LA CETRA D'ACHILLE

 

 

I

I re, le genti degli Achei vestiti

di bronzo, tutti, sì, dormian domati

dal molle sonno, e i lor cavalli sciolti

dai giogo, avvinti con le briglie ai carri,

pascean, soffiando, il bianco orzo e la spelta.

Dormivano i custodi anche de' fuochi,

abbandonato il capo sugli scudi

lustri, rotondi, presso i fuochi accesi,

al cui guizzare balenava il rame

dell'armi, come nuvolaglia a notte,

prima d'un nembo: Domator di tutto

teneva il sonno i Panachei chiomanti,

mirabilmente, nella notte ch'era

l'ultima notte del Pelide Achille;

e in cuore ognuno lo sapea, nel cielo

e nella terra, e tutti ora sbuffando:

dalle narici il rauco sonno, in sogno

lo vedean fare un grande arco cadendo,

e sollevare un vortice di fumo;

ma in sogno senza altro fragor cadeva,

simile ad ombra; e senza suono, a un tratto,

i cavalli e gli eroi misero un ringhio

acuto, i carri scosser via gli aurighi,

mentre laggiù, sotto Ilio, alta e feroce

la bronzea voce si frangea, d'Achille.

 

II

Dormian, sì, tutti; e tra il lor muto sonno

giungeva un vasto singhiozzar dal mare.

Piangean le figlie del verace Mare,

nel nero Ponto, l'ancor vivo Achille,

lontane, ch'egli non ne udisse il pianto.

Ed altre, sì, con improvviso scroscio

ululando montavano alla spiaggia,

per dirgli il fato o trarlo a sé; ma in vano:

fuggian con grida e gemiti e singhiozzi

lasciando le lor bianche orme di schiuma.

Ma non le udiva, benché desto, Achille,

desto sol esso; ch'egli empiva intanto

a sé l'orecchio con la cetra arguta,

dedalea cetra, scelta dalle prede

di Thebe sacra ch'egli avea distrutta.

Or, pieno il cuore di quei chiari squilli,

non udiva su lui piangere il mare,

e non udiva il suo vocale Xantho

parlar com'uomo all'inclito fratello,

Folgore, che gli rispondea nitrendo.

L'eroe cantava i morti eroi, cantava

sé, su la cetra già da lui predata.

Avea la spoglia, su le membra ignude,

d'un lion rosso già da lui raggiunto,

irsuta, lunga sino ai pie' veloci.

 

III

Così le glorie degli eroi consunti

dal rogo, e sé con lor cantava Achille,

desto sol esso degli Achei chiomanti:

ecco, avanti gli stette uno, canuto,

simile in vista a vecchio dio ramingo.

E gli fu presso e gli baciò le mani

terribili. Sbalzò attonito Achille

su, dal suo seggio, e il morto lion rosso

gli raspò con le curve unghie i garretti.

E gli volgeva le parole alate:

Vecchio, chi sei? donde venuto? Sembri,

sì, nell'aspetto Primo re, ma regio

non è il mantello che ti para il vento.

Chi ti fu guida nella notte oscura?

Parla, e per filo il tutto narra, o vecchio.

E gli parlava rispondendo il vecchio:

No, non ti sono io re, splendido Achille;

un dio felice non mi fu l'auriga:

io da me venni. Tutti, anche i custodi

dormono presso il crepitar dei fuochi.

Tu solo vegli; e non udii, venendo,

ch'esili stridi dagli eroi sopiti,

e che un sommesso brulichio dai morti.

E nella sacra notte a me fu guida

un suono, il suono d'una cetra, Achille.

 

IV

Lo guardò scuro e gli rispose Achille:

Tu non m'hai detto il caro nome, e donde

vieni e perché. Non forse tu notturno

vieni, alle navi degli Achei ricurve,

per dono grande, ad esplorare, o vecchio?

E gli parlava rispondendo il vecchio:

Io sono aedo, o pieveloce Achille,

caro ai guerrieri, non guerriero io stesso.

Io nacqui sotto la selvosa Placo,

in Thebe sacra, già da te distrutta.

Da te non vengo a librerarmi un figlio

cui lecchi il sangue un vigile tuo cane;

il figlio, no; recando qui sul forte

plaustro mulare tripodi e lebeti

e pepli e manti e molto oro nell'arca.

Non a me copia, non a te n'è d'uopo;

ché tu sei già del tuo destino, e tutti

lo sanno, il cielo, l'infinito mare,

la nera terra, e lo sai tu ch'hai dato

ai cari amici le tue prede e i doni

splendidi; ansati tripodi, cavalli,

muli, lustranti buoi, donne ben cinte,

e grigio ferro, e reso Ettore al padre

e la tua vita al suo dovere... Oh! rendi

dunque all'aedo la sua cetra, Achille!

 

V

Disse, e sporgea la mano alla sua cetra

bella, dedalea, ma l'argenteo giogo

era dai peli del lion coperto.

E il cuor d'Achille, mareggiava, come

il mare in dubbio di spezzar la nave,

piccola, curva. E poi parlava, e disse:

TE'; riporgendo al pio cantor 'la cetra;

non sì che, urtando nel pulito seggio,

non mettesse, tremando, ella uno squillo.

Poi tacque, in mano dell'aedo, anch'ella.

Allora, stando, il pari a un dio Pelide

udì ringhiare i suoi grandi cavalli,

intese Xantho favellar com'uomo,

e parlar della sua morte al fratello,

Folgor, che gli rispondea nitrendo.

Allora udì su lui piangere il mare,

piangere le figlie del verace Mare,

lui, così bello, lui così nel fiore;

e molte con un improvviso scroscio

venir per trarlo via con sé; ma in vano.

E vide nella sacra notte il fato

suo, che aspettava alle Sinistre Porte,

come l'auriga asceso già sul carro,

la sferza in pugno, che all'eroe si volge,

sopragiungente nel fulgor dell'armi.

 

VI

E il vecchio disse le parole alate:

Lascia ch'io vada senz'indugio, e porti

- meco la cetra, che non forse il cuore

nero t'inviti a piangere, su questa

cetra di glorie, l'ancor vivo Achille.

Lascia che pianga e mare e terra e cielo;

tu no. Non devi inebbriar di canto

tu, divo Achille, l'animo sereno

che sa, non devi a te celare il fato,

non che ti volle ma che tu volesti.

Restaci grande, o Peleiade Achille!

Noi, canteremo. Noi di te diremo

che, sì, piangevi, ma lontano e solo,

e che dicevi il tuo dolore all'onde

del mare ed alle nuvole del cielo.

E noi diremo che una dea non vista

a frenar la tua fosca ira veniva,

e ti prendea per la criniera rossa,

rossa criniera che così sconvolta

poi ti lisciava un'altra dea non vista,

nel tuo dolore; e che obbedivi a voci

dell'infinito o cielo o mare: avanti,

spingendo con un grande urlo d'auriga

verso la morte l'immortal tuo Xantho.

Disse e disparve nell'ambrosia notte.

 

VII

E stette Achille ad ascoltare i ringhi

de' suoi cavalli, e più lontano il pianto

delle Nereidi, e dentro i lor singhiozzi

sentì più trista, sì ma più sommessa,

la voce della sua cerulea madre.

Anche sentì tra il sonno alto del campo

passar con chiaro tintinnìo la cetra,

di cui tentava il pio cantor le corde;

mentre i cavalli sospendean, fremendo,

di dirompere il bianco orzo e la spelta.

Passava il canto tra la morte e il sogno:

qualche avvoltoio, sorto su dai morti,

gli eroi viventi ventilava in fronte.

Lontanò ella sotto il cielo azzurro,

e poi vanì. Né più la intese Achille.

Né gli restava, oltre i cavalli e il carro

da guerra e le stellanti armi, più nulla,

se non montare sopra i due cavalli,

fulgido, in armi, come Sole, andando

al suo tramonto. Quando udì vicino

un singulto: Briseide su la soglia

stava, e piangeva, la sua dolce schiava.

Ed egli allora si corcò tenendo

lei tra le braccia, con su lor la pelle

del lion rosso; ed aspettò l'aurora.