LE ORIGINI

Don Luigi urbani, parroco di Agosta dal 1883 al 1933, in un inventario da lui compilato nell'anno 1883 ed attualmente conservato nell'Archivio Parrocchiale di Agosta, nel capitolo intitolato "Origine di Agosta" sostiene che gli storici Jannuccelli, Palmieri e Gori concordemente fanno risalire l'origine di Agosta, come municipio, al VII secolo dell'era volgare, mentre come villaggio, ossia come unione di cento o più individui, la sua origine risale al III o al II secolo della Chiesa. I suoi primi abitanti furono senza dubbio, dice sempre il parroco Urbani, le migliaia di uomini i quali erano intenti al colossale lavoro di costruzione degli acquedotti. "Al certo", dice ancora l'Urbani, "La sera questi dovevano pernottare in qualche paese limitrofo. In quell'epoca paesi vicini preesistenti ad Agosta non c'erano. Infatti Marano è parto di Agosta, Cervara e Rocca Canterano sono fuori discussione perché contano la loro nascita verso il 1200. È d'uopo dunque concludere che quei popolani, costretti dalla necessità, formassero un piccolo borgo in questa amena collina, distante 200 metri dal luogo nel quale avessero le residenze e nello stesso tempo la custodia del grande acquedotto…". Da tutte queste notizie scaturisce con certezza che i primi abitanti della zona furono gli schiavi, le maestranze e i custodi degli acquedotti, che molto probabilmente avevano le loro capanne e le loro case intorno alle sorgenti stesse. Giuseppe Panimolle scriveva nel suo libro che nel territorio di Agosta, prima della colonizzazione romena, si stanziarono dapprima gli ITALICI, che vi lasciarono importanti resti nelle località Castellone, Lavoratine e Cisterna, poi i LATINI, che vi si stanziarono intorno all'anno 1000 a.C. e lasciarono tracce del loro insediamento nelle località di Ruttoli e Cisterna. Nel 304 a.C. quando gli EQUI furono definitivamente sottomessi al dominio Romano, nella Valle si insediò la Tribus Aniensis, appositamente inviatavi dai Romani, affinché colonizzasse la zona. Dalla sconfitta degli Equi alla caduta dell'Impero Romano la Valle dell'Aniene rimase legata, nella buona e nella cattiva sorte, ai destini di Roma. Fin dal tempo della definitiva sconfitta degli Equi nel territorio di Agosta furono captate sorgenti, che dovevano servire a rifornire di acqua la città di Roma, che   diventava sempre più popolosa.

IL MEDIOEVO

Alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476 d.C.) gli acquedotti abbandonati caddero in rovina. Tutta la zona fu percorsa dai barbari. I suoi abitanti allora, per difendersi, si stanziarono sulle colline, dando cosi origine a tutti quei paesi che ancora oggi esistono. Quando venne a mancare il potere di Roma, la Valle dell'Aniene rimase per qualche tempo senza autorità civile, in balìa delle orde barbariche, che la misero a ferro e fuoco. Essa rimane nell'abbandono più totale fino a quando non ne assunsero la guida sia civile che religiosa i monaci di San Benedetto. Questi allora radunarono le genti disperse, le riportarono all'agricoltura, insegnando loro le nuove colture, come quelle della vite e dell'olivo; le protessero, grazie al loro prestigio, dalle molte angherie di quei popoli incivili e così piano piano nella vallata riprese la vita e il cammino verso la civiltà. Fino all'anno 1051 tutte le Bolle Papali, che si occupavano della zona, citano l'Acqua Augusta e a questa associano il monte che sovrasta le sorgenti e lo denominano Monte Augusta. Un privilegio di Papa Giovanni XVIII dell'anno 1005 afferma: "Concediamo un casale che si chiama Augusta con l'intero monte, dove si sta costruendo un castello…". Nell'anno 1015 papa Benedetto VIII conferma: "Concedimus casale qui vocatur Augusta cum monte in integro ad castellum faciendum…". Il privilegio di Papa Leone IX del 31 ottobre 1051 invece afferma: "Confermiamo e consolidiamo alla vostra giurisdizione (il Papa si rivolge all'abate di Subiaco) il casale chiamato Augusta con l'intero monte dove è stata costruita la fortezza…". Già in un atto stipulato nel 1044 tra il Vescovo di Tivoli e l'Abate di Subiaco viene detto che quanto segue fu firmato dagli interessati: "In castro Augustae" cioè "Nel castello di Agosta". Da tutti questi documenti, in verità molto attendibili, infatti, ad emanali sono stati pontefici, si evince senza alcuna ombra di dubbio, che Agosta come castello risale all'anno 1051. Nel corso di tutto il medioevo gi abitanti del castello, sotto la giurisdizione dell'abate di Subiaco, vissero autarchicamente, dedicandosi soprattutto all'agricoltura, alla pastorizia e all'artigianato. I terreni coltivati erano per lo più possesso dei monaci di San Benedetto e per questo al momento del raccolto i prodotti della terra, spettanti al Monastero, venivano ammassati nella casa dei Monaci, che era situata al centro del castello, cioè nella parte più sicura. Il castello di Agosta nel suo primo secolo di vita ebbe vita abbastanza serena e tranquilla, ma negli anni che vanno dal 1145 al 1176le cose non andarono altrettanto bene, infatti, esso fu il campo di battaglia di sanguinose lotte, che scoppiarono tra il signorotto di Agosta, Filippo, nipote dell'abate Pietro IV ed il successore di questo, Simone l'abate di Cassino. Filippo, uomo crudele, sleale ed assetato di potere, entrato in lotta con il nuovo abate a lui non gradito, giunse persino a farlo prigioniero ed a rinchiuderlo per qualche tempo nella torre del castello di Agosta. In seguito per motivi di sicurezza lo affidò a Riccardo di Arsoli. Più tardi però l'abate Simone fu liberato e tornò a reggere l'abbazia, vendicandosi sul suo nemico. Così Filippo perse ogni suo possedimento. Questi allora, non potendo più tener testa all'abate Simone, chiese aiuto a Federico Barbarossa che nel 1174 inviò nella zona le sue truppe, guidate dall'Arcivescovo di Magonza. Questi assediò il Castello di Agosta, lo espugnò e quindi lo bruciò. La guerra durò fino all'anno 1176 quando finalmente giunse la pace. Dopo questo periodo così tormentato il Castello di Agosta potè finalmente godere di un secolo di pace e tranquillità. Nel 1382 Agosta fu al centro di una clamorosa vicenda giudiziaria, di cui furono protagonisti i figli di Omodidio, Cicco e Cola. Questi con la madre Agnese, moglie di Cicco, furono accusati di alto tradimento, per aver consegnato le chiavi della fortezza di Agosta a Nicola Colonna, che la occupò, mettendola a ferro e fuoco, razziando e violentando le donne e causando agli abitanti e all'abate danni per 3000 fiorini d'oro. Dapprima essi furono condannati a morte, anche se questi si dichiararono sempre innocenti, sostenendo che le chiavi della fortezza erano state consegnate dai Colonna da un loro servo, un certo Guastalamarca, che poi si era rivelato come spia ed amico del Colonna. Il tribunale, dopo un lungo processo condannò al taglio della testa e alla confisca dei loro beni.
Ma più tardi nel processo d'appello il giudice riconobbe la buona fede ai condannati e li assolse dall'accusa di alto tradimento, ma lì condannò a pagare i danni provocati dentro le mura dalle truppe del Colonna. I feudatari di Agosta pagarono i 3000 fiorini d'oro e tornarono nell'amicizia dell'abate di Subiaco.

I SECOLI XV - XVI

Visto che il governo dell'abate di Subiaco, nel corso dei secoli, aveva causato spesso disordini, lotte e seri turbamenti per le locali popolazioni, dalla metà del XV secolo l'Abbazia di Subiaco e di conseguenza il castello di Agosta passò sotto la giurisdizione di un Abate Commendatario, inviato direttamente dal Papa. Questi privò l'Abate di Subiaco di ogni potere temporale, prese in custodia i beni dell'Abbazia, prese a riscuotere le gabelle e ad appianare le controversie, sorte nel feudo. Tra gli Abati Commendatari, che governarono l'Abbazia, ricordiamo il cardinale Giovanni Torquemada, che nel 1456 diede a Subiaco ed all’Abbazia uno Statuto, che fece tornare l'ordine, la pace e la serenità, cose che non erano esistite nei periodi precedenti durante il governo dei vari abati. Dopo il Torquemada il papa Sisto IV nominò commendatario di Subiaco un cardinale spagnolo, Rodrigo Borgia e quando nel 1492 questi fu eletto papa con il nome di Alessandro VI°, la Commenda di Subiaco fu affidata al cardinale Giovanni Colonna, come premio dell’appoggio che questi aveva offerto al nuovo pontefice in occasione del conclave.  Più tardi però, Giovanni Colonna venne in dissidio con Alessandro VI e quindi fu costretto a lasciare Subiaco ed a fuggire nel regno di Napoli. Alla morte di Alessandro VI, avvenuta nel 1503, Giovanni Colonna potè ritornare a Subiaco. Il suo ritorno fu molto festeggia­to dagli abitanti dell'Abbazia. Gli Agostani, da parte loro, in onore del cardi­nale, eressero lungo la via Sublacense un bellissimo arco, lo stesso che oggi si può ancora ammirare in paese in località la Porta. Quando il cardinale Giovanni Colonna morì, divenne abate commenda­tario il nipote di questo, Pompeo Colonna e più tardi, vale a dire nel 1513, la Commenda di Subiaco toccò ad un altro Colonna, di nome Scipione. Quando questi, in lotta con un'altra fami­glia nobile romana, gli Orsini, cadde in battaglia, l'Abbazia di Subiaco ritornò nelle mani del vecchio Pompeo, che due anni più tardi la cedette ad un altro suo nipote, Francesco. Nel 1559 la Commenda di Subiaco fu affidata ancora ad un Colonna, Marcantonio, grazie al quale per l'Abbazia iniziò un lungo perio­do di pace e di rinascita. I Castelli dell'Abbazia, compreso quello di Agosta, rinacquero pertanto a nuova vita. Nel 1592 a Marcantonio Colonna subentrò Ascanio Colonna, che non aveva però le stesse doti dello zio, al contrario questi fu forse uno dei peggiori abati commendatari di Subiaco. Alla sua morte, avvenuta nel 1608, i Colonna persero definitivamente la Commenda di Subiaco, infatti, papa Paolo V la affidò ad un cardinale della sua fami­glia, cioè a Scipione Borghese, che la tenne fino al 1633. Nel 1638 il castello di  Subiaco fu retta da appartenenti alla nobile famiglia dei Barberìni. L'ultimo di questa fu il cardinale Francesco. Dopo di lui la commenda passò al cardinale Giovan Battista Spinola, che la tenne fino 1752 Dal 1754 fino al 1870 nel governo dell’abbazia e quindi del castello di Agosta si succedettero: il cardinale Severino Canale e il cardinale Giovannangelo Braschi, eletto poi papa con il nome di Pio VI. Dal 1804 al 1815 resse la Commenda di Subiaco il cardinale Pier Francesco Galleffi. Gli successe il cardinale Ugo Pietro Spinola, che governò fino al 1846. Dal 1846 al 1878, l'abate commendatario di Subiaco fu lo stesso papa Pio IX. Dal 1878 al 1891 la Commenda passò al cardinale Raffaele Monaco Lavalletta. Il dodicesimo commendatario di Subiaco fu il cardinale Luigi Macchi, che governò fino al 1906. L'ultimo reggitore della Commenda sublacense fu S. Pio X, come attesta anche un'iscrizione, che si trova in una colonnina della balaustra del sagrario della chiesa parrocchiale. Il 21 marzo 1915 il pontefice Benedetto XV soppresse definitivamente la Commenda, che durava dal 1456.

AGOSTA NELL’ERA MODERNA

Nel 1909 fu eletto abate del Monastero di Subiaco Mons. Lorenzo Salvi, che diven­ne Ordinario nel 1917 e poi Vescovo nel 1927. Con la fine dello Stato della Chiesa, quando il castello di Agosta fu annesso al Regno d'Italia, esso divenne Comune e prese ad essere governato da un Consiglio Comunale, presieduto da un Sindaco, che era coadiuvato da una Giunta Municipale. Agli inizi del XX° sec. e precisamente il 31 dicembre 1900 Agosta fu servita da una linea ferroviaria, che da Mandela giungeva fino a Subiaco. Il servizio rimase in vigore fino al 1933. I binari, nonostante che la linea fosse stata soppressa, rimasero in loco fino agli anni 1940/41. Quando il servizio del treno fu soppresso, questo fu sostituito con auto­bus della ditta Bona di Roma. Nel 1913 fu costruito ad Agosta il primo acquedotto, che all'inizio alimentava solo le due fon­tane, che si trovavano una al Rione Castello e l'altra nel Rione la Porta. Le utenze private erano soltanto tre. Il 13 gennaio 1915 Agosta fu sconvolta da un violento terremoto, il cui epicentro si ebbe nella vicina Marsica. Non ci furono per fortuna vittime, ma solo danni e tanto spavento. In occasione del primo conflitto mondiale circa 800 agostani partirono, per difendere i sacri confini della Patria, minacciati dal nemico austriaco. Dei combattenti 26 restarono sul campo di battaglia. Il 27 gennaio 1924 giunse ad Agosta l'energia elettrica ed i vecchi e romantici lampioni a petrolio furono messi a riposo. Fra il 1922 ed il 1926 la società dell'Acqua Pia Antica Marcia ricondusse a Roma le acque della Sorgente della Mola. Ma non contenta di ciò, voleva captare anche l'ultima sorgente rimasta a disposizione degli Agostani, quella della Fonte, che si trovava vicino al Santuario della Madonna del Passo. Ne scaturì una vera e propria rivolta. Le forze dell'ordine, intervenute per sedare la sommossa, furono anch'esse aggredite con violenza. Il 6 aprile il paese fu letteralmente assediato da carabinieri e da molti militi; venne imposto persino il coprifuoco e a nessuno fu permesso di lasciare l'abitato, neppure per andare ad accudire alle bestie, che erano nei casali fuori il paese. Chi tentò di forzare il cordone protettivo fu respinto all'interno in malo modo. Nei giorni dell'assedio ebbero luogo scontri ed atti di violenza; delle vere e proprie sassaiole, l'intifada agostana, investirono gli assedianti, vi furono tra essi anche dei feriti. Alla fine la popolazione di Agosta ebbe la meglio, infatti, la sorgente della Fonte rimase agli Agostani, ma solo per poco, perché qualche anno più tardi, dimenticata la contestazione, essa fu captata ed allora nessuno mosse una paglia. In occasione della Seconda Guerra Mondiale Agosta, che mai aveva aderito pienamente all'ideologia fascista portò per ben nove mesi e precisamente dal 10 settembre 1943 al 9 giugno 1944 l'occupazione nazista, mai collaborando con il nemico. Anzi, in quel periodo operò nel territorio agostano una vera e propria banda partigiana, composta tutta da Agostani e comandata dall'allora colonnello Umberto De Sanctis. Per conoscere meglio le tristi vicende di quel periodo, vi rimandiamo all'opera "La Resistenza nell'Alta Valle dell'Aniene", scritta da Giuseppe Panimolle. Durante i nove mesi, in cui Agosta fu stretta nella morsa dell'occupazione tedesca, essa subì ripetuti bombardamenti, rastrellamenti, ma per fortuna non si ebbe alcuna depor­tazione. Pagò il suo tributo di sangue per la liberazione della Patria con il sacrificio di 5 delle 15 vittime, che il 26 maggio 1944 furono barbaramente trucidate a Madonna della Pace dalle inferocite orde naziste, costrette dalla sconfitta alla ritirata. I cinque cittadini agostani trucidati furono: Benedetto di Roma di 56 anni Giulio di Roma di 25 anni, Domenico Di Roma di 18 anni, Arsenio Coluzzi di 45 anni, Gilberto Miconi di 18 anni. Dalla fine del secondo conflitto ad oggi Agosta è andata sempre avanti nel suo cammino di progresso e di conquiste sociali, culturali ed economiche. Essa oggi si presenta come una moderna ed accogliente cittadina, protesa verso il futuro di progresso e di sempre maggiori e durature conquiste.