La mattina d’AshuràSi
narra che la mattina d’Ashurà,
quando l’armata d’Umar Ibni Sa´d si preparò ad
attaccare, Husain mandò Burair
Ibni Khazir verso di loro,
il quale cercò di dissuaderli dal scendere in guerra contro Husain;
le sue parole non ebbero però alcun effetto. Andò quindi verso di loro Husain.
Il purissimo Imam salí sulla sua cammello (altre tradizioni dicono che
salí su un cavallo) e invitò gli uomini di Umar
Ibni Sa´d a fare silenzio e ascoltare le sue parole. Essi fecero
silenzio e Husain, dopo aver
lodato Iddio e benedetto il profeta Muhammad,
gli Angeli, i Profeti e i Messaggeri di Dio, disse: “La sventura sia su
di voi! Eravate smarriti e avete chiesto il nostro appoggio, e noi siamo
venuti con sollecitudine in vostro aiuto; voi però avete intenzione di
ucciderci con le stesse spade che giuraste di usare per sostenerci, di
bruciarci con lo stesso fuoco che doveva servire a bruciare i nostri e i
vostri nemici. Oggi siete venuti tutti in aiuto del nemico per uccidere i
vostri amici, senza che essi abbiano diffuso la giustizia tra voi, senza
che nell’aiutarli vi sia per voi qualche bene. Guai a voi! Perché vi
siete astenuti dall’aiutarci quando le spade erano nelle guaine, i cuori
erano calmi e convinti e salde erano le opinioni? Voi vi siete invero
precipitati al pari di cavallette per accendere il fuoco della discordia.
O nemici del vero, o infedeli, o voi che avete abbandonato il Corano, o
voi che falsificate le parole, o massa di peccatori, o seguaci delle
tentazioni di Satana, o distruttori della legge e della tradizione del
Profeta, possa la misericordia divina essere lontana da voi. Proteggete
questi impuri e vi rifiutate di aiutarci?! Sí, giuro su Dio, che
l’inganno e la frode esisteva in voi già dal passato; le vostre radici
e i vostri rami sono mescolati all’acqua della frode, il vostro pensiero
s’è rinforzato con essa. Voi siete il piú impuro e disgustoso dei
frutti, il piú scarso boccone che gli usurpatori possano ingoiare.
Sappiate che il figlio illegittimo di figlio illegittimo [Ibni
Ziad] mi ha costretto a scegliere tra la guerra e la viltà [cioè
giurare fedeltà a Yazid]. Ben lontana è però da noi la viltà! Dio, il Suo
Messaggero, i credenti, quelli che sono stati formati da pure mani, le
persone onorate e gli uomini dotati di zelo non ci permetteranno mai di
preferire l’umiliazione di ubbidire ai vili all’essere uccisi
dignitosamente. Sappiate che, nonostante l’esiguo numero dei miei
compagni, io combatterò contro di voi”. Continuò quindi recitando i
seguenti versi di Farwat-i-bni Masik
Al-muràdiyy: «Se noi vinceremo, se sconfiggeremo il nemico, non ci
sarà da stupirsi, poiché siamo sempre stati vincitori. Se invece verremo
sconfitti e uccisi non sarà colpa nostra e non saremo stati uccisi per
paura, sarà bensí giunta la nostra ora e il destino farà vincere gli
altri. Se il mostro della morte s’allontana dalla porta della casa di
qualcuno, andrà alla porta di qualcun altro. Gli eminenti della mia gente
sono morti per mano vostra, come morí nei secoli passati il resto della
gente. Se i re fossero stati eterni in questo mondo, anche noi lo saremmo
stati, se i grandi uomini avessero vissuto in eterno in questo mondo,
anche noi avremmo avuto vita eterna. Di’ a quelli che gioiscono per le
nostre sofferenze: “Svegliatevi e non gioite invano per le sofferenze
altrui, poiché coloro che gioiscono per le [nostre] sofferenze moriranno
come noi”». Dopo aver recitato questi versi disse: “Giuro su Dio che
non vivrete a lungo dopo avermi ucciso; la vostra vita non durerà piú
del tempo impiegato per montare a cavallo. Il destino, al pari di una
macina, passa velocemente sulle vostre teste e vi agita al pari
dell’asta di una mole. Mio nonno, l’Inviato di Dio, diede questa
notizia a mio padre Alí, il
quale me la narrò. Ora consultatevi tra di voi affinché la questione non
rimanga per voi oscura, poi uccidetemi pure e non concedetemi tempo. Io mi
affido a Dio, Egli è mio e vostro Signore e ogni creatura è sotto il suo
dominio. In verità, il mio Signore è sul retto sentiero” Dopo
aver recitato questo magnifico sermone, maledí l’armata nemica dicendo:
“O Dio, privali del dono della pioggia, colpiscili con una carestia
simile a quella dell’epoca di Yúsuf
e falli dominare da Gulàmu Thaghif, affinché faccia loro assaggiare l’amaro sapore della
morte, poiché essi ci hanno mentito e ingannato. Tu sei il nostro
Signore, a Te ci affidiamo e a te chiediamo perdono; tutti ritornano a
Te”. Dopodiché smontò, chiese il cavallo dell’Inviato di Dio, che si
chiamava Al-murtajus, e preparò i suoi uomini a combattere. Si
narra che l’imam Al-baghir disse
che gli uomini di Husain erano
quarantacinque cavalieri e cento fanti. Ricordiamo però che esistono
anche altre tradizioni riguardo al numero dei compagni dell’Imam. Umar
Ibni Sa´d inizia la guerra
Si
narra che Umar Ibni Sa´d avanzò e
scagliò una freccia contro i compagni di Husain
e le loro tende; disse: “Testimoniate dinanzi al Duce che sono stato io
il primo a scagliare una freccia verso di Husain”.
In seguito a questo gesto, l’armata di Umar
Ibni Sa´d fece piovere un’infinità di frecce su di Husain e i suoi compagni. Il nobile Imam rivolgendosi ai suoi uomini
disse: “Che Allah vi benedica, alzatevi e andate incontro
all’inevitabile morte. Queste frecce sono messaggere di questa gente che
vi invita a combattere”. I compagni di Husain
sferrarono un attacco e combatterono valorosamente per circa un’ora,
finché alcuni di essi caddero martiri. A un certo punto, Husain si toccò la barba e disse: “Tremenda si fece l’ira di
Dio sui Giudei quando affermarono che Dio ha un figlio. Tremenda si fece
l’Ira di Dio sui Cristiani quando lo considerarono il terzo di una
trinità. Tremenda si fece l’ira di Dio sui Magiusi quando smisero di
adorarlo e al suo posto iniziarono a adorare il sole e la luna. Tremenda
si fece l’ira di Dio su quelli che decisero, tutti d’accordo, di
uccidere il nipote del proprio Profeta. Giuro su Dio che non farò nulla
di ciò che questa gente vuole da me e mai giurerò fedeltà a Yazid,
e, con il viso pieno di sangue, incontrerò Dio” Abu
Tahir Muhammad Ibni-l-husain An-narsiyy, nell’opera
Ma´àlimu-d-din, narra che
l’imam As-sadig disse:
“Sentii mio padre dire che quando Husain
e Umar Ibni Sa´d
s’incontrarono e le due parti iniziarono a combattere, Dio mandò un
gruppo d’angeli in aiuto del purissimo Husain;
gli fu quindi concesso di scegliere tra l’essere aiutato da questo
esercito d’angeli e distruggere in tal modo i suoi nemici, oppure
rinunciare a questo aiuto celeste e morire martire. Husain
scelse il martirio e disse: “Esiste forse qualcuno che è disposto, per
amor di Dio, ad aiutarci? Esiste forse qualcuno che è disposto ad
allontanare i nemici dal Santuario dell’Inviato d’Allah?” Hurr
Ibni Yazid viene in aiuto Husain
Hurr
Ibni Yazid venne da Umar Ibni
Sa´d e gli disse: “Vuoi forse
combattere con Husain?”.
Rispose: “Si, per Dio! Come minimo mozzerò le teste e amputerò le
braccia”. A sentire queste parole Hurr
si allontanò dai suoi compagni e si ritirò in un angolo; tremava dalla
paura. Al-muhàjir Ibni Aws gli
disse allora: “Hurr, il tuo
comportamento è strano, se mi chiedessero chi è la piú coraggiosa
persona di Kufa non farei altro nome che il tuo. Cosa ti succede?”. Hurr
rispose: “Giuro su Dio che mi trovo a scegliere tra il Paradiso ed il
fuoco dell’Inferno. Giuro però su Dio che sceglierò il Paradiso, anche
se mi dovessero fare a pezzi, anche se mi dovessero bruciare”. Dopodiché
montò sul suo cavallo e si diresse verso l’accampamento dell’imam Husain. Aveva messo le mani sul capo e diceva: “O Dio, io mi pento
di ciò che ho fatto e Tu perdonami. In verità, io ho intimorito i tuoi
amici e i figli della figlia del Tuo Profeta”. Disse poi a Husain: “Possa essere io sacrificato per te, io sono chi si è
comportato in modo severo con te, non lasciandoti ritornare a Medina.
Giuro su Dio che non pensavo che questa gente si sarebbe spinta fino a
questo punto; io mi pento di ciò che ho fatto. Pensi forse che Dio mi
perdonerà?”. Husain rispose:
“Sí, ti perdonerà. Ora scendi da cavallo”. Hurr
disse: “Preferisco combattere per te invece che scendere, poiché dovrò
in ogni caso cadere da cavallo; giacché fui il primo a ostacolarti,
permettimi di essere il primo a essere ucciso per te: forse in tal modo
nel Giorno del Giudizio sarò tra quelli che stringeranno la mano di tuo
nonno Muhammad” (l’autore di questo libro dice: “Hurr con l’espressione ‘il primo a essere ucciso per te’
intendeva dire ‘il primo a partire da questo momento’, poiché, come
abbiamo ricordato in precedenza, prima di lui un gruppo dei compagni
dell’Imam erano già caduti martiri”). L’imam Husain
gli concesse quindi il permesso di andare a combattere. Hurr
si batté valorosamente e uccise alcuni guerrieri dell’armata nemica;
dopo un po’ cadde però martire. Il corpo del valoroso uomo fu portato
al cospetto di Husain; questi
levò la polvere dal viso del Martire dicendo: “Tu sei il Nobile [‘hurr’
in lingua araba significa ‘nobile’] come ti ha nominato tua madre,
nobile in questo mondo e nell’aldilà” Si
narra che in quel momento scese in campo Burair
Ibni Khuzair, che era un uomo asceta e timorato. Yazid Ibni Al-mugaffal
venne a combattere con lui; s’accordarono quindi di fare mubàhalah,
vale a dire chiedere a Dio di fare in modo che chiunque di loro fosse
stato nel falso, fosse stato ucciso dall’altro. Con questo accordo
combatterono e Burair uccise il
suo avversario e continuò a combattere, finché cadde anch’egli
martire. Dopo
di lui scese in campo Wahab Ibni
Janàh Al-kalbiyy,
il quale intraprese un ottimo combattimento e si batté valorosamente.
Ritornò poi da sua madre e sua moglie, che lo avevano seguito a Karbalà,
e disse: “Madre mia, sei contenta di me?”. Rispose: “Non sarò
contenta di te sino a quando non avrai sacrificato la tua vita per
l’imam Husain”. Sua moglie
disse: “Ti scongiuro in nome di Dio di non affliggermi con la tua
uccisione, di non addolorarmi”. La madre di Wahab
disse allora: “Figlio mio, non dare ascolto alle parole di tua moglie,
ritorna e battiti per il figlio della figlia del tuo profeta; in tal modo
potrai godere dell’intercessione di suo nonno nel Giorno del
Giudizio”. Wahab ritornò in campo di battaglia e combatté finché perse un
braccio. Sua moglie impugnò allora una clava e venne verso di lui
dicendo: “Che mio padre e mia madre siano sacrificati per te, combatti
pure per difendere l’Ahlulbait
e il Santuario del Messaggero d’Allah”. Il nobile Wahab
cercò di ricondurla all’accampamento delle donne, ma essa s’attaccò
alle sue vesti e disse: “Non ritornerò finché non morirò”. Husain
disse allora: “Che Iddio vi conceda una generosa ricompensa per
l’appoggio che date all’Ahlulbait!
Che Iddio ti benedica, ritorna all’accampamento delle donne”. La donna
ubbidí e ritornò all’accampamento, mentre Wahab
continuò a combattere e cadde martire. Dopo
Wahab scese in campo Muslim
Ibni Awsajah e combatté
contro il nemico con notevole impegno; pazientò dinanzi alle difficoltà
e alle disgrazie che lo colpirono, dopo un po’ però cadde, in fin di
vita, da cavallo. Husain,
accompagnato da Habib Ibni Mazahir, venne da lui
e gli disse: “O Muslim, che
Iddio ti benedica!”. Dopodiché recito il seguente versetto coranico: “Alcuni
di loro hanno raggiunto il martirio e alcuni sono in attesa di
raggiungerlo e non hanno cambiato [idea a riguardo]”. Habib s’avvicinò a lui e disse: “La tua uccisione è per me
alquanto difficile [da accettare], tuttavia ti comunico la lieta notizia
che tu andrai in Paradiso”. Muslim
con un filo di voce disse: “Che Iddio ti renda felice e ti dia lieta
novella”. Habib disse: “Se
non avessi avuto la certezza di venire ucciso dopo di te, avrei voluto che
mi facessi delle raccomandazioni”. Muslim
indicò Husain e disse: “Ti
raccomando di appoggiare quest’uomo. Combatti per lui fino a essere
ucciso”. Habib disse: “Seguirò la tua raccomandazione e ti farò
felice”; poi Muslim morí. Dopo
Muslim, Amr Ibni Gurzah
Al-ansariyy venne da Husain
e gli chiese il permesso di andare a combattere col nemico; l’Imam
glielo accordò e Arm iniziò a
combattere, come combattono i desiderosi di ricevere la ricompensa divina.
Si impegnò molto nella difesa di Husain
e uccise un notevole numero di soldati dell’armata d’Ibni
Ziad; interponeva il proprio braccio per evitare che le frecce che
venivano verso Husain lo
colpissero, sacrificava il proprio corpo per evitare che l’Imam fosse
colpito dalle spade nemiche. Fino all’ultimo respiro non permise che gli
fosse fatto del male, finché, a causa della grande quantità di ferite
che aveva sul corpo, cadde senza forze. Si volse dunque verso Husain
e gli chiese: “O figlio dell’Inviato d’Allah, ho mantenuto fede alla
mia promessa?”. L’Imam rispose: “Certo, tu andrai in Paradiso prima
di me; porgi i miei saluti al Messaggero d’Allah e digli che Husain verrà al piú presto”. Riprese poi a combattere e cadde infine martire. Dopo
Amr si preparò a combattere Jaun,
il servo di Abu Zar, che era di razza
nera. Husain gli disse: “Ti
permetto di lasciare questo luogo e salvare la tua vita, poiché tu sei
venuto con noi per rimanere in salute ed essere felice”. Jaun
rispose: “O figlio del Profeta, ti sembra giusto che io nel periodo di
gioia e prosperità viva a vostro carico e nelle difficoltà vi abbandoni?
Il mio odore è sgradevole, umile è la mia discendenza e nero è il
colore della mia pelle. Permettimi perciò di raggiungere l’eterna
beatitudine del Paradiso, in modo che gradevole diventi l’odore del mio
corpo, alto il mio lignaggio e bianco il mio viso. No, giuro su Dio che
non vi lascerò finché non mescolerò questo mio nero sangue al vostro
casto sangue”. Dopodiché si batté e cadde martire. Dopo
Jaun, Amr Ibni Khàlid As-saidawiyy venne
da Husain e disse: “O Aba
Abdillah, possa essere la mia
vita sacrificata per te. Ho deciso di unirmi ai tuoi compagni. Non amo
rimanere indietro rispetto a loro e vederti ucciso senza alcun compagno,
sotto gli occhi dei membri della tua famiglia”. Husain
disse: “Vai pure, noi presto ti raggiungeremo”. Amr
attaccò il nemico, combatté e cadde infine martire. Fu
quindi la volta di Handalah Ibni
As´ad Ash-shàmiyy.
Si mise davanti a Husain facendo
del proprio viso e del proprio petto uno scudo per difenderlo dalle spade,
dalle frecce e dalle lance del nemico. Rivolgendosi all’esercito di Kufa
recitò dei versetti coranici riguardanti il castigo divino, mettendoli in
guardia da esso; disse quindi: “Io ho paura che veniate colpiti dalle
punizioni che colpirono i popoli del passato; castighi quali quelli che
colpirono il popolo di Noè, gli ´Ad,
i Thamúd e quelli che vennero dopo di loro; Dio non vuole alcuna
ingiustizia per le Sue creature. O gente, io ho paura che voi veniate
colpiti dal castigo del Giorno del Giudizio, giorno nel quale volgerete i
vostri visi dal mahshar [luogo
nel quale saranno riunite le anime] all’Inferno, senza che nessuno vi
possa salvare dal castigo divino. O gente, non uccidete Husain,
poiché se lo farete Dio vi punirà, vi sterminerà. In verità, chi mente
riguardo a Dio è perdente”. Dopo si volse verso Husain
e gli disse: “Non è forse meglio andare verso il nostro Signore? Non è
meglio che ci ricongiungiamo ai nostri fratelli?”. Rispose: “Vai verso
chi è per te meglio del mondo e di tutto ciò che esiste in esso, verso
il regno infinito ed eterno”. Handalah
si fece allora avanti, combatté valorosamente, sopportò le difficoltà e
morí infine martire. La
preghiera di mezzogiorno del giorno di Ashurà
Giunse
l’ora di eseguire la preghiera di mezzogiorno. Husain ordinò a Zuhair Ibni
Gain e a Sa´id
Ibni Abdillah di
proteggerlo, con metà degli uomini rimasti, in modo da metterlo in
condizione di eseguire la preghiera. L’Imam eseguí dunque, in
congregazione con gli altri suoi compagni, la preghiera di mezzogiorno,
nella particolare modalità prescritta durante la battaglia [salatu-l-khauf].
Fu allora lanciata dal nemico una freccia verso Husain
e Sa´id Ibni Abdillah si mise
dinanzi all’Imam e lo difese con il proprio corpo; a un certo punto però
non ce la fece piú a stare in piedi e cadde a terra. Disse allora: “O
Dio maledici questa gente come facesti con gli ´Ad
e i Thamud; porgi i miei
saluti al Profeta e informalo delle ferite che ha subito il mio corpo. In
verità, io ho aiutato la progenie del Tuo Profeta sperando di ottenere la
Tua ricompensa”. Dopo aver pronunciato queste parole morí. Quando
esaminarono accuratamente il suo cadavere, oltre alle ferite provocate
dalle spade e dalle lance nemiche, in esso v’erano anche tredici lance
conficcate. Dopo
Sa´id Ibni Abdillah fu la volta
di Suwaid Ibni Umar Ibni
Abi-l-mutà´, che era un uomo
nobile e abituato a pregare molto. Scese in campo e, al pari di un leone,
attaccò il nemico, sopportò le difficoltà e, alla fine, a causa della
grande quantità di ferite che aveva subito, cadde a terra senza piú dare
alcun segno di vita. Quando però sentí gli uomini di Ibni Ziad dire: “Husain
è stato ucciso”, fu preso dall’agitazione: estrasse un pugnale dalla
propria scarpa e riprese a combattere. Cadde infine martire. Si
narra che i compagni di Husain
facevano a gara per sacrificarsi per lui. Un poeta descrive questo stato
d’animo con i seguenti versi: “I compagni di Husain
erano quelli che quando venivano chiamati per risolvere una situazione
difficile, indossavano i loro coraggiosi cuori sulle corazze e si
gettavano nelle fauci della morte, nonostante i loro nemici, con in mano
lance e armi, si fossero riuniti per ucciderli” Il
martirio d’Alí Akbar
I
fedeli compagni dell’imam Husain
giacevano tutti per terra, con il corpo a brandelli; all’infuori della
sua famiglia, delle persone che lo avevano accompagnato a Karbalà, non
era piú rimasto nessuno. Alí
Akbar, che era il piú bello e gentile di tutti, venne allora dal
padre e gli chiese il permesso di andare a combattere. Husain glielo concesse immediatamente. Lo osservò poi con uno
sguardo di disperazione e non riuscí a trattenere le lacrime. A quel
punto disse: “O Dio, sii testimone che va incontro a questa armata un
giovane che fisicamente, caratterialmente e nel modo di parlare assomiglia
piú d’ogni altra persona al Tuo Inviato. Ogni volta che desideravamo
rivedere il Tuo profeta guardavamo questo giovane”. Scorse poi Umar
Ibni Sa´d
e gridò: “O figlio di Sa´d,
che Iddio ti separi dai tuoi parenti
come tu mi stai separando dai miei”. Fu a questo punto che Alí Akbar raggiunse il
nemico e intraprese una coraggiosa battaglia. Si narra che, a dispetto
della forte sete che lo tormentava, riuscí ad uccidere centoventi
persone. Tornò poi dal padre e disse: “Nobile padre, la sete mi sta
uccidendo e il peso delle armi mi sta sfinendo: c’è modo di avere un
sorso d’acqua?”. L’imam Husain
pianse e rispose: “Ahimé! Caro figlio, torna e combatti ancora per un
po’, molto vicino è infatti il momento in cui incontrerai il tuo
bisnonno Muhammad, dal quale
sarai dissetato in modo tale da non patire mai piú la sete”. Alí
Akbar, che era pronto per il
martirio, tornò coraggiosamente nel campo di battaglia e sferrò un
potentissimo attacco ai danni delle schiere nemiche; venne però
improvvisamente colpito da una freccia lanciata da Munghiz
Ibni Marrati-l-abdiyy (che Iddio lo maledica) e cadde a terra. Chiamò
per l’ultima volta il padre: «Amato padre, addio! La pace sia su di te!
Ora il mio bisnonno Muhammad ti saluta e dice: “O Husain,
affrettati a venire da noi”». Detto ciò, lanciò un ultimo grido e si
spense. Husain raggiunse il
corpo senza vita d’Alí Akbar
e poggiò il proprio viso sul suo; disse dunque: “Che Iddio uccida i
tuoi assassini. Quale affronto hanno fatto a Dio! Quanta mancanza di
rispetto nei confronti dell’Inviato di Dio! Che questo infedele mondo
vada in rovina dopo di te” Si
narra che dopo il martirio del valoroso Alí
Akbar, Zainab uscí dall’accampamento e si diresse verso il campo di
battaglia: con voce disperata chiamava l’amato nipote; quando raggiunse
il corpo senza vita d’Alí Akbar
si gettò su di esso. Arrivò allora Husain
e la ricondusse all’accampamento delle donne. Dopo
il martirio d’Alí Akbar,
i giovani della famiglia di Husain,
uno dopo l’altro, andarono a combattere e alcuni di loro furono uccisi
dall’esercito d’Ibni Ziad. In quel [difficile] momento, Husain rincuorò i suoi familiari dicendo loro: “O miei cugini
paterni, o membri della mia famiglia, abbiate pazienza! Giuro su Dio che
dopo questo giorno non verrete mai piú umiliati” Il
martirio di Gàsim
Si
narra che d’un tratto un giovane dallo splendido viso entrò nel campo
di battaglia e iniziò a combattere: era Gasim,
figlio dell’imam Hasan. Uno
degli uomini dell’armata nemica, Ibni
Fàzil, lo colpí sul capo
provocandogli una profonda lacerazione del cranio. Il povero Gasim in seguito a questo colpo cadde a terra e gridò: “Zio,
soccorrimi!”. L’imam Husain
entrò impetuosamente nel campo di battaglia e, al pari di un leone
inferocito, aggredí gli uomini d’Ibni
Ziad e colpí il vile Ibni
Fazil con la propria spada;
questi per difendersi alzò il braccio, che si amputò. Con un grido attirò
l’attenzione dei suoi compagni e questi attaccarono per salvarlo, ma non
fecero altro che investirlo sotto gli zoccoli dei propri cavalli,
provocandone cosí la morte. Nel frattempo l’imam Husain aveva raggiunto il nipote ormai in fin di vita; il purissimo
Imam gli disse: “Possa la misericordia divina essere lontana da coloro
che ti hanno ucciso; nel Giorno del Giudizio tuo bisnonno e tuo padre
prevarranno sui tuoi assassini”. Dopodiché disse: “Giuro su Dio che
è doloroso vedere che tu chiami tuo zio ed egli non ti risponde oppure ti
risponde ma nulla può fare per te. Giuro su Dio che oggi tuo zio ha molti
nemici e pochi compagni”. Prese poi il ragazzo, lo abbracciò e lo
depose tra i martiri della propria famiglia. Quando
Husain vide che i giovani della
sua famiglia e i suoi compagni giacevano morti a terra, si preparò a
ricevere il martirio, a sacrificarsi sul sentiero di Dio; ad alta voce
disse: “Esiste forse qualcuno disposto ad allontanare i nemici dal
Santuario di Dio? Esiste forse qualche monoteista pronto, per timore di
Dio, ad abbracciare la nostra causa? C’è forse qualcuno disposto ad
aiutarci per amor di Dio”. Le donne sentirono queste parole e iniziarono
a piangere e lamentarsi. Il
martirio del neonato figlio dell’imam
Husain
Husain
entrò nell’accampamento sostando davanti alla tenda della sua nobile
sorella Zainab, disse dunque alla nobile donna: “Dammi il mio piccolo
bambino affinché possa dargli l’addio”. Prese in mano la piccola
creatura e volle baciarla, quando d’un tratto una freccia, lanciata da Harmalah
Ibni-l-kàhil Al-asadiyy (che Iddio lo maledica), colpí la gola del
neonato provocandone la morte. Husain
disse allora a Zainab: “Prendi
questo bambino”. Mise la mano sotto la gola sanguinante del bambino e
quando questa si colmava di sangue, gettava questo sangue in aria dicendo:
“Facile è per me sopportare queste disgrazie, poiché tutto ciò è per
Dio ed Egli vede” L’imam
Al-baghir afferma che di tutto
il sangue che Husain sparse,
nemmeno una goccia ricadde a terra. Il
martirio d’Abbas
Si
narra che la sete mise Husain
seriamente in difficoltà. Il puro Imam e il suo fedelissimo fratello Abbas
raggiunsero le acque del vicino Eufrate. Gli uomini d’Umar
Ibni Sa´d
presero però subito le adeguate contromisure e riuscirono a fermarli. Uno
degli uomini della tribú dei Bani
Darim scagliò una freccia che
si conficcò nella mascella inferiore dell’Imam. Questi estrasse la
freccia, riempí la mano del suo sangue, lo sparse e disse: “O Dio, io
denuncio a Te le ingiustizie che questa gente compie ai danni del figlio
della figlia del Tuo profeta”. L’armata nemica riuscí quindi a
separare Husain da Abbas, il quale
rimase cosí totalmente circondato dai perfidi uomini d’Umar Ibni Sa´d,
che senza pietà lo uccisero. Husain
pianse molto per il suo martirio. A
tal proposito un poeta dice: “I piú degni a piangere sono quelli che
hanno fatto piangere Husain
uccidendo su fratello, il figlio di suo padre, Abu-l-fazl,
colui che, senza farsi fermare da nulla, lo ha fedelmente accompagnato;
colui che arrivò pieno di sete alla riva dell’Eufrate e, ricordando la
sete di Husain, rinunciò a dissetarsi” Husain
mette piede in campo di battaglia
[Dopo
che tutti i suoi compagni e gli uomini della sua famiglia erano caduti
martiri] Husain invitò gli
uomini del perfido Umar Ibni
Sa´d a combattere con lui. Uno
dopo l’altro lo attaccavano e venivano uccisi. L’Imam, mentre
combatteva, diceva: “Essere uccisi sul sentiero di Dio è meglio che
cadere nell’ignominia, la quale è meglio dell’Inferno”. Uno dei
narratori di hadith dice: «Giuro su Dio che non avevo mai visto nessuno essere
completamente circondato dall’armata nemica, aver perso i propri figli,
i propri parenti e compagni, e, nonostante ciò, combattere con tanto
vigore e ardimento; appena gli uomini d’Umar
Ibni Sa´d
attaccavano, sguainava la spada e li assaliva disperdendoli come un gregge
in preda ad un lupo, al pari di cavallette che fuggono alla vista delle
persone. Tornava poi alla propria posizione e diceva: “Non v’è forza
né potenza che in Dio”» Senza
tregua combatté con l’infernale armata, finché questa si situò tra
lui ed il suo accampamento; disse allora ad alta voce: “Guai a voi, o
seguaci della dinastia d’Abu Sufian! Se siete privi di credo, se non temete il Giorno del
Giudizio, siate perlomeno nobili in questa vita”. Shimr disse allora: “Che cosa intendi dire con ciò, o figlio di
Fatima?”. Egli rispose: “Voglio dire che sono io quello che sta
combattendo con voi e voi combattete con me; le donne non hanno alcuna
colpa e fintantoché io sono in vita non permettete ai vostri peccatori,
ai vostri ignoranti, ai vostri oppressori di assalire il mio
accampamento”. Shimr disse: “Va bene, o figlio di Fatima”. Dopo questo scambio
di parole l’armata si preparò ad uccidere Husain;
L’Imam sferrò un attacco ai danni dell’armata e altrettanto fece
questa. Fu allora che il nobile Imam pretese da quei malvagi uomini un
sorso d’acqua; in cambio di questa legittima pretesa, però, gli uomini
dell’abietto Umar Ibni
Sa´d provocarono settantadue
ferite sul suo corpo. Sfinito dalla battaglia, si fermò un istante a
riposarsi, quando d’un tratto fu colpito sulla fronte da una pietra;
fece per pulire il sangue fuoriuscito, che improvvisamente fu raggiunto da
un’avvelenata freccia a tre punte, che gli si conficcò nel cuore. Disse
allora: “Nel nome di Dio, con l’aiuto di Dio, secondo la religione
dell’Inviato di Dio”; rivolgendo poi il viso verso il cielo disse:
“O Dio, ben sai che questa armata uccide l’unico figlio della figlia
del tuo Profeta esistente sulla faccia della terra”. Estrasse quindi la
freccia e iniziò a perdere molto sangue; l’emorragia l’indebolí a
tal punto da non permettergli piú di combattere e difendersi. Chiunque si
avvicinava a Husain, per evitare
di dover rendere conto a Dio di averlo ucciso, si allontanava
immediatamente; finché gli si avvicinò un uomo appartenente alla tribú
dei Kandah, chiamato Màlik Ibni-n-nasr,
che lo insultò e con la spada lo colpí sul capo, ferendolo e
sfasciandogli il turbante, bagnandolo completamente di sangue. Husain
prese un fazzoletto e con esso si bendò la testa; mise poi un copricapo e
indossò nuovamente il turbante. L’armata d’Ibni
Ziad, dopo una breve pausa, si riavvicinò a Husain e lo circondò. Il
martirio d’Abdullah Ibni-l-hasan
Abdullah
era il figlio minorenne dell’imam Hasan.
Uscí dall’accampamento e andò verso Husain;
Zainab lo raggiunse per fermarlo
ma egli si rifiutò fermamente di ritornare indietro, dicendo: “Giuro su
Dio che mai abbandonerò mio zio”. Quando Abjar
Ibni Ka´b o, secondo un’altra tradizione, Harmalah Ibni Kàhil
(che Iddio li maledica), volle colpire con la spada il purissimo Imam,
questo fedele e coraggioso bambino disse: “Guai a te, o figlio
illegittimo! Vuoi forse uccidere mio zio?”, e quando vide che la spada
stava per colpire il suo amato zio, con incredibile coraggio tese il
braccio e lo sacrificò per salvare Husain.
Il piccolo perse in pratica il braccio e dal dolore urlò: “Zio!”. Husain
lo prese in braccio e lo strinse a sé; disse poi: “Porta pazienza
nipote mio e invoca la misericordia di Dio, il Quale ti porterà dai tuoi
probi padri”. Improvvisamente però Harmalah
Ibni Kàhil lanciò una
freccia e lo uccise nelle mani di Husain. Dopo
questo triste avvenimento il tremendo Shimr
attaccò l’accampamento; voleva bruciare le tende dell’imam Husain. Chiese allora del fuoco per compiere questa indegna azione; Husain
gli disse: “O figlio di Ziljaushan,
chiedi del fuoco per bruciare la mia famiglia?! Che Iddio ti bruci nel
fuoco dell’Inferno”. Shibth
venne dunque da Shimr e lo
rimproverò per l’indegna azione che aveva deciso di compiere. Shimr
si vergognò cosí di quanto aveva deciso di fare e rinunciò a bruciare
l’accampamento. Il
martirio dell’imam
Husain
Husain
disse: “Portatemi una veste senza valore, tale da non essere desiderata
da alcuno, affinché io possa non rimanere nudo dopo il mio martirio”.
Gli fu allora data una veste piccola e stretta ed egli disse: “Non la
voglio, poiché questa è la veste dei vili”. Prese poi una vecchia
veste e, dopo averla lacerata, la indossò; nonostante ciò, dopo il suo
martirio, gli fu tolta di dosso. Prese quindi un altro vestito, tessuto
nello Yemen, e, dopo averlo strappato, lo indossò. Husain
strappava le vesti, prima di indossarle, poiché non voleva che dopo il
suo martirio qualcuno gliele togliesse di dosso, lasciandolo in tal modo
nudo. Si narra però che dopo il suo martirio Abjar
Ibni Ka´b gli tolse di
dosso anche questa veste e lo abbandonò nudo sul suolo. A causa di questo
vile gesto, ogni anno in estate, ambedue le mani gli si seccavano,
diventando come due legni secchi; in inverno invece erano umide e da esse
fuoriusciva sangue e pus. Visse in queste condizioni fino al giorno in cui
morí. Si
narra che quando Husain rimase
sfinito a causa delle ferite che aveva subito e delle frecce che gli si
erano conficcate nel corpo (che erano cosí tante che assomigliavano alle
spine di un riccio) Salih Ibni Wahab gli infilò una
lancia nel fianco e lo fece cadere da cavallo; Husain disse allora: “Nel nome di Dio, con l’aiuto di Dio,
secondo la religione dell’Inviato di Dio”. Zainab
uscí dalla sua tenda ed esclamò: “Fratello mio! O mio signore!
Famiglia mia! Potesse il cielo precipitare sulla terra e le montagne
frantumarsi e cadere al suolo”. Shimr,
tuonante, disse ai suoi: “Cosa aspettate?! Fatelo fuori!”, e
l’armata attaccò vilmente Husain;
Zar´ah Ibni Sharík
lo colpí con la spada sulla spalla sinistra e Husain
rispose con la spada uccidendolo. Un altro colpo sulla spalla fece cadere Husain
col viso a terra; il dolore e la fatica erano ormai tali da non
permettergli piú neanche di alzarsi. Sanàn
Ibni Anas An-nakh´iyy gli trafisse la gola con la lancia, estrasse la
lancia e lo colpí nel petto e, per finire, lo colpí con una freccia
nella gola. Il nobile Imam, estratta la freccia, prendeva il sangue che
fuoriusciva dalla gola, e, spalmandolo sulla testa e sulla barba, diceva:
“Cosí incontro Allah, tinto del mio stesso sangue, usurpato dei miei
diritti”. Umar Ibni Sa´d disse a uno
degli uomini della sua armata, che si trovava sulla sua destra: “Guai a
te! Scendi e vai a uccidere Husain”;
Khul-i-bni Yazid Al-asbahiyy volle
decapitare Husain, ma iniziò a
tremare e ritornò indietro. Sanàn
Ibni Anas An-nakh´iyy scese dunque da cavallo, colpí l’Imam alla
gola e disse: “Giuro su Dio che, nonostante sappia bene che tu sei il
nipote del Profeta e che non esistono genitori migliori dei tuoi, io ti
decapiterò”. Dopo aver pronunciato queste parole lo decapitò. A tal
proposito il Poeta dice: “Nessuna disgrazia è pari a quella del
martirio dell’imam Husain nel
giorno in cui le impure e scellerate mani di Sanàn Ibni Anas
lo uccisero, lo decapitarono”. Si narra che Al-mukhtar
amputò le dita, le braccia e le
gambe Sanàn Ibni Anas, poi fece
preparare una grande caldaia piena di olio d’oliva bollente e lo gettò
in essa. L’empio Sanàn,
terrorizzato e tremendamente agitato, rimase nella caldaia fino a morire. Abu
Tàhir Muhammad Ibni-l-hasan
narra che l’imam As-sadig
disse: «Quando Husain fu
ucciso, alto si fece il lamento degli Angeli, i quali dissero allora: “O
Signore, questo è Husain, Tuo
eletto, figlio del Tuo Eletto e della figlia del Tuo Profeta”. Dio
allora mostrò loro il viso del Ga’im
[il dodicesimo Imam, Hujjat-i-bni-l-hasan)
e disse loro: “Attraverso lui lo vendicherò”» Si
narra inoltre che quando l’imam Husain
fu ucciso si alzò un’immensa nuvola di polvere nera che oscurò il
cielo, e iniziò a spirare, in quell’oscurità, un vento rosso che azzerò
totalmente la visibilità; l’armata d’Ibni
Sa´d pensò che Dio avesse
deciso di punirli. Rimasero in quelle condizioni per un po’ di tempo,
dopodiché la luce del sole ritornò a illuminare la piana di Karbalà. Gli
istanti successivi al martirio di
Husain
Si
narra che Hilàl Ibni Nafi´ disse: «Io
ero con l’esercito d’Ibni Sa´d
quando, d’un tratto, qualcuno gridò: “O Duce, lieta novella! Shimr
ha ucciso Husain”; io uscii
dalle schiere dell’esercito e mi avvicinai a Husain
e vidi che stava per morire: giuro su Dio che mai avevo visto una persona
morire in un bagno di sangue migliore e piú avvenente di Husain; la luce che emanava il suo viso, la sua bellezza mi
distolsero dal pensiero di ucciderlo. Egli in quello stato chiedeva
dell’acqua e uno di quegli empi gli disse: “Non ti disseterai se non
quando entrerai nel Hàmiah e
berrai della sua bollente acqua”. Egli rispose allora: “Io andrò da
mio nonno, l’Inviato d’Allah, vivrò della sua dimora in Paradiso,
berrò della sua gradevole acqua e denuncerò a lui le ingiustizie che
m’avete fatto”. Gli uomini
d’Ibni Sa´d
sentendo queste parole furono presi da un’incredibile ira: sembrava che
Iddio non avesse messo nei loro nemmeno un briciolo di pietà; mentre Husain
parlava con loro lo decapitarono. Io rimasi profondamente colpito dalla
loro crudeltà e dissi loro: “Non vi seguirò piú in nulla, non
collaborerò mai piú con voi”» Dopo
che Husain cadde martire, gli
uomini d’Ibni Sa´d iniziarono a denudarlo. Ishag
Ibni Hubah Al-hadramiyy (che
Iddio lo maledica) gli tolse la camicia e la indossò; per questo vile
gesto prese poi la lebbra e perse tutti i peli del corpo. Secondo quanto
è stato narrato, la camicia dell’Imam portava i segni di circa
centodiciannove colpi di spada, freccia e lancia. A tal proposito,
l’imam As-sadig dice: “Sul corpo di Husain
sono stati rinvenuti trentatré colpi di lancia e trentaquattro ferite di
spada”. Abjar Ibni Ka´b At-tamimiyy
(che Iddio lo maledica) rubò i pantaloni dell’Imam; si narra che dopo
aver commesso questo vile gesto rimase paralizzato. Akhnas Ibni Murthad
Ibni Algamah Al-hadramiyy
o, secondo un’altra tradizione, Jàbir
Ibni Yazid Al-awdiyy gli rubò
il turbante e se lo mise in testa; in seguito a questo atto impazzí. Al-aswad
Ibni Khàlid rubò le
scarpe dell’Imam, mentre Bajdal
Ibni Salím
Al-kalbiyy gli levò l’anello;
per poterlo estrarre gli amputò il dito. Si narra che Al-mukhtàr arrestò Bajdal
Ibni Salím, gli amputò tutti gli arti e lo abbandonò in quello stato,
facendolo morire dissanguato. La gatifah
di Husain, che era di pelle
pregiata, fu rubata da Gais Ibni
Al’ash´ath e il suo scudo,
chiamato Al-batrà, da Umar
Ibni Sa´d. Quando
quest’ultimo fu ucciso, Al-mukhtar
donò questo scudo al suo uccisore. La spada di Husain fu invece rubata da Jami´
Ibni-l-khalg o, secondo
un’altra tradizione, da un uomo appartenente alla tribú dei Baní Tamím, chiamato Aswad
Ibni Hanzalah. Un’altra tradizione dice che Ibni Sa´d rubò la spada
all’Imam che in seguito passò alla figlia di Habíb Ibni Badíl.
Bisogna sapere che questa famosa spada non è la Zu-l-fagàr
[la celebre spada dell’imam Alí],
poiché quest’ultima è custodita [dal dodicesimo Imam] con il resto dei
cimeli della profezia e dell’imamato. I narratori di tradizioni
tramandano hadith che confermano
quanto abbiamo ora detto. Fonti di questo Racconto Sayyid ibn Ta'us: Maqtalu'l
Husain Al-Khatid al-Khuwarazmi: Maqtalu'l
Husain Al-Qazwini:
Waq’at Al-Taff
Al-
Tabari: Ta’rikh
al-rusul wa'l-mulk
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