Caroline Branson

Coi nostri cuori come soli alla deriva, oh se avessimo soltanto passeggiato,
come spesso un tempo, per i campi di aprile finché la luce delle stelle
avvolgeva d’un invisibile velo di seta l’oscurità
sotto la rupe, nostro luogo d’incontri nel bosco,
alla curva del ruscello! Fossimo solo passati dal corteggiamento
simile ad armoniche note di musica, al possesso,
nell’ ispirata improvvisazione dell’amore!
Ma lasciarci alle spalle come un canto concluso
il rapito incanto della carne,
in cui le nostre anime sprofondarono, giù, giù,
dove non c’era né il tempo, né lo spazio, né noi—
annullati nell’amore!
Ma passare da questo alla luce delle lampade d’una stanza:
e restarcene col nostro segreto che schernisce se stesso,
e si nasconde tra fiori e mandolini,
scrutato da tutti fra l’insalata e il caffè.
E vedere lui tremante, e sentire me
presaga, come chi firmi un contratto—
non ardente di doni e pegni accumulati
con rosee mani sulla sua fronte.
E poi, oh notte! senza spontaneità! senza amore!
Tutto il nostro corteggiamento cancellato dal possesso,
in quella stanza in un’ora che tutti sapevano!
L’indomani lui era così assente, quasi freddo,
così stranamente diverso, si chiedeva perché piangessi,
finché non so che nauseata disperazione e voluttuosa follia
ci spinsero al patto mortale.
Uno stelo sulla sfera terrestre,
fragile come luce di stelle;
in attesa d’essere gettato di nuovo
nel flusso della creazione.
Ma la prossima volta venire al mondo
sotto lo sguardo di Raffaello e san Francesco
nel caso passino di lì.
Perché io sono il loro fratellino,
chiaramente riconoscibile a vista
attraverso un ciclo di nascite che verranno.
Si può conoscere il seme e la terra;
si può sentire la pioggia fredda cadere,
ma solo la sfera terrestre, soltanto il cielo
conoscono il segreto del seme
nella camera nuziale sotto terra.
Gettami di nuovo nel flusso,
dammi un’altra possibilità—
salvami, Shelley!