Sentenza Cassazione Sezione Lavoro n. 9864 del 6 luglio 2002
(Pres. Senese, Rel. Vidiri)

La lavoratrice incinta non è tenuta a comunicare il suo stato al datore di lavoro al momento dell’assunzione – E non può essere licenziata per averlo taciuto.


Alice F. è stata assunta il primo aprile 1996 dalla Montepaschi Serit S.p.A. con contratto a termine di durata fino al 20 dicembre dello stesso anno, dopo avere superato una visita di idoneità fisica allo svolgimento delle mansioni per lei previste. Otto giorni dopo l’assunzione, ella ha presentato all’azienda un certificato medico attestante il suo stato di gravidanza all’ottavo mese con prescrizione di astensione obbligatoria dal lavoro. Durante la sua assenza, l’azienda, nel maggio del 1996 ha aperto nei suoi confronti un procedimento disciplinare contestandole di avere tenuto un grave comportamento omissivo tacendo il suo stato di gravidanza. La lavoratrice si è difesa facendo presente che la sua gravidanza era evidente al momento dell’assunzione. L’azienda l’ha licenziata per giusta causa. Alice F. si è rivolta al Pretore di Catania chiedendo l’annullamento del licenziamento e la condanna della Montepaschi a reintegrarla nel posto di lavoro e a risarcirle il danno. L’azienda si è difesa sostenendo che la lavoratrice era venuta meno alle regole di correttezza e che in sostanza, considerata la durata del contratto a termine, ella era risultata, sin dall’assunzione, inutilizzabile per lo scopo per cui era stata assunta. Il Pretore ha accolto la domanda. Il Tribunale di Catania ha rigettato l’appello proposto dall’azienda osservando che la legge 30 dicembre 1971 n. 1204 vieta che la lavoratrice madre svolga qualsiasi attività lavorativa nel periodo protetto ma non preclude l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato anche a tempo determinato; il Tribunale ha anche rilevato che, nel caso in esame, il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro non copriva l’intera durata del pattuito rapporto a termine (sicché non poteva considerarsi venuto meno l’interesse del datore di lavoro alla assunzione ) e che doveva escludersi che l’azienda fosse caduta in errore dal momento che le condizioni della lavoratrice erano evidenti.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 9864 del 6 luglio 2002, Pres. Senese, Rel. Vidiri) ha rigettato il ricorso dell’azienda, ricordando che il nostro ordinamento tutela la donna lavoratrice vietando ogni atto discriminatorio in suo danno, come è previsto dall’art. 37 della Costituzione cui è stata data attuazione con l’art. 15 St. Lav., con la legge 30 dicembre 1971 n. 1204 e con la legge 9 dicembre 1977 n. 903. Dopo aver rilevato che il Tribunale di Catania ha motivatamente escluso qualsiasi scorrettezza da parte della lavoratrice, la Corte ha rilevato che nella nostra legislazione non v’è alcuna norma che imponga alla gestante di notiziare, al momento della stipula del contratto, il datore di lavoro del proprio stato. D’altra parte – ha affermato la Cassazione – la previsione di un obbligo della lavoratrice di informare il datore di lavoro del suo stato, rischierebbe di renderne inefficace la tutela, ostacolando in modo rilevante la piena attuazione del principio di parità di trattamento costituzionalmente garantito; conseguentemente la condotta della lavoratrice gestante e puerpera, la quale – al momento dell’assunzione – non porta il datore di lavoro a conoscenza del suo stato, non può in alcun caso concretizzare una giusta causa di risoluzione del rapporto. La legislazione italiana – ha aggiunto la Corte – deve essere d’altra parte interpretata in modo conforme al diritto comunitario e precisamente alle direttive 9.2.1976 n. 76/207/CEE e 12.10.1992 n. 92/85/CEE relative all’attuazione del principio della parità di trattamento fra uomini e donne e alla tutela delle gestanti. Queste direttive – ha ricordato la Corte – sono state interpretate dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea nel senso che esse precludano il licenziamento di una lavoratrice per motivo del suo stato di gravidanza, quand’anche: a) la lavoratrice sia stata assunta a tempo determinato; b) abbia omesso di informare il datore di lavoro in merito al proprio stato interessante, pur essendone a conoscenza al momento della conclusione del contratto di lavoro; c) a motivo della gravidanza non sia più in grado di svolgere l’attività lavorativa per una parte rilevante della durata del contratto (Corte Giust. 4.10.2001 causa C-109/00, Tele Danmark A/S).