, nelle sue intenzioni, non Napoli ma Roma, ma vi fu impedito dalla resistenza dell'esercito borbonico durante l'assedio di Gaeta e dalle considerazioni politiche del governo sardo. Garibaldi aveva in ogni caso ottenuto un incredibile successo e su quell'onda, nel 1862, organizzò una nuova spedizione: imbarcatosi a Caprera, raggiunse Palermo, ove venne accolto dal tripudio popolare. Attraversò indisturbato la Sicilia raccogliendo volontari e passò lo Stretto da Giardini Naxos dove aveva trascorso la notte. Napoleone III, l'unico alleato del neonato Regno d'Italia, aveva posto Roma sotto la propria protezione ed il tentativo era, quindi, destinato a fallire. Esso mise, comunque, in grave imbarazzo il governo italiano, che stabilì di fermare Garibaldi in Calabria, schierando contro di lui l'esercito regolare. Garibaldi, probabilmente, contava sul proprio prestigio per avanzare indisturbato, certamente cercò di evitare lo scontro, passando per una via discosta nel cuore della montagna dell'Aspromonte. Venne comunque intercettato, i bersaglieri aprirono il fuoco e parimenti risposero alcune camicie rosse. Garibaldi si interpose, gridando ai suoi di non sparare, venne ferito all'anca e al piede sinistro. Cadde e lo scontro a fuoco cessò. L'episodio della sua ferita sarà ricordato in una celebre ballata popolare su un ritmo di una marcia dei bersaglieri. La cosiddetta giornata dell'Aspromonte fruttò al generale l'arresto. Il 2 settembre Garibaldi venne trasportato alla Spezia e rinchiuso nel carcere del Varignano. Il 20 novembre Garibaldi venne trasportato a Pisa dove fu visitato dal professor Paolo Tassinari e il 23 il professor Ferdinando Zannetti lo operò per estrarre la palla di fucile.

Che il tentativo del 1862 fosse velleitario, lo provarono i successivi eventi del 1867. Garibaldi organizzò una terza spedizione su Roma, partita questa volta da Terni, ai confini con lo Stato Pontificio riconosciuta come "Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma" con circa 10.000 volontari al suo inizio al comando del figlio primogenito Menotti: prese il 26 ottobre 1867 la piazzaforte pontificia di Monterotondo, ma non riuscì a suscitare la rivoluzione in Roma malgrado il sacrificio dei fratelli Cairoli (Villa Glori) e il sacrificio a Roma della Tavani Arquati e di Monti e Tognetti decapitati nel 1868. Garibaldi venne sconfitto dalle truppe del papa e dai rinforzi francesi dotati del fucile Chassepot a retrocarica inviati da Napoleone III alla battaglia di Mentana. I Francesi erano sul punto di catturare Garibaldi, ma l'Eroe dei Due Mondi venne salvato da Francesco Crispi, che raggiunse la stazione di Monterotondo in territorio italiano e riuscì a scortarlo in treno fino a Figline dove fu nuovamente arrestato.

All'inizio della Terza guerra di indipendenza italiana venne riorganizzato il corpo volontario denominato Corpo Volontari Italiani, ancora una volta al comando del Garibaldi. Anche la missione era simile a quella condotta fra i laghi lombardi nel 1848 e nel 1859: agire in una zona di operazioni secondaria, le prealpi tra Brescia ed il Trentino, ad ovest del Lago di Garda, con l'importante obiettivo strategico di tagliare la via fra il Tirolo e la fortezza austriaca di Verona. Ciò avrebbe lasciato agli Austriaci la sola via di Tarvisio per approvvigionare le proprie forze e fortezze fra Mantova ed Udine. L'azione strategica principale era, invece, affidata ai due grandi eserciti di pianura, affidati a La Marmora ed a Cialdini. Garibaldi operò inizialmente a copertura di Brescia, per poi passare decisamente all'offensiva a Ponte Caffaro il 25 giugno 1866. Il 3 luglio a Monte Suello costrinse al ripiegamento gli austriaci, ma riportò una ferita alla coscia per un maldestro colpo partito ad un suo volontario. Si aprì, con la vittoria nella battaglia di Bezzecca e Cimego del 21 luglio, la strada verso Riva del Garda e quindi l'imminente occupazione della città di Trento. Salvo essere fermato dalla firma dell'armistizio di Cormons. In quest'occasione, ricevuta la notizia dell'armistizio e l'ordine di abbandonare il territorio occupato, rispose telegraficamente "Obbedisco", parola che successivamente divenne motto del Risorgimento italiano e simbolo della disciplina e dedizione di Garibaldi. Il telegramma fu inviato dal garibaldino marignanese Respicio Olmeda in Bilancioni il 9 agosto 1866 da Bezzecca, evento ricordato su una lapide collocata sulla facciata della sua casa natale a San Giovanni in Marignano (RN).

Nel 1871 viene promossa da Garibaldi la prima società in Italia per la protezione degli animali: la Regia società torinese protettrice degli animali (oggi ENPA), contro i maltrattamenti che gli animali subivano sia in campagna sia in città, specie da parte dei guardiani e dei conducenti, affermava Garibaldi: «Proteggere gli animali contro la crudeltà degli uomini, dar loro da mangiare se hanno fame, da bere se hanno sete, correre in loro aiuto se estenuati da fatica o malattia, questa è la più bella virtù del forte verso il debole.

Nel 1880 ufficializza la sua unione con la piemontese Francesca Armosino, sua compagna da 14 anni e dalla quale ebbe tre figli; di cui la prima Clelia Garibaldi, dedicherà alla sua memoria l'intera sua vita e racconterà in un libro Mio padre gli ultimi anni della sua vita in cui l'eroe dei due mondi si trasforma da condottiero a padre amorevole e marito affettuoso. Fu affetto negli ultimi anni di vita da una grave forma di artrite che lo costringeva su una poltrona a rotelle.La sua ultima campagna politica riguardò l'allargamento del diritto di voto, nella quale impegnò l'immenso prestigio e la fama mondiale conquistate con le sue incredibili vittorie. Accentuò inoltre la polemica anticristiana intervenendo, come ospite d'onore, a varie riunioni della Società Nazionale Anticlericale. Si era auto esiliato nell'Italia che egli aveva costruito perché il Regno d'Italia, vista la sua esuberanza e il suo carattere fieramente indipendente, lo aveva preferito in disparte. Morì a Caprera il 2 giugno 1882 alle ore 18:20 per una paralisi della faringe che gli impedì di respirare, con lo sguardo rivolto intenzionalmente verso la Corsica. Nel testamento, una copia del quale è esposta nella casa-museo sull'isola di Caprera, Garibaldi chiedeva espressamente la cremazione delle proprie spoglie. Desiderio disatteso dalla famiglia, pare pressata da Francesco Crispi, che preferì, addirittura, farlo imbalsamare. Attualmente la salma giace a Caprera in un sepolcro chiuso da una massiccia pietra grezza di granito. Sembra che negli anni trenta sia stata effettuata una ricognizione della salma, che sarebbe stata trovata in perfetto stato di conservazione.Garibaldi, massone ed anticlericale convinto, inserì nel proprio testamento anche alcuni passaggi tesi a sventare eventuali tentativi di conversione alla religione cattolica negli ultimi attimi della vita: 

( vedi anche: http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Garibaldi )

libri consigliati: Garibaldi di Alexandre Dumas, unica biografia autorizzata dallo stesso Garibaldi scritta da Dumas figlio, suo amico e contemporaneo, cura e introduzione di Riccardo Reim, newton compton editori

Mio padre, è il libro in cui Clelia Garibaldi figlia primogenita di Giuseppe Garibaldi, raccoglie le memorie della sua vita con il padre. 1^ edizione originale 1948, edizioni Erasmo novembre 2007

indice

 

VITTORIO EMANUELE II: (Torino 14 marzo 1820 - Roma 9 gennaio 1878) è stato l'ultimo re di Sardegna (dal 1849 al 1861) e il primo re d'Italia (dal 1861 al 1878). coadiuvato dal primo ministro Camillo Benso conte di Cavour, portò a compimento il Risorgimento e il processo di unificazione italiana, guadagnandosi l'appellativo di "Padre della Patria".

Per celebrare il «Padre della Patria», il Comune di Roma bandì un progetto, dal 1880, su volontà di Umberto I di Savoia. Ciò che venne costruito fu una delle più ardite opere architettoniche d'Italia nell'Ottocento: per erigerlo, venne distrutta una parte della città, ancora medioevale, e venne abbattuta anche la torre di papa Paolo III. L'edificio doveva ricordare il tempio di Atena Nike, ad Atene, ma le forme architettoniche ardite e complesse fecero sorgere dubbi sulla buona riuscita dell'opera. Oggi, al suo interno, è presente la tomba del Milite Ignoto.

( vedi anche:http://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Emanuele_II_d%27Italia )

VITTORIO EMANUELE II NELLE MARCHE:

Dopo la battaglia di Castelfidardo ( 18 settembre 1860 ) il comandante in capo delle forze Pontificie, Lamoriciere, si rifugia dentro Ancona con i superstiti, il 26 settembre i Piemontesi entrano a Borgo Pio, il 28 il maggiore pontificio Mauri si arrende al generale Fanti con i suoi 368 ufficiali e 6000 fanti. Re Vittorio Emanuele il 3 ottobre sbarca nel porto di Ancona, la città appena liberata è in festa, con un tripudio di bandiere tricolori nelle strade e sui balconi. A porta pia il Re passa in rassegna le truppe poi entra in città e sale in piazza grande ( oggi piazza del plebiscito ) nel palazzo apostolico, oggi sede della prefettura riceve i membri del comitato patriottico anconetano, insieme alle altre delegazioni delle province marchigiane e umbre. I festeggiamenti proseguono per tutta la notte, il Re per sette notti, per motivi di sicurezza ( la nobiltà anconetana era ancora molto legata alla Chiesa ), risiede in collina, sull’altura di Posatora, in una villa messa a disposizione dal commerciante Luigi Colonnelli. Muove quindi per Macerata poi su Grottammare, infine fa ingresso anche a Loreto, qui il Capitolo della Santa Casa si schiera sui gradini per accogliere il Re, che gli stringe la mano senza chinare la testa e senza inginocchiarsi in segno di rispetto ma non di sottomissione, assiste alla messa, pranza con i prelati e poi si reca a visitare i soldati ( anche quelli pontifici ) feriti nello scontro di Castelfidardo di due settimane prima. 

Che il re fosse uomo che apprezzava grandemente le donne è cosa nota, forse meno noto è il diversivo che si concesse nel corso della sua permanenza nelle Marche, quando Vittorio Emanuele si ferma a Grottammare ( un paio di giorni ) riceve i maggiorenti locali. Nel corso di un’udienza il canceliere P. impiegato governativo, latore di un’istanza, era accompagnato dall’avvenente figlia Artemisia che il Re nota e intrattiene privatamente un’oretta. La sera dopo, alle tre di notte, la carrozza reale si presenta sotto casa della famiglia e trasporta Artemisia alla residenza del sovrano.

Si dice che al termine dell’incontro il Re abbia firmato l’assenso all’istanza. Il cancelliere e la figlia seguono poi il re fino a Giulianova e quindi tornano a casa con un “Buono” da mille lire. Il cancelliere si reca a far visita al Re anche a Napoli, sempre con Artemisia al seguito, sembra che abbia ottenuto la nomina a Giudice e il trasferimento a Napoli con tutta la famiglia.

Artemisia pare si sia poi accasata (guarda caso) a Torino, e oggi come allora sembra che le cose vadano ancora così...

Discendenza:

Sposò a Stupinigi il 12 aprile 1842 la cugina Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena dalla quale ebbe otto figli:

  • Principessa Maria Clotilde (1843 - 1911),
  • Principe Umberto, principe del Piemonte (1844-1878) e Re d'Italia (1878-1900)
  • Principe Amedeo, Re di Spagna (1871-1873) e duca d'Aosta (1845-1890)
  • Principe Oddone Eugenio Maria, duca di Monferrato (Torino, 11 luglio 1846 - Genova, 22 gennaio 1866)
  • Principessa Maria Pia (16 ottobre 1847 - 17 luglio 1911), regina di Portogallo
  • Principe Carlo Alberto, duca di Chiablese (Torino, 2 giugno 1851 - Stupinigi, 22 giugno 1854)
  • Principe Vittorio Emanuele (Torino, 7 luglio 1852 - Torino, 7 luglio 1852)
  • Principe Vittorio Emanuele, conte di Genova (Torino, 8 gennaio 1855 - Torino, 17 maggio 1855)

Rosa Teresa Vercellana Guerrieri (soprannominata La Rosina o la La bella Rosin) fu una delle amanti del Re, da cui discese la linea comitale di Mirafiori e Fontanafredda. Si sposarono morganaticamente a Roma il 7 novembre 1869 ed ebbero due figli Vittoria ed Emanuele di Mirafiori

 indice

 

IL TRICOLORE: La nostra bandiera, di fatto, nasce a Bologna nel 1794, come coccarda appuntata sugli abiti dei patrioti, durante la sommossa di quella città. Quei colori sono poi stati confermati, nel 1796 da Napoleone Bonaparte che li consegnò alla Guardia Civica, alla Legione Lombarda e alla Guardia Nazionale. Si trattava dello stendardo tricolore nazionale lombardo, verde bianco e rosso con numerose scritte ed emblemi della libertà. il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia il congresso della Repubblica Cispadana scelse il tricolore quale simbolo di unità politica, si trattava della prima vera bandiera nazionale di uno stato Italiano, libero e democratico, l'11 maggio 1798 un decreto legge autorizzò l'attuale foggia a bande verticali.

Di seguito il tricolore è stato adottato, nell'agosto del 1802, dalla repubblica Italiana, di cui Napoleone era presidente, e dal Regno Italico ( 1804-1814 ). Il 23 marzo 1848 il tricolore, di formato quadrato, con lo scudo crociato bordato di blu, è donato dal Re di Sardegna, Carlo Alberto, all'esercito sardo, l'11 aprile 1848, Carlo Alberto dichiara la bandiera tricolore, di formato rettangolare, bandiera nazionale.

Nel 1861, il tricolore, con al centro lo stemma sabaudo, diviene ufficialmente la bandiera del neonato Regno d'Italia, . Il 2 giugno 1946, con l'avvento della Repubblica, è stato soppresso lo stemma sabaudo sulla bandiera. Il 9 novembre 1947 nele bandiere di mare fu aggiunto al centro uno stemma con le armi delle antiche repubbliche marinare ( Venezia, Genova, Pisa e Amalfi ).

Considerando la situazione storica e politica nella quale la nostra bandiera è nata, si ritiene che essa debba intendersi come riproposizione del tricolore francese, impostosi sull'onda della celebre triade di valori, libertà, uguaglianza e fraternità.

Un'altra corrente di pensiero, ritiene che nella penisola si disponeva del tricolore già nel XIII secolo, quando il partito Guelfo la adottò nell'intento di ribadire la propria adesione ai valori di carità (bianco), fede (rosso) e speranza (verde) suggeriti dal cristianesimo al mondo laico della politica, tutto il mondo comunale in effetti ne fu pervaso, basta controllare, per rendersene conto,  i colori dei rosoni, delle bandiere, degli intonaci interni ed esterni delle rocche, anche i Malatesta, da bravi guelfi, lo fecero.

 indice

 

alcuni brani sono tratti da Wikipedia italia:

Torna all'inizio

Home page