Myricae
Giovanni Pascoli


L'ULTIMA PASSEGGIATA



I
ARANO

Al campo, dove roggio nel filare
qualche pampano brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,

arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra pazïente;

ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s'ode
il suo sottil tintinno come d'oro.


II
DI LASSÙ

La lodola perduta nell'aurora
si spazia, e di lassù canta alla villa,
che un fil di fumo qua e là vapora;

di lassù largamente bruni farsi
i solchi mira quella sua pupilla
lontana, e i bianchi bovi a coppie sparsi.

Qualche zolla nel campo umido e nero
luccica al sole, netta come specchio:
fa il villano mannelle in suo pensiero,
e il canto del cuculo ha nell'orecchio.


III
GALLINE

Al cader delle foglie, alla massaia
non piange il vecchio cor, come a noi grami:
che d'arguti galletti ha piena l'aia;

e spessi nella pace del mattino
delle utili galline ode i richiami:
zeppo, il granaio; il vin canta nel tino.

Cantano a sera intorno a lei stornelli
le fiorenti ragazze occhi pensosi,
mentre il granturco sfogliano, e i monelli
ruzzano nei cartocci strepitosi.

IV
LAVANDARE

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l'aratro in mezzo alla maggese.


V
I DUE BIMBI

I due bimbi si rizzano: uno, a stento,
indolenzito; grave, l'altro: il primo
alza il corbello con un gesto lento;

e in quel dell'altro fa cader, bel bello,
il suo tesoro d'accattato fimo:
e quello va più carico e più snello.

Il vinto siede, prova un'altra volta
coi noccioli, li sperpera, li aduna,
e dice (forse al grande olmo che ascolta?):
E poi si dica che non ha fortuna!


VI
LA VIA FERRATA

Tra gli argini su cui mucche tranquilla-
mente pascono, bruna si difila
la via ferrata che lontano brilla;

e nel cielo di perla dritti, uguali,
con loro trama delle aeree fila
digradano in fuggente ordine i pali.

Qual di gemiti e d'ululi rombando
cresce e dilegua femminil lamento?
I fili di metallo a quando a quando
squillano, immensa arpa sonora, al vento.

 


VII
FESTA LONTANA

Un piccolo infinito scampando
ne ronza e vibra, come d'una festa
assai lontana, dietro un vel d'oblio.

Là, quando ondando vanno le campane,
scoprono i vecchi per la via la testa
bianca, e lo sguardo al suoi fisso rimane.

Ma tondi gli occhi sgranano i bimbetti,
cui trema intorno il loro ciel sereno.
Strillano al crepitar de' mortaretti.
Mamma li stringe all'odorato seno.

VIII
QUEL GIORNO

Dopo rissosi cinguettìi nell'aria,
le rondini lasciato hanno i veroni
della Cura fra gli olmi solitaria.

Quanti quel roseo campanil bisbigli
udì, quel giorno, o strilli di rondoni
impazïenti a gl'inquïeti figli!

Or nel silenzio del meriggio urtare
là dentro odo una seggiola, una gonna
frusciar d'un tratto: alla finestra appare
curïoso un gentil viso di donna.

IX
MEZZOGIORNO

L'osteria della Pergola è in faccende:
piena è di grida, di brusio, di sordi
tonfi; il camin fumante a tratti splende.

Sulla soglia, tra il nembo degli odori
pingui, un mendico brontola: Altri tordi
c'era una volta, e altri cacciatori.

Dice, e il cor s'è beato. Mezzogiorno
dal villaggio a rintocchi lenti squilla;
e dai remoti campanili intorno
un'ondata di riso empie la villa.

X
GIA' DALLA MATTINA

Acqua, rimbomba; dondola, cassetta;
gira, coperchio, intorno la bronzina;
versa, tramoggia, il gran dalla bocchetta;

spolvero, svola. Nero da una fratta
l'asino attende già dalla mattina
presso la risonante cateratta.

Le orecchie scrolla e volgesi a guardare
ché tardi, tra finire, andar bel bello,
intridere, spianare ed infornare,
sul desco fumerai, pan di cruschello.

XI
CARRETTIERE

O carrettiere che dai neri monti
vieni tranquillo, e fosti nella notte
sotto ardue rupi, sopra aerei ponti;

che mai diceva il querulo aquilone
che muggia nelle forre e fra le grotte?
Ma tu dormivi sopra il tuo carbone.

A mano a mano lungo lo stradale
venìa fischiando un soffio di procella:
ma tu sognavi ch'era di natale;
udivi i suoni d'una cennamella.

XII
IN CAPANNELLO

Cigola il lungo e tremulo cancello
la via sbarra: ritte allo steccato
cianciano le comari in capannello:

parlan d'uno ch'è un altro scrivo scrivo;
del vin che costa un occhio, e ce n'è stato;
del governo; di questo mal cattivo;

del piccino; del grande ch'è sui venti;
del maiale, che mangia e non ingrassa -
Nero avanti a quelli occhi indifferenti
il traino con fragore di tuon passa.

XIII
IL CANE

Noi mentre il mondo va per la sua strada,
noi ci rodiamo, e in cuor doppio è l'affanno,
e perchè vada, e perchè lento vada.

Tal, quando passa il grave carro avanti
del casolare, che il rozzon normanno
stampa il suolo con zoccoli sonanti,

sbuca il can dalla fratta, come il vento;
lo precorre, rincorre; uggiola, abbaia.
Il carro è dilungato lento lento.
Il cane torna sternutando all'aia.

XIV
O REGINELLA

Non trasandata ti creò per vero
la cara madre: tal, lungo la via,
tela albeggia, onde godi in tuo pensiero:

presso è la festa, e ognuno a te domanda
candidi i lini, poi che in tua balìa
è il cassone odorato di lavanda.

Felici i vecchi tuoi; felici ancora
i tuoi fratelli; e più, quando a te piaccia,
chi sua ti porti nella sua dimora,
o reginella dalle bianche braccia.

XV
TI CHIAMA

Quella sera i tuoi vecchi (odi? ti chiama
la cara madre: al fumo della bruna
pentola, con irrequieta brama,

rissano i bimbi: frena tu, severa,
quinci una mano trepida, quindi una
stridula bocca, e al piccol volgo impera;

sì che in pace, tra un grande acciottolìo,
bruchi la sussurrante famigliola),
quella notte i tuoi vecchi un dolor pio
soffocheranno contro le lenzuola.

XVI
O VANO SOGNO

Al camino, ove scoppia la mortella
tra la stipa, o ch'io sogno, o veglio teco:
mangio teco radicchio e pimpinella.

Al soffiar delle raffiche sonanti,
l'aulente fieno sul forcon m'arreco,
e visito i miei dolci ruminanti:

poi salgo, e teco - O vano sogno! Quando
nella macchia fiorisce il pan porcino,
lo scolaro i suoi divi ozi lasciando
spolvera il badïale calepino:
chioccola il merlo, fischia il beccaccino;
anch'io torno a cantare in mio latino.

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