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    Girato a Roma in regime di totale autonomia produttiva ed audace indipendenza creativa, NEPENTE è il quindicesimo film e il terzo mediometraggio  in ordine di tempo a portare la firma di Alessandro Fantini.  Improntato ai dettami della sua "arte multimedianica" in cui suoni, musiche, fotografia e movimenti di macchina interagiscono al fine di evocare in chiave poetica stati mentali prossimi a quelli medianici, il film s'inserisce in quel solco tematico del rapporto misterico tra lo spirito ed il corpo, la natura e la civiltà più volte affrontato dal regista in film come "Login Praeneste" (2004), "Tiranti Transit"(2005), "La strada per Shakti"(2007) e "Colostro"(2008).

   Rifugio, prigione, maschera, scudo, arma, involucro, scrigno, forziere, abito, interfaccia. Il corpo, mutevole concrezione dei frammenti invisibili dell'Io, unica ed ineffabile manifestazione dell'essere nella materia, incrostazione dell'angoscia dell'esserci, stasi cellulare del pensiero errante.

Quali e quante possono essere le forme di schiavitù che vincolano l'uomo alla propria corporeità?

 Banchettando nel rifugio biologico delle sensazioni e dei ricordi, i bacilli del desiderio congiurano contro la certezza del possesso di un'identità in grado di saldare le prime ai secondi.

  Sobillate ad infiammare i gangli di una società sempre più orfana d'identità ideologiche, politiche e religiose definite, la piena delle pulsioni ha sommerso il ventunesimo secolo in una sconfinata palude di personalità fittizie, pseudonimi, prestanome, simulacri digitali di personaggi reali, avatar, codici di carte di credito, riproduzioni della realtà perduta da colui che viene riprodotto, persone morte alla materia che risorgono alla vita dei codici binari.  Relitti sospesi in un abisso dove l'assenza di legami assoluti li fa vagare nell'indistinzione  del caso, questi inidentificabili detriti d'identità vivono nel rimpianto dell'esilio dai corpi che li asserviva alla libertà della limitazione carnale. La luce che arriva fino a quelle vischiose profondità in cui i nomi e le cifre sono solo ombre proiettate da quarti di carne che galleggiano in superficie, basta appena per illuderli della possibilità di tornare a ricomporsi nell'uniformità del vissuto.

 L'Eros si fa statistica da macellaio. I sentimenti istogrammi di sondaggi e statistiche. Il corpo si offre alla mattanza del calcolo che sminuzza e raccoglie i ricordi nell'unitario carnaio dell'ignoto. E il dramma delle moltiplicazioni in cui l'Ego si smarrisce cercando di aggrapparsi al suo ultimo sospiro di originalità,  è il trastullo ciclico di un ordine fondato sull'evirazione della volontà. Al di sopra dell'inutile dibattersi delle cellule, dal pantheon di divinità frodate dal torpore meccanico degli uomini, le anatomie in fuga dalla memoria del piacere vengono salutate come nocchieri di anime.

 

Chiedetevi fino a che punto potete considerarvi proprietari del vostro corpo.

Chiedetevi se le vostre sensazioni siano impulsi elettrici o prodotti della vostra immaginazione.

Chiedetevi se il vostro passato sia davvero più concreto del vostro ultimo sogno.

Chiedetevi quanto di  sovrumano vi sia nei continui processi chimici che si compiono nel vostro organismo dal primo all'ultimo respiro.

Chiedetevi se la morte coincida davvero con la fine, o se non sia solo uno stadio intermedio tra due forme dell'essere.

Chiedetevi se i vostri desideri non siano esoscheletri dove poter custodire i loro oggetti.

 

   NEPENTE non mira a fornire risposta a nessuno dei suddetti quesiti. Perché di tutti questi interrogativi è intessuta la condizione umana da cui il film stesso prende le mosse.

L'esperienza cinegrafica è tale quando vi pone di fronte all'atto compiuto di un fenomeno che si compie in quell'istante di fronte ai vostri occhi, senza nascondervi né mostrarvi nulla di ciò che già non sappiate. L'enigma respira sotto la coltre di ciò che ci è già familiare e sarebbe dovuto piuttosto rimanere nell'ombra. Perché nulla di più seducente ed atroce ci è dato intuire all'infuori di quel Mistero che ci scorta per tutta l'esistenza senza mai rivelarsi tale.