I VIAGGI IN ALTA IRPINIA DELL’IMPERIALE

Il viaggio nel suo feudo dura dal 1° al 30 aprile 1633.

Venerdì, 1° aprile è nel castello di Nusco febbricitante.

Casella di testo: Figura 1 Andretta vista dal monte Airola. Sullo sfondo:Morra, S. Angelo dei Lombardi, Nusco e Guardia dei LombardiIl giorno successivo, sabato 2 aprile, dopo aver trascorso una notte tranquilla e aver bene riposato, sfebbrato, riceve la visita del Vescovo: “non mi vede senza favorirmi. Se i favori di lui fossero sinceri quanto sono copiosi, converrebbe che i miei debiti verso lui fossero in copia. È merito appresso 1' uno l'aver acquistato l'odio dell'altro. Questa amistà, perché ha mala radice, non darà buon frutto. Ella è amicizia nova, dopo di nemicizia antica. Questo per sé solo potrebbe renderla sospetta; ma dal sospetto può condurla alla certezza quella infedel complessione ch' egli nodrisce dal natale, e quella brutta fisonomia che la sozzura dell' animo gli accusa nel sembiante..”

I Nuscani, intanto, pregano pubblicamente in chiesa per Lui e gli rendono speciali attestazioni di gratitudine in casa con visite, presenti e ossequi.

Domenica, 3 aprile, scende dal castello e visita la città. “Quivi rendo il tributo dell' anima al Signore dell'universo; poscia pago il tributo della riverenza al monsignore della sua chiesa; indi contro sua voglia da lui prendo licenza; e dalla mia terra con dispiacer di tutti io prendo alfin commiato. Non ho forze per cavalcare: per camminare mi convien sedere”.

Si incammina verso Sant' Angelo, distante da Nusco cinque miglia, seduto “in comoda cadrega, da quei terrazzani al men male sostenuta”. “La diligente quantità rimedia alla difettosa qualità degli inesperti benché affettuosi portatori”.

Guada 1'Ofanto e arriva alla badia di San Guglielmo che divide i due territori. Qui lo aspettano le milizie di Sant'Angelo alle quali vieta di passare oltre, per problemi di gelosia tra confinanti, una compagnia a cavallo, della quale aveva appena sentito il suono della tromba, che battono i tamburi e sventolano bandiere. Le armi lampeggiano unite al “fulminare degli archibugi”.

Già intravede il “suo” castello anche se offuscato dal fumo dei mortaretti accesi.

Il viaggio è favorito dall'aria temperata ed è aiutato dalla strada incivilita. “Non si move piede, che non si mova su la verde schiena di piacevoli sentieri; né si vedono sentieri, che non siano da giardini di frutti, da pergolati di viti, da coltivati di semenze circondati .........”.

Il Vescovo Rangoni, seguito da un numerosissimo clero, per onorarlo, gli va incontro, vestito con indumenti da viaggio proveniente da Bisaccia, dove aveva dimora prima della notizia dell’arrivo. 

Appena si vedono il Vescovo scende da cavallo e Gian Vincenzo esce dalla “seggia”.

Le campane dei monasteri di San Marco e di Nostra Donna delle Grazie, officiati dai numerosi Padri Francescani della Scarpa e dai Padri Francescani della Riforma, suonano a distesa.

Alla porta della città il Sindaco e gli Eletti gli consegnano le chiavi con adeguato discorso, un ragazzo, che rappresenta un angelo del cielo di questa terra, recita in onore dell’ospite per conto di quel comune alcuni versi latini.

S’inoltra nella città e si avvia verso il Duomo.  Le strade sono guarnite di molti archi, di fuochi, d’arazzi naturali, di cupole piene di fogli verdeggianti, delle armi della Casa Imperiale e “di cento variate imprese su le armi medesime innestate”.

Da ogni finestra piovono fiori in segno d’allegria, e frumento quale augurio d’abbondanza.  I vecchi gli augurano una lunghissima vecchiaia.

Semplici fanciulli da un lato e vergini donzelle dall’altro “a gara predicavano nella solennità del mio arrivo la giovialità del loro acquisto; e mentre non fu bocca la qual non fosse aperta per ossequio, non fu palpebra la qual rimanesse asciutta per contento: onde non dirò bugia se dirò che mi avvenne per 1' altrui tenerezza intenerirmi” scrive l’Imperiale. E continua: “Confesso il vero: se ben dagli atti frequentati ho fatto un certo abito al mio petto, ond' egli tanto o quanto si copra dai sinistri avvenimenti, e non guari si discopra ai favorevoli successi; in ogni modo non posso negare a me stesso quel contento che mi è offerto dalla presentanea mia gloria, tanto più mentre procuro che questa gloria, che mi è donata dall'altrui lode, non impedisca il luogo a quella che deve esser comprata con la propria fatica. Alla fin fine, sì come il premio del lavoro è stimolo alla diligenza, così 1' applauso dell’opra è pagamento alla virtù. Onde il virtuoso non deve esser ripreso, quando pur di quell'onore egli è invaghito, che non meno dal proprio merito gli è impetrato, di quel che gli venga dall’altrui grazia conceduto.

Lo strepito delle voci, confuso col remore delle campane, per mia quiete si quietò, quando nel tempio, sotto il baldacchino inginocchiato, darsi dall' organista il principio del Te Deum laudamus fu sentito. Quivi con rinnovate ceremonie il Vescovo sodisfece all’obligo della creanza; e sebben tralasciati gli eccessi dell’amore, non dimenticò già i termini dell’ossequio”.

Giunge 1' ora di mangiare e si ritira più per riposarsi che per mangiare. La casa è spaziosa e molto comoda, ha più di sedici camere, un vasto cortile, una corte e larghe scale, scalini e ornamenti di marmo; necessita, però, di restauri.

Dai balconi si vedono quasi tutte le terre comprese quelle più lontane.

Lunedì, 4 aprile, dopo la messa nella chiesa delle Grazie, visita il nuovo monastero e il grazioso giardino dei Padri circondati da una strada in piano e da profondissimi dirupi. Riceve le visite del Vescovo e dei suoi canonici e dei “migliori fra questi cittadini” e regali pubblici e donativi privati, gli elogi dal Marchese della Bella, dal Barone di Morra e dagli altri signori circonvicini. 

In questa relazione evidenzia i rapporti non idilliaci fra i due prelati: “Ma che dirà quel di Nusco, già mai non sazio d’incrudelir contro questo di Sant’Angelo ?

Martedì 5 non esce per un cattivo presentimento e per il cattivo tempo.

Mercoledì 6, Giovedì 7, Venerdì 8 e Sabato 9, continua il maltempo e il freddo: a nulla vale “il pelliccione a scacciare il gelo dal groppone: bisognò che per riscaldarmi la pelle viva, al caldo della pelle morta si accompagnasse quel della vivace fiamma. Questa, accesa in mal forbita caminiera, appiccate le faville alle fuliggini,   risvegliò     gran   foco, che se il tetto  tutto  non  brugiò, vi  mancò  poco. Da questo malo effetto cavano  buon  segno i popolani: e pur mal segno è sempre quello che, per dove passano, lasciano gli incendii".

Frattanto gli viene comunicata la notizia della sentenza relativa ad una controversia con il Vescovo per una porta che quest’ultimo apre e che fa immediatamente chiudere.  Si appianano i contrasti e si scambiano reciproche congratulazioni.

Domenica, 10 aprile, dopo la santa Messa celebrata nella chiesa delle Grazie, pranza con il Vescovo allietato dalla musica di quest’ultimo che lo invita “per questi vicinati alla sua caccia.

Ella fu tanto vicina, che ben potea vedersi dalla mia casa. Si vide nulla di meno con maggior diletto alla campagna, che per esser non men ricca di lepri che feracissima di biade, non così tosto dai sagaci bracchi è intorniata, che 'alle nari cacciatrici offre più d' una traccia delle ascose bestiole...”.

Lunedì 11 si dedica a comporre le controversie fra i due vescovi così come ha sempre desiderato.  Egli riesce a persuadere le parti con la ragione e con la sua autorità e si formano le capitolazioni dell'accordo.

Martedì 12 affronta il diverbio concernente due vigne del padrone del luogo danneggiate, cambiandone l'aspetto, dai contadini affittuari.

Mercoledì 13 si sofferma su una serie di considerazioni sui rapporti dei prelati e li descrive, concludendo: “E quel ch' è peggio, senza più onorarmi d' un suo scritto, mi fa rispondere da un tal suo prete con un viglietto. La risposta, e molto più la maniera del rispondere, inferiscono suspicione del mio operare. Piace al buon Prelato coprir la gelosia di questo Vescovo, col mostrarsi geloso di quei popoli”. Licenzia il trattato sperando nelle decisioni della Sagra Congregazione dei Cardinali e dell’Ufficio della Santa Inquisizione.

Giovedì 14 va a Lioni, luogo “assai comodo per abitazione, e molto ricco per industrie, per poco più di due miglia è lontano da Sant'Angelo; onde il capitano di questa corte vi amministra la giustizia”. Vi si arriva per  sentieri tra i campi seminati a frumento “e quando questi matura hanno la spica, e che la spica ondeggia al vento, rappresentano un mar d' oro, nel cui mezzo si solleva un' isola di smeraldo”. Qui vi è un grazioso bosco nelle cui folte piante vivono un’infinità di daini. “Di questi daini in questo sito si avvisano i miei popoli di farmi cosa grata col farmi vedere una tal caccia apparecchiata.

Cingono di attraversate siepi il vasto giro alla boscaglia:  venuto il tempo che alla festa è destinato, vanno d'ogni intorno numerose schiere di villani, i quali, con pertiche e strida componendo strepiti ordinati, pongono in disordine le fere. Queste, intimidite dalla violenza, fidano alla fuga la salvezza; e mentre fuggono dalla forza, urtano le incaute nella insidia; perché là dove certi squarci della siepe offeriscono 1' adito a loro scampo, a pena il capo nella fraudolente apertura elle ivi investono, che dentro ad artificioso canape lo allacciano. Onde più di un animale, o ferito, o pur illeso, dal cacciatore tosto vien preso”.

Al mio comparire, compariscono gli spettacoli: questi riescono in me non men dilettevoli per la novità che graziosi per la comodità. Io, sia per la complessione, o sia per gli anni, sono a segno, che, sì come con discomodo non comprerei mai più diletto, così tra i diletti preferisco quel ch' è comodo. Qui senza scavalcare, senza indugiare, senza patire, ho veduto correre, ho veduto pigliare, ho veduto fuggire. Che si può di più pretendere ?

Finita la caccia, arrivo alla terra; ove cominciano tutti quelli onori che nel mio primo ricevimento, ad esempio delle altre, s' ingegnarono di far maggiori”.

Le cerimonie terminano all’ora del pasto. Qui si ferma per dormire con l’intento di osservar meglio e godere il tutto nel giorno seguente.

Venerdì 15 accetta di buon mattino i primi inviti. “Lasciati gli ozi del letto e spediti i negozi del mio luogo; esco dall’albergo, entro nel tempio, circondo il borgo, indi mi accompagno con Monsignor Vescovo ….”

Nel1'uscire dalle abitazioni dalla parte dove le massicce piante sembrano radicate nel fiume si ritrovano alla fine sopra un bel fiume, l’Ofanto “che in un cristallino e tacito, nell’incessabile viaggio affaticandosi, tutte senza fatica lascia contare all’occhio quelle candide pietruzze che sono calcate dal liquido suo piede …”, lo varcano attraversando un sassoso e gibboso ponte. Il sentiero conduce alla falde di un monte dove si trova un campo allagato ”perché in due rami del monte qui diviso il fiume, cinge quasi con due braccia il seno al lago, a cui fanno ombra nera i verdi crini dei fronzuti abeti. Di questi è dovizioso il bosco; perciò, forse, del Fiorentino addimandato, come che altresì tutto d' abeti quel di Pratolino sia guernito. Di questo la vasta ed intricata macchia, di tanti cervi e di tanti capriuoli è tanto ricca, che entrato in essa il cacciatore non mai n' esce povero di preda“.

Ma perché oggi è giorno da pesci, lasciamo per la pesca la caccia …”.

Segue una bellissima descrizione del piccolo “campo allagato”circondato dai verdi crini dei frondosi abeti, della vasta e intricata macchia ricca di cervi e di caprioli, della fauna ittica: l’anguilla, il lubrico, la lampreda, la bianca trota, il balbo, il carpione, “il puntuto luzzo”, i granchi.

 e delle tecniche della pesca: “Onde altri, piantate le piante ove più comode all' intento scandagliate del lago ha le seccagne., appena leva le incallite calcagna e della debol spuma le circonda, che circondato con le reti al muto pesce il vagabondo passo, o con fòscina lo uccide, o in vangaiola lo imprigiona. Altri, non pur scalzo le gambe, ma ignudo insino alla metà, mentre ha notato quel pesce che a galla o più veloce nuota o più animoso guizza, egli o dentro a disteso rezzaglio lo avviluppa, o con l'amo lanciato lo strascina; ed infine, tanto al picciolo quanto al grande ei qui non la perdona, sin che sull' umida riviera a' lor trionfi non facciano corona le tremolanti prede, che in lunghi giunchi ne appresentano infilzate”. I contadini sono così bravi nel pescare che non hanno nulla da invidiare ai più pratici marinari.

A sera ritorna e cena accompagnata da un buon vino locale che “non cede ai Falerni in eccellenza, supera molti altri in frigidezza. Cantine di lui sono le grotte, il ghiaccio delle quali, sì come conserva la vita a quel liquore, così dona la vita a chi lo beve”.

Riprende il cammino per Sant’Angelo dove passa la notte.

Sabato 16 si dedica alla descrizione del “Regno”.

Esso è diviso in dodici province, in ogni provincia ha per superiore un vicerè del Vicerè superiore”. “I padroni di questi popoli (i feudatari) rassomigliano i vassalli di questi presidi (ufficiali preposti alle molte spartizioni del reame, e chiamati anche vicerè). Poco va che cadauno tra i limiti della giurisdizione abbia ripartiti i privilegi del dominio, se da questi, sotto colore di sopraintendenza, tengono impediti gli esercizi dell' autorità. In questi tempi chi vuol giustizia, non s'imagini di averla, se non per mezzo del comperarla. Col campanello dell'argento in mano sian chiamati alle udienze: al suon dì quello ciascheduno è sempre udito ; non già sempre è compiaciuto, e spesse volte egli è ingannato. Chi non riceve gran torto si vanti di aver ottenuto grandissimo favore. Per mia ventura mi trovo or presente ove troppo è necessaria la continuazione dei presenti. Signoreggia chi forse in poche altre occasioni ha comandato; e forse per comandare, in certe altre egli ha servito. Dio ci aiuti

Domenica 17 spedisce molte lettere a Napoli.

Lunedì 18 si occupa solamente delle lettere pervenute da Genova. Le notizie non sono buone ed è molto rattristato: per questa ragione scrive, in sette pagine, una composizione in lode dell’amore coniugale.

Martedì 19, giunge ad Andretta: “non posso più far resistenza agl'inviti della mia Andretta, non che agli stimoli della mia volontà. Quei giorni di questa mia dimora in queste parti, furono annoverati da lei, non secondo il conto delle ore, ma secondo l’abaco dei minuti. Ella par che cominci a rinfacciarmi, che per troppo trattenermi intorno al capo, io mi dimentichi del piede. I miei  popoli, impazienti ormai della dilazione, facendo instanza perch' io favorisca la lor stanza, supplichevoli dicono: Venite, o signore, venite allegramente; la nostra bassezza non induca nel grand' animo vostro oblivione dalla nostra fedeltà. Venite, venite felice; che quanto più umili al vostro impero, tanto più devoti al vostro nome, vi faremo provare che « Sunt hic etiam sua praemia laudi» (VERGILIO). Compiaccio dunque a me stesso, mentre ad altri sodisfaccio.” “Già sono a cavallo” preceduto da molti venuti da quella mia terra alla mia casa per accompagnarmi nel cammino, son fatti precursori nel sentiere”.

Sul mansueto giogo di placide colline stampiamo le nostre orme. Da lunge discoverta raffiguriam la faccia al luogo: non tardiam molto che ce le avviciniamo assai”.

Gli abitanti mostrano tutto il loro sentimento con fuochi e con saluti entusiasmanti. A metà viaggio molti cittadini escono fuori e testimoniano con 1e opere quell’allegria che quelli di dentro esprimono con i segni. La moltitudine della milizia in arme e la gente di governo in ordine gli vanno incontro.

“Ma schiera che più destasse all’occhio 1' allegrezza, o più movesse al cor la tenerezza, non vidi ancora altrove, quale in questa occasione veder mi fece questa terra”. Lungo il tratto, fuori delle porte d’Andretta, lo ricevono un centinaio di vergini fanciulli vestiti tutti di bianco, quasi tanti angioli coronati di lauro, si avvicinano in processione “cantatori di certe imparate lodi” e gli offrono rami d'olivo. Questi sono ricevuti dall’illustre ospite con paterne accoglienze, dietro al verde stendardo, dove si dispiegano le insegne dell’Imperiale, “indirizzati, allora presero commiato, quando alla soglia del preparato albergo mi videro pervenuto”.

Quando sta per scendere da cavallo, un giovane oratore sale su un pulpito e recita in suo onore un lungo encomio in verso esametro.

“Ma quale strada ha questa terra, o qual cantone ha in queste strade, che per ornamento di molti archi alla rusticana trionfali non si adorni d'imprese e di versi in mio trionfo? Io non dirò già che tutti questi versi (dei quali io volli copia), sì come furono in copia così fossero in perfezione: ma sembravano perfetti, quanto al luogo e alla occasione. A tale Achille, tale Omero.

Il Comune offre “un buono alloggiamento e un buon desinare. Riceve indi ad una ad una le suppliche di tutti. De' lor negozi altri spedisco, altri incammino, alcun non lascio a dietro”.

Sul finire della giornata si avvia verso il rovinato castello. Dall’altura di questo sito si gode la bella veduta della circostante pianura. Al ritorno assiste a molti balli collegati alla solennità dell’ illustre presenza: “Per non mostrarmi severo, me ne mostro curioso: alla fine il mio letto mi chiama al mio riposo”.

Mercoledì 20 con Monsignor Rangoni,  Marcantonio Cristiani, suo principale vassallo, e con i rispettivi cacciatori va a caccia di cervi e di cinghiali. Segue una bellissima descrizione dei vari momenti della caccia: “Il battere dei bastoni, il ringhiare dei cani, il rumoreggiare dei corni mettono in fuga i cervi e i in battaglia. “Già vedo quegli, nell'urtar di attraversata rete, volendo ritornare a dietro, imprigionar una delle gambe di dietro in fra le acute zanne di fervido molosso. Già miro questi, dopo alcune tortuose rote del suo corso astutamente obliquo, da sanguinolento mastino sopraggiunto, e nell'uno degli orecchi tenacemente afferrato, invaii spumoso la bocca, voltar contro di lui dente Innato; quando avveduti i  cacciatori, più segretamente che possono alla rattenuta fiera si avvicinano; e quivi,  o con spade,  o con spiedi,   nell' ispido pelo penetranti,  mortalmente lo feriscono;  che ben sanno essi,   che,      come le strida contro 1' assalito sono pericolose per chi assalta, così  più celato il  ferro del feritore fa più sicuro 1' eccidio del ferito. Sarebbe più facile ammazzarlo con lo schioppo, se non fosse men  glorioso.  La gloria non sta tanto nel vincere,  che molto più  non  stia nel gloriosamente guerreggiare;  imperciocché  questo vien  dalla bravura, quello dipende  dalla sorte

Arriva l'ora di assaggiare la selvaggina abbattuta: “eccoci a tavola. Quivi non tanto ci confortiamo nella dovizia di queste bestie cotte, che abbiamo avanti in abbondanza, che molto più non ci rallegriamo nel cumulo di quelle bestie morte, che presso a noi te m'amo a mucchio”.

Trasportati dall'avidità delle dilettevoli cacce arrivano nei boschi d'Andretta dove s'intrecciano con quelli di Carbonara dove finisce il suo territorio e termina anche la caccia: “non si mova il passo ove non ho il possesso”. Prima del tramonto del sole ritorna a S. Angelo.

Giovedì 21 dopo aver concesso udienza al popolo “Mi pongo a scrivere per descrivere” questi paesi che ha comprato e che ora finalmente ha visto.

Casella di testo: Figura 2 Andretta vista dal monte Airola. Sullo sfondo BisacciaI termini di Andretta sono i confini di Carbonara. Gli ultimi confini di Carbonara sono il termine di tutto questo Stato che ha un’estensione di trenta miglia per diametro (e col passo di gigante); dal ponte del1' Olmito a Nusco sono tre miglia; da Nusco a Sant’Angelo cinque; da Sant'Angelo ad Andretta otto; da Andretta a Carbonara otto; da Carbonara a quest' ultimo suo territorio, che confina con quello di Melfi, miglia sei.

Il corpo di tutto questo Stato si trova nel Principato Ultra e si adagia su alture, “che per la maggior parte si sollevano in colli, per alcuna in monti; questi non molto aspri, quelli assai dolci; gli uni e gli altri in tutto fertili; perché dove, non essendo la pianura, non si semina il frumento, o si piantano le viti, o si coltivano i giardini; e dove non sono o questi o quelli, ingrandiscono i cerri, le querce, e i castagni; piante che al paro delle domestiche vengono ad essere fruttifere”.

Tutti gli elementi gli appaiono propizi. L'aria è buona in ogni stagione; la terra “copre di grossa polpa talmente le sue membra, ch'all'arator già mai non mostra l'ossa”; l'acqua, che è il latte della terra, non manca. Dove non scorrono i fiumi Olmito ed Ofanto scorrono innumerevoli ruscelli che lo irrigano. Manca il fuoco, o almeno è scarso; essendo i paesi freddi. Ma non manca legna, “onde il foco materiale emenda la mancanza del foco naturale”.

Le cascine sono frequenti in campagna; le case nelle due città e nell'altre terre sono numerose: nell' abitato le strade sono anguste; le abitazioni sono grezze all’esterno ma pulite all’interno, alcune sono piccole, altre comode. Gli abitanti sono quasi tutti poveri e alcuni facoltosi: tutti ugualmente vivono o dei raccolti che fruttano le loro campagne, o con quanto  si procurano con i loro lavori.

Non si conosce il numero degli abitanti perché molti, per sgravarsi dal peso delle tasse, per quanto possono, si nascondono alla Regia Camera e non esiste il catasto. L’unica fonte sono i libri delle parrocchie. Da un esame di questi e da calcoli effettuati risultano: quattromila anime a Nusco; tremila e cinquecento a Sant'Angelo; duemila a Lioni; duemilacinquecento ad Andretta; quattromila a Carbonara: in tutto sedicimila abitanti.

In ognuna di queste terre, oltre le cattedrali, vi sono più chiese, molto ben guarnite, canonici e preti, cappelle e apparati. Vi sono inoltre alcuni monasteri di frati conventuali e di riformati i quali vivono o con le rendite, o suppliscono con le elemosine.

I viveri di queste popolazioni sono i frutti della terra che sono abbondanti e buoni.

Vi sono tantissime galline, “forse perché vivono di ruspa, essendo che in queste bande quei soli s'ingrassano che ruspano”.

Le provvigioni per il mantenimento primario sono abbondanti: se, per eventi straordinari, si ricercano oltre il normale, vi è scarsezza. ”Ben è vero che dai vicinati sogliamo essere provveduti. Sono alcune madri buone che fanno le figlie cattive, e sono certe madri cattive che fanno le figlie buone. Sì come dall'abbondanza vediam nascere il dispregio, così dalla penuria vediam nascere 1' abbondanza”.

 Le menti e “le complessioni di questi uomini si confanno secondo i luoghi, e si disconfanno secondo gli uomini. Questi in ordine cittadino e in ordine contadino vengono distinti”.

I contadini, per quanto nascano robusti, sono “neghittosi”, si allevano tanto pigri, che spesso piuttosto passeggiano a mani penzoloni che lavorare con la vanga in mano. “Infelicità partorita dalla felicità; miseria comune a somiglianti comunità” e sostiene inoltre che non sono come “i Belgi, dei quali, nelle montagne faticosi e nelle fatiche valorosi, Né sono come gli alpini Genovesi, de' quali sì ne' tempi moderni come negli antichi le prove passarono alle maraviglie, principalmente per essere da que' monti invitati a' loro stenti”.

Inoltre, molti di questi cittadini sono infingardi e, di conseguenza, si vedono poveri. Se i contadini odiano la fatica, i cittadini non amano l’industria. Quelli si contentano di quel poco che, giorno per giorno, si procacciano, questi si appagano, come se fosse molto, di quel poco che possiedono.

Nel rimanente, questi popoli, non avvezzi alla libertà, non la conoscono; e perché non la stimano, non la bramano. Ma perché da cinquant'anni in qua, essendo sempre vissuti a posta degli affittatori, non hanno mai veduto la faccia dei naturali Ipr padroni, si sono assuefatti ad una certa licenziosa lor comodità, che senza distorsi nel pensiero della pubblica servitù, fa loro desiderare una tal privata libertà”.

Infine parla della rendita di questi beni. “Qui non mi piace, col darne ragguaglio per minuto, mostrarmi aritmetico minuto. Basti il sapersi che per dieci mila ducati ogni anno può assicurarsi. Onde la compra per duecento mila non pur sarebbe stata favorevole, ma utile; se l'utile di chi trattò (Giuseppe Battimello, suo procuratore), repartito con chi vendè (il duca di Nocera Inferiore Francesco Maria Carafa), non mi avesse sì ingannato, che ne sarei molto discontento, se non sperassi in brieve di esserne anco uscito”. Perciò revoca lo strumento “non già per appartarmi dal contratto, ma per migliorare nell'istrumento”.

La sera si avvicina e va a dormire a Bisaccia nel Vescovato. Bisaccia è “posta in gioghi alquanto aspretti: non è angusta per abitazioni; non è povera per abitanti; è ricca per coltura di paesi; i quali in questi giorni in fra '1 mezzo delle viti producono tanta copia di saporiti e grossi asparagi, che allattati dalla madre lor natura superano  in eccellenza  tutti quelli  che  dall' artefice  agricoltura vengono  allevati

Venerdì 22 “In tutta questa notte andata, quella descrizione che feci ieri mi è dalla memoria al guardo suggerita”. Rinchiuso nella sua stanza “e molto più nel camerino della mia mente” medita e fa una serie di considerazioni sulle doti necessarie che deve possedere chi deve comandare.

Sabato 23 si dedica ad altre considerazioni sul buon governo e sui doveri della nobiltà “più per mio bisogno che per altrui profitto”.

Domenica 24Perché dov'è nobiltà non può essere villania, e chi non è villano non è scortese, questo Vescovo nella liberal continuazione delle onorevoli sue dimostrazioni, persevera in farmi vedere come più dell' antica nostra amistà che della moderna nostra differenza egli si voglia raccordare. Non fu mai smemorato chi non desiderò di essere ingrato. «Et bene apud memores veteris stai gratta facti (VERGILIO).

Egli  sa che  per quei  fini  che altrove  io  dichiarai, desidero osservare il territorio della Guardia, che posto sui confini di questo Stato, pare appunto che, lo guardi. Questa terra non è più che per tre miglia lontana da questa città; e perch'ella vien compresa nella diocesi di lui, porge occasione a lui di chiamarmi alle graziose caccie di quelle fertili colline. Onde, sì come altra volta egli mi levò dagli ozi malenconiosi della solitaria mia casa, invitandomi con alcuni versi di Orazio all'allegrezza, ora mi distoglie dai solleciti affanni degli ordinari miei scritti, esortandomi con quei versi del Petrarca a dare al mio lungo faticare alcun ristoro.

Prendete ora a la fine

Brieve conforto  a sì  lungo  martire.

Prendiamo dunque il viaggio; e per cammino ad alcuni lepri togliamo il camminare. Riescono queste prede tanto maggiormente grate, quanto più sedendo sono fatte, e per dritte carriere tanto al corso de' cavalli quanto de' cani guadagnate. Fu il nostro riposo dove fu il nostro desinare: l'uno e l'altro ne furono pronti nella comoda abitazione del Vicario di quel luogo, già che l'albergo del Barone non altro che la propria ruina in sé più non alloggia”.

Lunedì 25 al sorgere del sole, lascia il  Vescovato e passa “dalle piume a predar piume” in certi posti dove “ di molti augelli è varia caccia, tanto più graziosa quanto più improvvisa, a me tanto più grata, quanto in queste bande men veduta......”. Quindi, tutti vanno a caccia.

La descrizione dell’ambiente e degli uccelli offre un quadro della nostra Irpinia che fu: un piccolo bosco che si trova su una dolce collina erbosa, il fruttifero ginepro che incorona “di quei fecondi rami che agl' Imperatori intessono corona”, il saltellare del tordo e il nero merlo che passa dal pallido olivo dal frutto amaro al vermiglio ramorino (corbezzolo) dal frutto dolce, un altro colle pieno di siepi, la ridicola civetta e “quelli augelli che cappello nero portano sul capo, e quelli che gremiale vermiglio portano sul dorso”, e ancora, un altro bosco la cui “schiera di addomesticate piante quasi in lunato giro con 1' ombre cadenti da' suoi rami” impedisce ai raggi del sole il penetrare al suolo, le moltissime starne che si nascondono fra le zolle dei campi arati, le robuste querce e vigorose elci, i gemiti delle tortorelle e i sussurri dei colombi selvaggi e l’ondeggio delle anatre un piccolo lago.

Martedì 26 “Da sì belle e sì care vedute accompagnati”, arriva a Morra che “tra l'altre terre di Sant'Angelo” vuole “arruolare. Imperciocché, come parte di lui, non pur sta dentro le braccia dei confini, ma nel centro del seno di lui; anzi, quasi parte a lui gradita egli si compiace di vagheggiarla alzata; ond' ella vedesi sopra nobil poggetto, che può vedersi da per tutto”. “Quivi non so ben s' entriamo questa sera per dormire, o se per trionfare. So che vi entriamo trionfanti, mentre per spoglie delle nostre imprese, dei molti vinti i capi appesi ed i pendenti busti dentro a lunghe e bipartite canne avanti a noi recando, più del comune applauso che del proprio diporto festeggiamo”.

“La terra è povera d’abitanti e di quattrini, perché mendica di traffichi e d'industrie”.

Da poco ha un nuovo padrone, ma la fortuna non è cambiata di molto.

Per disposizioni legali non può essere venduta: per contratto della vendita generale è stata comprata dall’Imperiale e già pagata con una buona somma. Frattanto ne gode  il  possesso  la  Signora  D.Vittoria “per la quale il nome della terra serve di cognome alla casata. Così le cose accidentalmente, come se artificiosamente, si confrontano. Dunque, nella corsa notte, e nel corrente Martedì, la nostra abitazione fu il disfatto albergo della medesima Signora, che per esser manierosa a par d'ogni altra, basta che sia napoletana, e figlia di Spagnolo. Essa ne favorisce con regali, e ne regala con favori indicibili, perché inestimabili” A sera parte per Sant'Angelo.

Mercoledì 27 appena apre le stanze un corriere di Napoli: “viene a dirmi il buon dì, e a darmi il mal giorno. Dalle lettere ch' io leggo, vedo che mentre io stavo uccellando nella campagna, altri mi uccellava nella città..... S' io son colà, tanti sono i disegni altrui, che guastano i disegni miei: s'io sto qua, tanto pochi son quelli che mi aiutano, che tanto maggiori si fanno quelli che mi rovinano. Già sento il fascio delle innumerabili mie cause andare a fascio; e già in fra le altre quella che di tutte 1' altre è la più grave scorgo andare a terra. Non sì tosto si è udita ne' Tribunali la renuncia della mia compra, che i venditori e i creditori della vendita hanno dai Giudici a mie spese comprata l'ingiustizia. Quel che non mi può esser vietato mi è impedito, perché in eterno mi venga trattenuto. Porge mano ai torti chi mi promise i favori. Chi, da me per un santo reputato, si può dir da me in mio giudice fu eletto, Dio voglia che tenga sospese le mani dalla orditura delle frodi......

Ma facciasi alla peggio. Se non potrò aver sicurezza per lo danaro che ancora ho da sborsare, per quel che ho sborsato vedrò di assicurarmi. A conto di questa porzione, se non potrò avere intiero l'edificio, me ne terrò almeno un cantone. Tanto bastò a Mevio, per goder delle feste de' Gladiatori, quella sola colonna che si ritenne, quanto se tutto il palagio si avesse ritenuto”.

Giovedì 28 e Venerdì 29 si dedica a spedire lettere riguardanti i suoi affari.

Sabato 3 ascolta la prova di una commedia che i sudditi devono recitare.

Il viaggio dell’Imperiale continua tra allegrie, castellane, pranzi, balli, teatri e malinconie.

Carmine Ziccardi

 

  In: VICUM, periodico trimestrale,  Organo dell’Associazione “P.S. Mancini” – Trevico, Anno XXIII, n. 4 (Fasc. XLIV), Dic. 2005, pagg. 117-136.