IL LABIRINTO
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Prima di tutto voglio tranquillizzare i lettori: in questo articolo non sì parlerà della "Reggia di Minosse" |
La maggior parte degli acquariofili avrà più volte sentito parlare di Labirintidi e molti ne terranno nel loro acquario senza, tuttavia saperne qualcosa sul loro modo di vivere e sul loro caratteristico organo: il "labirinto". Di questi i più conosciuti sono gli Anabantoidei o meglio gli appartenenti alla famiglia degli Anabantidi. A questa famiglia appartengono molti dei pesci che popolano i nostri acquari; fra i più comuni troviamo il ben noto Betta splendens, la timida Colisa, il curioso Helostoma e tanti altri che qui non sto ad elencare. Ma veniamo a parlare di questo organo che li caratterizza. Il labirinto può essere costituito da una rientranza dalla struttura più o meno complessa, composta da numerose lamelle ricoperte da una membrana a forma di tasca o di incavo; oppure è estroflesso a forma di sacchetto. In entrambi i casi è alloggiato nella cavità branchiale, dietro gli occhi e sopra agli archi branchiali. La membrana che ricopre le lamelle è irrorata da numerosi vasi sanguigni, attraverso i quali si compie uno scambio gassoso diretto. Ora che ne abbiamo definito la struttura, vediamo di spiegare come funziona e a cosa serve. Il labirinto è un organo ausiliario di respirazione ed è grazie a questo organo che acque povere di ossigeno, come risaie, paludi, fiumi inquinati, pozze ecc. sono popolati da pesci. Questi pesci infatti possono fare a meno dell'ossigeno disciolto nell'acqua al quale viene preferito quello atmosferico. Ciò spiega il periodico andare verso la superficie dell'acqua dei labirintidi nei nostri acquari. Naturalmente non vuol dire che nell'acquario l'ossigeno sia insufficiente. Infatti tutti gli altri pesci non dimostrano sofferenza. In verità sarebbe inutile anche per i labirinti se non avessero l'innato adattamento a questo tipo di respirazione che in acquario si presenta utile solo in caso di scarsa ossigenazione dell'acqua (cosa però che provocherebbe negli altri pesci un'asfissia). La frequenza con la quale questi pesci salgono in superficie varia con il mutare del contenuto di ossigeno dell'acqua. Quindi avverrà con molta frequenza nel caso di forte carenza di ossigeno e ogni 20-30 minuti in condizioni di saturazione di ossigeno. Ciò naturalmente può variare anche da specie a specie. Comunque questi pesci hanno raggiunto un tale adattamento al loro ambiente di vita che, nel caso venga loro impedito di respirare aria per 30-60 minuti, annegano. Tale fatto può sembrare strano riferito ad un pesce ma risponde perfettamente alle leggi che la natura ha dato ai labirintidi. Di questo dobbiamo tener conto nei nostri acquari, che dovranno offrire a questi pesci ampie superfici libere ed un'altezza dell'acqua non eccesiva per evitare che il pesce debba sforzare il suo organismo nel cercare di raggiungere la superficie. Un altro piccolo accorgimento va aggiunto ai due precedenti nel caso si voglia tentare l'interessante riproduzione di questi pesci; in questo caso dovremmo provvedere a chiudere il coperchio in modo che non vi sia una eccessiva circolazione di aria sulla superficie dell'acqua, cosa che provocherebbe danni irrimediabili ai piccoli labirintidi che, nel periodo durante il quale si forma il labirinto, hanno bisogno di assumere aria avente temperatura e umidità costanti. Vediamo ora come funziona il meccanismo che permette l'assunzione di ossigeno dall'atmosfera: il pesce si porta più o meno velocemente in prossimità della superficie ed elimina attraverso la bocca e le fessure branchiali, l'aria ormai satura di anidride carbonica che forma una grossa bolla; poi solleva al di sopra del pelo dell'acqua i bordi della bocca, aspirando l'aria sotto forma di bolla. Tutto questo avviene nel giro di un secondo, causando a volte un piccolo schiocco. Questo ricambio dell'aria ormai satura di anidride carbonica con aria ricca di ossigeno, avviene con l'ausilio di una valvola cutanea mobile. L'aria così assunta viene inviata sotto forma di bolla nel labirinto. Il pesce ritorna poi con una discesa più o meno rapida verso il fondo, ricominciando a nuotare regolarmente. Quasi tutti gli anabantidi, come indica la loro denominazione scientifica, (Anabas tradotto dal greco significa "che sale"), sono in grado di abbandonare l'acqua e di sopravvivere per brevi periodi sulla terra. Nei luoghi di origine, quando piove o quando l'aria è satura di umidità, questi pesci abbandonano le loro pozze o piccoli corsi d'acqua e si portano sulla terra ferma e vanno alla ricerca di un altro specchio d'acqua dove trovare più cibo, avanzando con movimenti sinuosi su terreni anche accidentati. Come organo motorio usano la pinna caudale; la parte anteriore del corpo viene tenuta sollevata dagli opercoli branchiali protesi all'infuori e il resto del corpo è tenuto sollevato dalle pinne pettorali e ventrali, dotate di robusti raggi spinosi. Un'altra possibilità offerta dal labirinto a questi pesci è quella di poter superare periodi di siccità in modo molto originale per un pesce. Infatti quando il ristagno d'acqua si sta per esaurire, il pesce si sprofonda nel fango e vi resta in attesa delle piogge che riempiranno la pozza; allora esce dal fango e ricomincia, come se nulla fosse accaduto, a nuotare e a cercare cibo, unica cosa di cui forse ha sentito la mancanza. Particolarmente curioso è il modo in cui viene effettuato la pesca di alcuni di questi pesci dalle carni molto gustose: per questo tipo di pesca gli indigeni non usano nè armi nè reti ma soltanto una comunissima vanga, con la quale scavano il fondo delle pozze prosciugate e ne raccolgono i pesci. Ma non finisce qui: sembra che gli indigeni, in questi periodi, ne facciano delle vere e proprie provviste, interrandoli di nuovo in vasi di terracotta, procurandosi in questo modo il pesce fresco per tutto l'anno. Quest'ultimo sistema non lo provate con i vostri pesci, anche se dovete andare in ferie; è un consiglio d'amico.
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