"Se il museo è un luna park”
di Fabio Gambaro
"La deriva
mercantile trasforma l'arte in spettacolo e i musei in luna park".
Per Jean Clair questa è
purtroppo una certezza. Il celebre critico e storico dell'arte lo dice senza giri di parole in un polemico pamphlet appena giunto
nelle librerie francesi, Malaise dans les musées (flammarion,
pagg. 140 euro 12),suscitando accese discussioni dentro e fuori il mondo
dell’arte. A spingerlo a pubblicare quest’atto
d’accusa sulla crisi dei musei è il recente accordo siglato tra Abu Dhabi e il Louvre, il quale, in cambio di 700 milioni di euro, affitterà il suo nome e diverse opere al nuovo
museo dell’emirato. "Questo progetto dissennato è solo la manifestazione
più spettacolare di una trasformazione radicale in corso dappertutto in Europa
in nome della redditività dell’arte”, spiega lo studioso francese che in
passato ha diretto il Museo Picasso di Parigi ed oggi
sta preparando una mostra di Zoran Music a Barcellona
e un’altra dedicata a Balthus in Svizzera. “I musei
stanno diventando cenotafi, involucri vuoti, le cui collezioni
sono in giro per il mondo. Per ora in affitto, ma presto potrebbero anche
essere messe in vendita. Si pensi al Museo Guggenheim
di New York: molte delle sue opere vengono affittate
ad altri musei e a disposizione dei visitatori resta ben poco. Di fronte a
questa situazione che snatura radicalmente il progetto iniziale del museo,
alcuni finanziatori hanno ritirato il loro appoggio”.
D. Eppure in Europa si guarda spesso al modello Guggenheim, come un esempio da seguire...
R. “Perché
piace l’idea che la gestione dell’arte possa diventare redditizia. Ma la gestione contabile applicata agli oggetti culturali
produce una logica che non ha più niente a che vedere con la missione di un
museo, che è quella di arricchire, conservare e trasmettere la memoria
artistica di un paese alle generazioni future”.
D. I
musei però hanno bisogno di fondi...
R. "Naturalmente, ma la strada da seguire non è quella dell’impero Guggheneim, che per altro non è neppure così redditizio come
si crede. La
seconda sede di New York, quella di Soho, è stata
chiusa. E’ fallito anche il progetto di Las Vegas, con il suo museo all’interno
di un casinò, a sua volta al centro di un enorme complesso alberghiero che
riproduce Venezia. Altri progetti sono stati abbandonati o sospesi. Le uniche
sedi esterne che funzionano sono quella di Venezia, che però
ha uno statuto particolare, e quella di Bilbao, ma più per l’edificio disegnato
da Gehry che per le opere esposte. In ogni caso,
prevale sempre la logica dell’evento spettacolare. A Bilbao, il pubblico corre
a vedere un edificio associato a un nome di grido, ma
poi ignora il museo locale dove pure ci sono alcuni magnifici quadri di Rubens,
Rembrandt e Gentileschi”
D. Per
lei, dunque, il Louvre ad Abu
Dhabi, tradisce la sua missione ?
R. "Purtroppo
sì. L’unica finalità è quella del profitto. Il museo diventa una marca di lusso
da cedere in franchising. In nome del denaro, l’arte
è ridotta ad evento per attirare le folle. Ma così i
musei diventano luoghi di divertimento più che di conoscenza. Il successo di
certe mostre si spiega solo così”.
D. In
effetti, il 2007 è stato un anno di affluenze
record...
R. "Non
è questo il modo di democratizzare l’arte, questa è
solo massificazione. Bisognerebbe piuttosto generalizzare la storia dell’arte
nelle scuole, affinché tutti abbiano gli strumenti culturali per comprendere le
opere. Pensare solo a riempire i musei con folle di visitatori non serve a
nulla»
D. Non
teme di essere accusato di difendere una concezione elitaria dell'arte
R. "Non
difendo un diritto di pochi. Dico solo che l’apertura dei musei a tutti
dovrebbe essere accompagnata da una vera politica d’educazione. L’arte
purtroppo domanda uno sforzo. Per comprendere e
apprezzare determinate opere occorra avere un minimo di conoscenze. Invece, si
pensa che il semplice fatto di guardare un quadro consenta uno stato d’estasi,
quasi che si trattasse di un oggetto magico. L’oggetto artistico non è un oggetto magico. Purtroppo, questa illusione
di semplicità e immediatezza domina la cultura di massa. Oggi tutto deve essere
facile. Il che è una forma di disprezzo nei confronti del
nostro passato”.
D. Cosa
pensa del successo dei numerosi musei d’arte contemporanea sorti di recente ?
R. "Il
pubblico è attratto dall’arte contemporanea, perché le opere sono curiose e
bizzarre. Ciò che è incomprensibile affascina sempre. Non essendo più capaci di leggere le opere del passato, pensiamo che la relazione
con l’arte contemporanea sia più facile. Di fronte ad essa,
viviamo l’illusione di trovarci immediatamente al centro del fenomeno creativo.
Ci diciamo che basta guardare per capire, che ciascuno può leggere l’opera come
vuole, senza bisogno di alcuna preparazione. La regola
fondamentale diventa quella dello sguardo che crea l’opera, una regola che
consente di liberare il pubblico da ogni sforzo e da ogni
senso di colpa. Secondo me, è un segno dell’oscurantismo contemporaneo. Senza dimenticare che molte opere recenti, passato lo shock della
scoperta, qualche anno dopo ci sembrano inguardabili. E
ciò nonostante le loro quotazioni”.
D. Senza
mercato l’arte non esiste, come sono oggi le relazioni tra i due termini ?
R. "L’80% delle opere conservate dai musei pubblici proviene
dalle donazioni di collezionisti privati. Sono loro i veri artefici del patrimonio
dei musei. In passato, i collezionisti si rivolgevano ai galleristi,
appoggiandosi anche al lavoro dei critici. Oggi sono le grandi case d’aste a
determinare il mercato. Gli acquisti si fanno durante le aste pubbliche di Christie’s o Sotheby’s, vale a
dire in un sistema dominato esclusivamente dal denaro. Non c’è più la relazione
di fiducia tra il collezionista e il gallerista. Gli acquisti si fanno per
telefono, anonimamente, per fare un investimento
finanziario. Tutto si svolge rapidamente, senza possibilità
di riflettere, l’unico scopo è quello di far aumentare le quotazioni.
Così molte opere raggiungono valutazioni impensabili e senza alcun rapporto il
loro valore artistico”.
D. C’è
ancora spazio per i critici ?
R. "No,
perché è il mercato che crea il valore delle opere. I giudizi della critica
sono ininfluenti in una realtà dominata dagli investimenti speculativi. Il
mondo dell’arte sembra essere in preda alla stessa follia che ha prodotto la
crisi dei subprimes. E per questo che anche il
mercato dell’arte prima o poi rischia di crollare. Un
crac metterà fine alla bolla speculativa”.
D. Intanto però il mondo delle imprese continua ad acquistare molte
opere, facendo salire le quotazioni...
R. "Banche
e imprese hanno enormi collezioni, come ad esempio la Deutsche
Bank. Il problema è sapere chi le consiglia. In
alcuni casi, critici e ex direttori di musei fanno
fare ottimi acquisti. Il sistema delle aste rende tutto più complicato,
spingendo gli investitori ad accumulare opere senza alcun gusto o spirito
critico. La speculazione rischia inoltre di alimentare un afflusso sul mercato di opere di scarso valore artistico con quotazioni
sproporzionate. Insomma, se guardo al futuro non posso
che essere pessimista”.
(La Repubblica, 01.02.2008)