Il fenomeno migratorio: uno "specchio" e una "calamita"
Presidenza Diocesana di AC

Come osservano vari studiosi, l'immigrazione in Italia svolge funzioni di specchio, in quanto attraverso tale fenomeno possono essere letti cambiamenti, dinamiche e problemi aperti della società di accoglienza, ma anche di calamita, perché attira su di sé la responsabilità di molti mali della difficile convivenza specialmente nelle città metropolitane.

Verità e bugie sulla presenza immigrata. Circa le reali dimensioni quantitative del fenomeno si registra, non di rado, una percezione fuorviante, a determinare la quale contribuiscono talvolta gli stessi mezzi d'informazione. L'italiano medio sembra indotto a credere a una sorta d'invasione del nostro paese, quando, in realtà, la presenza degli immigrati si attesta su percentuali ancora lontane da quelle di altre nazioni occidentali (2,5% della popolazione contro il 10% circa di Germania e Francia).

Dunque, la sindrome da invasione è da considerarsi ingiustificata. Piuttosto, va messo l'accento sulla tendenza degli immigrati a concentrarsi, da noi, in alcune zone (grandi città, specifiche aree provinciali, singoli quartieri), la qual cosa rende il fenomeno più visibile e dirompente. Se questo è vero, risulta però doveroso sottolineare, sempre con riferimento al nostro contesto nazionale, i considerevoli (e positivi) cambiamenti in atto fra gli extra-comunitari. Ci riferiamo, ad esempio: al largo inserimento nel mondo del lavoro, con conseguente maggiore stabilità occupazionale; ai sempre più frequenti ricongiungimenti familiari; alla crescente quota di minori, fra i quali molti nati in Italia; al consistente numero di soggiornanti regolari, con anzianità superiore ai cinque anni.

Occorre poi prendere atto che anche da noi sussiste un fabbisogno strutturale di manodopera d'importazione, legato, da una parte, a una domanda di lavoro fluttuante, instabile o stagionale (agricoltura, edilizia, industria alberghiera), dall'altro, a una richiesta di occupazione permanente e integrata, soprattutto nelle fabbriche dei sistemi a industrializzazione diffusa e nel basso terziario urbano (collaboratrici domestiche, imprese di pulizia ecc.). Sotto il profilo della produzione di beni e servizi, gli immigrati costituiscono, pertanto, una risorsa preziosa per la nostra società. Ciò vale anche sui versanti demografico e previdenziale, dal momento che contribuiscono a frenare la pericolosa curva della denatalità e a rinsanguare le casse della pubblica previdenza.

Naturalmente, l'affinamento del processo d'inserimento di coloro che provengono dai paesi del Sud del mondo e dell'Est europeo presenta numerosi problemi, sotto gli occhi di tutti. Si affacciano bisogni impellenti di stabilizzazione abitativa, di mobilità e crescita professionale, di (ri)socializzazione lavorativa e di formazione in genere.

Paure e pregiudizi. In particolar modo nelle grandi città si registrano timori e preoccupazioni connessi al fenomeno migratorio. Rispetto a simili stati d'animo, occorrono analisi lucide, distinzioni precise, fuori da emotività e preconcetti. Va innanzitutto smentita, perché non suffragata da dati oggettivi, l'identificazione fra immigrato e delinquente. Di fronte a reati che vedono coinvolti extra-comunitari, è necessario distinguere sempre fra organizzazioni criminali, operanti nei campi della droga, della prostituzione, del contrabbando, del traffico dei clandestini, e microcriminalità di singoli sbandati o comunque male inseriti nel contesto di approdo, vittime, non di rado, delle organizzazioni stesse. I due volti della devianza esigono, evidentemente, approcci e interventi diversificati, nel quadro di una ferma applicazione della normativa vigente in materia. Se nei riguardi della criminalità organizzata l'azione repressiva, con le drastiche misure di lotta e di contrasto articolate anche su scala internazionale, resta scelta obbligata e, in un certo senso, esclusiva, nei confronti della microcriminalità le pur indispensabili operazioni di polizia, a tutela della legge e della sicurezza dei cittadini, appaiono insufficienti qualora non siano precedute e accompagnate da valide politiche di accoglienza e d'integrazione.

Un dato merita di essere ribadito: sull'immigrato si scaricano una serie di paure e di tensioni tipiche della complessa vita cittadina. Bisogna però evitare che la paura si trasformi in una rigida chiusura, diventi pregiudizio e ricerca di capri espiatori. Le più ricorrenti rappresentazioni sociali del fenomeno, di solito propense ad accentuarne gli aspetti negativi, unitamente alle sue letture strumentali per convenienze partitico-ideologiche, agiscono da freno in ordine allo sviluppo di valide politiche di accoglienza e d'integrazione. Queste, per essere tali, dovrebbero mirare non tanto a proteggere la popolazione locale dagli esclusi (gli immigrati, appunto) quanto piuttosto a favorire la protezione degli esclusi con i loro inalienabili diritti di cittadinanza.

Percorsi d'integrazione e rispetto delle regole. In termini sintetici, possiamo dire che la nostra società deve evitare di chiudersi nel circolo vizioso per cui gli immigrati sono richiesti, da un mercato del lavoro sempre più bisognoso della loro manodopera, ma non benvenuti, in quanto percepiti come fonte di problemi, costo sociale e generatori di competitività con le esigenze della popolazione locale. Diventa pertanto necessario ridurre, con sempre più accorti interventi socio-legislativi, la distanza fra chi beneficia del lavoro degli stranieri, ottenendone vantaggi (sul piano della produzione di beni e servizi) e chi ne paga i costi e i disagi (soprattutto nelle città).

Le imprese e i soggetti economici (eccettuati casi lodevoli) tendono a scaricare sulle istituzioni il compito dell'integrazione degli immigrati fuori dal contesto di lavoro. Si crea così un circolo vizioso, che rischia di frenare l'opera integrativa delle istituzioni pubbliche, le quali, oltre alle proprie inefficienze e omissioni, devono sempre fare i conti con un'opinione pubblica iper-suscettibile in materia. Di conseguenza, le politiche locali per l'immigrazione oscillano, frequentemente, fra emergenza e invisibilità: si cerca, cioè, di limitare gli interventi o di mantenerli con un profilo basso, mimetizzandoli entro politiche di carattere generale, rivolte quindi all'intera collettività. Politica della casa e iniziative nel campo della formazione, specialmente professionale, costituiscono, oggi, due scelte prioritarie che, in un'ottica promozionale, possono delineare percorsi virtuosi per il complesso itinerario di stabilizzazione e d'integrazione degli immigrati nel nostro paese.

Va da sé che il nostro Stato se, da un lato, deve garantire a ogni immigrato regolare i fondamentali diritti civili (compresa, quindi, la libertà di culto, sulle cui modalità di esercizio, specialmente nel caso dell'islam, sono -come sappiamo- sempre alte le tensioni e le polemiche), da un altro lato, e in una logica di reciprocità, deve esigere dagli ospiti stranieri il rispetto delle regole democratiche e dei valori costituzionali a fondamento della comune convivenza. La "convivialità delle differenze", di cui ha parlato di recente il card. Martini, costituisce una mèta ambiziosa, difficile, ma meritevole di essere perseguita con coraggio e lealtà, come testimoniano molte e significative esperienze del volontariato. D'altra parte, la transizione verso una società sempre più multietnica si propone come percorso obbligato, che va però sostenuto da attento discernimento, spirito di responsabilità, impegno a sottrarre il dibattito in materia ad ogni passionalità emotiva.

Invito agli operatori della comunicazione. Chi opera nel mondo dei media, soprattutto giornalisti della carta stampata e della radio-televisione, ha grande responsabilità circa la presentazione del fenomeno migratorio nel nostro paese. L'invito è a raccontarne anche le facce positive: i percorsi d'integrazione, l'inserimento lavorativo, le attività imprenditoriali avviate, le esperienze scolastiche, i ricongiungimenti familiari riusciti. Purtroppo, sulle prime pagine finisce sempre (o quasi) l'immigrato che delinque. Non si chiede certo di chiudere gli occhi verso i molti e sovente inquietanti reati, a seguito dei quali, anche negli ultimi giorni dell'anno, sono rimaste coinvolte giovani vittime innocenti. Ci piacerebbe però, nello stesso tempo, registrare più attenzione per i processi d'integrazione silenziosa, ma reale.

Diciamo questo proprio per la consapevolezza del fondamentale ruolo dei media nel determinare presso l'opinione pubblica rappresentazione e percezione di un fenomeno complesso come l'immigrazione. Siamo convinti che un'informazione puntuale, serena e aperta possa fare molto bene non solo alla causa degli immigrati che arrivano nelle nostre città, ma anche alla stessa nostra gente, sollecitandola ad atteggiamenti di solidale accoglienza e condivisione.
Milano, gennaio 2001
La Presidenza diocesana dell'Azione Cattolica di Milano