Uscire dall’euro senza idee - Nevrosi e psicosi

Considerazioni sulla percezione nevrotica e psicotica dell’euro

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… i desideri nominalistici di tornare alla moneta di nome “Lira” e quelli di permanere nella moneta di nome “Euro” sono patologici in quanto nevrosi o psicosi. Il nome degli oggetti che percepiamo non ha il valore che dovrebbero avere i relativi oggetti. Finché non si comprende questo è inutile parlare di qualsiasi cosa. Procedere in base ad attivismo partitocratico (nevrosi permanente attuale) o in base alla paura (psicosi permanente attuale) è sempre un procedere non dell’io ma del suo aspetto inferiore. L’io, se è sano, rovescia i banchi dei cambiavalute (Marco 11,15; Giovanni 2,14-15), se è malato ossequia i banchieri. Però non serve a nulla combattere le banche motivati solo da versetti biblici, perché in tal modo si assumono solo ennesime posizioni ideologiche dell’antico pensiero vivente. Oggi ciò che più conta è uno stato di veglia consapevole... Continuare con le feste del cotechino è abominevole... (dal video Uscire dall’euro senza idee - Nevrosi e psicosi).

 Materialismo o spiritualismo, sensismo o psichismo, ecc., qualsiasi ideologia, teologia, cosmologia, gnoseologia, tutto ciò che poggia su riflessioni già fatte, tutto il pensato possibile, e perfino l’amore predicato dai vari esperti, antroposofici o scientisti, se tutto ciò porta alla crisi significa che non va bene. Anche la via al cuore, scrive Rudolf Steiner, “passa per la testa”. Infatti è impossibile che non passi per la testa, dato che senza la sua concettualizzazione tale via non la si potrebbe nemmeno nominare, e dato che una via istintiva o viscerale o isterica o psicotica non è una via al cuore: un isterico è un isterico; non è uno che ragiona col cuore. E il nevrotico? Il nevrotico è un cervellotico che vi si blocca, in quanto stampa o fissa nella testa “la via al cuore”. È il cosiddetto fissato.

 

Da questo punto di vista, Johann Gottlieb Fichte era un vero maestro, dato che concepiva l’“intelletto” come “fissazione” perché in tedesco “Verstand”, “intelletto”, ha in radice lo “stehen” di “stare”...

 

Con la stessa logica si potrebbe sostenere che la parola “caimano” ha in sé un po’ di “umano” in quanto ha in radice la “mano”. È roba da matti ma è davvero così: “L’intelletto - dice Fichte - è intelletto semplicemente nella misura in cui qualcosa è fissato in esso, e tutto ciò che è fissato è fissato soltanto nell’intelletto” (“Der Verstand ist Verstand, bloß insofern etwas in ihm fixiert ist; und alles, was fixiert ist bloß im Verstande fixiert”, vedine la spiegazione etimologica in Johann Gottlieb Fiche, “Fondamento dell’intera dottrina della scienza”, Ed. Bompiani, Milano 2003, pp. 444-5).

Anche per Freud, la fissazione genererebbe nevrosi e psicosi in quella che descrive come una specie di stasi evolutiva della libido, che consisterebbe in una “fissazione”, appunto, ad una delle fasi (“orale”, “anale” e “uretrale”) che precedono la cosiddetta fase genitale.

Il pensare sano avrà sempre a che fare da un lato con la minaccia della sclerosi intellettualistica (prodotta dalla fissazione) e dall’altro con quella del rammollimento emozionale (prodotto dalla regressione).

Anche il continuo parlare di angeli, arcangeli, archai, troni cherubini, ecc., come se fossero normali oggetti di percezione quotidiana, è una forma di nevrosi, detta “angelismo”. È evidente che i cosiddetti angelisti, che parlano di angeli come se fossero mortadella, vivono nell’inconscio rifiuto di esistere nel corpo e di assumersi le responsabilità della vita terrena. Perciò non sono ancora bene incarnati e si sentono parte della schiera angelica nella misura in cui vi si esaltano come se essa fosse lì con loro. A questi “angeli” consiglio di buttarsi giù, ovviamente non nel senso di intristirsi nel materialismo, ma di incarnarsi un po’ di più, e di affrontare con coraggio il loro esistere qui ed ora.

Altra forma nevrotica, detta nevrosi ossessiva, è quella di chi lotta contro il moderno pensiero morto assumendo posizioni ideologiche dell’antico pensiero vivente. Vedi per esempio i predicatori di Geova o i predicatori di antroposofie kantiane, fichtiane, heideggeriane, ecc. Tale lotta è però sterile in quanto aggiunge antichi pensieri ad altri già acquisiti e/o “fissati” nella mente. Questo tipo di lottatore arriva solo a sempre nuove (sic!) forme di anacronismo che, mancando di libera iniziativa, non risorgono, perché non possono ritornare a vivere. Oggi, l’antico pensiero vivente è anacronistico e quindi patologico, così come è anacronistico e patologico il combattere il moderno pensiero morto, perché lo si combatte solo a parole, dialetticamente, astrattamente, con una forza propulsiva pressoché nulla, per cui il pensiero non fa che autoconservarsi, ostacolando così ogni ulteriore progresso.

D’altronde non è nemmeno giusto demonizzare il moderno pensiero morto dato che, grazie ad esso, abbiamo una utile scienza della realtà inorganica. E questo è un bene, non un male. La scienza della materia è un bene. Nel caldo torrido dell’estate si può, grazie ad essa, aprire il frigo e ristorarsi con una fresca bibita. Non è un male. Accendo il computer e so se domani piove o no. Non è un male, ecc.

 

Dunque la scienza della materia non andrebbe confusa col materialismo. Nel materialismo la materia domina l’io. Nella scienza della materia è invece l’io che domina la materia.

Lo stesso può essere detto dello scientismo, per esempio dello scientismo antroposofico new age che predica la percezione come inganno o maya…

 

Lo scientismo è l’attitudine ad estendere al campo della vita, dell’attività interiore, e dell’io, il modo scientifico di procedere relativo però al solo campo inorganico. Tanto per intenderci, i risultati raccolti nel libro “La filosofia della libertà” di Steiner, non sono scientismo, perché non riguardano il solo campo inorganico ma anche quello organico, trattandosi di risultati di osservazioni aventi come oggetto l’attività interiore degli esseri umani.

Pur essendo sempre un prodotto dell’io, la scienza non è scientismo. L’io però, nella sua forma inferiore (di ego), lo ignora. Cosa succede allora? E cosa c’entra tutto questo con l’uscita dall’euro? In questa sua ignoranza l’io rischia di offrire alle proprie infime forze la possibilità di fare l’uso peggiore di quel prodotto.

 

Queste forze inferiori hanno come loro unica superiore prospettiva quella meramente burocratico-finanziaria, che nella lingua ebraica moderna è detta “mimén”, col significato di “finanziare”, e che anticamente era detta in aramaico, “mamonà”, il dio di varie schiavitù e degradazioni umane basate sul bisogno.

Oggi come ieri, il dio Mammona, o il vitello d’oro, è individuabile in un principio preciso, quello della strumentalizzazione dell’umano.

 

L’odierna imposizione fiscale finalizzata al finanziamento non di una collettività ma di un ideologico collettivismo astratto e privo di concretezza ne è un esempio preciso.

Il “dio” a cui accenno, è insomma il dio quattrino, ben diverso dal “dio” trino della triarticolazione sociale dietro cui da sempre (già Platone per esempio ne parlava a suo modo, come di una triade formata da governanti, lavoratori e guerrieri) si maschera.

 

Tale “dio” è stato chiamato con vari nomi nel passato. Paolo di Tarso (San Paolo) lo chiamava “Belial”, gli evangelisti “Satana”, e la cultura scientifico-spirituale a carattere antroposofico “arimane”. Si tratta comunque sempre di una forza vera, reale, che, se ci possiede, sono guai, perché è una forza di male. Se invece siamo noi a possederla, allora cambia tutto e diventa forza benefica. Non dobbiamo infatti avere paura dei quattrini. Dobbiamo solo imparare ad usarli senza farci usare, anche se ciò non è sempre facilissimo.

Ecco dunque come l’uomo, senza minimamente accorgersene - in quanto vive in stato di veglia non sempre consapevole - può facilmente rischiare di essere a poco a poco trascinato a servire la morte o la sua logica (“arimanica”), per lo più basata su definizioni e sui concetti del fine e della fine. Ecco il finire del pensare nel pensato, cioè nel morto.

Anche qui occorre fare chiarezza: non si tratta di demonizzare la definizione in sé per la psicosi moraleggiante di cadere nelle trappole di Arimane. Si tratta piuttosto di servirsi della definizione, anziché di comportarsi secondo essa. Se per esempio io creo un programma per il computer, la mia programmazione non può non servirsi di definizioni, perché solo se avrò definito con massima precisione gli elementi di quel programma, il computer potrà scattare secondo quel determinato dispositivo anch’esso tecnologicamente definito.


Non così l’uomo.

L’uomo non scatta.

L’uomo pensa.

Se scatta e non pensa è un pirla.


L’uomo scattante in base a definizioni è l’uomo dell’attivismo di Fichte, o del “dover essere” di Kant, quello che Steiner chiama “automa superiore”: “Chi agisce soltanto perché riconosce determinate norme morali, compie delle azioni che sono il risultato dei principi che si trovano nel suo codice morale. Egli ne è semplicemente l’esecutore, è un automa superiore” (R. Steiner, “La filosofia della libertà”, cap. 9°, §25°).

 

Ma per quanto possa essere superiore, un automa non sarà mai un uomo. Sarà sempre una macchina.

 

L’individualismo etico di cui parla Steiner non è fatto di uomini che sono automi superiori, bensì “solo” di uomini!

 

Nella sana natura dell’uomo vi sarà sempre la capacità di distinguere fra una creatività malata ed una sana. Se la mia creatività si riduce a inventare metodi infallibili o scientifici o assoluti - come, ad es., il metodo della moneta unica, o quello della creazione dal nulla della moneta, o del monopolio, o del monopsonio, ecc., ecc., ecc. - per rubare impunemente ai miei simili, si tratta ovviamente di una creatività malata, cioè nevrotica o psicotica. Ecco perché il desiderio di tornare alla moneta di nome lira o quello di permanere nella moneta di nome euro saranno entrambi nevrotici o psicotici in quanto entrambi nominalistici.

Il nome dato dal concetto agli oggetti che percepiamo, non può avere il valore che dovrebbero avere i relativi percetti (e cos’è un percetto? Occorre avere poche idee e ben confuse, diceva Macario! Per intenderci: come il concetto riguarda il PENSARE, così il percetto riguarda il SENTIRE, ed allo stesso modo l’azione riguarda il VOLERE). Finché non si comprende questo, è inutile ogni discorso.

 

Procedere in base a mero attivismo partitocratico (nevrosi permanente attuale) o in base alla paura (psicosi permanente attuale) è quindi identico, perché sarà sempre un procedere non dell’io ma un procedere del suo aspetto inferiore.

 

L’io, se è sano, rovescia i banchi dei cambiavalute (Marco 11,15; Giovanni 2,14-15); se è malato ossequia i banchieri. Però non serve a nulla combattere le banche motivati solo dai versetti evangelici citati, perché in tal modo si assumono solo ennesime posizioni ideologiche dell’antico pensiero vivente.

 

Oggi ciò che più conta è uno stato di veglia consapevole...

 

E invece noi cosa facciamo? Continuiamo a ballare, cantare, e a fare feste esattamente come facevano gli uomini antichi attorno ai vari vitelli d’oro: feste del cotechino, festa della polenta, festa dell’oca, festa della rana, festa delle castagne.

 

Non vi sembra stupido e  abominevole fare feste e poi la sera stanchi accendere il televisore per identificarci nelle varie piazze di persone che dopo avere gozzovigliato si lamentano contro il governo? Quindi siamo colpevoli della crisi tanto quanto chi ci governa... Siamo come coloro che andavano a divertirsi coi leoni al Colosseo e col sangue dei gladiatori...

 

Eppure “solo” di una cosa dovremmo essere consapevoli: lo Stato di diritto dovrebbe occuparsi solamente del diritto, non di valori economici, né di scuole. I valori economici, essendo prodotti sempre dai loro creatori, che sono i commercianti, gli imprenditori, gli ideatori, gli inventori, ecc., non possono e non devono essere manipolati dallo Stato. Lo Stato di diritto dovrebbe solo garantire a tutti da un lato il diritto di creare in base alla divisione del lavoro (faccio notare che J. Gottlieb Fichte era avverso alla divisione del lavoro; basta leggere solamente il titolo dei vari capitoli delle sue “Lezioni di massoneria”: “L’evoluzione umana vien posta in pericolo dalla divisione del lavoro”; “In seno alla divisione del lavoro una società particolare non può avere alcun compito”, cfr. anche: J. G. Fichte,“Lezioni sulla massoneria”, Ed. G. Casini, 2009) e, dall’altro, il diritto della libera ricerca e/o della libera scuola.

 

Solo secondo universalità del pensare è dunque possibile risolvere il problema della moneta e di ogni crisi connessa.

 

Nominalisticamente non è possibile.

 

Insomma, fuori dal contesto della concreta comprensione della triarticolazione (e/o autonomizzazione) di economia-diritto-cultura si permane nei guai, e/o nelle nevrosi, e/o psicosi, che li alimentano.

Prova nel web a inserire il termine “nevrosi ossessiva” in qualsiasi motore di ricerca. Non tarderai a riconoscere che è straordinariamente facile servirci di idee, idee fisse, pensati, ideologie, dette anche “sublimazioni”, che non sono altro che riflessioni preconfezionate: “pensati” (il pensiero riflesso di cui parla Massimo Scaligero).

 

Noi usiamo questi “pensati” per non pensare. Perché? Semplicemente per sottrarci alle nostre responsabilità, allontanando così la paura di essere l’io che siamo, cioè noi stessi. Così passiamo gli anni a partecipare “politicamente” alle feste della coppa, del salame, delle patate, dell’oca, del maiale, delle castagne, ecc. 

 

La paura ci domina anche e soprattutto in campo gnoseologico, cioè nella logica del nostro conoscere. Si conosce per paura. E la paura è una pessima consigliera.

 

Come si dovrebbe conoscere?
 

In senso biblico conoscere significa fare l’amore, dato che che per amare bisogna conoscere, così come per conoscere bisogna amare. La realtà però non si rivela alla paura, né all’attivismo. Come la verità, la realtà si concede soltanto a chi la ama, dunque non allo psicotico, né al nevrotico. È piuttosto la menzogna ad essere sorella della paura e dell’attivismo, e figlia di una cultura avvilente e mortificante l’attività interiore e lo spirito, che è l’io che la anima.

 

Il problema del conoscere non è quello di passare dal materialismo dell’oggetto percepibile allo spiritualismo del relativo concetto, o viceversa dal concettualismo privo di esperienza di vita alla vita senza idee o piena di definizioni cioè di morte.

 

A me pare che entrambe queste impostazioni siano massimamente deleterie e pertanto uguali nel loro essere nocive. Entrambi questi due aspetti, nevrotici o psicotici di ingenua partitocrazia da un lato, e di accorto attivismo new age dall’altro, sono identici in quanto  generano entrambi la medesima cosa: la stasi “gattopardiana” per la quale “tutto deve cambiare affinché nulla cambi”. E mi sembra che sia proprio questo che avviene quando si considerano le cose a discapito dei loro nomi (nominalismo) o i concetti a discapito di ciò che evocano (materialismo), o la percezione a discapito del proprio concetto (concettualismo, idealismo, spiritualismo).

 

Occorre essere  molto chiari quando si parla di realtà, compresa la realtà monetaria, quella del costo dei soldi, e del loro valore: se una banconota riporta un numero, quel numero è il suo nome, ma il suo nome non è il valore che evoca, bensì quello della sua filigrana, inchiostro, stampa, e sarebbe lo stesso se tale nome riportasse un numero diverso, doppio, triplo, mille o un milione di volte più grande... Se non si comprende che tanto la percezione quanto il relativo concetto formano la realtà, e che la prima non è meno importante del secondo, si può parlare di euro e di lire quanto dei “carciofi” della “Fiaba” di Goethe senza capire nulla di ciò di cui si parla, perché il livello di comprensione è infimo, ed è proprio quello del filosofismo ciarliero dei “fuochi fatui” presenti nella fiaba... In tale livello di comprensione tornare alla lira o permanere nell’euro non cambia la realtà. Ci si batte per l’una o per l’altra cosa credendo di lottare per il cambiamento ma la crisi permane. Perché? Perché in realtà si è convinti che per l’uomo sia impossibile pervenire alla realtà mediante il suo pensare. E le scuole di Stato hanno proprio il compito di formare questa errata convinzione, questo pregiudizio. Non credo sia un fatto di complotto ma semplicemente di ignoranza, come lo è ogni altro pregiudizio.

 

Ecco perché considerare la percezione un inganno o una maya da superare, significa farne un pensato antecedente il pensare, un preconcetto, non un concetto. E la realtà - come è caratterizzata nella filosofia da Steiner - è fatta di percezioni e concetti, non di percezioni e preconcetti.

 

Dante insegna che “L’angoscia, che non cape dentro, spira / fuor de la bocca si ch’ella s’intende” (Rime LXXX 12, CXVI 29): quando non capiamo interiormente la nostra angoscia - nevrosi o psicosi che sia - questa diventa parola detta, onda sonora percepibile, affinché la possiamo intendere. E l’intendere mediante preconcetto resta nevrosi o psicosi finché non ci si libera dai preconcetti.

 

Faccio un esempio. Si prenda la morte, anzi, l’oggetto di percezione il cui contenuto corrisponde al concetto di “morte” ed al preconcetto che la percezione sia inganno. Se ci atteniamo al concetto diremo che la morte esiste. Se ci atteniamo al preconcetto diremo che la morte non esiste. Così avviene per ogni altra cosa.

 

In altre parole, cosa avviene se, volendo fare gli idealisti o gli spiritualisti, ci atteniamo al preconcetto? Avviene che nel nostro esempio assumiamo la morte come non realtà.

 

Se invece ci liberiamo del preconcetto, possiamo - mediante il pensare - percepire che la morte è un fatto in noi sempre presente, continuo e progressivo, dall’inizio alla fine della nostra vita, e che noi lo assumiamo come realtà in quanto è possibilità reale ad ogni istante di morte totale di noi stessi, o di morte parziale di certi nostri aspetti, oppure ancora di morte effettiva e attuale di parti di noi. Tutto ciò con varianti di ordine quantitativo e qualitativo, che hanno ovviamente senso solo se relativamente considerate. Sappiamo altresì che tutto questo nostro percepire la morte è percezione di reale morte progressiva perché ogni giorno di vita ci avvicina alla morte totale, e rappresenta un progresso della morte stessa. La morte che proviene dall’esterno e dall’interno è in vari modi rappresentata e presente anche mentalmente.

 

Certamente si può anche mentalizzare il preconcetto che tutto sia maya, o che tutto il percepibile sia un inganno da superare. Si tratta però di stabilir se sia un bene tale nostra mentalizzazione, cioè tale “pensato” prima dell’oggetto percepito. Chi ragiona  oggettivamente non potrà negare che in quanto percezione mentale della morte, in varie forme e a vari livelli, se essi implicano difficoltà di padroneggiamento di essa, tale mentalizzazione della morte è, in quanto nevrosi o psicosi, un male. Ed è tanto un male quanto più essa è mentalizzata come preconcetto.

 

Lo stesso, ripeto, vale per ogni altro oggetto di percezione... Se il padroneggiamento degli oggetti implica difficoltà, significa sempre che procediamo nevroticamente o psicoticamente per preconcetti.

 

Il signoraggio bancario non è altro che un padroneggiamento che implica difficoltà e crisi in coloro che sono stati addomesticati a pensare per preconcetti...

 

Potete stare certi che i furbi estensori del signoraggio come cosa buona e giusta avranno il loro tornaconto proveniente da quella scientifica rapina... Costoro però, pur essendo facoltosi massoni, o statalisti smithiani o keynesiani convinti, o “fuochi fatui” dell’ultima ora, neogiacobini, neofichtiani dell’antroposofismo ciarliero, ecc., rientreranno tutti nell’umanità dozzinale, quella che raccoglie non vere e proprie individualità umane ma gente subumana mossa da meri istinti animali: “Per i miei istinti e impulsi io sono un uomo, dodici dei quali formano una dozzina; per forma speciale dell’idea mediante cui all’interno della dozzina mi qualifico come un io, io sono un individuo” (R. Steiner, “La filosofia della libertà”, cap. 9°).

 

Ora si pone la domanda: come facciamo a convivere coi subumani? È difficile dare una risposta a questa domanda che non sia il solito: “si salvi chi può”... Ci rifletterò ancora. Ma mi sembra che lo studio della triarticolazione sociale sia la risposta migliore in quanto si tratta di un’idea a misura d’uomo, non in senso moralistico, ma in senso fisiologico...

 

In ambito di globalizzazione, una moneta unica potrebbe avrebbe senso solo se anche anche la cultura si globalizzasse, cultura del diritto compresa, con la conseguenza di una giustizia uguale per tutti gli abitanti del globo. Sarebbe allora evidente che la moneta unica dovrebbe essere veramente unica per tutto il globo, perché solo così essa potrebbe prosperare nella sua realtà economica. Siamo vicini o lontani da questa logica universale? Ecco perché dico che occorre approfondire innanzitutto le dinamiche del nostro conoscere le cose del globo, prima di affrontarne la globalizzazione come se il globo fosse un cubo...

 

Coi preconcetti sulla percezione si può dire tutto ed il contrario di tutto, come dimostrano le idee “libertarie” del video “In difesa dell’euro”... Esse non sono ovviamente idee di libertà, ma ideologia della libertà, sotto vari aspetti uguale alla filosofia della libertà di J. Gottlieb Fichte, predicata oggi dall’antroposofismo ciarliero come se fosse “La filosofia della libertà” di Steiner...

Nereo Villa, Castell’Arquato, 23 settembre 2013