( sono presentati
alcuni brani: il progetto integrale e tutti i testi possono essere richiesti
all’AIART - Gruppo Territoriale di San Donà di Piave)
PROGETTO A.I.A.R.T.
Conoscere la storia per conoscere gli altri.
Alla ricerca della propria identità.
Conoscere la storia e le radici familiari
per costruire la propria identità
Attività svolta durante
l’anno s.c. 2002/03
Istituto comprensivo
“R.Onor”
classe III B scuola media
San Donà di Piave (Ve)
Riflessioni
introduttive
Il cinema a scuola stimola emozioni nel senso che permette di acquisire l’esperienza del mondo, contribuisce ad esprimersi e ad aiutare gli alunni a costruire delle idee, dei principi; perciò la propria identità culturale.. L’adesione al progetto A.I.A.R.T. è stato entusiasmante.
Non si è voluto certamente sostituire
il libro con il cinema, anzi la lettura o l’analisi di alcuni passi del libro
“Un anno sull’altipiano” di E. Lussu, il racconto “Una lettera dall’Australia”
e “Il Sergente nella neve di M. Rigoni Stern”, sono state letture che hanno
preparato la mente dei ragazzi a capire l’immagine visiva del film, che ha
realizzato in concreto il testo. Il percorso seguito, perciò l’analisi
condotta, ha avuto come oggetto di riflessione e approfondimento la storia: la
prima guerra mondiale, i soldati e il loro vissuto in trincea, gli ordini
militari eseguiti e non, la sopravvivenza ad una continua visione di morti…
giovani coetanei. La seconda guerra mondiale: i sopravvissuti ritornano,
interrogativi sul proprio futuro, situazioni sociali locali di disagio; lavori
fortuiti, l’emigrazione: Il continente Africa: siamo in Burkina Faso uno
spirito, il griot o saggio, racconta i miti del popolo, trasmette le proprie
usanze e i costumi; contemporaneamente il confronto con una società in
evoluzione. Il contrasto tra la tradizione e la modernità, l’educazione
informale (trasmessa oralmente) e l’istituzione scolastica (il maestro, i
libri, la storia del mondo).
I film visionati hanno permesso
molteplici riflessioni personali, a ciò si aggiunge la chiarezza nelle
spiegazioni del prof. Serra che hanno attivato l’attenzione dei ragazzi,
curiosi di percorrere un cammino di analisi alternativo alla quotidiana lezione
dell’insegnante. Quindi si sottolinea che l’attività si è dimostrata valida ed
efficace perché ha contribuito a perseguire gli obiettivi formativi e didattici
che la scuola si propone di raggiungere.
Di seguito si riportano i modesti, ma
pur significativi contributi di alcuni alunni, che rappresentano lacune tappe
di riflessione del percorso seguito.
Concludo dicendo che del lungo lavoro svolto, mi sono rimaste
impresse le parole scritte da un’alunna che riferiva un messaggio della nonna:
“è difficile tornare indietro nel tempo riguardando cose sofferenti e che
in qualche modo hanno lasciato un segno nella tua vita”.
E’ impensabile (tranne per chi non
l’abbia mai provato da vicino) come la morte e la sua costante presenza, possa far emergere dal profondo dell’anima di
un uomo dei sentimenti e delle emozioni talmente penetranti, angoscianti più
del silenzio, ma anche vitali e piene di speranza, da poter essere descritta in
poche frasi dalla sintassi squilibrata dalla mancanza dei nessi logici, dalla
metrica sconvolta e dall’assenza di punteggiatura. Questo si racchiude
nell’ermetismo di Giuseppe Ungaretti, che ha sperimentato l’esperienza quando
partì come volontario sul fronte roccioso del Carso nel 1915. L’importanza
delle emozioni trasmesse dalle parole interrompe il silenzio del foglio
lasciato semibianco. Si possono cogliere i sentimenti come le rivelazioni di un
cuore che parla al mondo, per fargli vedere le atrocità, l’odio e l’inutilità
della guerra, ma anche la sostanziale importanza della vita, il suo sapore ed
il colore di una speranza che prova a riscaldarci negli inverni più bui. La
fratellanza unisce tutti i soldati in trincea perché la morte li aspetta tutti
a solamente 100-200 metri più avanti, nel proiettile di un fucile di un uomo
uguale a loro. La lugubre forma del dolore e della sofferenza, scatenano nel
poeta anche un disperato senso di vita, e di attaccamento ad essa. Considero le
sue poesie un messaggio di vita lasciato ai posteri, una raccolta di emozioni
che spiegano cosa si può vivere durante la guerra. Spero di non dover mai
vivere un’esperienza simile a questa, e non la auguro a nessuno, soprattutto in
un momento in cui 110 milioni di persone che manifestano in piazza per la pace,
valgono quasi meno della decisione di pochi potenti.
La prima guerra mondiale, è stata
tragica per tutta la gente comune e soprattutto per quelli che l’hanno vissuta
in prima persona, cioè i soldati. Questi poveri giovani, perché la maggior parte
lo era, hanno vissuto un’esperienza bruttissima, perché era la prima volta che
si combatteva nelle trincee e quindi le possibilità di vita erano davvero
poche. Hanno visto di tutto: dai cadaveri sfigurati e mutilati alle persone in
fin di vita o persone che si ferivano volontariamente, perché non ce la
facevano più a vivere in modo così logorante.
Molti soldati erano giovanissimi
basta ricordare “i ragazzi del 1899”, ragazzi di appena 18 anni che vennero
mandati al fronte dopo la disfatta nel 1917 di Caporetto. Il pensare che questi
diciottenni avevano il dubbio di riuscire, dopo la guerra, a formarsi una
famiglia, mi rattrista e proprio questo fa capire come la guerra sia, oltre che
ingiusta perché provoca la morte di persone innocenti, anche inutile.
In alcuni brani tratti da “Un anno sull’altipiano” di Lussu
venivano messi in evidenza altri diversi aspetti della prima guerra mondiale,
quali il rapporto tra questi ultimi e i generali. Il rapporto tra i soldati era
buono ed ho potuto capire che tra di loro c’era un senso di protezione, di
aiuto e di complicità perché tutti erano nella stessa posizione, ognuno doveva
eseguire gli stessi ordini e tutti avevano un comune destino che li attendeva.
Il rapporto tra generali e soldati era diverso e molte volte essi erano
sottoposti al fanatismo dei superiori che avrebbero sacrificato la vita di
interi plotoni pur di vincere il conflitto.
Come
hai vissuto il dopoguerra?
Mi sono spostato quattro volte alla
ricerca di lavoro perché in queste zone
non ce n'era.
Dove e
quando sei andato la prima volta?
In Belgio nel 1949, dove ho lavorato in una miniera di carbone molto pericolosa, infatti sono fuggito dopo una settimana.
Successivamente
sei andato in Olanda, vero?
Si, dopo il Belgio sono tornato a casa per un certo periodo e dopo siamo partiti in otto verso l'Olanda. Qui siamo rimasti per sei mesi a lavorare in un'acciaieria enorme, pensa che da quanto grande era ci siamo ritrovati tutti dopo tre mesi.
Dopo
dove sei andato?
Dopo sono andato in Brasile e qui ci
sono rimasto molto tempo, infatti sono arrivato il 3 settembre 1951 e sono
andato via il 16 settembre 1953.
Come
sei arrivato in Brasile?
Sono andato in nave, eravamo in
tanti, tutti operai di queste zone. Siamo partiti da Genova con la nave
Vivaldi, che però si è rotta nel Golfo Leone e quindi ci siamo arenati a
Cagliari.
E poi cosa è successo?
Ci siamo dovuti fermare per venti
giorni a Cagliari, quindi siamo riparti con una seconda nave chiamata
Toscanelli. Abbiamo impiegato dodici giorni per arrivare in un porto del
Brasile e da qui ci siamo spostati all'interno, più specificamente nel
villaggio di Pedrinas.
E lì
cosa hai fatto?
Ho costruito un villaggio con case a un
piano e un ettaro di terra ciascuna, il municipio, l'ospedale e la chiesa. E lo
sai che questo villaggio l'abbiamo ribattezzato San Donato, in onore di San
Donà di Piave? Inoltre, il sacerdote del vecchio Pedrinas, è anche diventato il
sindaco del nuovo villaggio.
Successivamente
ti sei spostato in Svizzera, non è vero?
Si, infatti dopo due settimane che ero ritornato a casa sono ripartito verso Ginevra e lì ho costruito delle case.
Dopo
sei tornato a casa?
Sono stato due anni in Svizzera e poi sono tornato definitivamente a San Donà.
…
Beatrice
Stefenelli racconta i ricordi
della nonna paterna
Durante la seconda guerra mondiale mia nonna, nativa dell’Austria, era stata costretta a lavorare negli ospedali per i tedeschi e per nessun motivo avrebbe potuto lasciare il suo posto di lavoro. Ricorda gli anni della seconda guerra mondiale come “brutti”, in cui il cibo era razionato e per acquistarlo bisognava avere una tessera dove venivano annotate le quantità di alimenti utilizzati.
Si aveva diritto ad un paio di kg al mese di riso, ad un kg di sale
che costava 400£,ecc…In quel periodo non c’erano nè medicine né sapone per
lavarsi. Tutti i ponti, le ferrovie erano interrotte perché bombardate. Qualche
volta, non durante il coprifuoco, si andava dai contadini nelle campagne per
chiedere un chilo di fagioli o di farina, ma i prezzi erano comunque molto
salati. Alla sera bisognava spegnere tutte le luci perché passava “Pippo” un
aeroplano che avrebbe bombardato ovunque ci fosse stata qualche luce accesa.
Alla fine della 2° guerra mondiale
c’era molta miseria, tutte le case erano distrutte e a poco a poco s’iniziò a
ricostruirle.
Mia nonna nata nel 1917 non ricorda
niente della 1° guerra mondiale; solo che i suoi genitori si erano trasferiti
in Austria, a Braunau e una volta terminata la guerra erano ritornati in
Italia.
e della
nonna materna
Mia nonna ……nel periodo della seconda guerra mondiale aveva 20
anni e viveva ad Ausonia.
Ricorda che la sera dei riflettori puntavano verso la città, e che non si poteva dormire a causa dei rumori provocati dai quadrimotori. La nonna materna ha vissuto un’esperienza del tutto diversa dalla nonna paterna, infatti, è stata portata in un campo di concentramento. Prima dell’entrata nel campo ricorda diversi particolari episodi.
Un giorno, era distesa in un campo, e ad un certo punto fu
costretta a scappare perché la zona era sorvolata da parecchi aerei. Dopo poco
vide che esattamente nel punto dov’era distesa prima, era stata sganciata una
bomba.
Essendo la sua una famiglia contadina
possedeva diversi animali ed in particolare ricorda che la mucca “Sposetta” era
stata portata via dai tedeschi. Nel frattempo mia nonna con la sua famiglia si
era rifugiata in montagna, ed un giorno ritornando giù a valle trovò questa mucca
che era riuscita a scappare e a ritornare nella sua stalla.
Successivamente arrivò il giorno in
cui i tedeschi la portarono in un campo di concentramento, prima a Roma e poi a
Breda.
Nel campo si moriva di fame e di
sete, i pochi cibi che facevano mangiare erano carote con lassativi, Per i
propri bisogni fisiologici c’era un grande fossato nel quale tutti
indistintamente si recavano. Alcuni suoi compagni erano riusciti a praticare un
foro in una parete grazie al quale si poteva uscire dal campo.
Durante la guerra si raccoglievano le
lattine e le pallottole di ottone per rivenderle e guadagnare qualcosa.
Finita la guerra, durante il ritorno
a casa a piedi (c.a. 40Km) mia nonna aveva contratto la malaria dormendo in un
fienile pieno di zanzare e pidocchi.
Dopo la guerra molte persone andavano
negli accampamenti americani per trovare delle caramelle o del cioccolato.
…
Classe terza B
CONOSCERE LA STORIA PER CAPIRE”
Un ricordo di una dura realtà, ma che
non possiamo tralasciare e che si imprime nel cuore.
“UOMINI CONTRO”, “ I RECUPERANTI” e
“KEITA” non mi hanno fatto restare indifferente, ma hanno inciso qualcosa
dentro di me. Al contrario di un film americano, che se anche ricco di effetti
speciali non mi fa riflettere su nulla, invece gli effetti speciali ci sono…
quelli di una storia del passato da
non dimenticare e quelli di tradizioni da ammirare e tramandare a chi verrà
dopo di noi.
Il film di Olmi I Recuperanti“ ci
mostra che chi tornava dalla guerra si trovava disoccupato e nella miseria: si
parla del fenomeno dell’emarginazione e dell’emigrazione in Australia dove
trovare lavoro. Ciò ci può aiutare a riflettere meglio sui popoli che sono
costretti oggi a venire da noi per portare a casa qualcosa. In questo film
imprimeva anche il discorso di libertà e di disperazione, infatti il lavoro dei
recuperanti era rischioso, ma allo stesso tempo bellissimo, eccitante, si
dormiva lontano da tutti e ti sentivi padrone del terreno che calpestavi:
ripulire la montagna dalle bombe del passato per guadagnare qualcosa.
Potremo ancora parlare come il nonno,
con gli occhi che si illuminano come luce nella notte?… Il nonno ricorda della
sua infanzia solo la distruzione, i bombardamenti, la povertà e la miseria,
poco cibo, noi invece ricordiamo papà travestito da babbo natale, il primo
triciclo, il primo ovetto di cioccolata.
Penso che la conoscenza della storia passata è molto importante per aiutarci a conoscere le madri della nostra nazione e dei sacrifici subiti per mantenere unite le nostre tradizioni ed usanze. Le testimonianze a me pervenute si sono rivelate molto interessanti e toccanti.
Dal film “Keita” mi ha colpito la
scena del principe storpio quando un fabbro gli consegnò un’asta di ferro, con
essa cercò di alzarsi ma si ruppe. Poco dopo con un semplice bastone riuscì a
mettersi in piedi e a camminare. Questa scena è simbolica e significa che con
l’aiuto della volontà si può far tutto.
Il più sicuro metodo per avviare,
tramandare e incuriosire i giovani alla propria storia è quello di
raccontarglielo come una fiaba e sin da piccoli abituarli a riflettere sul
sacrificio o sulle fortune che tempi passati hanno riservato alle nostre
famiglie. Per farci riflettere su ciò che siamo e soprattutto su ciò che
abbiamo, è importante questo. La conoscenza della storia ti fa ragionare sulla
società e sulla vita di tutti quelli che ci circondano…
Nel film “I recuperanti” abbiamo visto l’attaccamento alle radici della propria terra… la povertà e la miseria che la gente doveva subire dopo una guerra devastante. Questo film mi ha colpito per l’essenzialità e la semplicità dei personaggi.
Efrem Bonollo
Ho seguito con interesse il progetto AIART perché ho potuto approfondire la conoscenza della storia con il film.
Il documentario che riprende la
battaglia sull’altipiano, in bianco e nero, senza parole, ma con una musica di
sottofondo che rende il film ancora più triste, era un film dove le immagini
parlano da sole.
Una cosa che sicuramente noi dobbiamo
fare è riflettere e prendere spunto dagli errori del passato. La storia ha un
interesse vitale nella nostra società e soprattutto per noi giovani, perché è
la base di partenza per affrontare nel modo giusto il nostro futuro. Una cosa
da non fare è prescindere le nostre origine perché noi siamo soprattutto,
frutto della storia.
Da sempre mi sono stati raccontati
episodi del passato, spesso, ricollegabili ai conflitti mondiali causati dai
potenti. Inizialmente, pensavo di essere usata come il diario segreto per i
parenti così scherzando. Poi ci ho riflettuto seriamente chiedendomi il motivo
di quegli episodi e il perché venivano continuamente ripetuti (…). Io come
tutte le nipotine che hanno voglia di giocare non ascoltano la propria nonna
che parla di guerra, morte, distruzione e miseria. Quindi sono pochi ricordi
che posso avere. Certo è che non è la stessa cosa acquisire le radici della
propria patria attraverso i libri di storia o i musei allestiti sulla guerra,
ma piuttosto l’importanza che si da a tutto il resto è molto grande.
Molte volte ci vengono dette cose che in qualche modo influenzeranno il nostro essere. La nostra società è formata su solide basi che in passato sono state costruite e che oggi, ognuno di noi è chiamato a solidificare. Così mattone su mattone, quello che noi abbiamo ci è dato, grazie alle lotte dei nostri nonni. La guerra è stata causa di sofferenze, resistenze e pianti amari, ma anche ha dato le radici a ciò che abbiamo. Ho potuto capire questo dalle parole dei nonni…
A volte mi sembra di essere come un
libro aperto…iniziato da altri, che io devo continuare a riempire lasciando
però spazio alle altre persone che verranno.
Valentina
Bardellotto