ACCADEMIA DI BELLE ARTI VENEZIA

DIPARTIMENTO TECNICHE E RESTAURO BENI ARTISTICI MODERNI E CONTEMPORANEI

RESTAURO HAYEZ

a cura di

Vanni Tiozzo

Venezia A.A. 1997-98

 

 

ACCADEMIA DI BELLE ARTI VENEZIA

DIPARTIMENTO TECNICHE E RESTAURO BENI ARTISTICI MODERNI E CONTEMPORANEI

Campo della Carità, Dorsoduro 1050

30123 VENEZIA

Tel. 0039-041-5225396

Fax 0039-041-5230129

Si ringraziano:

- per avere finanziato la presente pubblicazione:

- LIONS CLUB PADOVA GATTAMELATA;

- per avere ospitato e curato la presentazione:

- FONDAZIONE PALAZZO ZABARELLA;

- Il presidente, Federico Bano;

- L’Assessorato alla Cultura della Città di Padova;

- L’Assessore, PierLuigi Fantelli;

- per avere appoggiato l’iniziativa:

- Il Direttore della Accademia, Antonio Toniato;

- Il Presidente della Accademia, Antonio Foscari;

- per avere autorizzato e controllato l’esecuzione dei lavori di restauro:

- SOPRINTENDENZA PER I BENI ARTISTICI E STORICI DI VENEZIA;

- Soprintendente, Giovanna Nepi Scirè;

- Direzione dei lavori, Enrico Noè;

- per la sollecitudine nelle procedure di trasferimento del dipinto:

- Roberto Fontanari;

- infine, tutti gli allievi del corso di restauro che hanno partecipato con entusiasmo.

Con il patrocinio di:

 REGIONE del VENETO

Provvedimento n° 2756 del 21 luglio 1998.

 COMUNE di VENEZIA – Assessorato alla Cultura e P.I.

Provvedimento n° 554/98 del 16 luglio 1998.

 

LIONS CLUB "PADOVA GATTAMELATA"

Quest’anno, il Lions Club "Padova Gattamelata", proseguendo nel consueto incedere, si è fatto anche promotore presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, per il restauro dell’autoritratto del pittore ottocentesco Francesco Hayez onde poterlo più degnamente esporre alla mostra in corso presso Palazzo Zabarella, in Padova.

Dopo il restauro, ormai in fase di ultimazione, del ciclo di affreschi seicenteschi esistenti nel complesso conventuale di San Francesco, il Club ha voluto operare in maniera diversa impegnandosi, in questo contesto, a far sì che le risorse interne all’Accademia veneziana si potessero liberare per portare a compimento questo importante recupero senza l’oneroso intervento di professionisti ed imprese esterne.

Si è, così, ancora una volta potuto dimostrare, come Enti Pubblici ed Organizzazioni "No-Profit" possano armonicamente collaborare tra loro, nell’ambito delle proprie capacità e professionalità, al conseguimento del bene comune: il tutto con spirito di fratellanza e solidarietà nella consapevolezza, pure, che il bene individuale ha come necessario presupposto e completamento quello collettivo.

Enzo Brugnolo

Presidente L.C. "Padova Gattamelata"

Gianfranco Coccia

Past-President L.C. "Padova Gattamelata"

 

 

 

 

 

Presentazione del Direttore

 

 

L'età moderna ha rivalutato il ruolo decisivo che spetta nella cultura artistica al restauro e alla conservazione come strumenti indispensabili a salvaguardare e a rivalorizzare i grandi patrimoni della civiltà. Su questa prospettiva si erano già mosse le Accademie di Belle Arti che, subentrando alle funzioni svolte in passato dalle grandi committenze, hanno dato vita a straordinarie collezioni e musei. Alle Accademie erano del resto riconosciute fino a decenni addietro le competenze che ora vengono svolte dagli uffici della Sovrintendenza. Per molti aspetti dunque la storia dell'Accademia di Venezia s'identifica anche con quella delle Gallerie che oggi ne portano il nome. E non si può certo dire che, fin dagli anni di Cicognara o dell'Edwards non vi fosse stata una cura ugualmente significativa quanto quella che oggi, su basi organizzative scientifiche ovviamente più efficienti, risulta compito esemplare delle nostre Soprintendenze. Si tratta di un rilievo di tale importanza che ha portato lo Stato italiano ad istituire un Ministero apposito. Del resto la ricchezza del nostro Paese è soprattutto fondata sui segni inestimabili che la storia ha consegnato ai contemporanei, una risorsa immensa i cui effetti, anche economici, continuano ad accrescere il prestigio del nostro passato di cui dobbiamo dimostrare di essere veramente degni.

Con questo spirito l'Accademia di Venezia ha voluto progettare un indirizzo formativo per i propri studenti nel campo del restauro contemporaneo, disciplina naturalmente congeniale agli scopi che l'istituzione si prefigge in quanto il corso si integra per tradizione nelle specificità artistiche della nostra Scuola.

La cattedra di restauro è affidata al Prof. Vanni Tiozzo, erede di una vocazione familiare di ricerca e di studio in questo campo. Lodevole dunque l'esperienza da lui condotta con gli studenti della sua scuola che si sono cimentati con un urgente intervento di restauro intervenendo sull'autoritratto di Francesco Hayez, un artista che appartiene a momenti indimenticabili della storia dell'Accademia.

L'autoritratto, donato dall'autore all'Accademia, appartiene alla fase tarda del pittore veneziano e s'inserisce in una lunga serie di dipinti analoghi che vede in questo caso l'artista in posa con in mano la tavolozza: ritraendosi in quest'atteggiamento egli si presenta con la veste del pittore.

L'opera si distingue da altri più famosi autoritratti per la preziosità tonale, il rigore del chiaro-scuro, la nitidezza del segno che per l'Accademia conserva inoltre un valore emblematico per il significato al ruolo di una vocazione artistica: ideale "manifesto" per i nostri studenti.

Il Direttore dell'Accademia di Belle Arti di Venezia

Antonio Toniato

CORSO DI RESTAURO

Accademia di Belle Arti di Venezia

A. A. 1997-98

Vanni Tiozzo

Docente di Restauro

Perché restaurare in Accademia

L’Accademia di Belle Arti di Venezia è un’antica istituzione che sorge nel 1750, quando il Senato Veneto, il 24 settembre, concesse ai Riformatori dello Studio di Padova una camera nella piccola sede del Magistrato delle Farine, permettendo che in essa "potessero unirsi i giovani per disegnare"; da allora, si conserva il motto del sigillo: "ET VETERES REVOCAVIT ARTES".

Da allora, l’Accademia di Belle Arti di Venezia si distinse sempre per la grande capacità formativa dei giovani all’arte.

L’insegnamento della pittura è da sempre cominciato con l’apprendimento della tecnica pittorica e questo apprendimento è ovvio che porti inevitabilmente a considerare le caratteristiche tecniche delle opere già eseguite, quindi la loro conservazione ed il loro restauro ne sono una conseguenza imprescindibile.

Da sempre l’Accademia di Belle Arti di Venezia si è occupata di restauro.

Fu membro di questa illustre Accademia, dal 1775, un indiscusso principe del restauro, Pietro Edwards. Della validità della figura dell’Edwards basti ricordare i suoi "decaloghi" datati 1777, anch’oggi considerati mirabili come chiarezza di principi ed obiettivi di restauro. Già nel 1819 elaborò un documento per l’istituzione di una scuola di restauro nella Accademia di Belle Arti di Venezia.

Lo stesso Francesco Hayez è stato, oltre che valente pittore e Docente d’Accademia, anche restauratore; le fonti ci ricordano che nel 1797 egli apprende i rudimenti del restauro dallo Zanotti.

Per questo restaurare "il volto" di Francesco Hayez, in questa Accademia, è un’operazione di grande enfasi.

Il decalogo del restauratore secondo Pietro Edwards (Venezia 1777):

I) Di accomodare li quadri a lor consegnati senza pregiudicarne la virginità se saran vergini, come dicesi da tali artisti, cioé non corrosi nella superficie del colore, e molto meno nel corpo di esso.

II) Di rimediare a tutt'i danni inferiti al dipinto dall'imperizia di altri pulitori inesperti; sempre però nei limiti del fattibile, e con piena declinazione delle ciarlatanesche imposture.

III) Di fermare sodamente tutto il colore smosso, e vicino a cadere dal suo fondo.

IV) Di raddrizzare le tavole dipinte per quanto fossero curvate, e connetter quelle che fossero in qualunque modo disgiunte e rotte, senza che poi possibile sia d'accorgersi delle commettiture.

V) D'impedire l'ulterior infezione dei tarli nelle tavole vecchie, e riparare i danni per tal causa sofferti in addietro dal dipinto.

VI) Di trasportare il solo dipinto intattissimo da una tavola, o tela vecchie, su d'altra tavola, o tela nuove, qualora si riconoscerà non essere il fondo vecchio più suscettibile di restauri.

VII) Di foderare i quadri che ne avranno bisogno, e sfoderare gl'altri che ricevono pregiudizio dalle fodere antiche; generalmente di fortificare il fondo di ogni pezzo a misura della rispettiva esiggenza.

VIII) Di levare il fumo, e lo sporco invecchiati; le vernici crepolate, sobbollite e giallastre; le macchie di qualunque sorte; la crassizie d'ogli anneriti in superficie; le innumerabili, e resistenti sporchizie d'insetti, che sol con l'ago possono distaccarsi; e generalmente di tor via tutto ciò che impedisce la libera vaghezza del colore.

IX) Di levar tutti i ritocchi non originali che ritroveranno soprapposti al dipinto vergine, e di scoprir questo senza suo maggior detrimento.

X) Di rinvenire l'atto originale di tutt'i colori alterati quando però questi non siano intrinsecamente mutati, come accade di quasi tutti gl'oscuri.

XI) Di rimettere tutte le mancanze del colore scrostato, e caduto senza occupare il color vecchio, e senza che la menda resti visibile.

XII) Di risarcire i pezzi lacerati e mancanti, come teste, mani, drapperie, etc. sempre imitando il carattere dell'autore.

XIII) Di dare il natural sapore a tutto il quadro riponendovi la freschezza perduta per la soverchia aridità, e per tant'altri danni a' quali van sottoposte le pitture, ed ai quali tutti, sebben non espressi nella presente scrittura, dovranno i professori suddetti prestare le possibili riparazioni.

XIV) Finalmente s'impegnano di non usare sui quadri ingredienti che non si possano più levare, ma ogni cosa necessariamente adoperata sarà amovibile da quelli dell'arte ogni qual volta si voglia".

Il decalogo dell’ispettore secondo Pietro Edwards (Venezia 1777):

I) Che per ispedire solecitamente il lavoro non si adoperino corrosivi capaci di togliere la virginità del dipinto e bruciare il colore.

II) Che non si trascuri di fermar il colore cadente prima di passare al altre penose operazioni e che questa saldatura sia stabile e ferma, e non essendo riuscita la prima volta farà repplicare i tentativi.

III) Che non si ometta di foderare il quadro per evitar la spesa delle costose tele e che queste sian sempre di grana più fine della tela vecchia, perché essendo al contrario non legan bene.

IV) Che non si ometta di trasportare il dipinto sopra un altro fondo quando già per altri danni il quadro va posto nella prima classe e v'è anche bisogno di questo espediente.

V) Che si negligga di,levar tutto lo sporco e le vernici del quadro quando non vi fosse pericolo nell'operare in tal modo, o qualch'altra ragione in contrario, come alle volte può accadere.

VI) Che non si lascino i redipinti vecchi nei luoghi dove mutarono di colore e dove siavi speranza di scoprire i color originale.

VII) Che nell'applicare i necessari ritocchi non si sorta mai dal margine delle corrosioni per mancanza di diligenza e più sollecito disbrigo di questa penosa operazione.

VIII) Che alcun professore neppure con buona intenzione di migliorar l'opera levi cosa alcuna dae'originale o vi aggiunga qualche parte di proprio; né ponga o levi inscrizioni.

IX) Che tutte le mecaniche operazioni siano eseguite con ogni possibile accuratezza, e perciò rivederà le foderature, le calcature, le tirature, stuccature ed ogn'altra cosa di tal fare; dipendendo moltissimo anche da queste materialità l'esito e sussistenza dell'opera, e perciò avrà in riflesso la staggione in cui si lavorerá; la maniera o pratica mecanica dall'autore che si restaura ed il sito dove va collocato ogni quadro.

X) Finalmente prenderà in osservazione tutto ciò che ei crederà potersi meritare riflesso, se ne farà dar conto dai professori e potrà dar loro dei consigli, guardandosi però con prudenza dalle odiose pedanterie"

SCHEDA DI RESTAURO

Autoritratto - 1862

FRANCESCO HAYEZ

(Venezia 10/02/1791 – Milano 21/12/1882)

Olio su tela cm. 117 x 91,5

Firmato e datato: Fran.co Hayez veneziano 1862

Venezia, Accademia di Belle Arti

Stato di conservazione precedente l’intervento

Il dipinto si presentava in uno stato conservativo deficitario per molti aspetti. (Fig. 1)

Il telaio ligneo, pure estensibile, era completamente ritirato non garantendo più la corretta tensione della tela. I cunei lignei avevano completamente perso la loro funzione con una consistente perdita delle loro caratteristiche meccaniche, a seguito di una rilevante aggressione di insetti xilofagi. Il telaio è pure prolungato lateralmente per l’adeguamento del dipinto alle misure della cornice. Questo elemento di giunzione è, con buona probabilità un errore nella comunicazione delle misure al corniciaio, forse incaricato qui a Venezia prima ancora che giungesse il quadro, equivocando nella larghezza con l’altro autoritratto (cm. 125,5), sempre dello stesso anno, donato all’Accademia di Firenze, ora agli Uffizi.

La tela era molto allentata, presentando vistosi avvallamenti e deformazioni della superficie, oltre che essere già degenerata in alcuni, ancora piccoli, squarci. All'intrinseca debolezza del supporto era da imputare la presenza, sul retro della tela, di infossature che corrispondevano ai cretti del colore. Si deve aggiungere che le caratteristiche di quest’ultimo ci indicavano come durante il processo di polimerizzazione la forza di contrazione del legante fosse stata superiore alla resistenza del tessuto che, di consistenza troppo esigua, non ha saputo contenere il formarsi delle ampie crettature a conca. Le insufficienti caratteristiche meccaniche del supporto avevano determinato anche un rapido cedimento allo sforzo da "creep"; provocando un’ulteriore deformazione della stratificazione adagiata sulla tela e, conseguentemente, una precaria stabilità del film pittorico.

La foderatura sembrava un’operazione ineluttabile dato lo stato di deformazione delle stratificazioni, ovviamente tale intervento doveva essere realizzato a "Beva" data l’instabilità agli eccessi termoigrometrici del tessuto preparato a freddo, il quale, con una foderatura tradizionale, avrebbe sicuramente avuto un ritiro dimensionale e conseguente sollevamento dello strato pittorico.

La pigmentazione originale accusava una fitta screpolatura che rendeva frammentarie tutte le stesure cromatiche, caratterizzate da una vistosa sollecitazione nei cretti a causa del notevole ritiro dimensionale del supporto. Tale fenomeno era avvertibile agevolmente anche nonostante la spessa ossidazione delle vernici. Relativamente numerose erano quindi le piccole mancanze del brano pittorico originale in corrispondenza dei cretti.

Inoltre la pigmentazione originale, di esiguo spessore, scontava una debole coesione della stratificazione di preparazione di gesso. In più parti si erano manifestate screpolature della pigmentazione da cui traspariva la colorazione biancastra del fondo o la stessa tramatura della tela.

Un forte fenomeno di ossidazione delle stratificazioni di vernice, unitamente alla discreta sedimentazione presente sulla superficie, rendevano il dipinto particolarmente scuro e mono-tonale, con una prevalenza bruna. L’originario cromatismo, lo sviluppo chiaroscurale ed il dettaglio pittorico, prima dell’intervento, potevano essere solamente immaginate. (Foto 01 e Foto di copertina con saggio di pulitura)

Questo intervento non ha tralasciato di operare nemmeno sulla cornice, in legno gessato e dorato con ricchi decori in pastiglia di gesso dorato. Infatti, la cornice si trovava anch’essa in uno stato conservativo pessimo; numerose erano le parti di decoro che erano state perdute, (fig. 3) molte erano le pastiglie sollevate ed in procinto di cadere, alcune parti erano state rabberciate con porporina e si erano alterate e tutta la cornice era molto incupita dalla alterazione della gomma lacca e dalle sedimentazioni scure. (fig. 4)

Principali interventi eseguiti: - al dipinto -

- documentazione fotografica dello stato di conservazione; (fig.1-2)

- indagine in fluorescenza da ultravioletto colore di tutto il dipinto per individuare le eventuali riprese pittoriche e la loro consistenza organica, con ripresa fotografica;

- indagine riflettografica con videocamera a frequenza Infrarosso per individuare eventuali sovrastrutture di pigmentazione trasparenti a tale frequenza: esito negativo (nessuna campitura cromatica lasciava intravedere altre campiture sottostanti difformi). Ovviamente non si considerano utili le visioni già visibili in luce naturale, ossia il pentimento alla sinistra del berretto e quello a sinistra del braccio;

- prova di tensionamento della tela al fine di verificare la necessità dell’intervento di foderatura. La foderatura a Beva, inizialmente scelta per non causare gli stress meccanici della foderatura ad umido, ma in ogni modo invasiva, fu subito messa in discussione per la volontà di evitare, per quanto possibile, anche il minimo trauma oltre che l’alterazione della consistenza e la materialità del verso. Si è quindi tentato tutte le scelte possibili prima di intraprendere questa scelta. La prova di tensionamento ha evidenziato una discreta capacità della tela originale di sostenere lo sforzo, quindi si è ritenuto di soprassedere all’intervento di foderatura, sempre invasivo, e procedere invece interventi più limitati;

- consolidamento della stratificazione di preparazione alla tela con stesura di resina acrilica a bassa concentrazione (Plexisol P550 diluito al 5% su propanone);

- cicatrizzazione dello strappo della tela mediante l’applicazione nel lacero di polvere di resina termoplastica (Poliammide) e inserimento di fibre di lino;

- trattamento preventivo "antitarlo" del telaio ligneo con insetticida stabile ed incolore a base di Permetrina in concentrazione del 10%;

- pulitura della superficie dipinta con soluzioni etero-alcoliche portate in sospensione con le concentrazioni risultate più idonee ad ogni singolo caso, in ragione delle differenti caratteristiche delle ossidazioni, delle sedimentazioni e delle ridipinture (pulitura con etanolo in trementina al 38%); (figura di copertina con saggio di pulitura)

- leggera verniciatura di protezione della stratificazione pigmentata a separazione dell'originale dai seguenti interventi integrativi;

- stuccatura delle mancanze di stratificazione preparatoria con colletta e gesso di Bologna;

- integrazione pittorica delle piccole mancanze ed abrasioni della stratificazione pigmentata con pigmenti ad acquerello;

- leggera verniciatura finale;

- documentazione fotografica dei lavori con negativi B/N 6x6 e diacolor 6x4,5 con e relative stampe nonchè relazione sugli interventi eseguiti.

Principali interventi eseguiti: - alla cornice -

- fissaggio preliminare delle parti pericolanti, mediante iniezioni di resina acrilica (Plexisol P550 diluito al 15% su propanone);

- pulitura della superficie laminata mediante l’uso di soluzioni etero-alcoliche ed apparati assorbenti;

- consolidamento delle parti scoese della pastiglia e delle parti lignee con acetato di polivinile;

- trattamento preventivo "antitarlo" delle parti lignee con insetticida stabile ed incolore a base di Permetrina in concentrazione del 10%;

- stuccatura delle erosioni e delle mancanze sul profilo della cornice con gesso;

- integrazione estetica delle abrasioni della finitura del profilo della cornice con pigmenti all’acquerello;

- verniciatura con gomma lacca a separazione dai successivi interventi integrativi;

- calco dei rilievi superstiti per lo stampo dei decori mancanti eseguito con gomma siliconica (Ronpulen RTV583);

- realizzazione di modello di "giglio" da porre al culmine degli angoli perché mancante ovunque seguendo il profilo desumibile dalle tracce presenti nel profilo della cornice;

- esecuzione degli elementi in rilievo mancanti con colata di gesso, levigatura e preparazione in tinta bolo nonché verniciatura in cromo dorato, il tutto fuori opera;

- applicazione degli elementi realizzati lasciando a vista i punti di giunzione per migliore riconoscimento critico;

 Fig. 1 - F.Hayez, Autoritratto, 1862, Venezia, Accademia di Belle Arti.

Prima del restauro, sono evidenti le screpolature e le lacerazioni.

 

 

 

 

Fig. 2 - F.Hayez, Autoritratto, 1862, Venezia, Accademia di Belle Arti.

Dopo il restauro.

  

 

Fig. 3 – Cornice del dipinto Autoritratto, Venezia, Accademia di Belle Arti.

Prima del restauro, evidenti le ampie rotture e mancanze della cornice.

 

 

 Fig. 4 – Cornice del dipinto Autoritratto, Venezia, Accademia di Belle Arti.

Durante il restauro, la pulitura dalle sedimentazioni e ridipinture.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 5 - F.Hayez, Autoritratto, 1862, Venezia, Accademia di Belle Arti.

Dopo il restauro, il dipinto con la cornice.

 

 

PRESENTAZIONE

Enrico Noé

Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Venezia

 

Per quanto poco lo si conosca, non si stenta a credere alla prevalenza, in Francesco Hayez, di un ego fortissimo, sul quale forse gli psicologi potranno meglio illuminarci. Da tempo gli studiosi del pittore hanno notato, in proposito, la frequenza e l'importanza delle sue autorappresentazioni. Anche senza insistere sui disegni erotici di recente venuti in luce, nei quali il pittore si ritrae, e con una sorta di oggettivato compiacimento, nella più privata delle situazioni, basta notare che sono ben venti i suoi autoritratti, da un capo all'altro della lunga carriera. In gruppi di familiari o di amici, travestito da doge Faliero o da doge Gritti, oppure, e più di frequente, nei panni di serio professionista e professore. Gli autoritratti si infittiscono man mano che il maestro avanza verso la maturità e la vecchiaia: quattordici di essi, secondo il recente catalogo di Fernando Mazzocca, si scalano tra il 1848, quando Hayez aveva cinquantasette anni, fino agli ultimi del 1881, opera del maestro novantenne. Alla radice di tale autorappresentazione non c'è solo la vanità: l'autoritratto hayeziano è, anche, una non frivola riflessione su se stesso, secondo direttrici morali ed esistenziali nell'intimo non facilmente sondabili, ma che sono chiare almeno negli esiti "esterni": all'iniziale spavalderia e sicurezza succede, infatti, un'introspezione sempre più disarmata e sincera. "Il piglio monumentale dell'immagine del 1848 (fig. 6) sembra placarsi in un'atmosfera di perplessità e meditazione, mentre la figura del pittore ruota leggermente quel tanto che basta per assumere una posizione frontale che assottiglia le distanze tra sè e lo spettatore". Così Mazzocca commenta 1'autoritratto degli Uffizi (1) (fig. 7), il quale reca la stessa data, il 1862, del dipinto che stiamo presentando, appartenente all'Accademia di Belle Arti di Venezia e che Vanni Tiozzo ha ora ottimamente restaurato. L'autoritratto veneziano sarebbe, per lo stesso studioso, "una successiva versione, non ricordata dalle fonti, dell'autoritratto degli Uffizi, in un formato leggermente ridotto" (2). Il quadro degli Uffizi, infatti, misura 125x101 cm; il nostro, 117x91,5 cm. E prosegue rilevando che ci sono "anche significative varianti nella posizione della tavolozza, che viene ribaltata verso il primo piano; come in quella della mano destra, non più appoggiata alla cassetta ma spavaldamente fermata alla cintura".

Due sono dunque gli autoritratti da confrontare più specificatamente con il nostro: quello del 1848 di Milano e quello di Firenze. Anche nel nostro Hayez si mette in posa nel suo studio, davanti ad una grande tela, collocata sul cavalletto e pronta a ricevere il suo pennello. Si tratta di un'ambientazione cara al maestro, e, come osservava un contemporaneo con romantica enfasi, di un "atteggiamento sublime, perchè non v'è spettacolo più nobile a vedersi del genio nell'opera delle sue creazioni" (3). Rispetto al precedente autoritratto del 1848, che egli tenne sempre per sè (e oggi si trova alla Pinacoteca di Brera), qui accentua il ruolo di sfondo assegnato alla tela da dipingere, portandola di pieno prospetto: la medesima posizione prospettica che essa ha nell'autoritratto fiorentino. La stessa tela qui è priva, a differenza delle altre due redazioni, di un inizio di disegno, e quindi perfettamente neutra. Comprendiamo perciò che nel nostro quadro, come ci consente, grazie alla pulitura, l'attuale restauro, il maestro ha voluto costruirne la concreta spazialità con mezzi esclusivamente pittorico-luministici. Rinuncia al mobilio in primo piano (la sedia col panno di Milano, la cassetta di Firenze); con l'ombra della testa portata sulla tela, oggi resa più evidente dalla pulitura, ne annulla la neutralità di sfondo

privo di profondità; ne vivifica l'indistinzione con un alone luminoso che proietta in avanti la figura. Sul nero apparentemente uniforme di questa (più slanciata e sicura rispetto alla coeva degli Uffizi; e si noti, in proposito, il pentimento sul lato sinistro della testa e del braccio, col quale, assottigliandoli, ha contribuito alla snellezza dell'effetto) accentua la luminosità del viso, e nel viso della fronte (a cui contrappone l'ombra delle cavità orbitali), e della mano appoggiata alla cintola; pone in risalto la brizzolatura studiatissima della barba, i tocchi del rosso e del bianco sparsi sulla tavolozza, il violetto delicato del risvolto della manica.

Fig. 6 - F.Hayez, Autoritratto, 1848, Milano, Brera

 

Fig. 7 - F.Hayez, Autoritratto, 1862, Firenze, Uffizi

Non è ben chiara, come notava anche Mazzocca nel brano sopra riportato, la storia del nostro quadro. Se documentatissimi sono gli anni in cui Hayez fu allievo dell'Accademia, prima a Venezia col Matteini (1803-1808) poi a Roma come pensionato (1809-1813), anni dei quali le Gallerie dell'Accademia possiedono i "saggi" di alunnato, compreso il capolavoro giovanile (1813) con Rinaldo e Armida, il nostro dipinto appare per la prima volta, sembra, solo nel 1922, allorchè viene esposto alla Biennale di quell'anno in una "mostra individuale" dei ritratti di Francesco Hayez (4). In seguito viene citato da Elena Bassi nella monografia sull'Accademia, del 1941 (5), e poi da S. Moschini Marconi nel catalogo delle Gallerie (6). Solo di recente se ne è avuta la pubblicazione fotografica, nel catalogo generale del pittore curato da Mazzocca nel 1994 (7). Oscuri restano dunque i tempi e i modi della sua acquisizione da parte dell'Accademia. Il problema non ha solo interesse documentario, perchè saremmo curiosi di assegnare anche a questo dipinto un ruolo preciso nella storia dei rapporti tra il pittore e il suo ambiente d'origine: quel ruolo che si riconosce ad altre opere inviate dal maturo e anziano Hayez a Venezia.

Si tratta di due quadri: la Distruzione del tempio di Gerusalemme, donata nel 1868, non solo uno dei suoi massimi sforzi nella grande composizione melodrammatica, e di scoperta tematica storico-civile, ma anche un consapevole omaggio al Settecento veneziano (8); e un secondo autoritratto, tra i suoi più essenziali e commoventi, dipinto nel 1878 e inviato a Venezia nel 1879 (9).

Riguardo al dipinto che stiamo studiando, nulla abbiamo trovato nell'archivio storico dell'Accademia, dove abbiamo consultato le carte degli anni 1862-66. Nessuna notizia del dipinto - ma ciò non ci sorprende, essendo essi dedicati quasi solo alle premiazioni dei concorsi - negli atti accademici a stampa. E infine, quando Hayez donò nel 1868, come s'è detto, la Distruzione del tempio, nè nella corrispondenza intercorsa tra lui e l'istituto accademico (10), nè nell'articolo della "Gazzetta di Venezia" con cui Antonio Dall'Acqua Giusti, professore all'Accademia, segnalò il dono (11), si accenna al nostro autoritratto, che pur ha una data anteriore. Si può ipotizzare che l'opera sia giunta dopo il 1882, anno della separazione delle Gallerie dall'Accademia di belle arti, e per tale ragione sia rimasta nella scuola: infatti l'altro autoritratto sopra citato, giunto nel 1879, fu regolarmente inserito nelle collezioni delle Gallerie, allora ancora dipendenti dall'Accademia.

Comunque sia arrivato a Venezia, l'autoritratto è indiscutibile, e con la sua data 1862 prende posto, con dignità non secondaria, in un grande ciclo della ritrattistica hayeziana, ciclo al quale appartengono ben noti capolavori come il Manzoni del 1841, la Teresa Stampa del 1847, il Rosmini del 1853, e, più tardi, il d'Azeglio (1864), il Cavour (1864) e il Rossini (1867). Caratterizza queste tele, tutte conservate nella Pinacoteca di Brera, un "ethos" che le pone in evidente antitesi, pur con l'inevitabile continuità stilistica, ai ritratti più mondani, o anche solo più disinvolti, di una fase precedente, come nei casi, tra tanti, dell'Imperatore Ferdinando (1840) nella categoria "ufficiale", e della Principessa di Sant'Antimo (1840-44) tra i personaggi della grande società elegante. Senza sfondi, i ritratti braidensi sono improntati ad una severa essenzialità, ad un andar diritto allo spirito più che alle apparenze del corpo e della veste. Nel '19 per Carrà il ritratto di Cavour era una "statua di cera nel vestito nero del diplomatico, ironica, ossessionante, proprio da museo Grévin!" (12). Dall'atmosfera "cattolico-liberale" di quella cerchia di persone all'atmosfera "ossessionante" e metafisica vistavi da Carrà il passo è lungo (o breve? alla fin fine, non saprei). Più modestamente, vorremmo sottolinearne la differenza rispetto ad altri ritratti degli stessi anni, come quelli delle due bambine Negroni Prati Morosini (1858), dove il pittore non esita a sfoggiare il più amabile decorativismo. Ma nei suoi autoritratti egli vuole proporsi, forse, come il Manzoni o il Rosmini della pittura.

Si potrebbe anche utilmente confrontare questo autoritratto con quanto producevano i veneziani contemporanei: i quali (come Pompeo Marino Molmenti, ad esempio nel suo bel Vespasiano Muzzarelli al Museo di Bassano e in altri quadri degli anni '60, o Leonardo Gavagnin, o lo stesso più anziano Michelangelo Grigoletti), meno pretenziosi o forse anche meno rigidi, non rinunciano alla "scena" del ritrattato, al piccolo pettegolezzo di inserirlo nel suo mondo: il salotto, lo studio, il giardino. Status visivo che era anche, ovviamente, status sociale. Ma tale ricerca, che forse sarà da fare, esula dalla presente occasione, paga di presentare, nel modo migliore, uno splendido e poco conosciuto Hayez.

 

N o t e

(1) F.MAZZOCCA, Francesco Hayez. Catalogo ragionato, Milano 1994, pp.341-342.

(2) MAZZOCCA, 1994, p.342, n.357, con ill.

(3) LUIGI TOCCAGNI (1850), cit. da F.MAZZOCCA nel catalogo della mostra Hayez, Milano 1983, p.333, n.1179.

(4) XIII Esposizione internazionale d'arte della città di Venezia. Catalogo, Firenze-Milano 1922, sala 26, p.94, n.2. Al n.3 era esposto l'autoritratto del 1878 delle Gallerie per il quale cfr. sotto nota 9). Tuttavia i recensori (per es. A.MUÑOZ, "Il Marzocco", 23 luglio 1922, p.2) e lo stesso ordinatore della mostra R. CALZINI (che ne scrisse ampiamente in "Dedalo", III, 1922-23, pp 46-68) non si accorsero del nostro quadro.

Nel 1922 presidente della Biennale era Giovanni Bordiga, allora anche presidente dell'Accademia: lo spostamento del dipinto dalla sua stanza in Accademia all'esposizione ai Giardini si deve senz'altro attribuire a lui.

(5) E. BASSI, La Regia Accademia di belle arti di Venezia, Firenze 1941, p.122. Errate le misure del quadro (m 0,50 x 1,25) fornite in tale testo.

(6) S.MOSCHINI MARCONI, Gallerie dell'Accademia di Venezia. Opere d'arte dei secoli XVII, XVIII, XIX, Roma 1970, p.209. Altra menzione del quadro in una scheda di L.ARRIGONI nel cat. Hayez, 1983, P.334, n.180.

(7) Cfr. nota 2.

(8) Gallerie dell'Accademia, cat.756. L'opera, dopo lunga dimora a Ca' Pesaro, è attualmente esposta nella "quadreria" al secondo piano. Cfr., da ultimo, A.PERISSA TORRINI, Francesco Havez. La distruzione del Tempio di Gerusalemme, Venezia 1995 (opuscolo della serie "Dai depositi delle Gallerie dell'Accademia"; ivi, tra l'altro, i disegni preparatori inediti per il quadro, appartenenti alle stesse Gallerie).

(9) Gallerie dell'Accademia, cat.761. Ancora in deposito a Ca' Pesaro.

(10) I documenti originali si trovano nell'archivio delle Gallerie, 2 Doni e lasciti, busta 2, fasc. 14.

(11) A.DALL'ACQUA GIUSTI, La distruzione del tempio di Gerusalemme, quadro di F.Hayez, donato dall'autore all'Accademia veneta di belle arti, "Gazzetta di Venezia", 28 ott.1868, p. 1092.

(12) C.CARRA', Pittura metafisica, Firenze 1919, p.281.