Una breve discussione prima di presentare alcune ricette ebraiche, iniziando dall'esilio del popolo ebraico in seguito alla distruzione del secondo tempio.

Fra le poche e piccole cose che gli ebrei portarono con sé v'era il ricordo di odori e sapori.....e, naturalmente, anche il primo libro di cucina della storia: la Bibbia. Già, perché tra i molti suoi capitoli si trovano regole, istruzioni e consigli che hanno guidato gli ebrei in cucina sino al giorno d'oggi. Si tratta delle regole basilari della Kasherut.

Nell'errare da paese a paese, da un continente all'altro, gli ebrei hanno cercato di far rivivere i sapori della loro patria e non ci sono riusciti a causa della diversità degli ingredienti locali e per certe dinamiche legate all'assimilazione. Avete mai visto due buongustai che si siedono allo stesso tavolo senza scambiarsi ricette? È così che anche i sapori sono diventati "erranti", mentre le ricette girovagavano di tavola in tavola, i piatti locali venivano adattati alla Kasherut e serviti sui deschi delle case ebraiche.

Un esempio ce lo fornisce il pasto dello Shabbat. Come noto, la legge ebraica non consente di accendere il fuoco nel giorno santo. Per questo motivo il pranzo del sabato deve essere cucinato con il metodo che chiameremmo oggi "slow food" (proprio così, la "nuova" moda dello "slow food" in realtà ha 2000 anni!) Dai quattro angoli del mondo, ogni comunità ebraica ha offerto una sua interpretazione di questa legge. Nello Yemen si mangia lo "Jachnun", una pastella alle uova che viene lasciata cuocere durante la notte. Nell'Europa dell'Est si preparava il "Cholent", uno stufato con fagioli, patate, intestini ripieni ecc.... In Nord Africa hanno uno stufato chiamato Hamin, a base di ceci, lenticchie, carne e pesce. E così via a non finire: attraverso i secoli sono cambiate le ricette e sono cambiati i gusti.

ODE AL CUSCUSSU'

Odimi dunque tu,
se vuoi, per tua delizia,
esser un che s'inizia al Cuscussù.
   Esco di buon mattino,
sereno di pensieri,
senza travaglio in cuor per il domani
nè cruccioso di noia
che m'abbia inflitta il dì cupo di ieri;
e vo là dove s'apre, ampio, affollato,
il civico Mercato alla mia gioia.
   Alla vetrina, che racchiuda pronte
copia maggior di nitide civaie,
ecco sosto di fronte;
aguzzo l'occhio, miro, un po' commosso,
ciò che natura dona e l'uom raccoglie,
e scelgo, pria di penetrar le soglie,
un semolino grosso.
   Entro, ne acquisto un chilo e mezzo, ed esco.
Poi torno a casa meditando l'opra.
Vagheggio in fantasia
la pentola c'ha sopra
il suo testo fedele, accendo, mesco,
fo, mentre vo leggero,
tutto ciò che si deve, in mio pensiero.
   Io di terraglia prendo un vaso terso
giù dagli aerei stalli,
e tutto il semolino entro ci verso.
Poscia, ma lento lento,
v'incorporo un bicchier d'acqua serena,
come quei che dimena
sì che la pasta ingrossi e non s'appalli.
   Dentro v'aggiungo d'olio taciturno
mezzo bicchiere, mentre il tempo scorre
tacito anch'esso e la mia donna cara
mi seconda in comporre
il leggiadro lavoro. Ella prepara
la pentola con gli ossi e con gli odori
che devono bollir nell'acqua chiara.
   Di già pormi sentirne la fragranza,
di già vedo nel cuore
la mia donna gentile, che s'avanza
con l'arnese di latta traforata
e la pasta oleata entro v'accoglie.
Indi la dolce moglie
fa che la pasta cuocia nel vapore.
   Con sua grazia donnesca
lo strumento di latta luminosa
al fuoco sulla pentola mi posa,
vi lega attorno un panno ripiegato
in quattro, pio custode
del vapor, che non esca,
poi, sorridendo, cerca la mia lode.
   Sì, ch'io la lodo e ch'io le fo carezze
sulla pentola arguta,
sì, ch'io le dico mia,
mentr'essa, alacre e tenera, m'aiuta.
C'è tanto tempo per la poesia......
Non è cottura breve;
continuar cinque mezz'ore deve.
   Ma non sian troppi i baci;
ch'è d'uopo, d'apprestare con l'amata
copia d'erbe svariata:
cavolo bianco, sedani, spinaci
e carota e lattuga e cavolfiore;
e, se l'april declini,
con piselli e carciofi anche zucchini.


 

 
   Impone la ricetta
che tutto ciò nella minestra io metta.
Ma non basta per me, se pur mi spinge
al cuscussù la nostalgia sognante
di carovane, che procedan lente
per le vie d'Oriente
vagando fra 'l Sinai sacro e la Sfinge.

A me non basta l'Oriente caro,
onde in età lontana
la mia gente migrata è qui in Toscana;
e il comune sapor del Cuscussù
quasi mi sembra amaro,
se non v'aggiungo in più
un aroma gentil ch'io mi preparo.
   Io preparo il diletto rosmarino,
ch'è fiorentino e cresce sul mio colle,
sul mio poggetto; onde sentor d'Etruria
io colga nel sapore dei deserti,
quando con labbri esperti,
inebbriato d'una dolce furia,
degustare potrò l'impasto molle.  Ancora è presto; ancor le mani care
della mia donna debbono levare
dal fuoco il semolino, e nel tegame
di terra, non di rame, ond'era uscito,
rimetterlo di nuovo,
misto a brodo squisito,
stemprandovi due freschi torli d'uovo.
   Maneggia con la mestola, maneggia,
o cara moglie, e il semolino grosso
scioglilo tutto che non faccia grumi;
poi lo rimetti nella cuscussiera,
che per sett'ore cuocia; e verso sera
lo leverai, quando la luce albeggia
dei domestici lumi.
   Ma prima, con le tue mani dilette
devi con ogni cura
approntar le salsicce e le polpette,
mentr'io soffriggo l'erbe profumate
di rosmarino. E quando tal cottura
sia giunta a mezzo, mescoliam con l'erbe
e salsicce e polpette ancora acerbe.
   Si maturano presto al fuoco anch'esse,
come la frutta al sole. E il sole intanto
naviga il cielo e va verso il tramonto.
Un altro giorno della cara vita,
che si dilegua fra l'amore e il canto,
mentre sul nostro fuoco sempre più
carne, erbe, odor si fanno cuscussù.
   E giunge il vespro. Ed ecco fra mezz'ora
imbandiremo il desco. Orsù mettiamo
il semolino, come si conviene,
nel suo tegame; e maneggiando ancora
perchè si sciolga bene.
Attenti, a modo, a modo,
mia cara donna, con un po' di brodo.
   Verso in un piatto fondo il semolino
con l'erbe sopra e odor di rosmarino,
guarnisco le polpette,
di salsicce a tocchetti, di pezzetti
di petto, ch'ho di già lessato a parte;
con spicchi d'uovo sodo
adorno il tutto, con giudizio ed arte.
   Già me lo sento in bocca il saporino.....
Vuoi sentirlo anche tu?
Devi, per tua delizia,
esser un che s'inizia al cuscussù.
(ANGIOLO ORVIETO)