Cassazione Sezione Lavoro n. 17208 del 4 dicembre 2002


NEL GIUDIZIO SULL’ESISTENZA DI UNA GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO SI DEVE TENER CONTO ANCHE DEL “DISVALORE AMBIENTALE” CHE PUO’ ASSUMERE LA CONDOTTA DEL DIPENDENTE –
In quanto modello diseducativo o comunque disincentivante (

Giampiero S. dipendente dell’Enichem s.p.a. con qualifica di quadro e mansioni di responsabile amministrativo di uno stabilimento è stato licenziato per giusta causa con l’addebito di avere effettuato due prelievi dalla piccola cassa a lui affidata, rispettivamente di lire 1.200.000 e lire 500.000, in assenza di un giustificativo di spesa, omettendo, poi di restituirli. Egli ha impugnato il licenziamento davanti al Pretore di Nuoro sostenendo, tra l’altro, l’eccessività della sanzione, anche perché, a differenza di quanto avveniva di solito egli non era stato invitato a regolarizzare la pendenza prima della contestazione disciplinare. Sia il Pretore che, in grado di appello, il Tribunale di Nuoro hanno ritenuto legittimo il licenziamento.

Il Tribunale ha tra l’altro rilevato che la posizione del ricorrente all’interno dell’azienda e l’intensità dell’elemento psicologico caratterizzante il suo comportamento aveva reso particolarmente gravi le infrazioni addebitate non consentendo la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro, stante l’irrimediabile compromissione dell’elemento fiduciario. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza del Tribunale di Nuoro per violazione di legge e difetti di motivazione.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 17208 del 4 dicembre 2002, Pres. Dell’Anno, Rel. Foglia) ha rigettato il ricorso in quanto ha ritenuto che il Tribunale abbia adeguatamente motivato la sua decisione. La sentenza del Tribunale di Nuoro – ha osservato la Corte – è esente da censure dal momento che essa, lungi dall’esprimere un giudizio perentorio, meccanicisticamente costruito, di legittimità del licenziamento ha preso in considerazione, con completezza di indagine, gli aspetti oggettivi e soggettivi del comportamento posto in essere dal ricorrente, sia prima che dopo l’accertamento dell’addebito, opportunamente valutando primariamente la posizione apicale e di responsabilità rivestita dallo stesso all’interno dello stabilimento, piuttosto che il valore economico – di per sé certamente modesto – dell’operazione censurata.

La sentenza impugnata – ha aggiunto la Corte – ha altresì correttamente ed adeguatamente preso in considerazione un elemento talora trascurato dalla giurisprudenza, e in parte anche dalla dottrina, in materia di illeciti disciplinari: ed infatti, al di là dei referenti tradizionali, costituiti dai connotati soggettivi ed oggettivi della condotta, parimetrati agli obblighi contrattuali di diligenza e di fedeltà assunti dal lavoratore subordinato nei confronti del datore di lavoro (artt. 2104 e 2105 cod. civ.) e generalmente ricondotti al concetto di “crisi del rapporto fiduciario”, può assumere rilievo anche un altro elemento che è quello costituito dal disvalore “ambientale” che può assumere la condotta del dipendente, anche per la sua specifica posizione professionale e di responsabilità nel servizio svolto, in quanto modello diseducativo o comunque disincentivante nei confronti degli altri dipendenti della compagine aziendale, specialmente se a lui sottoordinati.