L'ULTIMO VIAGGIO

II

 

L'ALA

 

E rispose l'Eroe molto vissuto:

Tutto ti narro senza giri il vero.

Sono, a voi sconosciuti, uomini, anch'essi

mortali sì, ma, come dei, celesti,

che non coi piedi, come i lenti bovi,

vanno, e con la vicenda dei ginocchi,

ma con la spinta delle aeree braccia,

come gli uccelli, ed hanno il color d'aria

sotto sé, vasto. Io vidi viaggiando

sbocciar le stelle fuor del cielo infranto,

sotto questi occhi, e il guidator del Carro

venir con me fischiando ai buoi lontano,

e l'auree rote lievi sbalzar sulla

tremola ghiaia della strada azzurra.

Né sempre l'ali noi tra cielo e cielo

battiamo: spesso noi prendiamo il vento:

a mezzo un ringhio acuto, per le froge

larghe prendiamo il vano vento folle,

che ci conduca, e con la forte mano

le briglie io reggo per frenarlo al passo.

Ma un dio ce n'odia, come voi la terra

odia, che voi sostenta sì, ma spezza.

Ch'ha tutto un fine. Or tu fa che un torello

dal re mi venga, ed un agnello e un verro;

che qui ne onori quell'ignoto iddio.

E l'altro ancora rispondea stupito:

L'ignoto è grande, e grande più, se dio.

Or vieni al re, che raddolcito ha il cuore

oggi, che il grano gli avanzò le corbe.

Così l'eroe divino in una forra

selvosa il remo suo piantò, la lieve

ala incrostata dalla salsa gromma.

Al dio sdegnato per il suo Ciclope,

egli uccise un torello ed un agnello

e terzo un verro montator di scrofe;

e poi discese, e insieme a lui più lune

vennero, e l'una dopo l'altra ognuna

sé, girando tra roccie aspre, consunse.

L'ultima, piena tremolò sul mare

riscintillante, e su la bianca sabbia,

piccola e nera gli mostrò la nave,

e i suoi compagni, ch'attendean guardando

a monte, muti. Ed ei salpò. Sbalzare

vide ancora le rote auree del Carro

sopra le ghiaie dell'azzurra strada:

rivide il fumo salir su, rivide

Itaca scabra, e la sua grande casa.

Dove il timone al focolar sospese.

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