CONFERENZA STAMPA DI
PRESENTAZIONE
DELL’ISTRUZIONE "DIGNITAS CONNUBII",
SULLE NORME DA OSSERVARSI NEI TRIBUNALI ECCLESIASTICI
NELLE CAUSE MATRIMONIALI
Martedì, 8 febbraio 2005
INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. JULIÁN HERRANZ
Istruzione "Dignitas connubii": la sua natura e finalità
1. Il perché di questo documento
L’Istruzione Dignitas connubii, che oggi viene
presentata, è frutto di un lungo lavoro intrapreso nel 1996, per esplicita
indicazione del Santo Padre dai dicasteri della Santa Sede qui rappresentati:
oltre al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi,
Entrambe le Istruzioni sono state emanate circa un
ventennio dopo i rispettivi Codici di Diritto Canonico (del 1917 e del 1983),
non per accostare ad essi un nuovo testo legislativo
né tanto meno per abrogarli, bensì semplicemente per facilitarne la
consultazione ed applicazione. Infatti, da un lato, l’Istruzione presenta
insieme tutto ciò che riguarda i processi canonici di nullità matrimoniale – a
differenza del Codice, che contiene le norme in proposito sparse in diverse
parti –, e, dall’altro, si integrano gli sviluppi
giuridici che si sono verificati nel periodo immediatamente postcodiciale:
interpretazioni autentiche del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi,
risposte del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, giurisprudenza del
Tribunale Apostolico della Rota Romana. Come succede di solito con le norme
inferiori alle leggi, questa Istruzione non si limita
a ripetere il testo dei canoni codiciali, ma contiene
delle interpretazioni, dei chiarimenti sulle disposizioni delle leggi e delle
ulteriori disposizioni sui procedimenti per la loro esecuzione.
Con questo documento
Il pieno e dinamico coinvolgimento delle Chiese
particolari, infatti, è decisivo affinché si possa migliorare il funzionamento
dei tribunali e la formazione degli operatori giuridici, siano
superate le disfunzioni e corretti gli abusi, tanto negli aspetti processuali
quanto in quelli attinenti la piena conformità dei giudizi con la legislazione
e la dottrina della Chiesa sul matrimonio. Anche in questa materia occorre
attuare sempre più la sinergia della comunione ecclesiale tra Chiesa universale
e Chiese particolari, comprendendo che gli interventi della Sede Apostolica non
sono delle intromissioni, né intendono deresponsabilizzare nessuna delle istanze competenti, anzi lo scopo è esattamente il
contrario.
2. Il perché del processo canonico di nullità matrimoniale
La presente Istruzione viene a confermare la necessità di
sottomettere la questione sulla validità o nullità del matrimonio dei fedeli a un processo veramente giudiziario. A
volte, questa prassi tradizionale della Chiesa è oggetto di critiche o riserve,
come se implicasse un eccesso di formalismo. Si ipotizzano
vie di soluzione più semplici, che addirittura risolverebbero il problema nel
solo foro interno, mediante la cosiddetta "nullità di coscienza", in
cui
Inoltre, sia nella Chiesa che
nella società civile, il matrimonio non può essere considerato una questione
d’interesse esclusivamente privato, sulla cui validità si potrebbero
pronunciare le stesse parti con efficacia giuridica tale da poter contrarre
un’altra unione. A parte il fatto che il giudizio umano circa le questioni in
cui c’è un forte interesse personale è assai inaffidabile, potendoci essere
ovviamente delle discrepanze tra le stesse parti,
bisogna soprattutto rendersi conto che il vincolo coniugale, vero fondamento
della famiglia, interessa non solo le parti, ma anche gli eventuali figli e
l’intera società, sia ecclesiale che civile. Perciò, conformemente ad una
convinzione radicata nelle civiltà di tutti i tempi, il matrimonio è un’unione
di natura pubblica, per cui gli stessi contraenti non
possono autodichiararne la nullità.
Ci vuole, invece, un vero accertamento
della verità oggettiva circa la validità o meno dell’unione. Questo
impegno di cercare la verità deve soddisfare due requisiti fondamentali:
consentire la difesa e discussione degli argomenti pro e contro la nullità, nonché la raccolta delle prove in uno o nell’altro senso; ed
assegnare il compito di giudicare ad un terzo imparziale. Questi due requisiti
sono proprio quelli del processo giudiziale, istituto giuridico alla cui
configurazione nella storia la stessa Chiesa ha peraltro grandemente
contribuito. Nel caso dei processi di nullità matrimoniale, si è introdotto un
ruolo specifico, che consente di mantenere quelle caratteristiche
quando entrambe le parti sono concordi nel chiedere la dichiarazione di
nullità: si tratta del difensore del vincolo, cui spetta proprio apportare in
ogni caso tutto ciò che si possa addurre in favore della valida esistenza del
vincolo coniugale.
A nessuno sfugge la fallibilità
umana che può far sì che non ci sia vera giustizia in una decisione concreta, o
che essa non sia tempestiva. Certamente, non è facile giudicare
quando queste situazioni realmente si verificano e, perciò, si deve
procedere con cautela nel dare informazioni sui processi, evitando di cadere
nella superficialità di una cronaca scandalistica non adeguatamente fondata. D’altra parte, sarebbe assurdo demonizzare in generale uno
strumento di per sé valido, quali sono i tribunali ecclesiastici, per il fatto
che esso in qualche caso non funzioni bene. Al riguardo,
3. La questione di fondo: il
bene del matrimonio e della famiglia
Mediante lo sforzo del personale e dei mezzi dedicati a
questo settore della sua pastorale,
In un contesto di mentalità
divorzistica, anche i processi canonici di nullità possono essere facilmente
fraintesi, come se non fossero altro che vie per ottenere un divorzio con
l’apparente beneplacito della Chiesa. La differenza tra nullità e divorzio sarebbe meramente nominale. Attraverso un’abile manipolazione
delle cause di nullità, ogni matrimonio fallito diventerebbe nullo. I Romani
Pontefici, specialmente nelle loro allocuzioni annuali alla Rota Romana, hanno
più volte mostrato l’autentico senso delle nullità matrimoniali, inseparabile
dalla ricerca della verità, poiché la dichiarazione di nullità non è nessun scioglimento di un vincolo esistente, bensì solo la
constatazione, a nome della Chiesa, dell’inesistenza di un vero matrimonio fin
dall’inizio. Anzi,
In definitiva, occorre riscoprire la dignità del matrimonio
sia sul piano della natura umana che su quello della salvezza in Cristo. La
ricchezza del matrimonio e della famiglia, quale bene indispensabile per le
persone e per le società, che in Cristo si trasforma in vero cammino di santità
e di apostolato, è ciò che questa Istruzione, secondo
la sua specificità giuridica, intende favorire e promuovere.
INTERVENTO DI S.E. MONS. ANGELO AMATO, S.D.B.
Il processo matrimoniale come servizio della Chiesa alla
verità e alla coscienza dei fedeli
La promulgazione dell’Istruzione "Dignitas
connubii " offre l’opportunità di fare
alcune considerazioni sul tema del processo canonico per la dichiarazione di
nullità del matrimonio, come servizio della Chiesa alla verità e alla coscienza
dei fedeli.
Come ben dice l’incipit dell’Istruzione,
L’intera azione spirituale della Chiesa – e quindi anche la
sua dimensione giuridica – è infatti indirizzata alla
salvezza delle anime. A ragione, sia il Codice di diritto canonico nel suo
ultimo canone, sia la presente Instructio nel
suo ultimo articolo, affermano che la salvezza delle anime è la legge suprema
della Chiesa.1
È questo lo spirito che informa l’azione dei Tribunali
ecclesiastici e di conseguenza dei suoi giudici. Il ministerium
iustitiae è un vero e proprio «ministerium veritatis,
perchè tende primariamente alla salvezza dell'anima di chi ha bisogno di questi
tribunali».2
Continuando e sviluppando questo orientamento,
il Santo Padre Giovanni Paolo II, in una allocuzione del 1980 alla Rota Romana,
illustrava ampiamente il fermo e radicale ancoraggio alla verità di ogni
processo matrimoniale:
«In tutti i processi ecclesiastici la
verità deve essere sempre, dall’inizio fino alla sentenza, fondamento, madre e
legge della giustizia. […] Fine immediato [dei
processi matrimoniali di nullità] è di accertare l’esistenza o meno dei fatti
che, per legge naturale, divina od ecclesiastica, invalidano il matrimonio,
cosicché si possa giungere all’emanazione di una sentenza vera e giusta circa
l’asserita non esistenza del vincolo coniugale.
Il giudice canonico deve perciò stabilire se quello
celebrato è stato un vero matrimonio. Egli è, quindi, legato dalla verità, che
cerca di indagare con impegno, umiltà e carità.
E questa verità "renderà
liberi" coloro che si rivolgono alla Chiesa, angosciati da situazioni
dolorose, e soprattutto dal dubbio circa l’esistenza o meno di quella realtà
dinamica e coinvolgente tutta la personalità di due esseri, che è il vincolo matrimoniale. Per limitare al massimo i margini di
errore nell’adempimento di un servizio così prezioso e delicato qual è
quello da voi svolto,
Nella propria azione l’Autorità ecclesiastica si ispira anche ai principii della
giustizia e della misericordia, prendendo atto delle gravi difficoltà in cui si
muovono persone e famiglie coinvolte in situazioni di infelice convivenza
coniugale. Questa doverosa sollecitudine pastorale, però, non può disattendere
il diritto che le stesse famiglie hanno a conoscere la verità.
Dice al riguardo il Santo Padre
Giovanni Paolo II:
«[l’Autorità ecclesiastica] Non dimentica, però […], il
diritto, che pure esse hanno, di non essere ingannate
con una sentenza di nullità che sia in contrasto con l’esistenza di un vero
matrimonio. Tale ingiusta dichiarazione di nullità matrimoniale non troverebbe
alcun legittimo avallo nel ricorso alla carità o alla misericordia. Queste,
infatti, non possono prescindere dalle esigenze della verità. Un matrimonio
valido, anche se segnato da gravi difficoltà, non potrebbe essere considerato
invalido, se non facendo violenza alla verità e minando, in tal modo, l’unico
fondamento saldo su cui può reggersi la vita personale, coniugale e sociale. Il
giudice pertanto deve sempre guardarsi dal rischio di una malintesa compassione
che scadrebbe in sentimentalismo, solo apparentemente pastorale. Le vie che si
discostano dalla giustizia e dalla verità finiscono col contribuire ad
allontanare le persone da Dio, ottenendo il risultato opposto a quello che in
buona fede si cercava».4
È perciò con viva gratitudine al Signore che si segnalano alcuni articoli nella Instructio
"Dignitas connubii"
che rispecchiano in modo esplicito il primato della verità nei processi di
nullità matrimoniale.
All’articolo 65, § 2 viene, infatti, stabilito che il giudice esorti le
parti alla ricerca sincera della verità. Se non si riesce a
indurre i coniugi a convalidare il matrimonio e a ristabilire la convivenza
coniugale, «il giudice esorti i coniugi perché, posposto ogni personale
desiderio, collaborino sinceramente, adoperandosi per la verità e in spirito di
carità, all’accertamento della verità oggettiva, così come è richiesto dalla
natura stessa della causa matrimoniale».
Anche la partecipazione delle parti al processo è vista sotto la
stessa ottica del dovere morale di dire e agire in armonia con la verità:
«Perché venga accertata più
facilmente la verità e riceva miglior tutela il diritto di difesa, è quanto mai
opportuno che entrambi i coniugi prendano parte al processo di nullità di
matrimonio» (art. 95 § 1).
Sia il difensore del vincolo che le stesse parti nonché i testi sono esortati ed obbligati ad agire con pieno
rispetto alla verità. Al riguardo si possono indicare gli
articoli 56 § 3; 167; 177; 178; 194.
Grande attualità riveste al riguardo l’osservazione che il Santo
Padre Giovanni Paolo II ebbe a fare nell’allocuzione del 1994:
«Se gli amministratori della legge si sforzeranno di
osservare un atteggiamento di piena disponibilità alle esigenze della verità,
nel rigoroso rispetto delle norme procedurali, i fedeli potranno conservare la
certezza che la società ecclesiale sviluppa la sua vita sotto il regime della
legge; che i diritti ecclesiali sono protetti dalla legge; che la legge, in
ultima analisi, è occasione di una risposta amorosa alla volontà di Dio».5
Come conclusione, sono ancora di grande
sapienza alcune affermazioni del Beato Giovanni XXIII pronunciate nel 1961:
«Ecco dunque che il vostro lavoro contribuisce anche esso alla affermazione delle supreme finalità della
Chiesa; e con l'evidenza inoppugnabile della verità e della giustizia richiama
alla volontà salvifica del Padre celeste, e all'anelito incessante del Cuore di
Cristo: non enim misit
Deus Filium suum in mundum ut iudicet mundum, sed ut salvetur mundus per ipsum".6
___________________________
1 Cf. CIC can. 1752; Instructio art. 308.
2 Giovanni XXIII, Allocuzione alla Rota Romana, 13 dicembre
1961, n. 3.
3 Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 4 febbraio
1980, nn. 1-3.
4 Giovanni Paolo II, Allocuzione
alla Rota Romana, 18 gennaio 1990, nn. 4-5.
5 Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota
Romana, 28 gennaio 1994, n. 4.
6 Giovanni XXIII, Allocuzione alla Rota
Romana, 13 dicembre 1961, n. 3.
INTERVENTO DI S.E. MONS.
DOMENICO SORRENTINO
È mio compito delineare lo sfondo teologico-sacramentale su cui l’Istruzione "Dignitas connubii"
si pone. Sfondo necessario per comprendere il senso e la portata del testo.
Consegnando agli operatori questa Istruzione,
in vista del corretto adempimento della prassi giuridico-processuale
nelle cause di nullità del matrimonio,
Superfluo ricordare quanto questa testimonianza diventi di
giorno in giorno più "minoritaria". Con la legislazione divorzista e
con le spinte sempre più forti al riconoscimento
delle coppie di fatto, la visione del matrimonio nella società civile di tante
nazioni è entrata in un orizzonte etico-culturale che
si distacca nettamente dalla tradizione cristiana.
È in questo nuovo contesto
culturale che i cristiani sono chiamati a riscoprire la parola di Cristo sul
matrimonio. Parola che manifesta oggi ancora più
fortemente il suo vigore profetico, risuonando in uno scenario analogo a quello
in cui fu inizialmente pronunciata, quello delle dispute sul matrimonio che
attraversavano il mondo ebraico, diviso, sulla base della legge mosaica, tra tendenze rigoriste e permissive in tema di
divorzio. Cristo richiamò tutti al disegno di Dio: col matrimonio l’uomo e la
donna diventano "due in una sola carne" (cfr
Marco,10, 7), dunque inseparabili. Il divorzio
consentito dalla legge mosaica fu da Cristo
interpretato come una concessione alla "durezza del cuore umano". Con
la rivelazione piena del Vangelo, veniva riproposta
anche la verità originaria del matrimonio, che nel consenso dei coniugi vede
non qualcosa di meramente pattizio, che possa essere
disfatto a piacimento, ma un atto in qualche modo religioso, segnato da un
intervento dall’alto: "Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non
separi" (Marco, 10, 9).
Se tutto questo è vero per qualunque matrimonio, è ancor
più vero per il matrimonio tra i battezzati, elevato alla dignità di
sacramento, posto cioè come specifico veicolo di
grazia, quale segno dell’amore unico e indissolubile tra Cristo e la sua
Chiesa, secondo l’insegnamento di San Paolo nel cap. 5° della Lettera agli Efesini. Nella sua realtà di sacramento, il matrimonio tra
due battezzati appartiene non più solo al bene dei contraenti e della società
in genere, ma al bene pubblico della Chiesa. Pertanto
mai può ridursi alla sfera del mero diritto soggettivo, in una visione privatistica.
Con l’elevazione sacramentale, il matrimonio approfondisce
il suo senso nell’orizzonte del mysterium fidei, e insieme irrobustisce le sue interne
caratteristiche. L’indissolubilità che, insieme con l’unità, è proprietà di ogni matrimonio, diventa più esigente. Ciò avviene in
massimo grado nel matrimonio "rato e consumato", nel quale cioè l’espressione pubblica del consenso tra gli sposi è
stata sigillata e perfezionata dalla comunione carnale. Nessuno, nemmeno il
Papa, potrebbe sciogliere un tale matrimonio.
È necessario tener presente tutto questo, per mettere a
fuoco correttamente il senso del procedimento di nullità. Esso non solo è
intrinsecamente diverso da quello civilistico
per il divorzio, ma si fonda su una logica opposta. Non mira
infatti a sciogliere un matrimonio valido, fosse anche fallito
irrimediabilmente, ma a verificare l’ipotesi che esso, al di là della
celebrazione formale, non sia mai esistito, perché carente di presupposti
essenziali, attinenti alla sfera del consenso, della "capacitas",
degli impedimenti dirimenti. Tutte le garanzie processuali messe in atto dal
diritto canonico sono funzionali a tale ricognizione. Nemmeno il
"fallimento totale" di un matrimonio – come ha sottolineato
il Papa il 29 gennaio scorso parlando alla Rota Romana - può essere assunto
come criterio o indizio per ipotizzarne sic et simpliciter la nullità. Questa va stabilita a partire dai vizi del consenso iniziale. Resta ancora una
volta assodato, che processo di nullità e processo di divorzio sono due procedimenti radicalmente diversi.
Letto su questo sfondo, anche questo
strumento "di lavoro", messo a disposizione degli operatori del
diritto impegnati nella materia, vibra della parola profetica e testimoniale di
Cristo. Parola oggi "contro-corrente", ma tanto più necessaria.
Parola che - bisogna riconoscerlo - sotto l’urto del contesto
socio-culturale, appare a volte difficile per la stessa comunità cristiana,
quando ad esempio si fa fatica ad accettare dolorose conseguenze, come la
limitazione posta ai coniugi divorziati e risposati civilmente nella
partecipazione alla comunione eucaristica.
C’è, evidentemente, l’urgenza di venire incontro alle
persone ferite e sofferenti per le infelici vicende matrimoniali, a volte
separate e divorziate loro malgrado. Si parla giustamente di una
"pastorale dei divorziati". Ma questa non
potrebbe certo legittimare il divorzio, né introdurlo surrettiziamente, facendo
del processo di nullità un procedimento di divorzio parallelo e mascherato.
Altre sono le vie. Soprattutto serve un’azione pastorale preventiva, attraverso
l’efficace preparazione dei coniugi cristiani al matrimonio e il sostegno alle
famiglie nel loro percorso quotidiano. Lo stesso rito del matrimonio, con gli
adattamenti peculiari alle singole realtà ecclesiali, aiuta i coniugi a
prendere coscienza della loro scelta. In definitiva, anche un documento come
"Dignitas Connubii",
dal volto squisitamente tecnico-giuridico, costituisce una forte provocazione
alla coerenza cristiana e chiama a un più efficace
impegno pastorale.
INTERVENTO DI S.E. MONS VELASIO DE PAOLIS
I. Considerazioni generali sulle cause matrimoniali oggi
L'Istruzione Dignitas connubii riguarda i circa ottocento tribunali diocesani
o interdiocesani della Chiesa latina, che quasi esclusivamente trattano cause di nullità matrimoniale.
Le cause matrimoniali sono aumentate enormemente negli
ultimi decenni, particolarmente nei paesi di antica
tradizione cristiana. Le cause di questo aumento sono
molteplici. A livello generale si possono indicare le seguenti:
1. Una diffusa secolarizzazione che comporta con sé errate
concezioni sul matrimonio rispetto all’ideale proposto dalla Chiesa;
conseguentemente non pochi matrimoni oggi sono nulli proprio perché i fedeli
escludono da essi elementi costitutivi essenziali per
la loro esistenza;
2. Una più precisa conoscenza della psicologia della
persona umana permette di rendersi conto che in
determinati casi il consenso matrimoniale non è sufficiente per legare le
persone nel vincolo matrimoniale;
3. Una terza ragione è certamente anche il fatto di
coscienza: non pochi fedeli, che hanno ottenuto il divorzio e perciò potrebbero
passare a nuove nozze secondo la legge civile,
chiedono la dichiarazione di nullità, perché sanno che per un cattolico il
matrimonio valido può essere solo quello che si celebra secondo le leggi della
Chiesa.
II. Alcuni dati statistici
Occorre anzitutto dare qualche dato statistico concernente
le cause di nullità matrimoniale. La fonte è l'Annuario Statistico della
Chiesa per l'anno 2002. Sono però incluse anche le cause di nullità
matrimoniale introdotte presso i tribunali delle Chiese orientali cattoliche.
Secondo detto Annuario, sono terminati nel
Delle 46.092 sentenze affermative in prima istanza dopo un processo ordinario, 343 sono state emanate
in Africa,
Nella stragrande maggioranza dette decisioni affermative
poi vengono confermate dal tribunale locale d'appello.
Infatti, alla Rota Romana giungono poche cause in seconda o
terza istanza, cioè più o meno 150 all'anno.
Generalmente si tratta di cause molto complicate, nelle quali spesso c'era già
una sentenza negativa da parte di un tribunale inferiore.
III. Qualche riflessione sui dati statistici
L'interpretazione dei dati statistici non risulta facile. Si può comunque
dire che:
- Il numero di tutte le cause di nullità matrimoniale nel
mondo indica che non si tratta di un fenomeno
insignificante o puramente accademico, ma di una realtà da non sottovalutare.
- In diverse parti del mondo c'è soltanto una possibilità
molto limitata di ottenere una tale dichiarazione. Evidentemente, i fedeli non
hanno il diritto di ottenere una dichiarazione di nullità del loro matrimonio
in qualsiasi caso la vogliano, ma essi dovrebbero
avere in caso di un dubbio positivo e probabile sulla nullità del loro
matrimonio la reale possibilità di introdurre la causa e di ottenere una giusta
decisione.
- Nei paesi dove i tribunali ecclesiastici sono funzionanti
e accessibili c'è differenza nel numero delle cause di
nullità matrimoniali e delle sentenze affermative. Riguardo a questa
constatazione occorre, comunque, evitare conclusioni
frettolose. Molto dipende, infatti, dalla disponibilità
concreta di risorse, specialmente di personale preparato. Anzi, va
soprattutto ricordato che i numeri hanno soltanto un valore relativo. La vera
questione, infatti, non riguarda l'eventuale numero elevato delle sentenze pro
nullitate matrimonii,
ma la serietà della giurisprudenza insieme con la reale possibilità di ottenere
una dichiarazione di nullità in un tempo ragionevole, qualora il matrimonio sia
davvero invalido.
- Siccome il Tribunale Apostolico
della Rota Romana giudica generalmente soltanto le cause più difficili di
nullità matrimoniale, non appare corretto paragonare la percentuale delle
decisioni negative emanate dalla Rota Romana con quella delle decisioni
negative emanate dai tribunali inferiori.
L'Istruzione appena emanata offre senza dubbio agli
operatori del diritto presso i tribunali ecclesiastici una chiara e sicura
esposizione della procedura per poter portare a termine le cause di nullità
matrimoniale sia con la serietà che con la celerità
richieste dalla loro natura.
INTERVENTO DI S.E. MONS ANTONI STANKIEWICZ
Strumenti per la ricerca della verità nei processi matrimoniali
I. Le prove, il concetto e la
necessità della certezza morale del giudice.
L'Istruzione qui presentata, disciplina in 61
articoli (155-216) gli strumenti ossia i mezzi di prova per la ricerca della
verità oggettiva nel processo matrimoniale, posti a disposizione delle parti e
del giudice, per consentire l'accertamento dei fatti allegati dagli stessi
coniugi-parti in causa, rilevanti per la nullità del matrimonio impugnato.
Soltanto in base all'efficacia delle risultanze dei
mezzi di prova, ammessi nelle cause matrimoniali, quali le dichiarazioni delle
parti (artt. 177-182), i documenti (artt. 183-192), le testimonianze (artt.
193-202), le perizie (artt. 203-213) e le presunzioni
(artt. 214-216), il giudice può raggiungere la
certezza morale sulla causa da decidere con una sentenza o con un decreto confirmatorio.
La certezza morale, di cui si tratta in questo processo, viene intesa nel senso dello stato psicologico del giudice,
del suo convincimento, della sua ferma adesione alla verità, conosciuta e
verificata nel processo circa l'esistenza dei fatti invalidanti il matrimonio
già al tempo della sua celebrazione.
Non si tratta, quindi, né di certezza assoluta, in cui ogni
possibile dubbio circa la verità dei fatti da giudicare è totalmente esclusa,
né di certezza puramente soggettiva, fondata sull'opinione personale, sul
sentimento, sull'impressione del caso, ma di certezza morale oggettiva, fondata
obiettivamente sugli atti e sulle risultanze delle
prove (art. 247, § 3). Infatti, secondo la nuova
normativa, "perché sia dichiarata la nullità di matrimonio, si richiede
nell'animo del giudice la certezza morale di tale nullità" (art. 247, §
1). Per conseguirla, "non è sufficiente una prevalente importanza delle
prove e degli indizi, ma occorre che resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente positivo dell'errore, tanto in diritto quanto in
fatto, ancorché non sia esclusa la mera possibilità del contrario"
(art. 247, § 2). Di conseguenza, quindi, quando il giudice, dopo un diligente
esame della causa, "non ha potuto conseguire questa certezza, deve
dichiarare che non consta della nullità di matrimonio (art. 247, § 5).
II. Il valore probatorio della dichiarazione delle
parti.
Sulla scia della normativa codiciale
(cann. 1536, § 2; 1679), l'Istruzione riconosce la
forza probante delle dichiarazioni e delle confessioni delle parti rese in
giudizio, e, inoltre, precisa il significato della «confessione giudiziale»
nelle cause matrimoniali come l'ammissione di un fatto proprio contrario alla
validità del matrimonio (art. 179, § 2).
Anche se la fiducia dimostrata alla dignità personale delle
parti interessate fa si che venga riconosciuto alle
loro confessioni e dichiarazioni valore probatorio, che deve essere valutato
dal giudice insieme a tutte le altre circostanze della causa, tuttavia, non
viene attribuita loro forza di prova piena, se ad esse non si aggiungano altri
elementi di prova in grado di avvalorarle pienamente (art. 180, § 1). A tale
scopo, qualora la prova piena non sia stata raggiunta altrimenti, il giudice
può avvalersi di testimonianze circa la credibilità e
veridicità delle parti in materia di nullità del loro matrimonio, come anche di
altri elementi, cioè di circostanze ed indizi (art. 180, § 2).
Tutto ciò, dimostra sia la sensibilità del Legislatore
verso le persone dei coniugi-parti in causa del matrimonio impugnato, sia il positivo apprezzamento normativo, per quanto sia stato
possibile, attribuito al racconto giudiziale della loro dolorosa vicenda
matrimoniale.
III. La doppia conforme.
Nella tensione tra la ricerca della verità oggettiva, che è
il fine e la ragione d'essere del processo, e la giustizia, corroborata
dall'equità (can. 221, § 2), che è il mezzo per raggiungere tale scopo,
l'Istruzione si colloca nell'alveo della tradizione processuale canonica
conservando il principio del duplice grado di giudizio (artt.
263-289) e della duplice decisione conforme (artt.
290-294). Infatti, la duplice decisione conforme, sia formale (art. 291, § 1),
che sostanziale o equipollente (art. 291, § 2), preclude un'ulteriore
appello (art. 290, § 1), e, inoltre, qualora fosse declaratoria di
nullità matrimoniale, dà la possibilità alle parti, se non impedite, di passare
alle nuove nozze (art. 301, § 1).
D'altra parte, il principio del duplice grado di giurisdizione, anche se affievolito in grado d'appello con la procedura abbreviata (artt. 264-265), garantisce tuttavia la maggiore sicurezza dell'accertamento della verità relativa al valore di ogni matrimonio, del giudizio su di essa, e salvaguarda così il «favor matrimonii» (can. 1060) e il «favor indissolubilitatis» a cui deve sempre ispirarsi l'attività giudiziaria ecclesiale.