VALORI ED ETICA DEL VOLONTARIATO

S. Donà di Piave 14.09.03, ore 9,30

 

Introduzione

Nel quadro del tema ampio di questa giornata (Il volontariato a S. Donà  tra realtà e futuro) il mio contributo si limita a richiamare e illustrare l’aspetto motivazionale e il necessario riferimento etico.

In ogni epoca infatti molte persone hanno avvertito nel loro intimo delle motivazioni che le spingevano ad agire in favore del prossimo in difficoltà. L’esperienza testimonia che l’impulso del dono di sé è iscritto nella natura umana. Ne è controprova la parabola evangelica del buon samaritano, che da due  millenni è il simbolo del comportamento altruistico e della generosità etica.

Anche la nostra S. Donà ha vissuto un tempo recente di larga fioritura del volontariato, sostenuto da un clima culturale favorevole e da una contesto anche religioso propizio. Oggi sentiamo il bisogno di fare il punto,  di chiarire qualche confusione circa il concetto  di volontariato, (da un po’ di tempo diventato una parola malata),  metterci in guardia da qualche tentazione che viene dall’evoluzione della situazione e della legislazione italiana.

Il coordinamento e la consulta dei volontariati della nostra città giustamente hanno procurato questo appuntamento comune per un momento di riflessione e di verifica, con la speranza che diventi anche l’occasione  per un rilancio dell’attività di servizio volontario e gratuito.

 

Parliamo di un fenomeno diversamente misurato nella sua ampiezza.  A seconda dei criteri adoperati per includere nel conto categorie diverse di persone, qualcuno è arrivato a dare la cifra di 7,5 milioni di volontari in Italia. Secondo il prof. Sarpellon, “il trucco sta nel diverso significato che il termine volontari assume”.

Più realisticamente, la terza rilevazione Fivol 2001 sulle organizzazioni di volontariato (Fivol indica la Fondazione italiana del volontariato), dà la stima sul fenomeno nazionale di 550.000 volontari attivi e continuativi, e 400.000 volontari attivi ma non continuativi cioè saltuari. Su queste misure conviene anche il Rapporto biennale sul volontariato in Italia. Anno 2000, redatto su dati Istat. (cfr. Ardigò, Volontariati e Globalizzazione, EDB, 2001, p.24-25)

Pur prendendo atto di questo realistico ridimensionamento, guardando al nostro territorio dobbiamo riconoscere che il volontariato individuale, cioè quello che uno si sceglie e gestisce in proprio, è una pratica molto diffusa. Sono veramente molte le persone, di tutte le età, che si dedicano a qualche attività di assistenza, di accompagnamento o di aiuto, come modo per esercitare lo spirito di solidarietà e di vicinanza  verso chi è nel bisogno. Pensiamo ai parenti che assistono i loro ammalati, alle visite che vengono fatte agli anziani sia negli istituti che in famiglia, alle prestazioni fatte nelle emergenze, alle persone che si offrono per le varie iniziative civili e  religiose…

 

Circa il volontariato organizzato, da un sondaggio fatto nella nostra regione dall’agenzia demografica Demos all’inizio di quest’anno, risulta che una persona su quattro aderisce ad associazioni che svolgono attività di volontariato (il Gazzettino 10/03/2003). Il dato viene commentato da un titolo giornalistico ad effetto: “E’ qui la repubblica del volontariato”. L’informazione va accolta  con le dovute cautele, perché, nonostante quello che dice il sondaggio, si deve osservare che, anche da noi, le forme tradizionali di volontariato, quelle cioè che sono impegnate soprattutto nell’assistenza e nella cura diretta delle persone, stanno vivendo un momento alquanto critico per la difficoltà nel ricambio dei volontari. Si starebbe verificando anche da noi il fenomeno che alcuni rilevano presente in Italia, che cioè aumentano le organizzazioni ma diminuiscono i volontari.

 

Un’ultima annotazione di partenza. Giova subito richiamare quello che è evidente anche dall’elenco dei nostri gruppi e organizzazioni di volontariato. Il volontariato non è unico, ma è molteplice, plurale. E i criteri di differenziazione, secondo il prof. A. Ardigò  sono da una parte i  settori delle attività prevalenti (sanità, assistenza sociale, attività ricreative e culturali, protezione civile), e dall’altra la matrice culturale e ideale ( confessionale,  e aconfessionale ). A questo proposito, la già citata terza rilevazione della Fivol rileva che ultimamente fra le due aree tradizionali, confessionale e aconfessionale, si è aggiunta una terza (‘nessuna matrice esplicita’). Questo indicherebbe la presenza di un processo di pluralizzazione delle matrici ideali all’interno delle organizzazioni. Si nota infatti un lenta riduzione della componente confessionale, che aveva  ispirato largamente il movimento alle sue origini e tuttora lo anima dentro le strutture ecclesiali, mentre va affermandosi una impostazione aconfessionale e apartitica nella crescita più recente delle organizzazioni di volontariato, che sono espressione della volontà di cittadini senza etichette di partecipare e di tutelarsi.

In questo variegato panorama il nostro impegno si volge ora a far emergere le linee fondamentali che accomunano tutti i volontariati.   

 

La mia proposta toccherà tre punti:

1.   I VAORI FONDANTI DEL VOLONTARIATO

2.    UNA TENTAZIONE DA SUPERARE

3.     PROFILO ETICO DEL VOLONTARIO

 

1. I GRANDI VALORI DEL VOLONTARIATO.

 Racconta mons. Nervo, noto ex direttore nazionale della Caritas italiana e presidente onorario della Fondazione Zancan: “Tempo fa sono stato invitato a una tavola rotonda sul volontariato nell’ambito di una  grande manifestazione a carattere nazionale. Mi avevano chiesto di trattare il tema: il volontariato non profit. Io sono balzato sulla sedia e ho chiesto: ma c’è anche un volontariato profit? Era stata una gaffe in piena buona fede, ma è indice di una certa cultura sul volontariato” (Settimana n.30/2003).

Indubbiamente l’area della solidarietà sociale è molto vasta, ma non tutte le sue espressioni sono forme di vero volontariato: le cooperative di solidarietà sociale, le imprese sociali, l’associazionismo sociale, le varie attività di economia non profit, hanno tutto il loro valore ma sono specie diverse dal volontariato. Quello che oggi si chiama il terzo settore, non va confuso con il volontariato o i volontariati. Conviene dunque precisare il significato della parola.

Possiamo richiamare la definizione riportata della legge italiana sul volontariato del 1991: “Attività di volontariato è quella prestata ad altri in modo personale, spontaneo, gratuito, senza fini di lucro anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà sociale” (art.2). E la Carta dei valori del volontariato, scritta dalla Fivol lo scorso anno, così si esprime: “Volontario è la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza o per l’umanità intera. Egli opera in modo libero e gratuito, promuovendo risposte creative ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria azione o contribuendo alla realizzazione dei beni comuni” (n.1)

Tenendo conto anche di queste definizioni, cerchiamo di descrivere alcune caratteristiche  qualificanti del volontariato.

 

a.  Il valore principale e distintivo del volontariato è la gratuità. E’ l’elemento che lo rende originale rispetto ad altre componenti del terzo settore e ad altre forme di impegno civile. Ciò comporta assenza di guadagno economico, libertà da ogni forma di potere e rinuncia ai conseguenti vantaggi diretti o indiretti. Il volontariato è il luogo della realizzazione del dono di sé. Su questo punto bisogna fare un po’ di chiarezza. La gratuità è l’asse portante del volontariato, è la sua carta di identità. Essa non viene meno mai, neanche quando si affronta l’ipotesi dell’opportunità di iscriversi o meno al Registro regionale delle associazioni di volontariato per ottenere, secondo i recenti sviluppi della legislazione, eventuali finanziamenti. In ogni caso  essi non sono per i volontari, ma per le opere che essi promuovono.

Nel Veneto le iscrizioni riguardano poco più della metà delle organizzazioni di volontariato, ma sembra  che un notevole numero non vada oltre l’iscrizione. Molte preferiscono raccogliere il denaro necessario dalle comunità dove operano, mediante un’azione di responsabilizzazione sui problemi dei propri membri, e così incrementare la vitalità e il ringiovanimento  della propria organizzazione. Tuttavia i soldi che vengono dai contributi previsti dalle leggi non sono da disprezzare, ma non si dovrebbe mai dipendere dai soli contributi pubblici, al punto da chiudere l’attività se mancano quei contributi.

D’altra parte bisogna valorizzare tutto quel settore che si è sviluppato anche per impulso del volontariato sociale: il cosiddetto terzo settore non profit. ‘Non profit’ non significa che non ha profitti, ma che i profitti non vengono distribuiti tra i soci, bensì investiti a beneficio della società per migliorare ed estendere i servizi. Questo settore non profit ha tutta la sua importanza e va sostenuto come realizzazione del grande principio della solidarietà. Tuttavia non bisognerebbe cadere nella tentazione, che è all’origine di una certa confusione di linguaggio alla quale abbiamo accennato, sostituendo la risorsa volontaria con la corsa al personale rimunerato, e continuare a dire che questo è ancora volontariato. Solo la gratuità diviene testimonianza credibile di libertà rispetto alle logiche dell’individualismo e dell’utilitarismo economico, e contrasta l’imperante modello consumistico della vita.

Per mantenere la sua identità, osserva mons. Nervo, il volontariato deve riconoscere i suoi limiti. Bisogna riconoscere che di norma non si possono gestire gratuitamente servizi strutturati che richiedono continuità e professionalità: per questo sono nate le cooperative sociali. Il volontariato può assumere soltanto ‘servizi leggeri’, basati soprattutto sulla relazionalità. Per mantenere la gratuità deve accettare questo limite, che però è anche la sua forza, soprattutto nel volontariato di tutela dei diritti.

 

b.  Il secondo valore è l’attenzione alla dignità della persona umana. Il volontario si muove per spirito di condivisione e di solidarietà con l’essere umano che vive particolari condizioni di difficoltà, e si pone come risposta ai bisogni della persona. Al centro infatti della sua attività sta la percezione della dignità della persona umana, nel rispetto della sua concreta realtà, cioè dei sui molteplici rapporti legati al sesso, alla razza, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche. Egli è sensibile all’appello che arriva dalle situazioni di bisogno e si colloca sulla linea già tracciata dalla nostra carta costituzionale, la quale impegna il popolo italiano nella “rimozione degli ostacoli di ordine sociale ed economico che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3). C’è soprattutto la relazione personale,  possibilmente diretta che favorisce la comunicazione tipicamente umana, fatta non solo di opere ma anche di parole e di contatti riscaldati dal calore dell’affetto. Per questo i volontari devono essere  vigili nel coltivare la loro sensibilità, combattendo non solo il sempre risorgente egoismo ma anche l’indifferenza  e la abitudinarietà.

 

c. Lo spirito di solidarietà è il terzo valore fondamentale. La solidarietà non è qui intesa come sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone vicine o lontane, ma la decisione di farsi carico, secondo, le proprie competenze, tanto dei problemi locali quanto di quelli globali, impegnandosi a promuovere il bene delle persone e il bene comune, portando un contributo al cambiamento sociale. La vera solidarietà si fonda sulla giustizia, perciò il volontario si dedica alla difesa e alla promozione dei diritti, al superamento dei comportamenti discriminatori; non si limita alla denuncia, ma avanza proposte e progetti atti a promuovere una società più vivibile. Per i volontari di ispirazione cristiana, l’ultimo fondamento è l’esempio e l’insegnamento di Cristo, che ha mostrato fin dove arriva la carità, l’agapè, cioè il vero amore per il prossimo: fino al dono totale della vita. Per il credente il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale uguaglianza davanti a tutti, ma è l’immagine viva di Dio, la presenza misteriosa di Cristo, fratello universale. Con questo nuovo criterio la solidarietà diventa impegno per l’attuazione del disegno divino chiamato Regno di Dio, per il quale l’umanità viene liberata  dalle ‘strutture di peccato’, cioè da ogni forma di schiavitù, e sperimenta una misteriosa e gratificante comunione con Dio e con gli altri uomini.

 

Gratuità, rispetto per la persona umana, solidarietà: sono questi i tre grandi valori che anche la letteratura sul volontariato documenta presenti in tutte le organizzazioni, grandi o piccole, confessionali o meno. In aggiunta a questo elenco essenziale, si possono ricordare anche altre parole, che pur allungando la tipologia dei valori, di fatto rappresentano un commento o una specificazione di quelli fondamentali. Esse sono: altruismo, generosità, testimonianza, promozione del bene comune, capacità di fare, pratica dei diritti di cittadinanza, creatività nelle forme di intervento…

Penso che le organizzazioni qui presenti, quando illustrano la loro identità, definiscano il loro impegno facendo riferimento ad aspetti anche più particolari e concreti, ma che non sia difficile riconoscersi nel quadro di riferimento fondamentale sopra descritto.

 

 

 

 

 

 

2. UNA TENTAZIONE DA SUPERARE

Il volontariato è un’attività privata che per sua natura incontra l’area del pubblico. Interviene in situazioni e affronta problemi che non possono non interessare le pubbliche istituzioni. In linea di principio generale tra i due campi si stabilisce non solo una buona convivenza ma anche una rete di collaborazioni. Nel nostro paese è intervenuto anche il parlamento con apposite leggi per definire competenze, norme e agevolazioni (cfr. legge 266/91). E’ quindi opportuno mettere a fuoco quello che alcuni chiamano col nome di ruolo politico del volontariato.

Di che cosa si tratta? Non certamente di quel rapporto che potrebbe assomigliare a una specie di collateralismo partitico, quasi uno strumento di penetrazione partitica nella società civile: è sempre stato estraneo al patrimonio ideale del volontariato autentico. Il volontariato ha sempre cercato di mantenere la sua diversità e le opportune distanze dai partiti, rifiutando di confondersi con essi. Altro invece è il ruolo politico non partitico, quello che, libero dal potere costituito, funge da pungolo ai politici perché si rendano sensibili e attenti alle necessità dei deboli  e ai diritti dei poveri e degli emarginati, e possano arrivare anche a dare risposte mediante il cambiamento delle leggi. E’ una funzione molto importante, che in questi anni spesso si è rivelata benefica, in quanto il volontariato a volte arriva là dove le pubbliche istituzioni ancora non sono; segnala, richiama l’attenzione, inventa cammini ed esperimenti, fa pressione, indica nuove frontiere al sistema dei servizi sociali.

 

Questo ruolo oggi sembra sottoposto a tentazione. Si è già accennato più sopra. Qui giova ribadire che la possibilità data dalla legge di usufruire di particolari agevolazioni e ottenere eventuali contributi, è una marcia in più offerta a chi lavora a contatto con tante difficoltà e con tanta carenza di mezzi. Soprattutto per le organizzazioni che superano i limiti dello stretto localistico. La preoccupazione è che un po’ alla volta si induca un minor coraggio nella denuncia e nelle richieste di attenzione e di intervento. La funzione di coscienza critica della società è indispensabile per la crescita mirata dello stato sociale e lo sviluppo della rete dei suoi servizi. In passato era un compito che si assumevano alcuni organismi specializzati di volontariato, come il Tribunale per i diritti del malato, il movimento per la cittadinanza attiva, l’Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale… Oggi viene proposto come dimensione  permanente di tutto il volontariato, che pone al centro la persona, la sua dignità, i suoi diritti. Secondo mons. Nervo, la situazione sociopolitica italiana lo rende di grande attualità, perché la tendenza ad affidare al mercato anche i servizi alla persona espone i più deboli alla marginalizzazione e all’esclusione. Non è sufficiente perciò assistere benevolmente i più deboli, occorre anche affermarne e tutelarne i diritti. Occorre andare anche più avanti. In una cultura politica dove si tende a tagliare sempre di più le risorse del sociale, il volontariato rischia di essere considerato come una risorsa a costi quasi zero per riempire i buchi, e per questo  viene magari blandito e anche esaltato. Se il volontariato non è attento, vigilante e coraggioso, rischia di  cadere in tentazione e magari lasciarsi arruolare nelle file dei dipendenti dello stato e “diventare funzionale al sistema” (cfr. Settimana, cit.), privando la società del suo apporto innovativo e della sua  critica costruttiva.

 

La Caritas italiana, dal canto suo, nel promuovere il volontariato a tutti i livelli, assieme al servizio diretto propone e caldeggia una serie di iniziative volte a sensibilizzare circa le esigenze della giustizia sociale, affinchè, come dice lo slogan, ‘il problema di uno (del bisognoso) diventi problema di tutti’. L’informazione, la denuncia, la presenza negli organi di partecipazione democratica, la cittadinanza attiva, l’attuazione di servizi-segno, sono iniziative che possono richiamare l’attenzione dell’ente pubblico e indicare la strada da imboccare per un reale servizio all’uomo. L’ideale a cui tendere sarebbe una società nella quale in futuro la  presenza del volontariato venga ridotta al minimo, perchè la pratica della giustizia sociale sarà diventata così larga e puntuale che a poco a poco la città si trasformerà in una “città solidale”. Ma questo ideale rasenta l’utopia. Perciò le organizzazioni di volontariato hanno ancora grande spazio nel tessuto delle nostra vita concreta. Forse , specialmente nei paesi del benessere, viene spostata l’area del loro impegno. Sta infatti prendendo piede quella linea che il prof. Ardigò chiama “volontariato di advocacy”, cioè volontariato di tutela dei diritti. Esso può rivolgersi verso singole persone o comunità limitate, come un paese, un quartiere, una città, oppure assumere un respiro più ampio, a livello nazionale e internazionale, come i movimenti per la pace o il movimento in difesa delle minoranze. Ovviamente si tratta dei diritti dei più deboli perché i più forti si difendono da soli. La preoccupazione di molti è che tutte le organizzazioni di volontariato, mentre favoriscono che i loro aderenti mettano se stessi a servizio del prossimo, trovino anche i modi per educarli e formarli all’opera di promozione delle necessarie innovazioni sociali e strutturali, superando la tentazione di entrare nelle file delle imprese sociali.

 

3. UN PROFILO ETICO DEL VOLONTARIO

Da quanto abbiamo detto finora si ricava l’esigenza che il volontario viva la propria esperienza in modo coerente con i valori e i principi che fondano l’agire volontario. Un tale agire assume inevitabilmente una connotazione etica, in quanto si lascia guidare e valutare da un complesso di norme che traggono la loro legittimità dalla razionalità umana. Quali sono le regole morali del volontario? Si muove solo sotto l’impulso del buon cuore, attratto dal sentimento della compassione, sostenuto dalla naturale generosità? E’ indubbio che queste componenti influiscono nel comportamento che apre alla disponibilità verso chi ha bisogno. Ma bisogna aggiungere anche altre caratteristiche.

 

1. Etica della responsabilità. Il volontario si fa carico del bisogno che vede, dell’iniziativa che valuta necessaria. Ricordiamo il famoso “I care” di don Milani, ‘ mi prendo cura’ in prima persona. Il volontario responsabile non delega ad altri le risposte, se appartiene a qualche organizzazione volentieri si associa ad altri per essere più efficiente. Non si limita alla denuncia, ma avanza proposte e progetti: se è necessario coinvolge anche i membri della sua comunità. Il senso di responsabilità si esercita nei confronti della persona, della società, del territorio, dell’ambiente, dei beni culturali, di tutto ciò che concorre a creare una vita più liberante e più umana. Esso cresce con il progredire della serietà dell’informazione e della volontà di combattere l’indifferenza.

 

2. Etica del dono. Se la gratuità è il segno distintivo di ogni volontario, il dono è la qualifica morale della sua azione. Il volontario dona il suo tempo, le sue competenze professionali, le sue attitudini umane e relazionali, senza alcuna aspettativa di ricompensa e di pagamento diretto o indiretto. Così attraverso il dono di sè la persona realizza se stessa al di fuori della logica di mercato e di profitto economico. Esclude altresì qualsiasi logica di proselitismo e di paternalismo, ma mira alla crescita umana e sociale dei destinatari, al ricupero della loro autonomia e autosufficienza personale, là dove è possibile, in ogni caso al potenziamento dello loro libertà interiore.

 

3. Etica dell’amore come servizio. Servizio è una parola che va riscattata dalla sua accezione negativa quando indica un rapporto di dipendenza e di subordinazione, paragonabile a forme di schiavitù. Il riscatto si verifica ogni volta che il servizio viene collegato all’amore per esprimerne una modalità fattiva. Servizio, riferito all’opera del volontario, indica il comportamento solerte e disinteressato di chi si fa prossimo alla sofferenza e all’emarginazione. Lo spirito di servizio rimanda indubbiamente al Vangelo e all’esempio di Cristo, il quale dice di sé: “Non sono venuto per essere servito ma per servire”  (Mt 20,28), e sappiamo che il servizio del suo amore lo ha condotto a donare la sua vita per noi. Intorno a questa parola hanno riflettuto anche i vescovi del Concilio Vaticano II, applicandola all’esercizio dell’autorità nella chiesa: autorità come servizio e quindi come segno di amore. Non è indebita l’estensione che se ne può fare anche alle varie forme di autorità civile e sociale. Aiutare con spirito di servizio significa eliminare anche la  parvenza di una qualche superiorità, e dare un segno non equivoco di amore.

 

4. Etica della formazione permanente.  Gratuità, rispetto della persona, spirito di solidarietà: sono valori che vanno continuamente coltivati e approfonditi. Per il volontariato è dunque indispensabile un impegno formativo continuo che permetta alla persona una crescita costante a due livelli: quello delle motivazioni che costituiscono la migliore garanzia della continuità dell’esperienza e danno consistenza all’identità dei singoli volontari e delle loro organizzazioni; e quello tecnico operativo, cioè il saper e il saper fare, ossia la ricerca dei modi per rispondere sempre meglio alle esigenze impellenti con cui si viene a contatto. C’è un terza dimensione della formazione permanente ed è la spiritualità. C'è bisogno di diventare capaci di tenuta di fronte alle prove e agli insuccessi, di accettare la fatica del servizio meno gratificante, di vedere un cammino di vita anche nelle situazioni umane più degradate. Il volontario credente trova l’appoggio necessario nella certezza che lo Spirito di Dio continua a riempire tutta la terra e a guidare tutta la storia umana. Spiritualità infatti significa attenzione alla guida dello Spirito.

 

5. Etica della profezia e della speranza

 Chi agisce nella società per dare un contributo positivo di miglioramento, produce anche segnali di speranza, induce atteggiamenti di fiducia nel futuro, dimostra che il cambiamento è possibile, stimola la progettualità sociale, e scioglie i dubbi di coloro che sono propensi all’immobilismo. La speranza è una virtù che non va confusa con il semplice ottimismo. L’ottimismo è frutto di buon carattere, di propensione a vedere sempre la bottiglia mezza piena. La speranza invece è certezza che i germi di bene porteranno frutto, prima o poi, perché nel loro dinamismo opera una forza superiore che si può sperimentare amica. Nella Bibbia, quando Dio vuole dare segno di interesse e di amore al suo popolo, suscita in mezzo ad esso i suoi profeti che in nome suo pronunciano parole di speranza, radicandola in promesse di un futuro migliore.

Si può dire che nel nostro tempo, accanto ad alcuni profeti maggiori come don Milani, Martin Luther King, papa Giovanni e altri, anche molti volontari svolgono collettivamente una funzione profetica, spesso senza saperlo, perché con la loro vita e la loro testimonianza annunciano un mondo che sarà migliore, perché più umano, più solidale, più giusto, più ricco d’amore disinteressato e gratuito.

 

Conclusione: impariamo dai testimoni

Non trovo modo migliore di terminare queste riflessioni se non ricordando due testimoni che hanno praticato il volontariato come ideale di vita. Uno è vissuto a lungo nella nostra città, morto a novant’anni, carico di benemerenze e anche di riconoscimenti: il dott. Pietro Perin. Fu il ‘medico del Piave’, valente e instancabile professionista, in servizio generoso nel tempo delle due guerre.  Insieme alla sua professionalità egli mise il suo grande cuore a  servizio del prossimo soprattutto dei poveri, tanto da essere unanimemente riconosciuto come ‘Amico dei poveri e dei profughi’. Scrisse di lui mons. Saretta in occasione del suo ritiro dall’esercizio della professione medica a 69 anni: “Il dott. Perin va in pensione, ma è ancora vegeto e sano, ci consola il pensiero che rimanendo tra noi, continuerà non solo la sua opera di sanitario, ma anche la sua multiforme attività di apostolo”.

Un piccolo episodio descrive bene  la sua anima di volontario. “Dottore, quanto le devo?” gli chiede un paziente. Il medico, conoscendo la sua situazione economica, risponde: “Se può dare qualcosa, metta nella cassetta delle Missioni del mio ambulatorio, così aiuteremo le missioni”. Da vero credente egli attingeva le motivazioni profonde del suo generoso servizio dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia e sosteneva le organizzazioni di volontariato come la Conferenza di S. Vincenzo, della quale fu più volte consigliere  e presidente, nonché oratore che illustrava agli altri le vere necessità dei poveri e la funzione sociale della carità (cfr. p. Aniceto Martini, Il dott.Pietro Perin, Ed. Esca, VI, 1982, pag. 117).

L’altro testimone è una donna, albanese, trapiantata in India, ma conosciuta in tutto il mondo: madre Teresa di Calcutta. Col suo carisma ha arruolato molte giovani donne nella sua congregazione delle Missionarie della carità. Esse vanno ai bordi della massima emarginazione e tendono la mano ai disperati. “E’ molto raro che  troviamo qualcuno che si prenda cura delle persone abbandonate, soprattutto nei paesi come l’India, dove il bisogno è enorme. Le case delle missionarie della Carità spesso sono il capolinea per molti pazienti che sono già stati respinti da tutti” (fatello Geoff) (Madre Teresa, il Cammino Semplice, p.63). Nel prossimo mese Madre Teresa sarà portata all’onore degli altari perché il papa la dichiarerà beata, e così  sarà proposta ufficialmente come modello di vita autenticamente cristiana ed evangelica.

I grandi esempi non ci devono incutere timore, devono anzi infonderci coraggio, per perseverare nel fare la nostra parte, come volontari solidali in questa nostra città: contribuire alla diffusione dei valori della pace, della non violenza, della libertà, della legalità, della tolleranza, e farci promotori di stili di vita caratterizzati dal senso della responsabilità, dell’accoglienza, della solidarietà e della giustizia sociale. Lavoriamo per migliorare noi stessi  e così renderemo migliore la nostra società.

 

Don Gino Perin