Nel
quadro del tema ampio di questa giornata (Il
volontariato a S. Donà tra realtà e futuro)
il mio contributo si limita a richiamare e illustrare l’aspetto motivazionale e
il necessario riferimento etico.
In
ogni epoca infatti molte persone hanno avvertito nel loro intimo delle
motivazioni che le spingevano ad agire in favore del prossimo in difficoltà.
L’esperienza testimonia che l’impulso del dono di sé è iscritto nella natura
umana. Ne è controprova la parabola evangelica del buon samaritano, che da
due millenni è il simbolo del
comportamento altruistico e della generosità etica.
Anche
la nostra S. Donà ha vissuto un tempo recente di larga fioritura del
volontariato, sostenuto da un clima culturale favorevole e da una contesto
anche religioso propizio. Oggi sentiamo il bisogno di fare il punto, di chiarire qualche confusione circa il concetto
di volontariato, (da un po’ di tempo
diventato una parola malata), metterci
in guardia da qualche tentazione che viene dall’evoluzione della situazione e
della legislazione italiana.
Il
coordinamento e la consulta dei volontariati della nostra città giustamente
hanno procurato questo appuntamento comune per un momento di riflessione e di
verifica, con la speranza che diventi anche l’occasione per un rilancio dell’attività di servizio
volontario e gratuito.
Parliamo
di un fenomeno diversamente misurato
nella sua ampiezza. A seconda dei
criteri adoperati per includere nel conto categorie diverse di persone,
qualcuno è arrivato a dare la cifra di 7,5 milioni di volontari in Italia.
Secondo il prof. Sarpellon, “il trucco sta nel diverso significato che il
termine volontari assume”.
Più
realisticamente, la terza rilevazione Fivol 2001 sulle organizzazioni di
volontariato (Fivol indica la Fondazione
italiana del volontariato), dà la stima sul fenomeno nazionale di 550.000 volontari
attivi e continuativi, e 400.000 volontari attivi ma non continuativi cioè
saltuari. Su queste misure conviene anche il Rapporto biennale sul volontariato
in Italia. Anno 2000, redatto su dati Istat. (cfr. Ardigò, Volontariati e Globalizzazione, EDB, 2001, p.24-25)
Pur
prendendo atto di questo realistico ridimensionamento, guardando al nostro
territorio dobbiamo riconoscere che il volontariato individuale, cioè quello
che uno si sceglie e gestisce in proprio, è una pratica molto diffusa. Sono
veramente molte le persone, di tutte le età, che si dedicano a qualche attività
di assistenza, di accompagnamento o di aiuto, come modo per esercitare lo
spirito di solidarietà e di vicinanza
verso chi è nel bisogno. Pensiamo ai parenti che assistono i loro ammalati,
alle visite che vengono fatte agli anziani sia negli istituti che in famiglia,
alle prestazioni fatte nelle emergenze, alle persone che si offrono per le
varie iniziative civili e religiose…
Circa il volontariato
organizzato, da un sondaggio fatto nella nostra
regione dall’agenzia demografica Demos all’inizio di quest’anno, risulta che
una persona su quattro aderisce ad associazioni che svolgono attività di
volontariato (il Gazzettino 10/03/2003).
Il dato viene commentato da un titolo giornalistico ad effetto: “E’ qui la
repubblica del volontariato”. L’informazione va accolta con le dovute cautele, perché, nonostante
quello che dice il sondaggio, si deve osservare che, anche da noi, le forme
tradizionali di volontariato, quelle cioè che sono impegnate soprattutto
nell’assistenza e nella cura diretta delle persone, stanno vivendo un momento alquanto
critico per la difficoltà nel ricambio dei volontari. Si starebbe verificando
anche da noi il fenomeno che alcuni rilevano presente in Italia, che cioè
aumentano le organizzazioni ma diminuiscono i volontari.
Un’ultima
annotazione di partenza. Giova subito richiamare quello che è evidente anche
dall’elenco dei nostri gruppi e organizzazioni di volontariato. Il volontariato non è unico, ma è molteplice,
plurale. E i criteri di differenziazione, secondo il prof. A. Ardigò sono
da una parte i settori delle attività
prevalenti (sanità, assistenza sociale, attività ricreative e culturali, protezione
civile), e dall’altra la matrice culturale e ideale ( confessionale, e aconfessionale ). A questo proposito, la
già citata terza rilevazione della Fivol rileva che ultimamente fra le due aree
tradizionali, confessionale e aconfessionale, si è aggiunta una terza (‘nessuna
matrice esplicita’). Questo indicherebbe la presenza di un processo di pluralizzazione
delle matrici ideali all’interno delle organizzazioni. Si nota infatti un lenta
riduzione della componente confessionale, che aveva ispirato largamente il movimento alle sue origini e tuttora lo
anima dentro le strutture ecclesiali, mentre va affermandosi una impostazione
aconfessionale e apartitica nella crescita più recente delle organizzazioni di
volontariato, che sono espressione della volontà di cittadini senza etichette
di partecipare e di tutelarsi.
In
questo variegato panorama il nostro impegno si volge ora a far emergere le
linee fondamentali che accomunano tutti i volontariati.
La
mia proposta toccherà tre punti:
1. I VAORI FONDANTI DEL VOLONTARIATO
2. UNA
TENTAZIONE DA SUPERARE
3. PROFILO ETICO DEL VOLONTARIO
1. I GRANDI VALORI DEL
VOLONTARIATO.
Racconta mons. Nervo, noto ex direttore
nazionale della Caritas italiana e presidente onorario della Fondazione Zancan:
“Tempo fa sono stato invitato a una tavola rotonda sul volontariato nell’ambito
di una grande manifestazione a
carattere nazionale. Mi avevano chiesto di trattare il tema: il volontariato non profit. Io sono
balzato sulla sedia e ho chiesto: ma c’è anche un volontariato profit? Era
stata una gaffe in piena buona fede, ma è indice di una certa cultura sul
volontariato” (Settimana n.30/2003).
Indubbiamente
l’area della solidarietà sociale è molto vasta, ma non tutte le sue espressioni
sono forme di vero volontariato: le cooperative di solidarietà sociale, le
imprese sociali, l’associazionismo sociale, le varie attività di economia non
profit, hanno tutto il loro valore ma sono specie diverse dal volontariato. Quello
che oggi si chiama il terzo settore, non va confuso con il volontariato o i volontariati.
Conviene dunque precisare il significato della parola.
Possiamo
richiamare la definizione riportata della legge italiana sul volontariato del
1991: “Attività di volontariato è quella prestata ad altri in modo personale,
spontaneo, gratuito, senza fini di lucro anche indiretto, ed esclusivamente per
fini di solidarietà sociale” (art.2). E la Carta dei valori del volontariato,
scritta dalla Fivol lo scorso anno, così si esprime: “Volontario è la persona
che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio
tempo e le proprie capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza o
per l’umanità intera. Egli opera in modo libero e gratuito, promuovendo
risposte creative ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria azione o
contribuendo alla realizzazione dei beni comuni” (n.1)
Tenendo
conto anche di queste definizioni, cerchiamo di descrivere alcune caratteristiche qualificanti del volontariato.
a. Il
valore principale e distintivo del volontariato è la gratuità. E’ l’elemento che lo
rende originale rispetto ad altre componenti del terzo settore e ad altre forme
di impegno civile. Ciò comporta assenza di guadagno economico, libertà da ogni
forma di potere e rinuncia ai conseguenti vantaggi diretti o indiretti. Il
volontariato è il luogo della realizzazione del dono di sé. Su questo punto bisogna
fare un po’ di chiarezza. La gratuità è l’asse portante del volontariato, è la
sua carta di identità. Essa non viene meno mai, neanche quando si affronta l’ipotesi
dell’opportunità di iscriversi o meno al Registro regionale delle associazioni
di volontariato per ottenere, secondo i recenti sviluppi della legislazione, eventuali
finanziamenti. In ogni caso essi non
sono per i volontari, ma per le opere che essi promuovono.
Nel
Veneto le iscrizioni riguardano poco più della metà delle organizzazioni di
volontariato, ma sembra che un notevole
numero non vada oltre l’iscrizione. Molte preferiscono raccogliere il denaro necessario
dalle comunità dove operano, mediante un’azione di responsabilizzazione sui problemi
dei propri membri, e così incrementare la vitalità e il ringiovanimento della propria organizzazione. Tuttavia i
soldi che vengono dai contributi previsti dalle leggi non sono da disprezzare,
ma non si dovrebbe mai dipendere dai soli contributi pubblici, al punto da
chiudere l’attività se mancano quei contributi.
D’altra
parte bisogna valorizzare tutto quel settore che si è sviluppato anche per
impulso del volontariato sociale: il cosiddetto terzo settore non profit. ‘Non
profit’ non significa che non ha profitti, ma che i profitti non vengono
distribuiti tra i soci, bensì investiti a beneficio della società per migliorare
ed estendere i servizi. Questo settore non profit ha tutta la sua importanza e
va sostenuto come realizzazione del grande principio della solidarietà. Tuttavia
non bisognerebbe cadere nella tentazione, che è all’origine di una certa
confusione di linguaggio alla quale abbiamo accennato, sostituendo la risorsa
volontaria con la corsa al personale rimunerato, e continuare a dire che questo
è ancora volontariato. Solo la gratuità diviene testimonianza credibile di
libertà rispetto alle logiche dell’individualismo e dell’utilitarismo
economico, e contrasta l’imperante modello consumistico della vita.
Per
mantenere la sua identità, osserva mons. Nervo, il volontariato deve
riconoscere i suoi limiti. Bisogna riconoscere che di norma non si possono
gestire gratuitamente servizi strutturati che richiedono continuità e
professionalità: per questo sono nate le cooperative sociali. Il volontariato
può assumere soltanto ‘servizi leggeri’, basati soprattutto sulla relazionalità.
Per mantenere la gratuità deve accettare questo limite, che però è anche la sua
forza, soprattutto nel volontariato di tutela dei diritti.
b. Il secondo valore è l’attenzione
alla dignità della persona umana. Il volontario si muove per spirito di
condivisione e di solidarietà con l’essere umano che vive particolari condizioni
di difficoltà, e si pone come risposta ai bisogni della persona. Al centro infatti
della sua attività sta la percezione della dignità della persona umana, nel
rispetto della sua concreta realtà, cioè dei sui molteplici rapporti legati al
sesso, alla razza, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche. Egli è
sensibile all’appello che arriva dalle situazioni di bisogno e si colloca sulla
linea già tracciata dalla nostra carta costituzionale, la quale impegna il
popolo italiano nella “rimozione degli ostacoli di ordine sociale ed economico
che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3). C’è soprattutto la relazione
personale, possibilmente diretta che favorisce
la comunicazione tipicamente umana, fatta non solo di opere ma anche di parole
e di contatti riscaldati dal calore dell’affetto. Per questo i volontari devono
essere vigili nel coltivare la loro
sensibilità, combattendo non solo il sempre risorgente egoismo ma anche
l’indifferenza e la abitudinarietà.
c. Lo spirito di solidarietà è il terzo valore fondamentale.
La solidarietà non è qui intesa come sentimento di vaga compassione o di
superficiale intenerimento per i mali di tante persone vicine o lontane, ma la
decisione di farsi carico, secondo, le proprie competenze, tanto dei problemi
locali quanto di quelli globali, impegnandosi a promuovere il bene delle
persone e il bene comune, portando un contributo al cambiamento sociale. La
vera solidarietà si fonda sulla giustizia, perciò il volontario si dedica alla
difesa e alla promozione dei diritti, al superamento dei comportamenti discriminatori;
non si limita alla denuncia, ma avanza proposte e progetti atti a promuovere
una società più vivibile. Per i volontari di ispirazione cristiana, l’ultimo
fondamento è l’esempio e l’insegnamento di Cristo, che ha mostrato fin dove
arriva la carità, l’agapè, cioè il vero amore per il prossimo: fino al dono
totale della vita. Per il credente il prossimo non è soltanto un essere umano
con i suoi diritti e la sua fondamentale uguaglianza davanti a tutti, ma è
l’immagine viva di Dio, la presenza misteriosa di Cristo, fratello universale.
Con questo nuovo criterio la solidarietà diventa impegno per l’attuazione del
disegno divino chiamato Regno di Dio, per il quale l’umanità viene liberata dalle ‘strutture di peccato’, cioè da ogni
forma di schiavitù, e sperimenta una misteriosa e gratificante comunione con
Dio e con gli altri uomini.
Gratuità,
rispetto per la persona umana, solidarietà: sono questi i tre grandi valori che
anche la letteratura sul volontariato documenta presenti in tutte le organizzazioni,
grandi o piccole, confessionali o meno. In aggiunta a questo elenco essenziale,
si possono ricordare anche altre parole, che pur allungando la tipologia dei
valori, di fatto rappresentano un commento o una specificazione di quelli
fondamentali. Esse sono: altruismo, generosità, testimonianza, promozione del bene
comune, capacità di fare, pratica dei diritti di cittadinanza, creatività nelle
forme di intervento…
Penso
che le organizzazioni qui presenti, quando illustrano la loro identità, definiscano
il loro impegno facendo riferimento ad aspetti anche più particolari e
concreti, ma che non sia difficile riconoscersi nel quadro di riferimento
fondamentale sopra descritto.
2. UNA TENTAZIONE DA SUPERARE
Il
volontariato è un’attività privata che per sua natura incontra l’area del
pubblico. Interviene in situazioni e affronta problemi che non possono non interessare
le pubbliche istituzioni. In linea di principio generale tra i due campi si
stabilisce non solo una buona convivenza ma anche una rete di collaborazioni.
Nel nostro paese è intervenuto anche il parlamento con apposite leggi per definire
competenze, norme e agevolazioni (cfr. legge 266/91). E’ quindi opportuno
mettere a fuoco quello che alcuni chiamano col nome di ruolo politico del
volontariato.
Di
che cosa si tratta? Non certamente di quel rapporto che potrebbe assomigliare a
una specie di collateralismo partitico, quasi uno strumento di penetrazione
partitica nella società civile: è sempre stato estraneo al patrimonio ideale
del volontariato autentico. Il volontariato ha sempre cercato di mantenere la
sua diversità e le opportune distanze dai partiti, rifiutando di confondersi
con essi. Altro invece è il ruolo politico non partitico, quello che, libero
dal potere costituito, funge da pungolo ai politici perché si rendano sensibili
e attenti alle necessità dei deboli e
ai diritti dei poveri e degli emarginati, e possano arrivare anche a dare
risposte mediante il cambiamento delle leggi. E’ una funzione molto importante,
che in questi anni spesso si è rivelata benefica, in quanto il volontariato a
volte arriva là dove le pubbliche istituzioni ancora non sono; segnala,
richiama l’attenzione, inventa cammini ed esperimenti, fa pressione, indica
nuove frontiere al sistema dei servizi sociali.
Questo
ruolo oggi sembra sottoposto a tentazione. Si è già accennato più sopra. Qui
giova ribadire che la possibilità data dalla legge di usufruire di particolari
agevolazioni e ottenere eventuali contributi, è una marcia in più offerta a chi
lavora a contatto con tante difficoltà e con tanta carenza di mezzi.
Soprattutto per le organizzazioni che superano i limiti dello stretto localistico.
La preoccupazione è che un po’ alla volta si induca un minor coraggio nella
denuncia e nelle richieste di attenzione e di intervento. La funzione di
coscienza critica della società è indispensabile per la crescita mirata dello
stato sociale e lo sviluppo della rete dei suoi servizi. In passato era un
compito che si assumevano alcuni organismi specializzati di volontariato, come
il Tribunale per i diritti del malato, il movimento per la cittadinanza attiva,
l’Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale… Oggi viene proposto come
dimensione permanente di tutto il
volontariato, che pone al centro la persona, la sua dignità, i suoi diritti.
Secondo mons. Nervo, la situazione sociopolitica italiana lo rende di grande
attualità, perché la tendenza ad affidare al mercato anche i servizi alla
persona espone i più deboli alla marginalizzazione e all’esclusione. Non è
sufficiente perciò assistere benevolmente i più deboli, occorre anche affermarne
e tutelarne i diritti. Occorre andare anche più avanti. In una cultura politica
dove si tende a tagliare sempre di più le risorse del sociale, il volontariato
rischia di essere considerato come una risorsa a costi quasi zero per riempire
i buchi, e per questo viene magari
blandito e anche esaltato. Se il volontariato non è attento, vigilante e coraggioso,
rischia di cadere in tentazione e magari
lasciarsi arruolare nelle file dei dipendenti dello stato e “diventare funzionale
al sistema” (cfr. Settimana, cit.), privando la società del suo apporto innovativo
e della sua critica costruttiva.
La
Caritas italiana, dal canto suo, nel promuovere il volontariato a tutti i
livelli, assieme al servizio diretto propone e caldeggia una serie di
iniziative volte a sensibilizzare circa le esigenze della giustizia sociale,
affinchè, come dice lo slogan, ‘il problema di uno (del bisognoso) diventi
problema di tutti’. L’informazione, la denuncia, la presenza negli organi di partecipazione
democratica, la cittadinanza attiva, l’attuazione di servizi-segno, sono iniziative
che possono richiamare l’attenzione dell’ente pubblico e indicare la strada da
imboccare per un reale servizio all’uomo. L’ideale a cui tendere sarebbe una
società nella quale in futuro la
presenza del volontariato venga ridotta al minimo, perchè la pratica della
giustizia sociale sarà diventata così larga e puntuale che a poco a poco la
città si trasformerà in una “città solidale”. Ma questo ideale rasenta
l’utopia. Perciò le organizzazioni di volontariato hanno ancora grande spazio
nel tessuto delle nostra vita concreta. Forse , specialmente nei paesi del
benessere, viene spostata l’area del loro impegno. Sta infatti prendendo piede
quella linea che il prof. Ardigò chiama “volontariato di advocacy”, cioè
volontariato di tutela dei diritti. Esso può rivolgersi verso singole persone o
comunità limitate, come un paese, un quartiere, una città, oppure assumere un
respiro più ampio, a livello nazionale e internazionale, come i movimenti per
la pace o il movimento in difesa delle minoranze. Ovviamente si tratta dei
diritti dei più deboli perché i più forti si difendono da soli. La
preoccupazione di molti è che tutte le organizzazioni di volontariato, mentre
favoriscono che i loro aderenti mettano se stessi a servizio del prossimo,
trovino anche i modi per educarli e formarli all’opera di promozione delle necessarie
innovazioni sociali e strutturali, superando la tentazione di entrare nelle
file delle imprese sociali.
3. UN PROFILO ETICO DEL
VOLONTARIO
Da
quanto abbiamo detto finora si ricava l’esigenza che il volontario viva la
propria esperienza in modo coerente con i valori e i principi che fondano
l’agire volontario. Un tale agire assume inevitabilmente una connotazione
etica, in quanto si lascia guidare e valutare da un complesso di norme che
traggono la loro legittimità dalla razionalità umana. Quali sono le regole
morali del volontario? Si muove solo sotto l’impulso del buon cuore, attratto
dal sentimento della compassione, sostenuto dalla naturale generosità? E’ indubbio
che queste componenti influiscono nel comportamento che apre alla disponibilità
verso chi ha bisogno. Ma bisogna aggiungere anche altre caratteristiche.
1.
Etica della responsabilità. Il volontario si fa
carico del bisogno che vede, dell’iniziativa che valuta necessaria. Ricordiamo
il famoso “I care” di don Milani, ‘ mi prendo cura’ in prima persona. Il
volontario responsabile non delega ad altri le risposte, se appartiene a
qualche organizzazione volentieri si associa ad altri per essere più efficiente.
Non si limita alla denuncia, ma avanza proposte e progetti: se è necessario coinvolge
anche i membri della sua comunità. Il senso di responsabilità si esercita nei
confronti della persona, della società, del territorio, dell’ambiente, dei beni
culturali, di tutto ciò che concorre a creare una vita più liberante e più umana.
Esso cresce con il progredire della serietà dell’informazione e della volontà
di combattere l’indifferenza.
2.
Etica del dono. Se la gratuità è il segno distintivo
di ogni volontario, il dono è la qualifica morale della sua azione. Il
volontario dona il suo tempo, le sue competenze professionali, le sue attitudini
umane e relazionali, senza alcuna aspettativa di ricompensa e di pagamento diretto
o indiretto. Così attraverso il dono di sè la persona realizza se stessa al di
fuori della logica di mercato e di profitto economico. Esclude altresì
qualsiasi logica di proselitismo e di paternalismo, ma mira alla crescita umana
e sociale dei destinatari, al ricupero della loro autonomia e autosufficienza
personale, là dove è possibile, in ogni caso al potenziamento dello loro
libertà interiore.
3.
Etica dell’amore come servizio. Servizio è una
parola che va riscattata dalla sua accezione negativa quando indica un rapporto
di dipendenza e di subordinazione, paragonabile a forme di schiavitù. Il
riscatto si verifica ogni volta che il servizio viene collegato all’amore per
esprimerne una modalità fattiva. Servizio, riferito all’opera del volontario, indica
il comportamento solerte e disinteressato di chi si fa prossimo alla sofferenza
e all’emarginazione. Lo spirito di servizio rimanda indubbiamente al Vangelo e
all’esempio di Cristo, il quale dice di sé: “Non sono venuto per essere servito
ma per servire” (Mt 20,28), e sappiamo
che il servizio del suo amore lo ha condotto a donare la sua vita per noi.
Intorno a questa parola hanno riflettuto anche i vescovi del Concilio Vaticano
II, applicandola all’esercizio dell’autorità nella chiesa: autorità come
servizio e quindi come segno di amore. Non è indebita l’estensione che se ne
può fare anche alle varie forme di autorità civile e sociale. Aiutare con
spirito di servizio significa eliminare anche la parvenza di una qualche superiorità, e dare un segno non equivoco
di amore.
4.
Etica della formazione permanente. Gratuità, rispetto della persona, spirito di
solidarietà: sono valori che vanno continuamente coltivati e approfonditi. Per
il volontariato è dunque indispensabile un impegno formativo continuo che
permetta alla persona una crescita costante a due livelli: quello delle motivazioni
che costituiscono la migliore garanzia della continuità dell’esperienza e danno
consistenza all’identità dei singoli volontari e delle loro organizzazioni; e
quello tecnico operativo, cioè il saper e il saper fare, ossia la ricerca dei
modi per rispondere sempre meglio alle esigenze impellenti con cui si viene a
contatto. C’è un terza dimensione della formazione permanente ed è la spiritualità.
C'è bisogno di diventare capaci di tenuta di fronte alle prove e agli insuccessi,
di accettare la fatica del servizio meno gratificante, di vedere un cammino di
vita anche nelle situazioni umane più degradate. Il volontario credente trova
l’appoggio necessario nella certezza che lo Spirito di Dio continua a riempire
tutta la terra e a guidare tutta la storia umana. Spiritualità infatti significa
attenzione alla guida dello Spirito.
Chi agisce nella società per dare un
contributo positivo di miglioramento, produce anche segnali di speranza, induce
atteggiamenti di fiducia nel futuro, dimostra che il cambiamento è possibile, stimola
la progettualità sociale, e scioglie i dubbi di coloro che sono propensi all’immobilismo.
La speranza è una virtù che non va confusa con il semplice ottimismo.
L’ottimismo è frutto di buon carattere, di propensione a vedere sempre la bottiglia
mezza piena. La speranza invece è certezza che i germi di bene porteranno
frutto, prima o poi, perché nel loro dinamismo opera una forza superiore che si
può sperimentare amica. Nella Bibbia, quando Dio vuole dare segno di interesse
e di amore al suo popolo, suscita in mezzo ad esso i suoi profeti che in nome
suo pronunciano parole di speranza, radicandola in promesse di un futuro migliore.
Si
può dire che nel nostro tempo, accanto ad alcuni profeti maggiori come don
Milani, Martin Luther King, papa Giovanni e altri, anche molti volontari
svolgono collettivamente una funzione profetica, spesso senza saperlo, perché
con la loro vita e la loro testimonianza annunciano un mondo che sarà migliore,
perché più umano, più solidale, più giusto, più ricco d’amore disinteressato e
gratuito.
Non
trovo modo migliore di terminare queste riflessioni se non ricordando due
testimoni che hanno praticato il volontariato come ideale di vita. Uno è
vissuto a lungo nella nostra città, morto a novant’anni, carico di benemerenze
e anche di riconoscimenti: il dott. Pietro Perin. Fu il ‘medico del Piave’,
valente e instancabile professionista, in servizio generoso nel tempo delle due
guerre. Insieme alla sua
professionalità egli mise il suo grande cuore a servizio del prossimo soprattutto dei poveri, tanto da essere
unanimemente riconosciuto come ‘Amico dei poveri e dei profughi’. Scrisse di
lui mons. Saretta in occasione del suo ritiro dall’esercizio della professione
medica a 69 anni: “Il dott. Perin va in pensione, ma è ancora vegeto e sano, ci
consola il pensiero che rimanendo tra noi, continuerà non solo la sua opera di
sanitario, ma anche la sua multiforme attività di apostolo”.
Un
piccolo episodio descrive bene la sua
anima di volontario. “Dottore, quanto le devo?” gli chiede un paziente. Il medico,
conoscendo la sua situazione economica, risponde: “Se può dare qualcosa, metta
nella cassetta delle Missioni del mio ambulatorio, così aiuteremo le missioni”.
Da vero credente egli attingeva le motivazioni profonde del suo generoso servizio
dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia e sosteneva le organizzazioni di
volontariato come la Conferenza di S. Vincenzo, della quale fu più volte
consigliere e presidente, nonché
oratore che illustrava agli altri le vere necessità dei poveri e la funzione
sociale della carità (cfr. p. Aniceto
Martini, Il dott.Pietro Perin, Ed. Esca, VI, 1982, pag. 117).
L’altro
testimone è una donna, albanese, trapiantata in India, ma conosciuta in tutto
il mondo: madre Teresa di Calcutta. Col suo carisma ha arruolato molte giovani
donne nella sua congregazione delle Missionarie della carità. Esse vanno ai
bordi della massima emarginazione e tendono la mano ai disperati. “E’ molto
raro che troviamo qualcuno che si
prenda cura delle persone abbandonate, soprattutto nei paesi come l’India, dove
il bisogno è enorme. Le case delle missionarie della Carità spesso sono il
capolinea per molti pazienti che sono già stati respinti da tutti” (fatello Geoff)
(Madre Teresa, il Cammino Semplice, p.63).
Nel prossimo mese Madre Teresa sarà portata all’onore degli altari perché il
papa la dichiarerà beata, e così sarà
proposta ufficialmente come modello di vita autenticamente cristiana ed
evangelica.
I
grandi esempi non ci devono incutere timore, devono anzi infonderci coraggio,
per perseverare nel fare la nostra parte, come volontari solidali in questa
nostra città: contribuire alla diffusione dei valori della pace, della non
violenza, della libertà, della legalità, della tolleranza, e farci promotori di
stili di vita caratterizzati dal senso della responsabilità, dell’accoglienza,
della solidarietà e della giustizia sociale. Lavoriamo per migliorare noi
stessi e così renderemo migliore la
nostra società.