Nereo Villa

 

Sulla teoria della relatività (ottava parte) - Conclusione

(Trascrizione completa del video che segue)

 

 

 

Siete tutti malati. Siamo tutti malati, ammaliati dalle scuole di Stato, e quindi dalle scuole dell’OBBLIGO; e l’obbligo è il contrario della libertà, che dovrebbe essere la base della ricerca, della cultura, ecc.

La teoria della relatività di Einstein è antilogica. Questa è la mia conclusione.

Se è vero, come è vero, che la nostra vita si attua mediante il percepire sensorio e l’intelligenza che vi si connette, collegandosi al percepito, ciò che oggi ci si immagina o si crede dell’atomo o di una sua particella, o di un quanto o di un quark, si dovrebbe dire innanzitutto che tutto questo non è MAI stato percepito da un senso umano. Ma ammettiamo pure di immaginarlo come percepito: immaginandolo come percepito, si dovrebbe dire che la materia dell’atomo non è dura, né solida, né indistruttibile come si crede, ma che consiste di spazi, in cui si muoverebbero altre mini particelle, anch’esse immateriali, come i cosiddetti fotoni, per esempio. Ma se la terra fosse davvero composta di questi materiali atomici, come potrebbe essere minerale, o materiale, se è fatta di spazio? Cosa sono dunque gli atomi di materia, che sono costituiti da spazi completamente vuoti? Nessuno lo sa.

Questo credere nell’atomo è dunque grave come credere che una madonna di gesso pianga. Quindi siamo costretti a chiamare MATERIA OSCURA il passaggio dalla mineralità terrestre alla non-mineralità. E questo significa che la non-mineralità è solo immaginazione, cioè una mera immaginazione, priva di percezione sensoria, dato che ogni percezione sensoria la contraddice. Infatti come possiamo percepire concretamente una nostra immaginazione? Io non dico che non sia possibile. Dico solo che per percepire il sovrasensibile, dobbiamo per forza entrare nella scienza capace di non escludere da sé lo spirito, cioè l’io umano, e la sua attività: il pensare.

Ogni volta che percepisco qualcosa io necessito innanzitutto - per conoscerla o riconoscerla in modo da rapportarmi giustamente ad essa - di attivare il pensare; col pensare posso rappresentarmi la cosa come immagine fino a quando l’immagine non la contraddice o non coincide più con la cosa; perché se un’altra immagine la contraddice significa che l’astrazione mentale precedente con cui l’ho ricavata, non è giusta, non vale più. Devo quindi ripartire da capo per migliorare o cambiare la nuova immagine da rappresentarmi, e poi concettualizzare. In altre parole se sbatto la testa contro un muro significa che lì non c’è un vuoto ma un pieno. Se la materia è oscura significa che non è chiara. E se la luce non la illumina significa che non è luce. Perché la luce illumina; la luce illumina tutto. Se la luce generasse oscurità sarebbe come un pesce che, volendo volare, muore, o come un dogma che volendo tiranneggiare la realtà, decade come verità e diventa fede, mistica, superstizione. La realtà dunque non può essere data da immaginazioni sognanti o arbitrarie rispetto alle forme delle cose percepibili. La realtà ci è data dal percepire sensorio delle forme e dall’intelligenza che si connette a queste.

 

Certamente la sola percezione sensoria non è di per sé la realtà. Allo stesso modo, anche l’intelligenza, da sola, non è la realtà. La realtà è data da tutt’e due: intelligenza e forma dell’oggetto percepibile dai sensi. Ecco perché Goethe diceva che l’uomo, se adopera i suoi sensi sani, è lo strumento più prezioso che c’è! E che il principale errore della fisica moderna è proprio quello di attribuire invece più importanza ai risultati dati da apparecchi artificiali che agli effetti della percezione sensoriale umana (cfr. W. Goethe, “Maximen und Reflexionen”, af. 367).

Lo “spazio-tempo”? Lo “spazio-tempo” è un’astrazione. Non esiste. È un concetto spurio in cui Einstein mescola insieme due enti essenzialmente diversi, lo spazio e il tempo, in un unico ente. Infatti se provi a riflettere sullo spazio-tempo-vuoto di Einstein ti accorgi di stare riflettendo su che cosa? Sul nulla. Infatti, cosa mai può essere uno spazio vuoto? Un nulla. Un tempo vuoto, poi, non può neanche essere pensato, dato che il tempo esige un soggetto o un oggetto per essere. Nella musica il tempo vuoto è una pausa, cioè un’assenza di suono, un nulla di suono. Ecco perché se ci si immagina lo spazio-tempo-vuoto, ci si immagina il nulla. Solo il nulla. Ma come farebbe allora questo nulla a curvarsi (come Einstein dogmatizza) se è nulla? Oppure (ed è la stessa cosa): come farebbe il nulla ad offrire resistenza alle forze centrifughe, sviluppate da corpi in movimento su traiettorie curve? Insomma come può uno spazio vuoto o un tempo vuoto, o uno spazio-tempo vuoto avere proprietà? Il nulla è nulla e non può avere alcuna proprietà. Perciò non può essere curvo. Uno spazio-curvo è un’idiozia come un nulla-curvo. Di proprietà si dovrebbe parlare solo per cose o corpi che sono NELLO spazio. Affermare che in presenza di cose o di corpi lo spazio può incurvarsi è come dire che, in presenza di un salame, il nulla si muove raggomitolandosi su se stesso. È semplicemente demenziale. Eppure noi crediamo a queste cose demenziali.

Solo una mente ascientifica può pensare che il cosmo sia (o sia immerso in uno) spazio-tempo-vuoto e che tutto questo, luce compresa, sia misurabile come solida fisicità minerale o materiale. Ebbene noi oggi attribuiamo a questo modo di pensare la massima genialità. Consideriamo Einstein un genio o il prototipo del genio. Eppure il suo modo di pensare fa parte di uno stadio di immaturità infantile o di quello di impulsi di quando si ha la febbre (impulsi febbrili) o ancora della regressione senile, sotto il cui peso elucubrante, possono penare intere epoche, popoli e strati decaduti della società, che appartengono sempre al campo del mal maturo, del patologico o della maturazione eccessiva, già decomposta dalla putredine.

Si vuole oggi un mondo materiale in cui tutto sia fondato sulla materia. Ma come fa la materia a fondarsi su se stessa? Si parla di equilibrio centripeto della materia. Però non si considera che se tutta la materia si fondasse davvero sull’equilibrio centripeto di un corpo sferoidale come il nostro pianeta, mosso da forze cosmiche di attrazione e di repulsione, ciò confermerebbe proprio il contrario di tale fondamento, dato che la materia, la materia terrestre, dipendendo da quelle forze, dipenderebbe da ciò che NON È materiale, dato che sarebbero QUELLE FORZE a dominare la gravità per cui ogni corpo fisico pesa. Insomma se accettiamo la legittimità di sostenere la positività di una materia fondata su se stessa, donataci dal percepire sensorio, i sensi dovrebbero anche dirci in che modo riescono a soppesare quel fondamento immateriale della terra materiale.

Pertanto il materialista dello spazio-tempo-vuoto, o meglio il materialista del nulla, dovrebbe rispondere alla domanda: come fa la materia “terra” a poggiare sul nulla o sullo spazio-tempo-vuoto?

Se non si sa rispondere o se per rispondere si nega la forza di gravità, ci si comporta come il fantastico barone di Münchhausen, che raccontava di essere capace di sostenersi per aria attaccato al proprio codino. Oppure ci si accoda, con la propria scienza, ad Alice nel paese delle meraviglie. Guardate che questa non è una battuta [negli anni venti Einstein scrisse ad un amico che la sua migliore idea fu quella del 1907, secondo la quale cadendo nel vuoto non si sentirebbe la gravità; idea astratta e comunque già presente nel libro “Alice nel paese delle meraviglie” in cui all’inizio della caduta nella tana Alice si accorge che tutte le cose che lascia andare cadono esattamente con lei alla medesima velocità].

Ma come si fa nella realtà a cadere senza sentire la gravità? Se questa è la massima intuizione di Einstein, figuriamoci le altre.

[Nel momento del salto, il paracadutista sperimenta la PERCEZIONE dell’aria che lo sostiene].

Siamo educati (anzi addomesticati) fin da bambini nelle idiozie. La “scienza” (fra virgolette) ci insegna che l’unica realtà sarebbe il mondo dei sensi, della cui evoluzione noi saremmo il prodotto, ma contemporaneamente ci avverte che i sensi e il cervello o la mente coi quali percepiamo quel mondo non hanno realtà, dato che i sensi ci ingannano e la mente ci mente. Scientificamente saremmo poi tutti animali. Quindi siamo “addomesticati”: addomesticati ad accettare l’assurdo come cosa buona e giusta, l’imbecillità come pronta rettitudine, e il debito come credito. Etimologicamente il debito proviene infatti dal latino “debeo”, quindi dal dovere; per cui il kantiano imperativo categorico del “dover essere” è la base oggi, ancora dopo quasi tre secoli, del diritto: dobbiamo essere così se no non lavoriamo! Ho pubblicato recentemente un brevissimo scritto di Louis Essen, che è stato fatto fuori dalla Fisica, dopo essere arrivato in una carriera meravigliosa in cui ha inventato l’orologio atomico al cesio, funzionante. E ha dovuto dire: guardate che qui non ci siamo con la teoria della relatività di Einstein: è una bufala, o uno scherzo, o una truffa. Ebbene questo è stato fatto fuori completamente. È stato fatto fuori dagli “illuminati”, quelli sedicenti “illuminati”.

Ma l’imperatore dell’imperativo categorico chi è se si esclude l’io? Può una logica dell’episteme, cioè una logica epistemologica, una logica dell’epistemologia, escludere l’io? E l’epistemologia cos’è? Dovrebbe essere la logica di ciò che - come dice anche il suono del termine “epiSTEme” - STA saldamente in piedi in base alla scienza del cosiddetto sapere positivo. Ma il sapere positivo diventa negativo se ci induce a tenerci aggrappati a quel poco che o a non farci ulteriori domande, cioè a non pensare, o a rimuovere ogni giudizio critico. Che scienza è? È fede!

Ciò che sappiamo - ci dicono - sarebbe un assurdo, dato che quello che crediamo di percepire sarebbe solo un prodotto dei nostri sensi, formatosi in una coscienza generata dal nostro cervello, così che i sensi e il cervello ci susciterebbero intorno un mondo che in realtà non esiste, come i colori, gli odori, i sapori…

Il libro di Lucio Russo, addirittura: “L’odore di violette”, è proprio un testo meraviglioso per studiare queste cose. E io mi sono basato molto su Russo per questi studi.

Come ci viene scientificamente insegnato fin dalle elementari, il mondo reale sarebbe dunque un vortice di particelle che NON vediamo, attraversato da un fascio di onde e di radiazioni elettromagnetiche che NON vediamo, in cui i corpi solidi e compatti che ci sembra di percepire (compreso il nostro) sarebbero più vuoti che pieni, dato che della materia oscura che ci è insegnata non è chiaro se le infinitesimali entità che roteerebbero nel vuoto abbiano una vera consistenza materiale, o se siano anch’esse onde o cariche elettriche concentrate. E quindi? Nessuno sa ancora cosa sia la natura dell’elettricità, di cui si REGISTRANO gli effetti. Si registrano gli effetti ma nessuno ha spiegato l’elettricità, la natura dell’elettricità. Se ce n’è qualcuno, alzi la mano, faccia un segno: Nereo stai sbagliando. Allora io contraddico tutto quello che ho detto.

Tutte queste contraddizioni, però, non emergono solo ai piani alti delle teorie che ci vengono impartite ma sono già nei fondamenti stessi di ogni ricerca, ed i cosiddetti neuro-scienziati continuano per esempio a dibattere per stabilire quale punto della corteccia cerebrale contenga quel particolare fenomeno detto “coscienza”, senza mai rendersi conto che il “FENOMENO-COSCIENZA” è la scena su cui si volge la LORO STESSA attività scientifica. Per cui continuano a tentare di esaminare un fenomeno in cui è contenuta la rappresentazione di quella corteccia che dovrebbe invece contenere il fenomeno.

E come fai tu ad aprire il cervello per vedere dov’è la coscienza, senza uccidere la persona. Puoi fare tutti gli esperimenti che vuoi: ammazzare le scimmie, ammazzare i gatti, i topi, ma non ci riesci, perché per forza di cose devi ammazzare qualcuno se gli spacchi il cervello, o se gli inietti delle sostanze che poi… Lo fai morire… E siamo arrivati a questi punti qua.

C’è, come si vede, un circolo vizioso che si fa sempre più stretto nella prigione del demenziale, imperante come imperativo categorico in cui, ripeto, manca l’imperatore, cioè l’io pensante, il pensare umano, l’amore per la sapienza (detto filosofia), preventivamente esclusi dalla scienza odierna.

La filosofia, o l’io, o il pensare umano, lega un concetto a un altro concetto. La scienza materialistica lega invece un oggetto a un altro oggetto. Ma tanto l’io quanto la scienza stabiliscono però questi nessi per mezzo del pensare. E se la scienza riesce almeno a stabilire una serie di indubitabili fatti, la sua dipendenza dal pensare NON È MINORE di quella della filosofia.

Eppure la scienza di oggi crede di darci ASETTICAMENTE un mondo “osservato”. Ma di fatto non ci da’ niente. La scienza ci da’ pur sempre un mondo “pensato” – un frigorifero per esempio, o un computer o una bomba atomica - senza rendersi conto, comunque, che lo sta pensando, o ha dovuto pensarlo. E qui sta la sua “scienziaggine”.

È la scienza senza coscienza di sé. E questa scienza dove può andare?

Einstein non ha avuto continuatori. Come mai? Non ne ha avuti perché le sue sono scienziaggini che non servono a nulla. Perché la fisica moderna, tutta impegnata a elaborare ipotesi per definire questo o quello, non è in grado di cogliere la causa e la ragione comune dei processi e delle cose. Sono sorte nuove scienze come l’astrofisica o la fisica atomica, che hanno avuto un grande sviluppo. Ma anche dopo aver sondato e investigato il mondo fisico in tutti i suoi più segreti risvolti, queste non sono neanche riuscite a stabilire cosa sia la materia. Cos’è la materia? Chi ha mai visto la materia? Io ho visto un tavolo di legno, un tavolo di ferro, un tavolo di vetro, un lavandino, una piramide, un cavallo… Ma la materia del cavallo dov’è? È la pelle la materia del cavallo? E il fungo? La materia del fungo qual è? La materia del pino cos’è, l’ago del pino? C’era un mio vicino di casa… Si chiamava Pino! :D Va be’!

Ma l’aspetto più grave di questo panorama è lo stato di dissociazione mentale a cui ha portato il miscuglio fra darwinismo e relativismo. (Quando dico queste cose mi sembra di vedere le streghe o i maghi, col pentolone in cui mescolano insieme il darwinismo e il relativismo… E fanno dei casini enormi… dei casini!). Il darwinismo ha infatti come presupposto un uomo che, provenendo dalle scimmie, non è nient’altro che uno scimmione intelligente. Invece la fisica relativista, dal canto suo, per tagliare la testa al toro, ha eliminato del tutto l’uomo come soggetto della ricerca. Tanto, l’uomo è uno scimmione…

Allora sorge la domanda: come fanno le vibrazioni, rilevate e seguite all’esterno dalla fisica, ed all’interno del nostro sistema nervoso dalla fisiologia, a trasformarsi nella sensazione che chiamiamo “rosso” o “verde”, o “blu”, ecc.? E se tale sensazione si forma solo in noi, che cosa la provoca in noi? Oggi ragioniamo come ieri, come gli uomini primitivi. Agostino diceva della fede “credo quia absurdum”, cioè “credo perché è assurdo”. E oggi siamo ancora a questo punto qua. È triste ma è così. Agostino credeva nella chiesa perché è assurda e il politico di oggi crede nello Stato perché è assurdo. Ma questa è deficienza mentale.

Crediamo all’assurdo rivolgendoci non più però alla rivelazione (non dico che sia giusto rivolgerci alla rivelazione, però allora ci si rivolgeva ai testi sacri antichi; oggi però non ha più senso rivolgerci ai testi sacri antichi perché, dopo 2000 anni che si è incarnato l’io nell’essere umano, tutto quello che è stato rivelato tramite i libri antichi, i testi antichi, è già dentro l’uomo: l’uomo deve indagare dentro di sé ed ha tutto, ha tutta la rivelazione che vuole. Perché il Libro - il libro con la L maiuscola - si è fatto carne 2000 fa, e quindi tutta la sua sostanza molecolare o atomico-molecolare è diventata carne. Ecco perché in ebraico c’è sempre questo bellissimo nome BESSAR - bazar è dove si vende la carne; “bessar” è la stessa cosa: “carne” è “bessar - e BESSURÀH, che vuol dire “messaggio”. Carne e messaggio si scrivono con la stessa radice ebraica…) ma ai dati del nostro computer. Oggi anzi non è neanche più possibile NON credere. All’atomo non si può non credere perché c’è la bomba, alle onde ed alle radiazioni non si può non credere perché c’è la radio ed il televisore, all’elettricità non si può non credere perché c’è la corrente che entra nelle nostre case, senza la quale non potremmo più vivere oggi. L’attuale evoluzione scientifica lascia una sola conclusione dunque: i suoi risultati pratici sono veri, anche se non spiegano il mondo, e non spiegano neanche i risultati, perché il pensare con cui lo scienziato REGISTRA questi risultati, cioè i dati dell’osservazione, è insufficiente a spiegarli, e meno ancora a usarli per spiegare il mondo.

Merito o colpa del puritanesimo scientifico (che non vuole saperne dell’io e dell’uomo)? Lo chiamo puritanesimo perché illuso di essere puro nell’escludere da sé l’io, cioè il soggetto pensante. D’accordo: l’uomo ha scoperto l’elettricità e l’energia atomica, ma quest’uomo chi è? È forse Einstein, la cui teoria della relatività non sta in piedi?

Majorana non era molto d’accordo con queste favolette alla Münchhausen o alla vispa Teresa. Majorana diceva che l’einsteinismo era una falsità (in Umberto Bartocci “La scomparsa di Ettore Majorana, un affare di Stato?”, Ed. Andromeda, Bologna, 1999).

Però io non sono d’accordo neanche con Majorana. Perché il concetto di vero o di falso è applicabile solo a qualcosa di sensato. Cioè una dice: “Questo melone pesa un chilo”. L’altro dice: “No. È un chilo scarso”. Allora tutti e due dicono un’idea che può essere sensata. Basta pesare il melone e rendersi conto di chi aveva ragione, cioè del peso giusto. Ma si può davvero dire che l’einsteinismo abbia un senso? Come può avere senso un’affermazione SIMULTANEA alla sua affermazione opposta? Einstein infatti afferma la velocità della luce come un assoluto. E questo assoluto a cosa gli serve? Gli serve all’interno della sua formula della relatività. Se tutto è relativo, dev’essere relativa anche la velocità della luce. Perché tu dici che è assoluta. Perché sei più furbo degli altri? E qui siamo nell’antilogica, appunto. Dunque, il posto giusto per la teoria della relatività dovrebbe essere un museo delle cere per film di fantascienza antilogica, o un museo per mostruosità concettuali, o per postulati che non sono postulati ma dogmi mascherati da postulati. Se tu postuli di aver fame e contemporaneamente di essere sazio sei un deficiente…

L’ignoranza è la forza, diceva Orwell. Ed è vero.

Oggi la forza, cioè l’energia è, appunto, l’ignoranza, altro che E=mc
²!

Siete troppo deboli per capirlo. Siete tutti ignoranti. Siamo tutti deboli e ignoranti. Oggi l’ignoranza è tale che la maggior parte dei neo-credenti nell’einsteinismo (che è un partito come un altro), non sa neanche cosa sia un postulato. Cos’è? Un budino? :D

Postulare significa chiedere. Il postulare è dunque una richiesta. Il postulato è da sempre la richiesta di un punto base di partenza che sia totalmente evidente: da non avere bisogno di dimostrazione. Ogni conoscenza che però non sia postulata dalla vita è condannata alla sterilità, anche se può far gola a qualche scienziato della mutua, o dello statalismo, o del fisco, ecc. In senso sociale, se per esempio tu nasci con una gamba sola o con un emisfero cerebrale inattivo, è chiaro che nasci come postulato: sei tu stesso una specie di postulato alla società, dato che richiedi a me, socio della società, di pensare un po’ anche a te. Ed è giusto che sia così. Io ti aiuterò economicamente, o come posso, rispondendo socialmente alla tua richiesta sociale. È ovvio, cioè chiaro ed evidente, che sia così, che sia giusto questo, se siamo in un mondo di umani. Se non lo siamo, allora ci vogliono le imposte affinché lo diventiamo.


Per fare un altro esempio di postulato: in geometria si accetta il postulato che dice che solo una retta possa passare per due punti dello spazio. Infatti prova a farne passare due e vedrai che non ci riscesci. È impossibile. Altro esempio: la somma in gradi degli angoli dei triangoli è incontrovertibilmente 180; l’angolo giro è incontrovertibilmente di 360°, ecc.


I postulati sono dunque verità fondamentali che si sorreggono da sole, così che vi si possa sempre contare. Dunque non sono qualcosa da credere. Sono cose incontrovertibili e sperimentabili da tutti: cose che si vedono, si palpano. Sono universalità del pensare. E, in quanto pensare che STA in piedi da sé incontrovertibilmente, sono EPISTEME.


Ora, la costanza assoluta della velocità della luce fu presentata da Einstein come postulato, ma postulato non era. Era invece una fede acritica, un dogma, una follia basata NON sull’esperienza - dato che l’esperienza non può aversi - ma su qualcosa da accettare indipendentemente dal giudizio critico dell’io che ne richiede l’evidenza epistemologica. Ebbene, la costanza della velocità della luce è oggi imposta come PRINCIPIO INTOCCABILE PROPRIO IN QUANTO POSTULATO. Ma da chi? Dai poteri forti? Dalle autorità? Dai padroni del vapore? Tutte bugie queste. Le cose non stanno così. I poteri forti sono forti solo perché competono con uomini talmente abituati a essere deboli e vanesi, che i primi hanno la meglio, anche se non sono in grado di fare un minimo ragionamento sano, cioè universalmente concreto. Gli scimmioni intelligenti hanno smesso di dare la caccia alle streghe ma NON perché hanno scoperto la scienza. Hanno fiutato la scienza dopo aver fiutato le streghe ma il loro “spirito scientifico” (tra virgolette “spirito scientifico”), come anche lo spirito d’iniziativa in economia, è rimasto un sottoprodotto mentale dell’azione che martirizza l’altro nella misura in cui l’altro ha ancora un barlume di giudizio critico, e ciò secondo uno spirito oscurantista poggiante ancora sull’autorità fuori di sé, fuori dall’uomo: l’autorità della carta, le scritture, le scritture antiche considerate sacre. Il mondo odierno dimentica la rivelazione per interessarsi unicamente a quei sottoprodotti mentali semplicemente perché non si è accorto che l’oggetto della rivelazione risiedeva e risiede nell’uomo, nell’essere umano: nel suo io. E quelli che intravedono questa straordinaria verità, appena la vedono, la vendono. La vendono subito, cioè si prostituiscono, in nome di una miserabile fetta di potere. È l’avvento di Mefistofele, o di Arimane, o di Belial (o di Beliar: 2ª Corinzi 6,15). È l’avvento dell’economicismo. L’economicismo si fa dio. L’economicismo è dio, il nuovo dio.


La vera episteme è in definitiva la forza che fa dire io a te stesso, che è il vero ed unico maestro, dispensatore di sapienza. Perché “là dove è il tuo tesoro c’è anche il tuo cuore; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!” (Mt 6,21).


La scienza senza episteme non può migliorare le condizioni degli uomini se li porta alla cecità volontaria. E La scienza, in tal modo, è solo perversione nella misura in cui porta l’uomo alla rimozione del suo giudizio critico.


L’autorità internazionale preposta alla definizione delle unità di misura (la “Conférence Genéral des Poids et Mesures”) stabilì che il metro fosse la LUNGHEZZA DEL PERCORSO ATTRAVERSATO DALLA LUCE nell’intervallo di tempo equivalente a una frazione di secondo al cui denominatore vi è il numero 299.792.458. Nessuno si oppose a questa insensatezza semplicemente perché mancava e manca il giudizio critico per opporsi. Con quale dei miei sensi posso accettare questa caratterizzazione o questa definizione del metro? Se quello è il metro, perché non si usa quella frazione di tempo per misurare le lunghezze per esempio del duomo di Milano?


Prova ad usare quella frazione di secondo per misurare le altezze, le larghezze e le profondità delle guglie del duomo di Milano o del suo interno, e vedrai che quella procedura di misurazione è praticamente impossibile.


La velocità della luce è un altro metro di misura convenzionale. È una convenzione, come l’anno luce è un’altra convenzione. Ma, a parte questo (che è una scemenza), le unità di misura della realtà sono la realtà?


Resta poi l’inconsistenza logica di quel postulato, dato che contraddice i principi base della logica. Io posso anche accettare l’ipotesi che, mentre davanti a me appare il “rosso”, ci sia nell’etere un processo ondulatorio e che sia questo processo a far scaturire la mia sensazione. Ma un processo ondulatorio che facesse scaturire la mia sensazione del “rosso” cosa c’entra col “rosso”, cioè con l’essenza del contenuto di quella sensazione? Non c’entra nulla. Per me quella rosa è rossa. Basta. Se mi obietti che la sensazione può essere dimostrata come soggettiva (quindi non oggettiva) e che quindi ciò che effettivamente, OGGETTIVAMENTE, esiste fuori di me è solo il processo di movimento che sta a base della mia sensazione, OK! Allora non dovresti però nemmeno parlarmi di una teoria fisica delle percezioni ma solo di una teoria fisica dei processi di movimento che ne sono alla base.
Ma questo è impossibile: per la scienza di oggi, questo è impossibile perché come potrebbe darsi una teoria del movimento per una scienza che esclude l’io ed è in grado di percepire solo ciò che è mosso e non ciò che si muove? Io percepisco ciò che si muove. La macchina, no. Una macchina fotografica mi da’ un’immagine. Tante immagini, fatte passare una vicino all’altra, come avviene nella videocamera, possono mostrare solo fotogrammi in sequenza. Poi, se io li intuisco come moto, dico che vedo il moto, il movimento. Ma questo non viene dalla macchina. Viene dall’io. Dunque, una teoria fisica della percezione dovrebbe dunque estendersi a ciò che è percepibile ai sensi. E cercare IN QUEL CAMPO, nel campo dei SENSI, le possibili correlazioni. Com’è che la rosa è correlata al “rosso”? Com’è che le cose sono connesse ai loro colori? Questo è casomai il problema scientifico da risolvere.


Se si arriva a capire l’importanza di questo problema si comprende allora anche la genialità di un vero scienziato dei colori. Mi riferisco alla scienza di Goethe sui colori.


Se invece comprendi te stesso come intende Einstein, vale a dire come congegno meccanico, meccanismo, non vai da nessuna parte, non puoi andare da nessuna parte. In compenso puoi scattare foto… o scattare tu stesso come esecutore scattante di ordini etero-imposti… Come bestia ubbidiente automaticamente, scattante appunto come una trappola per topi.


Non servono altre parole per vedere l’insensatezza dell’einsteinismo, dato che a parole oggi si può dire tutto e il contrario di tutto, come faceva appunto Einstein dicendo “qui lo dico” e simultaneamente “qui lo nego” (cioè diceva l’ASSOLUTO della velocità della luce e il RELATIVO della sua formula o dello spazio-tempo).


Propongo invece una POLAROID: una macchina fotografica POLAROID. La POLAROID si chiama POLAROID perché riguarda la POLARITÀ di luce ed ombra, cioè gli studi di Goethe sul colore! Rifletteteci. Studiate la storia dell’invenzione della POLAROID. Si potrebbe istruire una vera e propria tesi di laurea sulla POLAROID.


Nel 1994 suonavo in giro per l’Europa. Ebbi l’occasione (essendo stato a Düsseldorf in tournée) di visitare il museo di Goethe. Era una villetta a cui si accedeva tramite un lungo viale di un grande parco. Sembrava di entrare in una reggia, in una favola. Alla fine del viale c’era una piccola abitazione, che era il suo studio, quello che gli permise di realizzare la sua teoria dei colori, cioè il suo più ambizioso e impegnativo progetto scientifico. Osservando i suoi apparecchi per sperimentare le POLARITÀ luce-tenebra, ebbi subito chiaro che quegli oggetti (che poi mi costruii anch’io a casa) non erano altro che gli antenati della nostra TELEVISIONE A COLORI. La POLARITÀ dei contrasti fra luce e oscurità, principio fondamentale su cui poggia non solo la televisione a colori, ma anche l’oramai antica macchina fotografica “POLAROID”, era e resta l’incontrovertibile dimostrazione scientifica PRATICA (cioè NON A PAROLE) dell’esattezza delle idee di Goethe sulla sensazione e sui colori.


Invece il GPS, che i più beoti attribuiscono ad Einstein, non funziona in base alla sua formula, dato che è aggiornato ogni giorno, cioè è corretto ogni giorno. Se la formula fosse giusta, non ci sarebbe bisogno di queste correzioni. E quella formula, secondo Louis Essen, padre dell’orologio atomico, non lo farebbe funzionare. Quindi ogni giorno c’è una correzione.


Ma nessuno se ne è accorto. Né della POLAROID, né di questa bufala della formula della relatività. Perché? Perché siete troppo deboli di pensiero. Perciò esistono i poteri forti, quelli che vi fanno credere che tutta la tecnologia, l’informatica, l’ottica, sia merito di Newton e di Einstein. Ma è solo una fede. Oltretutto una fede in baggianate indimostrate. Di fronte alla POLAROID di Goethe e alla fantascienza di Einstein si preferisce la fantascienza, perché la fantascienza è forse un modo di evadere da questo mondo, che non si vuole accettare così balordo. Ma i balordi siete voi, non il mondo. Pensate, riflettete e non sarete più balordi.


O avete paura di riflettere? Sembra proprio di sì, e questa paura di pensare mi sembra, appunto, il retaggio di un terrore antico, simile alla paura di leggere la bibbia (perché coloro che erano trovati in possesso di una bibbia erano messi al rogo dalla chiesa), o l’altra paura, quello del tempo di Einstein, quando i libri degli ebrei (ed Einstein era un ebreo) erano vietati dal nazifascismo, e chi ne era trovato in possesso poteva passare guai.


Allora parlare di Einstein era come opporsi al nazifascismo. Io condivido ogni opposizione al fascismo o al nazifascismo, così come al comunismo o ad ogni sottomissione ad autorità che non sia autorevolezza, soprattutto se si presenta come scienza da credere.


Il mio occhio percepisce il chiaro e lo scuro. Percepisce la luce e la tenebra. E fra queste polarità percepisce i colori. Non ci vuole una mente eccelsa per percepire una rosa rossa. Invece con Einstein invece c’è solo dogmatismo da credere. E affermare che i colori esistono in quanto li percepisco è come un oltraggio alla scienza, la quale afferma questo come un’eresia, dato che per la scienza di oggi i colori non ci sono! Come non esistono le stelle che vedo… Come non esiste che io possa volere ciò che voglio, ecc. L’ho già detto: per Einstein non esiste nulla che non sia relativo, eccetto la sua teoria della relatività.


Se Goethe fosse vivo, cosa direbbe? Direbbe quello che ha sempre detto, e cioè che “una dottrina falsa non la si può confutare, perché poggia sul convincimento che il falso sia vero”. Infatti per Goethe, quelli che cercano la verità della natura fuori dall’uomo, cioè fuori dalla natura umana, non possono trovarla. Mi sembra ovvio. Ecco perché nel Faust di Goethe, soprattutto nei discorsi tra Faust e Mefistofele, si intravede un vero e proprio manuale scientifico (scientifico-spirituale bisognerebbe dire) di istruzioni per il futuro: una “guida da usarsi per dirigere il futuro” (R. Steiner “L’equilibrio nel mondo: l’uomo, lucifero e arimane”, conf. di Dornach del 20/11/1914, Opera Omnia 158).
L’Europa (per Europa intendo non l’“unione europea”, l’UE, ma i popoli europei) avrebbe dunque nelle opere di Goethe la base per una reale concezione laica NON SOLO dei colori e della percezione ma dello Stato stesso. Soprattutto nel Faust, parte 2ª, atto 1° (Ed. UTET, Torino, 1975, pag. 276-277, cfr. anche la nota su Mefistofele di pag. 59) Goethe denuncia, per bocca del suo personaggio Mefistofele la beffa della cartamoneta, esprimendo ciò che dirà poi anche Marx (K. Marx, “Il Capitale”, Libro I, Editori Riuniti, Roma 1974, pp. 817-818) a proposito dei creatori di denaro dal nulla, cioè i banchieri (non si dimentichi MAI che Goethe fu non solo un letterato come insegna la cultura dell’obbligo di Stato, bensì uno scienziato).


Oggi per correggere i poteri deboli, o l’einsteinismo, o le ideologie pseudoscientifiche sedicenti scienza, il politicismo, l’economicismo, ecc., basterebbe, se proprio si vogliono usare le macchine, mettere in mano al popolo una POLAROID, e confrontare il suo funzionamento con le idee di Goethe sulla polarità di luce ed ombra e sulla percezione!


Invece siamo tutti incastonati in teorie di ciò che è impercepibile e che va creduto come avente caratteri di percepibilità, dato che la scienza deve basarsi sul percepibile. E qui siamo nella idiozia più totale.


Poniamo pure che la scienza si basi sulla percezione sensibile intesa come scrupolosa oggettività e riflettiamo. Poniamo che tu sia a Roma e io sono qui nel mio paese: a Castell’Arquato. E tu mi mandi un telegramma. Posso dire scientificamente che il foglio di carta viene da Roma se credo che la scienza indaghi il solo mondo sensibile attraverso la mera percezione sensibile? La risposta è NO. Quel foglio, scientificamente, cioè in base ai sensi, alla PERCEZIONE dei sensi, viene da Castell’Arquato: è stampato a Castell’Arquato e il postino che me lo consegna lo ha portato a casa mia dall’ufficio postale di Castell’Arquato, NON da Roma. Allora qual è la realtà? BISOGNA CHIEDERSELO. La realtà dei fatti è che il telegramma viene da Roma oppure la realtà dei fatti è che il telegramma viene da Castell’Arquato? La risposta non può essere che la seguente: secondo la realtà, che va oltre il sensibile, cioè la realtà SOVRASENSIBILE, il contenuto concettuale di quel telegramma viene da Roma; invece, secondo la realtà sensibile, quel telegramma viene da Castell’Arquato. Dunque una scienza basata sulla mera percezione sensibile non conduce alla verità dei fatti. Solo una scienza capace di indagare anche il sovrasensibile con lo stesso impegno con cui indaga il sensibile può conoscere la realtà del fatto che tu mi hai spedito quel telegramma da Roma.


Se a base dei fenomeni (tutti i fenomeni, luce, calore, elettricità, ecc.) vi fossero solo vibrazioni eteriche, cioè solo movimento, come si dibatteva al tempo di Hertz (1857-1894) e di Einstein (1879-1955), saremmo arrivati ad un movimento unitario, dato che in un mezzo, in cui è possibile SOLTANTO il movimento, tutto deve reagire col movimento. Se però studiamo le forme di quel movimento, non apprendiamo CHE COSA sia la cosa trasmessa. Apprendiamo solo in che modo questa cosa mi sia trasmessa. Ma sarebbe assurdo dire che per esempio il calore o la luce sono movimento. Movimento è soltanto la reazione alla luce di una materia suscettibile di movimento. Ma la luce e la tenebra, e con esse i colori, non sono qualcosa di materiale. Infatti per Goethe erano e sono entità immateriali. E non può essere che così, dato che sulla luce intesa come materia cosa si può dire? Cosa c’è da dire? Non c’è niente da dire niente. Cosa si può dire di quella fra virgolette “materia”? Anche intendendo la luce alla Newton come miscuglio di tutti i colori, si arriva a nulla. Infatti facendo ruotare velocemente un circolo di cartone colorato con tutti i colori si ottiene un colore grigiastro, non bianco. Può dare l’impressione di “bianco” (bisogna farli questi esperimenti) ma è ben lontano dal bianco ed è assolutamente lontano dalla luce. Dunque ogni concetto della “materia-luce” svanisce: si volatilizza totalmente in una vuota rappresentazione generica, a cui nella realtà non corrisponde niente. E queste astrazioni però erano estranee a Goethe. Per Goethe ogni rappresentazione doveva avere un contenuto concreto; solo che per lui il “concreto” non si identificava col “fisico”, o col “materiale”, o col “minerale”.


E lo scienziato-bestia di oggi, lo scimmione intelligente alla Boncinelli a questo punto obietta (lo sento io già che dice): ma come può essere concreto il pensare? Perché il pensare non si vede. Ebbene la risposta c’è! C’è una concretezza del pensare che sfugge ai sedicenti scienziati einsteiniani: tramite la concretezza del pensare io so concretamente per esempio che l’organismo di una lumaca è molto più semplice di quello di un cavallo.


La fisica moderna non ha in realtà alcun concetto della luce; conosce solo numeri, luci specificate in numeri, numeri vibrazionali, colori che, in determinate combinazioni, suscitano quell’impressione grigiastra di “bianco” che chiama luce. Ma la “luce” e la “tenebra” intese da Goethe sono ancora del tutto ignote alla fisica odierna. Perché se la fisica odierna le conoscesse, l’einsteinismo sarebbe messo completamente nel museo delle stupidità. La fisica moderna semplicemente ignora tutti i concetti fondamentali della teoria di Goethe sui colori; perciò non può nemmeno formare un giudizio dal suo punto di vista su quella teoria. Infatti Goethe comincia là dove la fisica finisce. Il fatto che si parli continuamente dei rapporti tra Goethe, Newton e la fisica moderna, senza avvertire, senza capire che si tratta di due mondi fra loro completamente diversi, testimonia di una deficiente comprensione di quei rapporti.


In tale deficiente o superficiale modo di procedere, la differenza tra apparenza e realtà sembra poca cosa per Einstein e per gli odierni einsteiniani. Ma un conto è dire che un oggetto quando si allontana sembra rimpicciolire, un altro conto è sostenere che quell’oggetto rimpicciolisce davvero. E bisogna essere deficienti per dire che quell’oggetto rimpicciolisce davvero! Allo stesso modo una cosa osservata sembra tutt’altro se si dirige l’attenzione su un suo contorno costruito ad hoc. Ciò però non significa che tutto possa rientrare nella psicologia della forma. Perché se ti cade un mattone in testa, quello è un mattone, non è il vuoto d’aria che lo contiene.


Max Wertheimer, il padre della psicologia gestaltica, era amico di Einstein. Nella celebre immagine dei due visi di profilo (detta "vaso di Rubin") risulta impossibile percepire contemporaneamente i volti e il vaso. È l’io qui che deve scegliere qual è la figura e qual è lo sfondo. Possiamo concentrarci dunque prima sull’una e poi sull’altro. Mai però nel medesimo istante possiamo vedere entrambe le figure. Stessa cosa per altre immagini costruite ad hoc come, ad es., il volto di donna che può essere un saxofonista o quello di una giovane fanciulla che può essere quello di una vecchia. Salvador Dalì fu uno dei primi a dare dignità artistica a questa psicologia della forma.


Alcuni psicologi individuarono, assieme a Wertheimer, una serie di principi sui quali si fonda la percezione visiva. Fondarono la scuola psicologica della Gestalt, termine che in tedesco significa “forma”, secondo la quale il costituirsi dell’oggetto fenomenico avverrebbe a seguito di una sorta di “decisione” organizzativa presa dal sistema percettivo. Notate bene: dal sistema percettivo, non dall’io. Certamente la conoscenza di queste astratte ambiguità affascina. Però formulare matematicamente la relatività in base al “vaso di Rubin”, o simili, è qualcosa di troppo stupido da prendere sul serio. Perché in tal modo si ritiene che l’io umano sia incapace di distinguere la forma concreta da quella astratta delle cose. Ed è questo in definitiva che fece Einstein in tutte le sue idiozie.
Nella celebre immagine dei due visi di profilo risulta impossibile percepire contemporaneamente i volti e il vaso. Certamente dobbiamo scegliere qual è la figura e qual è lo sfondo. Possiamo anche concentrarci prima sull’una e poi sull’altro ma fare ciò nello stesso momento è impossibile. E questo può essere utile, per accorgerci che in ogni uomo c’è un potere creativo capace di distinguere fra GNOMI e realtà. Anch'io sono partito nel mio secondo libro dal vaso di Rubin (N. Villa, “Il sacro simbolo dell’arcobaleno”, SeaR Edizioni, Casalgrande - R.E., 1998, pag. 19).


Chi invece distrugge il concetto di simultaneità per poi usarlo per affermare che la luce è granulare e simultaneamente ondulatoria, chi è? Einstein.


Ma questo usare due pesi per due misure a cosa serve? Potrà servire, giusto, agli economisti...
Lo stesso vale per altre insensatezze come il paradosso dei gemelli, di cui non parlo perché è una stupidata così grande, una contraddizione così grande che è una barzelletta. Dico solo che, anziché mostrarne le abnormi contraddizioni, la scienza attuale usa queste idiozie per illustrare ai sempliciotti i drammatici effetti della dilatazione temporale prevista dalla cosiddetta relatività speciale di Einstein. Einstein, che comunque non può che restare (almeno per me) un primitivo della fisica, un buzzurro…