L'ULTIMO VIAGGIO

V

 

IL REMO CONFITTO

 

E per nove anni al focolar sedeva,

di sua casa, l'Eroe navigatore:

ché più non gli era alcuno error marino

dal fato ingiunto e alcuno error terrestre.

Sì, la vecchiaia gli ammollia le membra

a poco a poco. Ora dovea la morte

fuori del mare giungergli, soave,

molto soave, e né coi dolci strali

dovea ferirlo, ma fiatar leggiera

sopra la face cui già l'uragano

frustò, ma fece divampar più forte.

E i popoli felici erano intorno,

che il figlio, nato lungi alle battaglie,

savio reggeva in abbondevol pace.

Crescean nel chiuso del fedel porcaio

floridi i verri dalle bianche zanne,

e nei ristretti pascoli più tanti

erano i bovi dalle larghe fronti,

e tante più dal Nerito le capre

pendean strappando irsuti pruni e stipe,

e molto sotto il tetto alto giaceva

oro, bronzo, olezzante olio d'oliva.

Ma raro nella casa era il convito,

né più sonava l'ilare tumulto

per il grande atrio umbratile; ché il vecchio

più non bramava terghi di giovenco,

né coscie gonfie d'adipe, di verro;

amava, invano, la fioril vivanda,

il dolce loto, cui chi mangia, è pago,

né altro chiede che brucar del loto.

Così le soglie dell'eccelsa casa

or d'Odissèo dimenticò l'aedo

dai molti canti, e il lacero pitocco,

che l'un corrompe e l'altro orna il convito.

E il Laertiade ora vivea solingo

fuori del mare, come il vecchio remo

scabro di salsa gromma, che piantato

lungi avea dalle salse aure nel suolo,

e strettolo, ala, tra le glebe gravi.

E il grigio capo dell'Eroe tremava,

avanti al mormorare della fiamma,

come là, nella valle solitaria,

quel remo al soffio della tramontana.  

L'ULTIMO VIAGGIO 6-IL FUSO AL FUOCO