Myricae
Giovanni Pascoli

 

CAMPANE A SERA


Odi, sorella, come note al core
quelle nel vespro tinnule campane
empiono l'aria quasi di sonore
grida lontane ?

A quel tumulto aereo risponde
dal cuore un fioco scampańo, ś lieve,
come stormeggi, dietro macchie fonde,
candida pieve.

Forse una pieve ne' cilestri monti
la sagra annunzia ad ogni casolare,
onde si fece a' placidi tramonti
lungo parlare;

ed or, sospeso il ticchettio dell'ago,
guardano donne verso la marina,
seguendo un fiocco di bambagia, vago,
che vi s'ostina.

Grandi occhi, sotto grandi archi di ciglia,
guardano il cielo, empiendosi di raggi,
là dove l'aria allumina vermiglia
boschi di faggi.

Voci soavi, voi tinnite a festa
da coś strana e cupa lontananza,
che là si trova il desiderio, e resta
qua la speranza.

Io mi rivedo in un branchetto arguto
di biondi eguali su per l'Appennino
opaco d'elci: o snelle, vi saluto,
torri d'Urbino!

Vi riconosco, o due sottili torri,
vi riconosco, o memori Cesane
folte di lazzi cornïoli i borri
e d'avellane.

Vaga lo stuolo delle rosee bocche
pe' clivi, e sparge nella via maestra
messe di fiordalisi e l'auree ciocche
della ginestra.

Nella via bianca il novo drappo svaria
coi rosolacci e le sottili felci;
e par che attenda, nella solitaria
ombra dell'elci;

pare che attenda nella via tranquilla,
sotto quest'ampio palpito sonoro,
uno dai neri monti su cui brilla
porpora e oro.


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