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                                                       Sull’Inno di Mameli



In un recente lavoro di Aldo Alessandro Mola sulla Storia della monarchia in Italia, si pone in dubbio che Goffredo Mameli sia l’autore delle parole dell’inno Fratelli d’Italia. L’affermazione è stata purtroppo frettolosamente ripresa anche da alcuni quotidiani. La nostra rivista ha affidato la risposta a due esperti studiosi, Emilio Costa e Luigi Cattanei, che da anni studiano, rigorosamente, sui documenti e consultano le carte mameliane.
 
 
 
 

"La storia si scrive coi documenti del passato e con quelli del presente, con le carte scritte e con l’osservazione e le suggestioni dell’oggi, il quale oggi è in verità l’elemento animatore e vivificatore del passato […] Per questo ogni generazione riscrive la storia. E la riscrive in modo diverso dalla generazione precedente." Questo affermava Gioacchino Volpe ne "La critica " di Benedetto Croce nel 1921 È il concetto della contemporaneità della storia che il filosofo napoletano aveva teorizzato già nel 1915. "Solo un interesse della vita presente ci può muovere a indagare un fatto passato: il quale, dunque, in quanto si unifica con un interesse della vita presente, non risponde ad un interesse passato, ma presente".

Con queste affermazioni di due grandi storici introduciamo il nostro discorso sull’Inno di Mameli. La storia si scrive sui documenti del passato e questo è stato fatto da una lunga serie di studiosi dell’Ottocento e del Novecento. Sulle prime prove dell’adolescente Mameli hanno effettuato lunghe ed esaurienti ricerche molti storiografi, dei quali, per brevità, citiamo soltanto due nomi, quello di Arturo Codignola che nel 1927 ha pubblicato in due grossi volumi la vita e gli scritti del poeta per il centenario della nascita, fornendo l’edizione critica delle poesie, lavorando, si può dire in modo quasi conclusivo per la vastità delle ricerche e quello di Massimo Scioscioli, il quale, dopo intense esplorazioni in Italia e all’estero, ha offerto un libro puntuale e ben documentato nel 2000 sull’autore di Fratelli d’Italia.

Questi due studiosi hanno lavorato su documenti del passato con l’occhio al loro tempo attraverso le osservazioni e le suggestioni di una ben nota realtà. Codignola nel centenario della nascita di Mameli, quando non poche inesattezze erano state pubblicate, avendo come base una serie di fonti documentarie di vasto respiro, ha interpretato con spirito di verità un momento della vita italiana, quando ad un sincero patriottismo subentrava un senso patriottardo.

Scioscioli non soltanto ha svolto una verifica assidua dell’impegno di Codignola, ma è andato avanti nelle ricerche e ha potuto darci di Mameli una biografia ricca di spunti per le nostre riflessioni.

Il passato è vivo in noi e per questo è presente; quell’inno, ancora proibito dalla polizia, cantato per la prima volta per le vie di Genova il 9 novembre 1847, risuona in noi, fa parte del nostro spirito. Quell’inno da oltre centocinquant’anni è cantato ovunque e noi lo sentiamo attuale, fa parte di noi stessi.

La bibliografia su Mameli è estesa: si è scritto molto a livello giornalistico e scientifico; molte sono le edizioni delle poesie, a parte i fogli volanti, dalla prima edizione a Genova curata nel 1850 da Michel Giuseppe Canale con una prosa introduttiva di Mazzini (e quelle pagine mirabili dell’Apostolo in cui paragona la vita di Mameli al fiore della floride non sono riportate nell’edizione nazionale). Studiosi dell’età del Risorgimento hanno portato il proprio contributo per illustrare la vita e i tempi del giovane poeta.

Il primo a svolgere un lavoro scientificamente impegnato sulle fonti documentarie reperibili è stato Arturo Codignola, il quale ha esplorato molti archivi genovesi, liguri e italiani; ha curato la sua opera per il "Comitato Nazionale per le onoranze a Goffredo Mameli nel 1° centenario della sua nascita". Il suo lavoro è stato condotto sulle fonti principali da cui trasse i documenti inediti. Ha lavorato sulle Carte Mameli del Museo del Risorgimento di Genova. Sono le carte che appartennero alla famiglia Mameli lasciate dal fratello di Goffredo, Nicola, al Municipio di Genova, in gran parte autografi del poeta che servirono ad Anton Giulio Barrili per la sua edizione degli Scritti del 1902 e di altri autografi mameliani e carte varie di cui il Museo si arricchì nel primo venticinquennio del Novecento e tra questi i verbali della Società Entelema; le Carte Mameli dell’Archivio Rovereto; le Carte di Alessandro Guiglia del Museo del Risorgimento di Milano; della Biblioteca Labronica di Livorno, della Biblioteca Berio di Genova.

Per la ricostruzione storica del periodo in cui visse Mameli si giovò delle Carte Doria, delle Carte Petitti, del Museo del Risorgimento di Genova, dell’Archivio di Stato di Genova, dell’Archivio Storico del Comune di Genova, dell’Archivio di Stato di Torino, dell’Archivio di Stato di Roma. Altri documenti ha rintracciato presso i Musei del Risorgimento di Roma, di Torino, di Milano. Ha consultato l’Archivio dell’Università di Genova, la biografia di Mameli scritta da suo fratello Giambattista e vari apografi mameliani. Ha consultato le Carte Celesta della Biblioteca Universitaria di Genova, le Carte Canale presso la Biblioteca Lercari di Genova e altri documenti minori. Uscirono altri volumi tra i quali quelli miscellanei G. Mameli e i suoi tempi e G. Mameli e la Repubblica romana.

Dopo Codignola hanno visto e studiato le Carte Mameli prima del Museo del Risorgimento poi dell’Istituto Mazziniano Bianca Montale, la quale le ha tutte schedate (tutte le Carte e anche i quaderni) e non ha dubbi sulla genesi dell’inno Fratelli d’Italia. Poi le Carte sono state rivedute con attenzione da Leo Morabito, il quale ha preparato nel Museo una sezione mameliana. Infine quelle Carte sono state studiate da Massimo Scioscioli (e noi lo ricordiamo bene) che ha voluto verificare ogni cosa con spirito di verità.

Gli studiosi citati hanno visto i documenti, li hanno interpretati e non hanno mai prestato attenzione al "sentito dire" che da tempo si va propagando dalla Valbormida.

C’è in Valbormida una persistente voce che dice che l’inno Fratelli d’Italia è del padre calasanziano del collegio di Carcare Atanasio Canata (1811 – 1867) reso celebre da Giuseppe Cesare Abba, di cui fu allievo. Sono anni che questa voce circola ma non vi sono documenti ad hoc, non c’è il conforto di uno scritto. Si dice che il padre Canata abbia lasciato una lettera attestante la paternità dell’inno, ma questo documento non è mai venuto fuori. Si sbaglia sulle date; Mameli, il cui fratello fu al Collegio di Carcare (la Montecassino della Liguria) dal 1839 al 1842, mandò a salutare il padre Canata il 18 agosto 1842, scrivendo a suo fratello Giambattista. Pare che Goffredo sia stato a Carcare nel 1845 ed è il periodo più misterioso della sua breve vita. Si dice che abbia "rubato" al padre scolopio l’inno e non soltanto è offensivo quanto impossibile perché nel 1845 non c’erano le condizioni pratiche per concepire tale testo poetico. Non sono venuti fuori documenti: si dice e si ridice ma non un solo scritto è venuto alla luce. Se qualcuno ne ha, li mostri, ma in tanti anni le cose restano come sono. In Valbormida lo si dice, anche da qualche studioso ma nulla di concreto è emerso. Si parla del 1846, ma non ci sono documenti che attestano la presenza di Goffredo a Carcare, perché era a Genova e questo è documentato. Scrive Massimo Scioscioli, che è puntualmente informato: "Un fitto mistero circonda il periodo lungo un anno che va dalla fine del 1844 al 15 novembre 1845, giorno in cui Goffredo riprende a frequentare l’Università. Alcuni biografi hanno sostenuto che egli abbia lasciato Genova per rifugiarsi nel collegio degli scolopi di Carcare. Questa circostanza manca di prove documentarie al pari dell’affermazione secondo cui egli sarebbe stato colpito da una grave malattia. Più attendibile sembra la tesi di Codignola, secondo la quale Goffredo, deluso del piatto conformismo regnante nell’Università, e amareggiato dell’esclusione dal "corpo delle armi scientifiche", abbia voluto vivere nel modo più pieno la "sua vita interiore … così ricca e vasta". Ma non è nemmeno da escludere che questo sia stato per Goffredo un momento di sosta e che egli si sia lasciato andare ad una vita spensierata, come sembra si possa desumere dai ricordi del fratello Giovan Battista, il quale sottolinea molti successi amorosi del fratello, la passione per il gioco del biliardo e le sue compagnie spensierate. Come Goffredo abbia in realtà trascorso la prima parte del passaggio dall’adolescenza alla giovinezza è difficile affermare con certezza. Ma questo mistero si dissolve a partire dal 1845. I quaderni custoditi presso l’Istituto Mazziniano di Genova dimostrano che Mameli ancor prima di tornare agli studi universitari prende decisamente in pugno la sua educazione e si getta con impeto nella lettura, nella quale spera di trovare ciò che l’Università non poteva dargli.

I suoi interessi sono concentrati sulla storia e letteratura e dall’illuminismo si allargano fino al romanticismo per raggiungere le prime esperienze del verismo francese. Parini, Foscolo, Leopardi, Gioberti e Cantù sono gli autori ai quali, stando almeno alle citazioni contenute nei quaderni, rivolge di preferenza l’attenzione. Tra gli stranieri si possono trovare in particolare i nomi di lord Gibbon, quelli di Voltaire, d’Alambert, Rousseau, Madame de Stäel, Byron, Victor Hugo, Alphonse de Lamartine, Guizot, Eugène Sue, Dumas e Gorge Sand.

Questa breve rassegna delle citazioni trascritte nei quaderni del 1845 – 1847, nei quali accanto alle annotazioni di lettura si trovano canti e poesie, in un disordine che dimostra l’impegno febbrile profuso da Goffredo in ogni attività, non dà conto, se non in misura molto parziale, della sua cultura. Ma conferma che in quegli anni Mameli era combattuto fra la storia e le lettere, fra l’arte e la passione civile. Egli non aveva trascurato l’illuminismo, ma le sue preferenze andavano, non c’è dubbio, al mondo romantico in tutte le sue manifestazioni: dal primo romanticismo, rappresentato da madame de Stäel e da lord Byron, fino agli autori, Victor Hugo, Gorge Sand, ed Eugène Sue, che avevano superato quella prima fase e si erano inoltrati sulla strada che conduce al verismo, aprendosi alla questione sociale. Tra i molti autori letti da Goffredo troviamo anche Félicité de La Mennais, del quale annota due brani che troveranno larga eco nei suoi canti […]

Tra le annotazioni non sono molte quelle che si riferiscono ai classici latini e italiani. Si tratta di un fatto facilmente spiegabile se si considera che Mameli aveva già fatto queste letture nella scuola degli scolopi. In questo campo Goffredo fa tuttavia un’eccezione: Tito Livio. Egli concentra la sua attenzione sui passaggi riguardanti la guerra contro Pirro. Sembra quasi che attraverso la lettura di quelle pagine egli cerchi di comprendere come sia possibile per un popolo, passare dalla sconfitta alla vittoria, e trovare, nella sofferenza, l’energia morale necessaria per reagire: il tema dominante dei canti politici a cominciare da Fratelli d’Italia.

Uno storiografo dallo spessore scientifico di Aldo Alessandro Mola, presidente del Comitato di Cuneo dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, in una sua opera uscita recentemente a Milano, Storia della monarchia in Italia, prende per giusta questa voce e attribuisce l’inno al padre Canata. L’opera ha tutte le caratteristiche della divulgazione, non ci sono note né referenze archivistiche. Si dà la cosa come scontata, non si offrono le fonti documentarie. Si potrebbero fare le controdeduzioni ad ogni affermazione, un contrappunto serrato che allungherebbe il nostro scritto. Ci limitiamo ad alcune osservazioni.

Il padre Canata era stato un grande patriota e svegliatore di coscienze e fu lui a preparare l’Abba con altri condiscepoli del Collegio a partire per la Sicilia con Garibaldi. In alcuni suoi scritti Abba ricorda il suo maestro: "Non uscì libro di versi e di prose scritto per la patria che non lo desse in iscuola a brani: leggeva Foscolo, Guerrazzi, Colletta e nel 1854 tutto Tito Speri del Mercantini a noi, giubilando se ci coglieva negli occhi un lampo d’ira, una lacrima per tanto martirio". Era un patriota autentico e Abba ricorrda che il Canata era appagato dove in un libro o nella realtà c’era un po’ di tricolore. Lo scolopio era un vero patriota, ma era sabaudista un fedele alla monarchia, a Carlo Alberto, a Gioberti; nel 1842, in occasione delle nozze del Duca di Savoia aveva pubblicato un carme in lode della Casa regnante. Non poteva concepire un inno patriottico senza citare Carlo Alberto e Pio Nono. Era attaccato a quella monarchia che aveva fatto delle concessioni al Collegio di Carcare. Patriota sì, ma legato alla Casa Savoia, come tutti i suoi confratelli nel Regno di Sardegna.

Trent’anni fa Vittoriana Sardo Derapalino ha pubblicato il volume "Un collegio nelle Langhe. Storia delle Scuole Pie di Carcare" e il titolo è lo stesso di un articolo di Giuseppe Cesare Abba ne "La patria degli italiani". La Derapalino pubblica il capitoletto "Garassini ospita Goffredo Mameli". Scrive sul sentito dire e non presenta documenti sulla paternità dell’inno. È bene riportare quanto scrive perché ha dimostrato di essere più equilibrata del Mola. "Caratterizza – scrive l’autrice – la figura del P. Garassini un altro fatto affidato sino a qualche tempo fa alla sola tradizione orale e adesso finalmente confermato da due lettere venute in luce: nel settembre del 1846 mentre era rettore, permise che si rifugiasse nel Collegio di Carcare e vi ospitò Goffredo Mameli che doveva sfuggire alle ricerche della polizia genovese per un fatto di sangue in cui sembrava implicato. Abbiamo a conferma due lettere". Reca brani delle lettere del padre Raffaele Ameri, quelle stesse utilizzate dal Mola. Non esistono documenti a provare questo e ne parleremo a suo tempo.

Continua la Derapalino: "Dunque è finalmente provato con documento che Goffredo Mameli soggiornò a Carcare. Durante quel soggiorno avvicinò il P. Canata e instaurò con lui una buona amicizia: si potevano vedere ogni giorno percorrere insieme il viale alberato che dal piazzale del Collegio portava alla palazzina del museo, discorrendo animatamente". Su quali documenti per dire questo si è basata la Derapalino? Può essere anche questa tradizione orale e pura invenzione.

Continua l’autrice: "Anzi è tradizione comune presso i Padri Scolopi che l’inno Fratelli d’Italia sia stato scritto proprio a Carcare e che il Canata non solo l’abbia riveduto, ma abbia anche aggiunto la strofa "Uniamoci, amiamoci".

Tesi seducente, da prendersi per certa se è vero che le notizie tramandate di gente in gente hanno un loro fondamento e una loro credibilità". È, secondo l’autrice, una tradizione scolopica non documentata e che il padre Canata abbia riveduto il testo dell’inno aggiungendovi una strofa. Anche però questa strofa è di provenienza mazziniana, come si avrà modo di parlarne in seguito.

Nel settembre del 1846 Mameli non fu a Carcare perché ci sono documenti che lo dicono a Genova. Può anche essere un errore di lettura: invece del 1846 il 1840?

La Derapalino pubblica nei documenti del suo lavoro (doc. XXIV e doc. XXV) due lettere del p. Raffaele Ameri al p. Agostino Muraglia, provinciale degli Scolopi a Genova, una del 15 settembre 1840, l’altra senza data, ma datata 24 settembre, senza anno. In essa si dice "Mameli" e basta, non si fa cenno a Goffredo. Quindi è il fratello Giambattista che fu a Carcare a studiare dal 1839 al 1842. Cade, dunque, l’attribuzione a Goffredo. L’autrice pubblica i due documenti facendone la trascrizione e pubblicando in fotografia gli autografi. Appunto dalla fotografia si può appurare che la prima lettera è del 1840 e non del 1846. Si parla brevemente di Mameli, che sembra un collegiale e non si fa cenno al p. Garassini per il permesso di ospitare al collegio un giovane ricercato a Genova dalla polizia.

Sotto la denominazione "Lettera del P. Ameri sulla permanenza del Mameli a Carcare" appare la seconda lettera del padre Raffaele Ameri al padre Agostino Muraglia assistente provinciale delle Scuole Pie a Genova. Non è datata 24 settembre, ma nella fotografia dell’autografo si legge: Carcare, sabato delle tempora. Vi si legge "Mameli ha fatto una relazione con li convittori come se fosse altro loro collega. Punto non si è messo in soggezione: gli ho fatto un mistero di quello che mi scrivete: dicendogli che il P. Muraglia m’incarica di far verso di lui delle parti. Nella curiosità differivo io di soddisfarlo e in faccia agli altri, cioè p. ministro Damezzano e un conv[ittore] dicevo che ho a farlo in confidenza, finalmente intanto gli dissi, che mi incarica di abbracciarlo, uno scoppio di pianto."

Non si può pensare a Goffredo. Questa seconda lettera, senza data, pare collegata con la precedente del 1840.

Chi abbia visto e studiato il primo autografo dell’inno e fu tra i primi Alessandro Luzio (che vi ha fatto puntuali osservazioni) si rende conto della scrittura nervosa di Goffredo, del suo impeto nello scrivere facendo errori ortografici, che sarebbe lungo il rilevare. Il documento che è al Museo del Risorgimento di Torino è una bella copia dell’inno mandato per la censura; infatti il testo mameliano fu inserito nel volume "Dono nazionale a Carlo Alberto" uscito all’inizio del 1848 e fu pubblicato mutilo dell’ultima strofa (non permessa perché colpiva duramente l’Austria) e con le sole iniziali dell’autore.

Mameli, come è documentato dai quaderni e dai manoscritti dell’Istituto Mazziniano, aveva in proprio attivo una lunga serie di poesie e non poche postille. L’inno è stato scritto, quindi, da un mazziniano e non da un frate, da un repubblicano e non da un cattolico. Ad una serena analisi del linguaggio di Mameli vi troviamo una marcata matrice mazziniana; molte espressioni sono riportate dagli scritti di Mazzini allora conosciuti e altre espressioni sono mediate da autori di educazione democratico-repubblicana come il Rossetti ed altri.

Non si può dire che il testo dell’inno non poteva essere dell’adolescente Mameli perché troppo elevato nella sua formulazione. Basterebbe consultare i manoscritti conservati presso l’Istituto Mazziniano.

Tra le pagine 364 e 370 della corposa opera del Mola si parla di questo inno attribuito nel testo al Canata, che noi respingiamo nel modo più assoluto. Esso è nato in un momento importante nella storia d’Italia, all’aurora del Risorgimento quando fu cantato a Genova il 10 dicembre 1847, in corteo al Santuario di Oregina, alla presenza di patrioti di tutti gli Stati italiani. Ancora oggi si canta come Inno Nazionale, perché allora tutti gli italiani lo hanno accolto come tale. Questo inno è nato come l’annunciatore del Risorgimento e il suo valore (al di là delle valenze poetiche criticate da alcuni) è storico. I francesi non cambierebbero mai la Marsigliese fiorita nei giorni della rivoluzione, così il "Canto degli italiani" resta a testimonianza della volontà di risorgere. Per questo è considerato il nostro inno nazionale.

A p. 365 si dice di Anton Giulio Barrili "amico e biografo di Mameli", biografo sì, ma amico no, essendo il Barrili nato a Savona nel 1836 e fu a Genova soltanto nel decennio di preparazione.

A p. 367 cita quattro versi di Mameli che non abbiamo trovato nel Codignola e nel Mannucci (salvo nostra ignoranza). Si stenta a credere che siano dell’autore di Fratelli d’Italia. Scrive ancora il Mola "V’è invece serio e fondato motivo per dubitare che lo siano altrettanto quelli [i versi] del cosiddetto "Inno di Mameli".

Sospeso dall’Università e ricercato dalla polizia per una torbida vicenda, il diciannovenne rompicollo venne messo temporaneamente al riparo da ogni fastidio dallo scolopio padre Raffaele Ameri che lo condusse con sé da Genova a Carcare […] Lo stesso padre Ameri ne riferì al padre Muraglia in due lettere del 15 e 24 settembre 1846". Parla del viaggio. Ma come è stato possibile se il giovane Mameli il 25 settembre 1846 nella villa delle Peschiere a Genova del marchese Francesco Pallavicino nell’occasione dell’VIII Congresso degli Scienziati aveva letto una sua ode "L’Alba" già composta il 10 maggio di quell’anno, quando il Pallavicino aveva organizzato una festa in onore dei congressisti? Ciò è confermato da una postilla autografa di Giambattista Mameli (Postille, p. 142) ch’essa venisse declamata in una delle mense che si tenevano alla Villa delle Peschiere. Forse era la prima volta che il giovane poeta recitava in pubblico una sua composizione. Era una esplicita dichiarazione di guerra all’Austria in quei versi. Il pubblico era formato in parte da albertisti e piononisti ed è probabile che egli non abbia dato lettura alla quinta strofa nella quale egli si scagliava contro il malgoverno di Gregorio XVI. La "Gazzetta di Genova" del 1° ottobre 1846, n. 118, riferisce su tale festa.

Si dice che Mameli "era discolo" ma non era un letterato secondo il Mola. Si legge ancora nella stessa pagina: "Da una sua lettera da Carcare all’avvocato Giuseppe Canale dello stesso settembre 1846 balza evidente la sua scarsa dimestichezza con la lingua italiana". Riporta qualche brano della missiva ma non reca la fonte. Il Codignola ha visto le carte Canale presso la Biblioteca Lercari di Genova ma tale documento non è riportato. Pubblica le missive al Canale del 24 marzo, 28 marzo, 3 aprile, 12 aprile, 13 aprile, 18 aprile 1842. Sembra impossibile che Goffredo avesse poca dimestichezza con la lingua italiana; basta vedere i manoscritti del Mazziniano per rendersene conto. L’autore non dice dove ha visto tale lettera al Canale.

A p. 368 l’autore parla del Canata, poeta robusto e cita alcuni versi in onore di Pio IX.

Ancora vi si legge: "Tra la lingua praticata dal diciannovenne Goffredo e quella dell’inno che ne porta il nome v’era un abisso pari a quello tra gli interessi all’epoca coltivati da querl giovane – dall’infatuazione per la cugina al gioco della palla – e gl’ideali ch’esso intendeva esprimere". Si dice che c’era "un abisso" tra la lingua dell’inno e quella di Mameli e non si dice nulla della produzione poetica mameliana precedente. Si afferma in una poesia del Canata a Pio IX "la patria chiamò" e ""Italia chiamò" di Mameli. La somiglianza è troppo generica; ci sarebbero molte referenze in proposito di tradizione mazziniano-repubblicana

A p. 368 si riportano i seguenti versi del Canata "Meditai robusto un canto/ ma venali menestrelli/ mi rapian dell’arpa il vanto" e nella Gazza letterata scrive "E nel folle tuo orgoglio artigli i venti./ E scrittore sei tu? Ciò non ti quadra…/ Una gazza sei tu garrula e ladra." Come si può dire che queste espressioni siano contro il giovane Mameli? Non c’è il nome. Il Canata era spesso in polemica con alcuni suoi confratelli che volevano essere letterati.

A p. 369 si scrive che quando Ulisse Borzino a Torino consegnò il foglietto dell’inno a Michele Novaro disse "To’ te lo manda Goffredo" e non già "È di Goffredo!". Poco male del resto se l’autore dell’Inno nazionale è un padre scolopio. Al più l’Italia ne esce più vera e compatta". Ma questo non dimostra che il testo non era di Mameli. I due genovesi Mameli e Novaro erano amici e l’espressione è naturale.

Tralasciamo tutte le considerazioni a p. 369 su Legnano, su Francesco Ferrucci, su Balilla, sui Vespri Siciliani. Questa strofa piacque molto a Garibaldi, e in quel momento del 1847 (a parte il loro significato storico in ordine alle alleanze e a quelle che hanno prodotto) ebbero un valore emblematico come esempio di lotta e di rivolta contro lo straniero. I versi sono dotti e Mameli era una "incerta penna". Non stiamo a replicare; se qualcuno accetta una discussione, noi siamo pronti a sostenerla.

Il fatto è che di padre Canata e dell’inno si è parlato in diversi giornali. Il libro del Mola è stato, per quanto riguarda l’inno nazionale, recensito da giornali a vasta diffusione e da fogli locali che sarebbe lungo enumerare.

Nel "Corriere della Sera" è uscito un articoletto di Ottavio Rossani il 25 dicembre 2002, intitolato Ma che Mameli, Fratelli d’Italia è l’inno di Canata. Il padre scolopio avrebbe taciuto la verità per non offuscare l’immagine dell’eroe. È una recensione alle pp. 363-370 del libro del Mola. Vi si scrive "Il giovane Goffredo ricopiò in bella (senza nemmeno una cancellatura, ma con l’aggiunta di una strofa con un macroscopico errore), un testo scritto nel 1846 dal padre Atanasio Canata e lo inviò nel novembre 1847 all’amico Michele Novaro che lo mise in musica…" Chi scrive non ha visto l’autografo della prima prova dell’inno che è al Mazziniano. Ricopiato in bella senza una cancellatura viene dopo, la copia al Novaro e quella per la censura. Si cita Carlo Alberto Barrili invece di Anton Giulio Barrili. Non si interviene su molte cose: le diamo per già scontate. Non si può tacere quanto vi è affermato; vi si dice che Mameli nel 1846 "aveva già precedenti insurrezionali. La polizia piemontese lo cercava". Per questo andò a Carcare nel 1846 (ciò è smentito dai documenti). Il testo "è frutto di una mente sottile, quale Mameli non dimostrò mai in tutte le poesie lasciate". Vi si afferma: "Al Risorgimento parteciparono tutte le forze, anche quelle cattoliche. Proprio Fratelli d’Italia lo dimostra nei versi "uniti per Dio/ chi vincer ci può". Molto ci sarebbe da discutere sulla partecipazione dei cattolici al Risorgimento, ma i due versi dell’inno citati sono di provenienza mazziniana. Basterebbe leggere la prefazione che l’Apostolo scrisse al suo lavoro sui Fratelli Bandiera nel 1844 per trovare anche le "vie del Signore". Non bastano questi due versi a dare al testo dell’inno un’apertura al cattolicesimo di quel tempo.

Un giornale locale, di Ovada (Alessandria), "L’ovadese", il 16 gennaio 2003 in prima pagina pubblica su quattro colonne il seguente articolo Sarebbe di un padre scolopio, Atanasio Canata. "Fratelli d’Italia" non è opera di Mameli. L’articolo ripete quanto è detto nel "Corriere della Sera". Vi leggiamo "La notizia è di quelle che molto presto faranno parlare tutta l’Italia e ci viene fornita da un’autorevole voce ovadese: Padre Ugo Provinciale degli Scolopi. Riguarda la paternità dell’inno nazionale, quel Fratelli d’Italia che ha accompagnato le gesta degli eroi del Risorgimento […] Ebbene fino a ieri si pensava che l’autore fosse Goffredo Mameli, invece il testo è opera di uno Scolopio P. Atanasio Canata, lo scrisse nel 1846 nel Collegio di Carcare (SV) ecc. " Si conclude così il breve articolo "Prima di morire però P. Canata, con uno scritto, rivendicò la paternità dell’inno degli italiani. Ora come ha specificato il P. Ugo ci sono anche gli storici a dare man forte al vero autore, esponendo dati inconfutabili che confermerebbero la tesi che abbiamo esposto".

Dove sono questi "dati inconfutabili"? Nel libro del Mola vengono fuori soltanto delle supposizioni, senza pezze d’appoggio. Facciamo punto, ma il discorso sarebbe lungo se si guardassero altri giornali.

Comunque restiamo in attesa dei "dati inconfutabili" e dichiariamo che siamo disposti ad una discussione seria ed approfondita, ma vengano esposti i documenti. Io posso dire che il tale ha rubato, ma devo poterlo dimostrare.

Emilio Costa