prof. Eugenio Aguglia, psichiatra Università
di Trieste.
Libertà –
Educazione – Consumo. Risorse e problemi della nostra gioventù.
Come e quanto la
componente multimediale agisce su modelli educativi?
Oggi abbiamo di fronte
un tipo di individuo sostanzialmente egocentrico, che non tiene conto del ruolo
dell’altro.
Relazione non più duale:
monologo nel quale l’altro entra ed esce solo se io lo ritengo opportuno.
Ragazzi privati
dell’empatia interpersonale; alla base delle relazioni la noia: non so cosa fare...ho
tante cose. Silenzi, insoddisfazione, mancanza di gratuità e gratificazione.
INTERAZIONE
UOMO-MACCHINA: veicola uno scambio di informazioni
mediante rappresentazione di codice, quindi di oggetti neoetici piuttosto che
affettivi.
Il potere di attrattiva esercitato dai media dipende dal fatto di
trattare con copie del reale, attenuando i vincoli che la realtà stessa pone.
Psiche giovanile: regressione narcisistica e, in casi estremi, arresto dello sviluppo per il
prevalere del gioco virtuale sulla realtà concreta. (sindrome degli eterni adolescenti).
Perdita di tempo: i tempi dedicati alla navigazione in internet, nell’interazione con i videogiochi.
Paradossalmente, nell’isolamento con il computer, il giovane
sperimenta il valore dello schermo come scudo antistimolo che lo protegge dalle
turbolenze degli scambi affettivi, in una
sorta di svezzamento dall’affetto, stabilendo al computer relazioni eccitanti
con oggetti psichici “copie del reale”. Si stabiliscono relazioni tra due
intimi perfettamente sconosciuti.
La libertà di azione che il ragazzo sperimenta quando tratta con
“copie del reale” è infinitamente grande.
Il nucleo attorno al quale si verificano le dipendenze dalle macchine è la libertà dai vincoli, che condiziona il profilo educativo.
Bambino e personal computer
Immerso tra sè e sè
non gioca nella relazione.
Nel gioco tra pari, il bambino può sperimentare più esperienze:
gestione dei ruoli;
gestione delle frustrazioni;
gestione di valenze relazionali diverse;
gestione della mediazione.
Nel gioco virtuale l’esperienza è “sbilanciata”:
il computer esegue, il bambino comanda.
Il gioco è senza corpo, senza un limite, senza un fine.
L’eccesso di gioco virtuale rischia di condurre il bambino
/ragazzo a vivere la plystation, il cyberspazio, come liquido amniotico, senza
distinguersi da esso (regressione ).
Come educatori, non ci si può arroccare nell’esperienza acquisita,
il nostro linguaggio non conta più come elemento di riferimento, sostituito dai
nuovi linguaggi.
I nuovi orizzonti pedagogici dovranno comprendere
l’alfabetizzazione informatica multimediale come ritorno all’oralità, come
vocazione alla comunicazione.
I videogichi insegnano ai bambini che i vari personaggi riappaiono
dopo essere stati eliminati (negazione della morte)
Questa è una pedagogia inversa, che non ha precedenti storici e che rimanda al mito dell’immortalità (pensiamo ad esperienze estreme come Novi Ligure...)
Questo approccio neopositivista non risolve il problema della
perdita, della separazione, del lutto; l’adolescente vive un contesto culturale
che ha rimosso il problema della
morte.
Ci sono teorie psicologiche che sostengono il valore catartico,
liberatorio della violenza simulata nei videogiochi; non si considera il fatto
che i ragazzi immersi nel virtuale sperimentano l’aggressività prima al
computer, poi nella vita vissuta (reale e
virtuale confusi)
L’adolescente di oggi, deprivato dai propri vissuti e dai rischi
che l’esperienza comporta, si trova solo nel “Paese dei balocchi”, illuso,
sedotto dagli ammalianti giochi della fiction che confonde i confini di realtà
e finzione (relazione penalizzata)
Esperienza della gruppalità da contrapporre all’isolamento
Relazione affettiva da contrapporre agli oggetti di comunicazione
offerti dal computer o dalla televisione.
TV – Baby sitter catodica.
Positivo: materiale fantastico, conoscenze, frammenti di senso,
linee guida per la socializzazione.
Negativo: elementi di turbamento che generano paure, e provocano
distorsione di crescita equilibrata.
Proposta precoce all’uso del
computer.
E’ una tendenza dilagante che cela interessi commerciali più che
educativi, condizionandoci fin dall’infanzia al consumo.