SALVATORE MARTORANA FRA INTELLETTO E AMORE La testimonianza culturale e umana di un uomo “di forte sentire” *** Come tutti i libri risultanti dalla raccolta di testi nati in occasioni diverse e redatti in tempi diversi, “L'opera scritta” ci propone un florilegio di saggi critico-esegetici che copre un arco spazio-temporale notevole ed abbisogna pertanto di un filo conduttore, una chiave di lettura che regga l' impalcatura dell'intera costruzione. Questo robusto trait d’union che cerchiamo è suggerito, a ben vedere, già dalla citazione dantesca che è richiamata nel sottotitolo, “saggi di intelletto e amore”. L'uomo e il docente, lo studioso e il pater familias si ritrovano qui in un connubio fra due aspetti che , se accostati e integrati l'uno nell'altro, possono offrire al lettore del presente lavoro più d'una valida occasione di riflessione, approfondimento,e –perche no?- svago e diletto. Ma più di tutti questi elementi va apprezzato e focalizzato, secondo me, il metodo . Sì, perchè “L'opera scritta”, raccogliendo tanti testi comunicati a suo tempo oralmente in varie occasioni di cultura e umanità, fissa ed eterna non solo il ricordo dei momenti privilegiati d'incontro e di scambio, quelli che alla greca chiameremmo “kairoi, ma rende possibile la trasmissione di un metodo che oggi merita più che mai attenzione. Quando l'Autore si accosta al testo letterario, cominciando dagli eterni luminosi paradigmi che la poesia greca ci offre, passando per l'universalità del messaggio dantesco, e approdando infine all'esame di alcune fra le voci più significative del panorama locale del secolo scorso, lo fa sempre con il medesimo atteggiamento, che è antico e sempre nuovo: esso è ispirato a principi quali la precisione, la puntualità, il rigore, la passione: tutto ciò, insomma, che si può riassumere nel termine di origine greca “acribìa”. Esso indica la precisione e la competenza del filologo capace di analizzare ad verbum un’opera letteraria, ma qui lo possiamo assumere in un senso più ampio, che includa anche l’ultimo degli elementi che ho testè citato, e cioè la passione: passione civile e politica, che non si fa mai militanza e non opprime mai, con la propria ingombrante presenza, la schiettezza e la lucidità dell’analisi, com’è accaduto a tanta critica coeva, in quarant’anni di “dittatura metodologica”, per così dire. La cura, l'attenzione ai particolari, la ricerca delle connessioni fra temi e forme, della continuità fra epoche e spiriti lontani è condotta sempre con amore, pazienza, come se si stesse coltivando una pianta che si è sicuri darà i suoi frutti. Quali? Frutti di umanità, di elevazione morale e spirituale e non solo di mera erudizione. E' questo afflato umano che riscalda la materia filologica e le fa prendere vita, per legare passato e presente nella forma che il grande Seneca additò già nel primo secolo dell'era volgare con l'immortale espressione « Soli omnium otiosi sunt qui sapientiae vacant, soli vivunt » (« di tutti solo coloro che hanno tempo per la sapienza hanno tempo libero, solo essi vivono ») nel suo “De brevitate vitae”. E non è regalo da poco, anche se fosse solo questo quello che l'autore ci dona con quest'opera: ma il fatto è che c'è di più. Scavando nell'umanità di Dante e attingendo alla limpidissima fonte della poesia greca, il prof. Martorana ci offre a piene mani una serie di esempi di una umanità e di epoche “di forte sentire” che i quarantenni come me hanno assaporato e perso, ma che i giovani, i nostri adolescenti, non hanno mai conosciuto. Senza indulgere al facile moralismo e senza soffermarmi su colpevoli e vittime, voglio tuttavia sottolineare, come un dato di fatto oggettivo, il vuoto profondo in cui i giovani d'oggi stanno crescendo, figli di un'epoca in cui è completamente naufragata ogni possibile teleologia della storia. Oggi, nell'epoca della globalizzazione imperante, il senso della storia è non avere più senso e direzione (mi piace citare qui le parole di Roberto Fai, in un suo libro che molti dei miei giovani allievi conoscono, di recentissima pubblicazione presso la casa editrice Mimesis, dal titolo “Genealogie della globalizzazione”): venendo a mancare all'orizzonte ogni generosa utopia, è sparito l'orizzonte stesso delle attese di tutto un mondo che vive scommettendo e costruendo sulla precarietà e sulla provvisorietà. La letteratura oggi registra perlopiù un'assenza, e il metodo critico e perfino l'insegnamento della poesia e della letteratura si è impaludato nelle sabbie mobili di una malintesa “analisi del testo” che rischia di far apparire agli occhi dei giovani il testo artistico come una complessa sciarada, poco più che un gioco enigmistico in cui ci sono dei meccanismi da risolvere. Credo che nemmeno il più spregiudicato dei sofisti dell'Atene del IV secolo a.C. avrebbe potuto mai prefigurare un tale cinismo, una così spiccata e diffusa perdita del senso profondo della letteratura e dell'opera scritta, appunto: intendo del suo legame indissolubile con l'umano, cuore e mente, ovvero, tornando al Nostro, “intelletto e amore”. Il prof. Martorana ci aiuta a riscoprire un mondo che ci appartiene e del quale ci siamo ingiustamente, pericolosamente dimenticati: una dimensione in cui la parola, strumento principe dell'espressione umana nella sua dimensione profondamente “politica”, cioè in senso aristotelico della vita associata a tutti i livelli, rivendica un suo primato ed emerge carica di senso, capace di dare orientamento, d'istruire, di dilettare, d'insegnare. A questo proposito non posso non citare il quintilianèo “delectare docendo”, dimensione allo stesso tempo ludica e impegnata del rapporto necessariamente osmotico che si stabilisce fra maestro e allievi in una esperienza vissuta in modo pieno e gioioso. Quanto manca alla scuola d'oggi la capacità di proporre i testi riuscendo a caricarli di tutto il loro senso, che risiede in quel mélange unico di dottrina e umanità, di letteratura e vita che solo può garantire che la pasta umana per così dire “lieviti”, cioè giunga a maturazione in un'ottica veramente atemporale, universale ed eterna, portando alla formazione totale dell'uomo, in senso culturale e morale! Ecco anche perchè oggi noi dobbiamo ringraziare il prof. Martorana: perchè ci sta offrendo un privilegio, raro al giorno d'oggi, nel consegnare a noi e a quanti verranno dopo di noi, nel formato “cartaceo”, come si dice oggi, un patrimonio e una lezione di metodo che vogliono e devono essere sottratti alla provvisorietà e alla fretta che caratterizzano il cosiddetto “sapere reticolare”, cioè a quella singolare “esplosione” del testo che è oggi l'ipertesto, forma di organizzazione del sapere che, nelle numerose e colorate, attraenti sollecitazioni che offre alla vista, ci riduce come bambini che inseguono il linguaggio dei colori e la suggestione delle immagini, distraendoci eminentemente dal corpo della pagina con tutte le irresistibili tentazioni dei “link” colorati e spesso animati da una falsa vita, e insegnandoci a fuggire da ogni approfondimento in un tempo che è sempre più inerte, sprecato, buttato via e non dedicato a ciò che conta. Mi piace a questo punto soffermarmi sull'inizio di questo libro, in cui si richiama la salutare pratica dell'otium, inteso in senso ciceroniano e poi senecano: tempo di riposo e di ristoro delle forze fisiche in cui poter far rientrare uno spazio assolutamente privato di dialogo altamente formativo con gli spiriti magni di ogni epoca. Questo entrare nello spazio quasi sacro della propria bibiloteca, o se vogliamo questo rivendicare per sè il proprio tempo (“vindica te tibi”, “recede in te ipsum”) è garbato e piacevole come il suo Autore, perchè ci è porto sotto forma di invito che non possiamo che accettare con entusiasmo e curiosità -quella stessa che animava Odisseo nel suo vagabondare per il Mediterraneo alla ricerca della sua Itaca e che Dante ha immortalato nella potenza scultorea dei suoi versi con l'espressione “Nati non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Ancora una volta ritorna l'associazione fra conoscenza e “virtute”, cioè non solo elevazione morale , ma anche pienezza di formazione culturale e umana, vita vissuta con una coscienza “forte”. Personalmente trovo molto interessante la parte sugli autori locali. Chiarisco anzitutto che con questo aggettivo non intendo relegare in una categoria riduttiva e mortificante la produzione legata al nostro territorio: nella parte ad essa dedicata, anzi, trovo delle conferme e delle esemplificazioni di quella “lezione di metodo” che ho indicato all'inizio di questo intervento come il massimo insegnamento che quest'opera ci dà. Mi piace sottolineare a questo proposito il rapporto maestro-allievo e la sua produttività: nel saggio su Salvatore Capodicasa, prima che davanti ad una commemorazione ufficiale, siamo davanti alla commozione profonda per la perdita di un allievo che è prima di tutto una persona, con la ricchezza e la complessità della sua “psychè”, nella quale l’Autore coglie quegli elementi di positiva e fruttuosa suggestione , quel fascino esercitato dal maestro sull’allievo dapprima, e quel rispecchiarsi nei risultati dell’allievo poi, che ha ripercorso le medesime strade ma con la originalità irripetibile della propria unicità umana e , mi sia consentito, da credente, “creaturale”, che è la summa ed il completamento della condizione umana. Qui il rapporto con il proprio allievo varca l'angusto spazio delle aule scolastiche, per diventare trasmissione di metodi e vera eredità globale, in un rapporto che dall'aula di lezione prende le mosse e poi, felicemente, spicca il volo verso un senso più ampio e completo e diventa una vera e propria “educazione alla pace” che ha alla base la fiducia, istillata dal maestro nell'allievo, della capacità della scuola di formare a quei valori che hanno al loro vertice la Pace. Il maestro trova addirittura delle risposte alle proprie domande nelle opere dell'allievo divenuto ormai adulto e “protagonista del suo tempo”, come si dice con espressione trita ma efficace che non so sostituire, e per questo chiedo venia. La precisione dei dati si sposa con l'attenzione costante all'uomo e al contesto in cui è vissuto, e ciò è percepibile nello stesso modo di presentare figure care alla memoria e possenti per la valenza culturale come quella di Carmelo Curti: colpisce l'appello alla città di Noto perchè si curi di tenere desta la memoria del suo illustre figlio, sentita e commossa appare la rievocazione di momenti e occasioni, particolarmente di quelli legati alla vita trascorsa nel Liceo Classico di Noto, istituzione che viene definita “santa”, recuperando quel senso del sacro che si coniuga con l'elevatezza del fine morale e civile che oggi è veramente scomparso dal nostro sistema valoriale, se ancora ne abbiamo uno. Appassionante,infine, il ritratto che se ne traccia, non scevro da influssi della storiografia classica, che in questo era maestra. Vita e cultura si fanno tuttuno particolarmente nei capitoli dedicati a questi uomini con cui l'Autore ha condiviso anche importanti momenti di vita. La letteratura si fa vita e la vita assume a volte i contorni forti ed esemplari della Bellezza che sale in cattedra traboccante d'Amore. L'apice di questa tendenza è toccato nel saggio dedicato al fratello, in cui davvero la letteratura si fa vita, toccando l'autobiografia, e il dovere di scriverla, che è in parte quella dell'Autore stesso. IL dovere di narrare l'esperienza di vita di una persona che ha vissuto più intensamente di tanti altri è sentito con naturalezza e con quella che i Romani chiamavano liberalitas, cioè la generosità che è dei magnanimi e dei forti. La parte conclusiva del volume, dedicata alla figura e all'opera di Giuseppe Schirinà, è caratterizzata poi da un'intensità particolare, che si nutre di un comune sentire mai troppo apertamente dichiarato, ma presente di fatto, come dimostra il significativo aneddoto relativo al titolo di una delle raccolte di versi dello Schirinà, “Soliloquio”, che invito a leggere per la grazia e la levità che ricorda a un di presso quella erodotèa. Pregevoli, infine, le pagine dedicate a definire il romanzo come genere e come forma, nella consapevolezza del mutato clima culturale che ha portato ad un nuovo indirizzo della critica letteraria nella seconda metà del Novecento, tramontato l'idealismo di stampo crociano così caro all'Autore che in quella temperie si era già formato. Pregevoli per la lucidità e l'apertura con cui si guarda al “nuovo”, senza chiusure di sorta. E tiriamo le somme: dedicarsi alle humanae litterae non è un passatempo dotto , un divertissement di alto livello, ma è un motivo in più per prendere consapevolezza del dovere di conservare la memoria storica, di mettere a disposizione dei lettori, prima dei propri concittadini e poi di tutti gli altri, un patrimonio di cultura che , senza la lodevole opera di mediazione e “scavo” del critico-filologo, rimarrebbe sicuramente ignorata e sommersa nel mare magnum della letteratura di consumo e di basso profilo, indistinto da centinaia di scrittori che spuntano spesso come funghi e imbrattano pagine d'inchiostro senza dire alcunchè. Emerge un senso aristocratico dell'umanità che consiste nel naturale tendere verso il Giusto, il Sacro, in definitiva il “Bello”, inteso nella pienezza dei suoi valori etici ed estetici. Questa è la poesia, un'educazione al Bello come valore supremo, e questa concezione la si può cogliere ovunque nel nostro testo perchè essa è in fondo una sorta di “ipostasi” che fonda e struttura le analisi puntuali e dotte senza essere pedanti. La lettura di questo volume è infine di quelle lunghe e serenanti, compagno di ore da rubricare nel novero dei giorni importanti, che lasciano un' eredità nello spirito di chi legge, come sa fare solo ciò che è pienamente, profondamente, intimamente umano.