MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa
applicazione degli articoli 1418, 1421 e 2110 Cc, dell'articolo 5 comma 14 del
decreto legge 463/83 convertito in legge 638/83, del Dpr 1124/65, della legge
300/70, dell'articolo 14 della legge 833/78 e dell'articolo 14 della
Costituzione, il ricorrente sostiene che, per l'articolo 14, terzo comma della
Costituzione, la disposizione che disciplina le visite di controllo (articolo 5
comma 14 del decreto legge 463/83 convertito in legge 638/83) ha natura
speciale: non è applicabile per analogia a situazioni (degenza per infortunio
sul lavoro) diverse da quelle (degenza per malattia) ivi disciplinate.
In particolare, l'accertamento in materia di infortunio è diretto alla verifica
dell'inabilità senza riguardo alle modalità operative impiegate (accertamento
ambulatoriale o domiciliare), che rivestono autonoma rilevanza in materia di
malattia.
L'articolo 2 della legge 33/1980 e l'articolo 1 del decreto ministeriale 15
luglio 1986, che accentra il controllo nell'I.N.P.S., prevedendo che a questo
anche altri istituti previdenziali si rivolgano, disciplina i controlli in
materia di malattia, e si riferisce ad istituti previdenziali preposti
all'assicurazione per malattia.
Con il secondo motivo, denunciando omessa insufficiente e contraddittoria
motivazione, il ricorrente sostiene che, poiché il datore comunica
immediatamente l'infortunio all'IN.A.I.L., è questo stesso ente che, accertando
l'infortunio e la durata dell'astensione del lavoro, sottopone il lavoratore a
visita di controllo. E pertanto la discriminazione, ipotizzata dalla sentenza,
nell'ipotesi di non estensione della norma contrattuale alla degenza per
infortunio sul lavoro, non sussiste.
2. I due motivi, che la loro interconnessione devono essere congiuntamente
esaminati, sono infondati.
3. L'articolo 14 terzo comma della Costituzione, prevede una generale riserva di
legge per la disciplina dei controlli delle infermità del lavoratore ("gli
accertamenti e le ispezioni sono regolati da leggi speciali").
E, come osservato dalla dottrina, l'articolo 5 secondo comma della legge 300/70
("il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto
attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali
sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda") ha
soddisfatto questa riserva. Ed è incontestato che la norma, disciplinando il
controllo delle assenze per “infermità” (quale temporaneo impedimento),
riguardi anche l'ipotesi in cui l'infermità dipenda da infortunio sul lavoro.
Ad una più specifica finalità sono dirette le cosiddette fasce orarie di
reperibilità. Introdotte (con norma programmatica) dall'accordo
interconfederale del 26 gennaio 1977, applicate poi da alcuni contratti
collettivi nazionali di lavoro (come in materia tessile), le fasce orarie sono
state legislativamente previste, quale formale attuazione del protocollo
triangolare (di intesa sul costo del lavoro) del 22 gennaio 1983 (attuazione
diretta a contrastare il contingente fenomeno dell'assenteismo per micromorbilità
pretestuosa), solo per le “infermità” determinate da malattia: non per
quelle determinate da infortuni sul lavoro (per questa limitazione, Cassazione
1247/02).
Il limite discende dalla specifica lettera ("controllo dello stato di
malattia") dell'articolo 5 decimo comma del decreto legge 463/83
(convertito in legge 638/83), che, richiamando lo stato di “malattia”
previsto dai precedenti commi, si estende tacitamente alle successive
disposizioni (i successivi commi dell'articolo 5, nonché i decreti 25 febbraio
1984 del Ministero della Sanità e 170/86 del Ministero del lavoro, che ne sono
attuazione), le quali, pur non contenendo questo espresso riferimento
limitativo, formano, con le precedenti, un'unitaria disciplina.
In tal modo, questa disciplina (della quale una parte della dottrina ha
sottolineato l'asimmetria, determinata dal fatto che regola solo una delle cause
di infermità) non è direttamente applicabile nell'ipotesi in cui l'assenza del
lavoratore sia causata da infortunio sul lavoro (di questa interpretazione
limitativa, tuttavia, una parte della dottrina dubita, ritenendo che, per la
genericità e l'ampiezza della locuzione normativa e per la loro generale
finalità, l'articolo 5 commi 12, 12bis e 14 dell'indicato decreto legge ed i
conseguenti decreti ministeriali disciplinano anche i controlli delle assenze
per infortunio sul lavoro). In questi limiti, ed in applicazione dell'articolo
384 secondo comma Cpc, la motivazione della sentenza impugnata deve essere
corretta, nella conferma della decisione, che è conforme al diritto.
4. Questo collegio, consapevole del diverso pensiero attentamente espresso da
Cassazione 5414/88, ritiene tuttavia che l'obbligo di disponibilità del
lavoratore assente per infortunio sul lavoro, pur non direttamente disciplinato
dalle fasce orarie previste dall'indicata normativa, è legittimamente
regolabile dal contratto collettivo (la legittimità di un'eventuale norma
collettiva che abbia questo contenuto è condivisa da Cassazione 1247/02).
5. Ciò discende in primo luogo dall'oggetto di quest'obbligo. Per tale oggetto,
le fasce orarie disciplinate dalle disposizioni precedentemente indicate (ed
ogni altra, pur disciplinata da norma collettiva) non rientrano nello spazio
della riserva di legge, costituzionalmente garantita.
Ed invero, questa riserva attiene all'accertamento in sé, come attività
dell'organo che ha la relativa funzione; la sua ragione normativa è la natura
“invasiva” dell'accertamento, nei confronti della sfera del singolo: la
positiva penetrazione in uno spazio (l'infermità, nonché il corpo e la mente,
che ne sono sede), il quale, riguardando, come sofferta intimità, la dignità
dell'individuo (anche nei suoi potenziali riflessi familiari, professionali e
sociali), esige adeguata corrispondente riservatezza. Ed è ben evidente (come
ragione della riserva) la necessità che questa penetrazione sia regolata da una
norma di legge: adeguata attuazione della riserva e della relativa ragione, la
legge ha poi assegnato la gestione dell'accertamento ad un istituto pubblico, al
fine di garantire la necessità e le modalità.
La disponibilità nelle fasce orarie previste per la visita di controllo ha un
diverso più limitato oggetto: il comportamento del lavoratore (rendersi
reperibile in particolari limitati spazi della giornata, per consentire la
visita), quale fatto propedeutico, necessario per l'accertamento.
Il controllo è un fatto attivo (del terzo) nei confronti del singolo; la
reperibilità è un fatto passivo (del singolo) nei confronti del controllo.
In tal modo, nei confronti d'una norma collettiva, che disciplini attraverso
fasce orarie la disponibilità del lavoratore al controllo di infermità causate
da infortuni sul lavoro, la preclusione ex articolo 14 terzo comma della
Costituzione (ravvisata da Cassazione 5414/98), investendo un oggetto diverso
dalla disponibilità, non sussiste.
6. Da altra angolazione, è poi da osservare che la disciplina
delle fasce orarie non solo non rientra nell'indicata preclusione, bensì è
fondata su una doverosa disponibilità del lavoratore al controllo dell'infermità.
Ed invero, questo controllo è un diritto del datore, previsto dall'articolo 5
secondo comma della legge 300/70; e questi, creditore della prestazione, ha
indubbio interesse ad accertare non solo la giustificazione della temporanea
sospensione dell'adempimento addotta dal lavoratore, bensì la situazione
patologica del lavoratore stesso, quale potenziale fattore d'una propria
responsabilità. A tale diritto corrisponde il simmetrico obbligo del lavoratore
(unico strumento di attuazione di quel diritto).
E, in assenza d'un termine, l'adempimento di questo obbligo sarebbe
immediatamente esigibile (articolo 1183 primo comma Cc). Temporale delimitazione
dell'obbligo, le fasce orarie costituiscono, come anche la dottrina ha
osservato, una prescrizione a favore del lavoratore (è da aggiungere che le
sanzioni previste per l'inadempimento hanno la loro giustificazione – quale
simmetrico compenso – anche in questa favorevole delimitazione).
7. Da più generale angolazione, quest'obbligo di reperibilità
è poi parte del più generale obbligo di correttezza e buona fede, immanente a
tutto lo svolgimento del rapporto obbligatorio (come, ad esempio, per gli
articoli 1175, 1358, 1366, 1375 Cc).
Interpretando questa clausola generale (obbligo di correttezza e buona fede),
dottrina e giurisprudenza hanno individuato comportamenti che, pur non
rientrando in specifici e contingenti obblighi contrattuali ed
extracontrattuali, sono dovuti dalla parte del negozio, in quanto costituiscono,
senza il compimento di apprezzabili sacrifici (Cassazione 2503/91) od attività
eccezionali (Cassazione 8014/97), un dovere di lealtà (ex plurimis, Cassazione
6908/98) e di cooperazione ai fini dell'attuazione del diritto della controparte
(sull'obbligo di collaborazione, quale specificazione dell'obbligo di
correttezza, ex plurimis, Cassazione 12405/00, 1351/98, 1123/97, 3195/87).
In questo quadro è da collocare anche la disponibilità che, pur non
espressamente prevista da una specifica disposizione di legge, il lavoratore
deve offrire per consentire l'attuazione del diritto, del datore, di ottenere
(attraverso l'intervento degli istituti previdenziali) il controllo
dell'infermità causata da infortunio sul lavoro.
E, poiché l'unico necessario strumento per attuare il diritto della controparte
è questa disponibilità (in assenza della quale questo sarebbe ipotizzabile),
il relativo obbligo assume una consistenza più intensa della mera
collaborazione.
8. Da più in generale angolazione, poiché il contenuto degli obblighi di
correttezza e buona fede (ex articoli 1175 e 1375 Cc) è deducibile (come per
ogni clausola generale) anche "dal comune sentire in un dato momento
storico" (Cassazione 6908/98), non è dubbio che nell'attuale coscienza
generale è inscritta, con il dovere a tutti comune di lavorare (e l'articolo 4,
secondo comma della Costituzione, con la sua natura programmatica, è idonea
espressione di questa coscienza) e, specificamente, con il biasimo per
ingiustificate assenze del lavoratore che pretestuosamente lamenti qualche
infermità, anche il suo dovere di offrire una leale disponibilità per il
relativo accertamento.
E la norma collettiva che disciplina questa disponibilità, limitando il
generale ed indefinito obbligo entro ristretti limiti temporali (dovere che
Corte costituzionale 78/1988 ritiene attuabile "con un minimo di diligenza
e di disponibilità, atteso l'ambito molto limitato delle fasce orarie di
reperibilità, per cui non risulta nemmeno gravoso o vessatorio"), è una
legittima specificazione nell'interesse dello stesso lavoratore.
9. Il ricorso deve essere respinto. Per motivi di equità, le spese del giudizio
di legittimità devono essere compensate.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte respinge il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.