Eraclea, lunedì 22 marzo
2004
La
TV, veicolo di emozioni e “agenzia operativa” nella costruzione
dell’identità della persona.
dr.ssa
Amelia Orlando, psicologa, psicoterapeuta
Premessa
Le poche cose che vi dirò stasera derivano dalla conoscenza sul campo di problemi psicologici e di varia umanità di cui sono vittime impotenti bambini, adolescenti e adulti. Si tratta sempre di un approccio individuale alla sofferenza, che tiene conto del singolo, della sua storia, della sua identità di persona immersa in un contesto socio-culturale che a volte, più che contenerlo e proteggerlo, lo travolge e lo trascina, come una barca senza timone finita alla deriva.
Mi rendo conto di svolgere la mia professione in un mondo che si muove, in cui i bambini di oggi saranno gli adolescenti e gli adulti di domani, in una società in continua trasformazione, in cui l’infanzia e l’adolescenza di oggi non sono uguali alle nostre, ed è con una realtà in continua evoluzione che i bambini e i loro genitori si misurano. È in questa realtà così variegata, contraddittoria e confusa che i nostri figli costruiscono la loro identità e gli adulti continuano a forgiare, a modellare, a modificare la loro.
E sono, sia quelle dei minori di oggi, sia quelle degli adulti, identità fragili, inautentiche, disimpegnate, confuse, mortificate, precarie, instabili, impedite ad espandersi. Poche sono le identità forti in dinamica espansione. Questo è ciò che constato dal mio piccolo osservatorio della mia attività professionale, ma è anche ciò che come persona che vive nella società di oggi, mi capita di osservare.
La
costruzione dell’identità della persona
Che cos’é l’identità della persona, di un bambino?
Ciò che il bambino effettivamente è, in un dato momento della sua crescita, perché l’identità muta e si trasforma in rapporto con l’età, con l’esperienza di vita, e generalmente si arricchisce in una crescente articolazione attraverso le esperienze relazionali, i contatti con le persone, con situazioni.
Questo essere fatto “così e così” (=identità) di un bambino è il risultato di una serie di componenti che interagiscono tra loro:
1. capacità di base che il bambino possiede (ragionare, comunicare, saper risolvere problemi, ecc.)
2. insieme delle conoscenze divenute parte di lui, del suo modo di essere e di pensare (una storia o fiaba che ha destato particolari risonanze emotive, i racconti dei nonni… spiegazione che gli ha dato risposta su un problema che si era posto, vicende di un personaggio con cui si era identificato, parole in lingua straniera che usa con ragazzi di altre nazionalità ecc.)
3. abilità specifiche che possiede (motorie, suonare uno strumento, utilizzare il computer, un videoregistratore, ecc.)
4. atteggiamenti che ha sviluppato e che assume con spontaneità (=naturali):
curiosità, iniziativa, flessibilità a cambiare opinione, ascolto degli altri, tenacia nel perseguire un obiettivo, tendenza a reagire agli insuccessi positivamente, empatia (=condividere stati d’animo con gli altri), solidarietà. Tutto ciò che solitamente indichiamo come il carattere di una persona.
5. i valori cui ispira i propri comportamenti: amicizia, lealtà, senso di giustizia, rispetto di sé e degli altri, solidarietà.
6. insieme dei rapporti affettivi che ha stabilito con persone, ma anche animali, oggetti, elementi che vive come prolungamenti della sua persona, parti di sé, qualcosa che se ne fosse privo lo farebbe sentire diminuito, impoverito.
Nella costruzione di tutto questo è evidente quanto il bambino e l’adolescente utilizzino molti modelli con cui confrontarsi e identificarsi, che, partendo da quelli familiari e scolastici (compagni e insegnanti), si allargano a raggiera a molte altre fonti, a tutto il contesto relazionale di tutti coloro con cui si viene a contatto nella vita quotidiana.
Mai come oggi l’identità personale è una produzione sociale.
La costruzione dell’identità passa oggi attraverso l’interiorizzazione dell’universo simbolico fornito dalla nostra cultura di appartenenza.
Il bambino non vive al riparo dell’influenza della cultura e della società, anzi, ci vive immerso e senza difesa, per cui è il primo a fare i conti, oltre che con il mescolamento di figure genitoriali e reti parentali dato della diffusione della separazione e di divorzi, anche con il flusso euforizzante di sensazioni ed emozioni e con modelli identitari diversi abbondantemente offerti dalla televisione e dal mondo della pubblicità.
La
TV, veicolo di emozioni e “agenzia operativa”
Uno
dei motivi di successo della televisione è dovuto proprio al fatto che si
incontra con la fragilità della persona (bambini e giovani sono i più
fragili): è una presenza nei momenti di difficoltà (condizioni di stress,
pensieri ansiogeni, tendenze a ruminare pensieri fastidiosi, depressioni,
negazione di una realtà sgradevole che si vive, ecc.) e però, paradossalmente,
per i contenuti che propone va a riflettere le fragilità stesse.
Il
sistema televisivo pur come è fatto esercita una straordinaria sollecitazione narcisistica
prima di tutto negli stessi adulti.
È
raro che nella crescita umana tutto vada in modo perfetto, perché la crescita
è una vicenda troppo complessa. Spesso dentro l’adulto si nasconde un bambino
che non è ben guardato (= con attenzione speciale, con simpatia, con tolleranza
e amabilità). Da adulto vive in una società per tanti aspetti anonima e
noncurante, non certo protesa a valorizzare gli aspetti positivi, ma piuttosto
orientata a sottolineare sprezzantemente quelli negativi. Allo stesso tempo vi
è una società che considera valore massimo la visibilità.
Alta
visibilità = alto valore.
Questa
aspirazione di ognuno a soddisfare il proprio narcisismo
(= essere al centro dell’attenzione, avere la considerazione o l’ammirazione
degli altri), o attraverso l’esibizione di sé o proiettandosi nella realtà
dell’altro che si esibisce è la caratteristica più marcata e presente di
questi anni. C’è bisogno dello sguardo degli altri per sentire di esistere;
il narcisista è inesistente quando nessuno lo nota e questo lo rende dipendente
e insicuro.
La
grande intuizione della televisione dagli anni ‘80 in poi è stata quella di
saldare queste tendenze pericolose con trasmissioni adatte a rendere visibile e
a mettere al centro dell’attenzione tutto ciò che tempo
fa era assolutamente anonimo e privato, violando l’intimità, mettendo
in scena la dimensione privata e personale della vita della gente comune, con il
suo vuoto di senso, le piccole vicende e i conflitti quotidiani, le meschinità
e i tradimenti di molti rapporti, più raramente i sentimenti elevati e nobili.
Con
sempre maggior frequenza ed intensità negli ultimi anni si è visto uno
spostamento progressivo del fuoco, dal protagonista professionale e star
(attore, cantante….) all’individuo della strada, dall’eroe all’uomo
qualunque.
Nella
TV del privato il protagonista è uno sconosciuto, l’eroe è uno come me,
posso essere io e quindi l’identificazione è automatica. Questo per quanto
riguarda trasmissioni come Grande
Fratello, Amici, La vita in diretta e tutti i reality
show in cui le persone fanno diventare spettacolo ed esibizione la realtà
della vita, i piccoli drammi privati, la scuola per diventare famosi (Amici).
Nella
fiction invece si fa apparire credibile e il più possibile vicino al reale una
simulazione, cioè si finge la realtà. I personaggi, in apparenza presi della
realtà (carabinieri, medici, commesse, preti), sono delle caricature, dei
“cartoni animati”, che non per questo non trascinano la personalità debole
in situazioni ansiogene. Gli spettatori vengono a contatto con personaggi che
diventano familiari, quasi amici (o nemici: dipende se il personaggio è
positivo), in una relazione a senso unico, perché manca di reciprocità. Dal
personaggio mi ritaglio la parte che è più funzionale a me, mi confronto,
catturo stili di comportamento e modalità di affrontare la vita e di risolvere
i problemi in situazioni simili della mia vita quotidiana. Se tutto questo
processo di: recepire la storia (=narrazione di sé), esprimere un giudizio
sull’evento, confrontandosi con la persona avviene nell’ambito di una
relazione autentica (=di reciprocità), tutto ciò arricchisce il processo
d’identità in una gamma variegata di sfaccettature che forgiano la personalità,
di per se stessa complessa.
E
la complessità è ricchezza: affettiva, intellettuale, sociale.
Quindi
il genitore, il nonno, il professionista, l’amico che si racconta, sono ottimi
spunti per l’identificazione, tante tesserine nel grande mosaico della
formazione del sé. Se la narrazione, la storia rappresentata di un personaggio
di una fiction televisiva o di un talk show come quelli di Maria De Filippi,
l’identificazione avviene non con un modello autentico, ma con uno stereotipo.
Non parliamo poi della pubblicità in cui i personaggi sono fortemente stereotipizzati secondo dei canoni fissi, che rispondono al soddisfacimento di bisogni di ricchezza, bellezza, potere.
Nella Tv per bambini i modelli sono molto semplificati e non fedeli alla realtà, il protagonista ha sempre successo, è sempre proteso a raggiungere un obiettivo, non coltiva i valori di generosità e altruismo.
Adolescenti e giovani, ma anche molti bambini, seguono con passione i reality show, come Grande fratello o Amici.
Amici
In tali programmi giovani e adulti si confrontano e si scontrano duramente in una competizione agonistica. Non c’è scontro fisico, né verbale, ma un reale confronto pseudo – positivo.
Gli anonimi protagonisti si auto assegnano una missione, che è quella di resistere in un ambiente duro, come una casa o un’isola con telecamere sempre aperte o una impegnativa scuola d’arte. L’obiettivo è quello di conquistare la il pubblico, avere successo, vincere: denaro o occasioni di lavoro nel mondo dello spettacolo.
La componente agonistica è spietata: che perde viene eliminato senza appello, anche se lo scontro, la sfida, appare edulcorata da una solidarietà buonistica ed amichevole tra i partecipanti.
“Amici” si intitola la trasmissione, quando la logica in realtà è che la competizione è dura, l’espulsione spietata e la mia speranza di successo chiede necessariamente l’eliminazione di tutti gli altri.
FATTORI
CHE DETERMINANO L’IDENTITà: GENETICI E AMBIENTALI
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Benessere = piena accettazione di sé
rischio: costruire l’dentità su falsi modelli.
Conseguenza:
A = DESIDERI
B =POSSIBILITà REALI
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Sintesi finale dopo la visione della puntata della trasmissione
“Amici”
di Maria De Filippi
Nello
spazio finto abitato da persone vere viene creata una dimensione a metà tra
esame scolastico e spettacolo, una miscela tra vita vera e finzione, che
sollecita in chi agisce come protagonista un’esaltante narcisismo, in chi
guarda ammirazione, invidia, desiderio di emulare, sensazione di grande potere
nella possibilità di decidere il “destino” della persona dando il voto.
L’enormità
dello spazio in cui la protagonista si esibisce, sottolinea la centralità la
posizione di centralità (io al centro dell’attenzione e dell’interesse di
tutti) e sottolinea l’incombere sul palcoscenico – arena di un numeroso
pubblico che applaude a comando.
L’atmosfera
di finzione è ancora sottolineata dalla classe (banchi + studenti) su un lato
dell’arena
La
finzione è interpretata nell’imitazione di cantante, ballerina, attrice,
tipica di chi recita, e quindi legittima. Ma finzione della finzione.
C’è
grande attenzione degli insegnanti che appaiono: competenti, attenti, seri,
severi, pignoli, eccessivi, secondo lo stereotipo dell’insegnate col bollino
blu di qualità.
La
commissione si riunisce per votare come i giudici popolari nei film americani,
entrando come star fra gli applausi (perché mai? Perché attori che entrano in
scena). A qualcuno di loro scappa un sorrisetto imbarazzato (genuino questo). Il
giudizio positivo: non verrà espulso dalla scuola – almeno per ora -.
Il
bacio accademico non esprime né affetto né riconoscenza, è solo un rituale
recitato.
Perché
l’espulsione?
La
rigidità è eccessiva, si elimina chi non è perfetto; la scuola vera che
persegue obiettivi di maturazione più globale non espelle, ma aiuta a superare
eventuali difficoltà, tollera molte imperfezioni e valorizza gli aspetti
positivi, le potenzialità, non si accanisce contro le lacune, aiuta piuttosto
gli allievi a colmarle.
Qui
professori pignoli e pedanti, con un pizzico di sadismo, accentuato dal respiro
ansimante della studente, per la quale non c’è pausa, non c’è alcuna
simpatia, incoraggiamento ecc. ma solo richieste esigenti fatte con piglio
severo. Questo è uno stereotipo di scuola dura come non esiste e forse non è
mai esistita.
Pubblicità: nelle pause in
armonia con l’ipervalutazione del “corpo esibito”, si reclamizzano
prodotti estetici per il corpo. Quello che è geniale è il nome dei prodotti,
che ha a che fare con gli alimenti come la frutta, che sollecita il senso del
gusto e suggerisce genuinità.
L’oralità
e il gusto hanno molto a che fare con il corpo, mentre l’udito e la vista
vanno ad alimentare la comprensione e quindi l’intelletto (immagini che vedo e
archivio nella mente, parole che sento, che memorizzo, riproduco = simboli).
Pensiamo inoltre come la cura del corpo va a sacrificio spesso del gusto (caso
estremo: l’anoressia) e quindi come il prodotto dal nome suggestivo possa
diventare una specie di compensazione della privazione.
Il conflitto. Assistiamo inoltre ad un conflitto verbale dove la disputa viene gestita
da un moderatore.
Il
conflitto è pretestuoso, poco autentico; c’è stato un comportamento di
derisione da parte della ragazza, preso troppo sul serio da parte del ragazzo,
che se ne è risentito. Frequenti le interruzioni reciproche, nessuna
argomentazione seria, né tanto meno profonda: tutto si gioca in superficie
“io ho detto” “tu hai detto”ecc.; a livello emotivo c’è fastidio,
sottovalutazione dell’altro, scarso rispetto a livello di ascolto e di cercar
di capire.
Il
moderatore non ha alcun ruolo significativo, se non quello di tradurre in frase
completa ciò che viene detto a mozziconi, non mostra simpatia, né tanto meno
“empatia” per i due contendenti.
La
risoluzione del conflitto avviene in modo superficiale, ognuno sembra rimanere
con il suo dubbio, la sua insicurezza. Non ci sono conseguenze
(arrabbiature…), né sentimenti positivi che emergano alla fine.
Il
conflitto è gestito in modo mitigato, è razionalizzato e ripulito dalle
emozioni forti.
Per
gli spettatori adolescenti è importante la presenza della figura educativa che
media, perché sentono di essere valorizzati e che si attribuisce loro
importanza, che le loro cose non vengono svalutate (es. “non farci caso”,
“è una sciocchezza” ecc.), che le loro emozioni vengono portate a galla e
incanalate.
Ma
ci pare che in questo contesto accada proprio tutto ciò?