Alice F. è stata assunta il primo aprile 1996 dalla
Montepaschi Serit S.p.A. con contratto a termine di durata fino al
20 dicembre dello stesso anno, dopo avere superato una visita di
idoneità fisica allo svolgimento delle mansioni per lei previste.
Otto giorni dopo l’assunzione, ella ha presentato all’azienda un
certificato medico attestante il suo stato di gravidanza
all’ottavo mese con prescrizione di astensione obbligatoria dal
lavoro. Durante la sua assenza, l’azienda, nel maggio del 1996 ha
aperto nei suoi confronti un procedimento disciplinare contestandole
di avere tenuto un grave comportamento omissivo tacendo il suo stato
di gravidanza. La lavoratrice si è difesa facendo presente che la
sua gravidanza era evidente al momento dell’assunzione.
L’azienda l’ha licenziata per giusta causa. Alice F. si è
rivolta al Pretore di Catania chiedendo l’annullamento del
licenziamento e la condanna della Montepaschi a reintegrarla nel
posto di lavoro e a risarcirle il danno. L’azienda si è difesa
sostenendo che la lavoratrice era venuta meno alle regole di
correttezza e che in sostanza, considerata la durata del contratto a
termine, ella era risultata, sin dall’assunzione, inutilizzabile
per lo scopo per cui era stata assunta. Il Pretore ha accolto la
domanda. Il Tribunale di Catania ha rigettato l’appello proposto
dall’azienda osservando che la legge 30 dicembre 1971 n. 1204
vieta che la lavoratrice madre svolga qualsiasi attività lavorativa
nel periodo protetto ma non preclude l’instaurazione di un
rapporto di lavoro subordinato anche a tempo determinato; il
Tribunale ha anche rilevato che, nel caso in esame, il periodo di
astensione obbligatoria dal lavoro non copriva l’intera durata del
pattuito rapporto a termine (sicché non poteva considerarsi venuto
meno l’interesse del datore di lavoro alla assunzione ) e che
doveva escludersi che l’azienda fosse caduta in errore dal momento
che le condizioni della lavoratrice erano evidenti.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 9864 del 6 luglio
2002, Pres. Senese, Rel. Vidiri) ha rigettato il ricorso
dell’azienda, ricordando che il nostro ordinamento tutela la donna
lavoratrice vietando ogni atto discriminatorio in suo danno, come è
previsto dall’art. 37 della Costituzione cui è stata data
attuazione con l’art. 15 St. Lav., con la legge 30 dicembre 1971
n. 1204 e con la legge 9 dicembre 1977 n. 903. Dopo aver rilevato
che il Tribunale di Catania ha motivatamente escluso qualsiasi
scorrettezza da parte della lavoratrice, la Corte ha rilevato che
nella nostra legislazione non v’è alcuna norma che imponga alla
gestante di notiziare, al momento della stipula del contratto, il
datore di lavoro del proprio stato. D’altra parte – ha affermato
la Cassazione – la previsione di un obbligo della lavoratrice di
informare il datore di lavoro del suo stato, rischierebbe di
renderne inefficace la tutela, ostacolando in modo rilevante la
piena attuazione del principio di parità di trattamento
costituzionalmente garantito; conseguentemente la condotta della
lavoratrice gestante e puerpera, la quale – al momento
dell’assunzione – non porta il datore di lavoro a conoscenza del
suo stato, non può in alcun caso concretizzare una giusta causa di
risoluzione del rapporto. La legislazione italiana – ha aggiunto
la Corte – deve essere d’altra parte interpretata in modo
conforme al diritto comunitario e precisamente alle direttive
9.2.1976 n. 76/207/CEE e 12.10.1992 n. 92/85/CEE relative
all’attuazione del principio della parità di trattamento fra
uomini e donne e alla tutela delle gestanti. Queste direttive – ha
ricordato la Corte – sono state interpretate dalla Corte di
Giustizia della Comunità Europea nel senso che esse precludano il
licenziamento di una lavoratrice per motivo del suo stato di
gravidanza, quand’anche: a) la lavoratrice sia stata assunta a
tempo determinato; b) abbia omesso di informare il datore di lavoro
in merito al proprio stato interessante, pur essendone a conoscenza
al momento della conclusione del contratto di lavoro; c) a motivo
della gravidanza non sia più in grado di svolgere l’attività
lavorativa per una parte rilevante della durata del contratto (Corte
Giust. 4.10.2001 causa C-109/00, Tele Danmark A/S).
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