Racconto pasquale (prima parte)





































S
i era ormai sotto Pasqua: radunati in sede tutti i capoccia del capoluogo e delle frazioni, Peppone stava sudando come un maledetto per spiegare come i compagni deputati avessero fatto benissimo a votare per l’approvazione dell’articolo 7.

“Prima di tutto è per non turbare la pace religiosa del popolo, come ha detto il Capo, il quale sa benissimo quello che dice e non ha bisogno che glielo insegniamo noi. Secondariamente per evitare che la reazione sfrutti la faccenda piagnucolando sulla triste sorte di quel povero vecchio del Papa, che noi cattivoni vogliamo mandare ramingo per il mondo, come ha detto il Segretario del partito, il quale è uno che ha la testa sulle spalle e dentro un cervello grosso così. Terzo perché il fine giustifica i mezzi come dico io che non sono uno stupido, il quale affermo che, per arrivare al potere, tutto fa brodo. E quando saremo al potere, i reazionari clericali dell’articolo 7 sentiranno il sapore dell’articolo 8.”

Così concluse Peppone e, afferrato un cerchietto di ferro che fungeva da portacarte, lo torse con le manacce sì da foggiarlo a 8, e tutti capirono cosa voleva dire Peppone e urlarono d’entusiasmo. Peppone si asciugò il sudore: l’idea di mettere sul tavolo il cerchietto di ferro e di usarlo ai fini della battuta dell’articolo 8 era stata eccellente.
Era soddisfatto e concluse.

“Per il momento calma perfetta. Però sia ben chiaro che, articolo 7 o no, noi continuiamo per il nostro cammino senza deflettere di un milionesimo di millimetro e non tollereremo nessuna benché minimissima interferenza estranea! Nessuna”.

In quel preciso istante la porta dello stanzone si spalancò ed entrò don Camillo con l’aspersorio in mano, seguito da due chierichetti col secchiello dell’acqua santa e la sporta delle uova.

Cadde un silenzio di gelo. Senza dire una parola, don Camillo si avanzò di qualche passo e asperse d’acqua santa tutti i presenti. Poi consegnò l’aspersorio a un chierichetto e fece il giro ficcando in mano a ciascuno dei presenti un santino.
“No, a te un’immagine di Santa Lucia,” disse don Camillo arrivato a Peppone “così ti conserva la vista, compagno.”
Poi spruzzò abbondantemente d’acqua santa il grande ritratto del Capo accennando un piccolo inchino e uscì chiudendo la porta. E fu come se fosse passato il vento stregato che fa diventare di sasso la gente.
A bocca aperta, Peppone guardò sbalordito il santino che aveva tra le mani, poi guardò la porta, indi esplose in un urlo quasi disumano:
“Tenetemi o l’ammazzo! ”
Lo tennero, e così don Camillo poté ritornare a casa col petto gonfio come un pallone, tanto schiattava di gioia.

Il Cristo sull’altare era coperto ancora col triangolo di velluto, ma vide ugualmente don Camillo quando entrò in chiesa.

“ Don Camillo! ” disse con voce severa.
“ Gesù, ” rispose tranquillo don Camillo “se benedico le galline e i vitelli, perché non dovrei benedire Peppone e i suoi uomini? Ho forse sbagliato? “
“ No, don Camillo, hai ragione tu. Però sei un briccone lo stesso.“