SULLA PAURA CATTOLICA DEL LOGOS

La preminenza del Logos sull'Ethos spaventa la chiesa?

http://bastamonopolio.over-blog.com/2014/10/sulla-paura-cattolica-del-logos.html

 

Dire che il Logos presente nella logica sia di poco valore in quanto si tratta di natura umana, significa implicitamente mettere sullo stesso piano la natura che nell’uomo tende ad espletare i propri bisogni fisiologici e la natura che nell’uomo anela alla cultura. Ma è giusto mettere in un solo fascio azioni naturalmente fisiologiche con azioni logiche nelle quali l’uomo, non solo ha coscienza del proprio agire, ma anche delle cause che ve lo spingono? Sono forse le azioni degli uomini tutte di un genere? La logica comportamentale del capitano sul campo di battaglia, e quella dello studioso nel laboratorio scientifico, e quella dell’uomo di Stato nelle più intricate circostanze diplomatiche, possono essere messe seriamente alla pari con quella del bambino che strilla perché cerca il latte? È certamente vero che un problema si risolve tanto più facilmente quanto più semplice è il caso che uno si propone; ma è pur vero che già molte volte l’incapacità di discernimento ha portato ad una confusione senza fine. Ed è una differenza assai profonda, quella che corre fra il caso in cui io so dal Logos della mia logica il motivo per cui faccio una cosa, e il caso in cui non lo so. Ciò sembra essere una verità evidente. Eppure gli oppositori del Logos presente universalmente nella logica non si domandano mai se un motivo del mio comportamento logico o fisiologico che sia da me riconosciuto e compreso, rappresenti per me una coercizione, nello stesso senso in cui per il bambino è coercizione il processo organico che lo fa gridare per il latte.

 

Se una confessione religiosa insegnasse a mettere sullo stesso piano l’azione fisiologica e l’azione logica non potrebbe che essere anticristiana. Ho già caratterizzato tale atteggiamento come sequela di Belial (http://bastamonopolio.over-blog.com/2014/10/chi-rimprovera-una-mucca-perche-non-e-piu-un-vitello.html).

 

Oggi sta avvenendo sotto gli occhi di tutti - anche se sono pochi coloro in grado di accorgersene - che l’etica cattolica, confondendo la logica dell’essere con la logica dell’avere, o la cultura con l’istruzione, l’etica con la dietetica, le regole di luce, che generano, perfino etimologicamente, il termine “cultura” (da culto di “Ur”, che significa “luce”) con le regole tenebrose del culto confessionale e del cosiddetto “timor di Dio”, insegni non il cristianesimo ma l’anticristianesimo, come se il mezzo e il fine fossero un’unica cosa buona e giusta.

 

Invece il mezzo ingiusto rende iniquo il fine giusto. Partono da qui le regole cattoliche dell’Ethos, identiche alle istruzioni di un galateo che nulla ha di culturale, e che tutto ha di addomesticamento formale a comportamenti del tutto inautentici perché privi di Logos vivente. Mi riferisco per esempio al recente tweet di Bergoglio: “Chiediamo al Signore la grazia di non sparlare, di non criticare, di non spettegolare, di volere bene a tutti”, che sembra una sintesi di alta pedagogia, mentre in realtà è un ANACRONISMO che potrebbe andar bene per minorati mentali o per uomini di quattromila anni fa, non per l’uomo d’oggi. Perciò è un insegnamento di un cattivo maestro, costruito sul terreno di una falsità da sepolcro imbiancato.

 

Per “voler bene a tutti”, ammesso che sia giusto voler bene anche a coloro che uccidono i propri simili, occorre, come minima cosa iniziale, restare logici, cioè permanere non nell’ideologia ma nella logica di Realtà.

 

Predicare l’etica “di non sparlare, di non criticare, di non spettegolare”, o qualsiasi altra etica, significa dare preminenza all’Ethos, a discapito del Logos. In tal senso significa regredire, tornare indietro, alle regole.

 

Il pettegolezzo è chiaramente non auspicabile. Quando però lo si affronta usando la logica non serve più la via del consiglio di non pettegolare, che potrebbe andare bene per il bar Sport, non per il cristianesimo.

 

La via delle regole o delle dottrine o delle leggi è anticristiana. Cristiana è solo l’epicheia che disobbedisce alle leggi ritenute ingiuste. Sostanzialmente il messaggio cristiano è: esistono le leggi ed esiste ciò che è giusto, io eseguo ciò che è giusto…

 

Il messaggio della dottrina, o del Libro sacro, termina con l’avvento del Logos. E termina nella misura in cui il Logos si fa carne.

 

I termini bessar e bessurah, rispettivamente carne e messaggio, guarda caso, sono scritti con la stessa radice ebraica… Il motivo logico di tale fatto chiarisce il fatto stesso, dato che in quell’unica radice vi è la possibilità essenziale di ambedue quei contenuti concettuali “carne” e “messaggio”. Se poi il messaggio o la carne hanno a che fare col pettegolare dovrebbe essere la logica a stabilirlo, non il consiglio o la regola o una carne, per quanto autoritaria questa possa essere.

 

Nel cap. 15 di Giovanni l’essere cristiano - che è ben diverso dall’avere una dottrina cristiana - è mostrato dall’importanza del permanere nel Logos e dalla ripetizione continua di questa idea. Questa ripetizione è l’insegnamento della preminenza del Logos rispetto all’Ethos. L’insistenza dell’evangelista a ripetere l’idea di “restare” nel Logos, sottolineandola così spesso, addirittura dodici volte nello spazio di così pochi versetti (dal 4° al 10° versetto) non può avere alcun altro senso, a meno che si voglia parlare di pedanteria dello scrittore della tradizione giovannea: “1) rimanete in me, e io 2) rimarrò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non 3) rimane nella vite, così neppure voi, se non 4) dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che 5) rimane in me e nel quale io 6) rimango, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla. Se uno non 7) rimane in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. Se 8) rimanete in me e le mie parole 9) rimangono in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli. Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; 10) rimanete nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, 11) rimarrete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e 12) rimango nel suo amore”.

 

Dunque non ci vuole un grande ragionamento per accorgersi che quell’insistere dell’evangelista sull’idea del “rimanere” significava e significa dare il primato a quello che vive nell’uomo come logica rispetto al rispondere ed al trasmettere: primato del Logos sull’Ethos.

 

Se si arriva a comprendere questo punto, cioè se si attua tale “rimanere” logici, ci si accorge che non serve più nulla la regola. Non servono le regole per l’ovvio. Dire all’uomo che si trova al volante che di fronte alla curva occorre sterzare, o di non procedere di un sol passo oltre quel precipizio, non serve; non ci vogliono le regole ma solo veggenza. Certamente i cartelli (come i Libri sacri) possono essere d’aiuto per preavvertire di una curva o di un precipizio, ma ciò non dovrebbe rimuovere dall’uomo l’accorgersi della curva, e del precipizio, ecc. Se l’individuo umano continua a procedere senza accorgersi di sé e della sua capacità di discernere il bene dal male (capacità sinderetica), e si muove solo con l’aiuto dei cartelli, regole, dogmi e legalità, non può che perdere la sua INDIVIDUALITÀ, che sarà sempre più sostituita dalla SPECIE, diventandone l’esemplare di cui 12 sono una dozzina…

 

La veggenza è invece facoltà dell’individualità determinata da Logos - facoltà di collegamento fra ciò che vedo e ciò che intendo - la quale non può che essere costituita da oggetti di percezione e da concettuali connessioni di pensiero con essi. Lì, in tale connessione c’è, casomai, la prima “regola” (che non è regola ma esperienza), fatta di percepire e pensare. Ma, ripeto, non è una regola. L’uomo non può esimersi dal pensare per discernere. È la caratteristica della natura umana, assolutamente diversa dalla natura animale o di specie, e da ogni meccanismo e/o meccanicismo computerizzato. Per il computer ci vogliono, sì, le stringhe di regole, o le cosiddette istruzioni. Per gli animali, le pecore, i quadrupedi, i maiali, ci vogliono i recinti. Per gli uomini no.

 

Coloro che sono umani solo in quanto esemplari della specie animale, sono umani condizionati. Perché la specie condiziona massicciamente in loro la principale caratteristica dell’umano: l’individualità. Senza l’individualità si può dunque parlare solo di umani condizionati dall’“homo homini lupus”, dal “mors tua vita mea” o da altri tipi di condizionamento della loro natura umana.

 

Un uomo condizionato dalla specie non rappresenta un’individualità. Rappresenta il suo esatto contrario, cioè la genericità, di cui ripeto, 12 fanno una dozzina.

 

A tale genericità si può aggiungere anche la collettività, l’impersonalità e la nullità. Quando però l’apparire sostituisce l’essere, o le regole etiche sostituiscono i collegamenti di pensiero con esse, l’uomo precipita nella preminenza dell’Ethos sul Logos, ed allora si instaura l’anticristianesimo.

 

La maggior parte di costoro crede e pratica la “pena di morte”… Ammazza i propri simili… La parte restante crede nelle istituzioni della “pena di morte”, ed abbiamo qui non i killers ma i mandanti democraticamente e clericalmente organizzati (almeno fino a prova contraria, tale costituzione di mandanti è data dal fatto che la pena di morte non è stata mai rimossa dal catechismo cattolico). 

 

Riassumendo, se col nuovo testamento “il Libro” si incarna in ogni uomo, diventando carne vivente, da allora in poi si può leggere in noi stessi “il Libro”, verificando e confrontando l’autenticità delle scritture sacre con noi stessi.

 

Senza questa nuova logica, nulla di buono può accadere, perché si è anacronistici e basta: con l’antica ottica (preminenza dell’Ethos sul Logos) si può solo perseverare nell’“occhio per occhio”, e si può solo fare la guerra in nome del Libro o perfino in nome del Vangelo.

 

In altre parole si consegna se stessi, cioè il proprio io, unico maestro, nelle mani del diritto canonico (preti, sacerdoti, sinedrio, ecc.) o in quelle del diritto romano (Pilato, Romolo e Remo, fratricidio, ratto delle Sabine, rapina, civis romanus, statuti, incartamenti, burocrazie, paura, terrorismo di Stato, ecc., Belial, o Arimane che dir si voglia) dando buonisticamente preminenza all’“Ethos” rispetto al “Logos”.

 

Per creare una polis, o uno Stato, o una legge a misura di uomo (sabato per l’uomo), ci si deve innanzitutto basare sul diritto che l’uomo porta in sé come dono naturale della sua stessa vita, consapevole che se faccio scaturire un diritto da me stesso non parto da un diritto scaturito dal nulla o da una nullità.

 

Considerare l’io, l’individualità, il Logos, la logica, un nulla, una sovrastruttura della materia, è la tragedia del materialismo dell’Occidente. Ciò comporta che di necessità l’uomo “deve essere” questo o quello, cioè deve kantianamente accettare un diritto in nome di uno Stato o di un ordinamento giuridico, o di una fede, obbedendo ad un’etica da schiavi, dalla quale non si esce.

 

Allora il “sabato per l’uomo” è lontano. E tutti i falsi profeti del cattolicesimo come del protestantesimo, del comunismo come del cattocomunismo, sono kantiani, anche se non sanno niente di Kant, perché premettono il dovere all’essere, la fede alla conoscenza, l’“Ethos” al “Logos”, come Kant stesso ammette nella sua famosa dichiarazione, che sembra un tweet di Bergoglio: “Dovetti dunque togliere la conoscenza per fare posto alla fede” (Kant, prefazione alla 2ª edizione della sua “Critica della ragion pura”). Queste sue parole dicono esattamente il contrario del primato del Logos espresso al cap. 15 di Giovanni…

 

Andrebbe poi detto che i concetti di prova (la prova della croce), e di croce, che è anche il segno del “più” (“+”) e/o del “per” (“x”), evocano, già a partire dagli inizi della nostra era, anche se in modo ancora sognante, la nascita della scienza.

 

La nascita della scienza naturale galileiana fu poi il primo sviluppo della consapevolezza nell’attività interiore umana e produsse, tra il XV e il XVI secolo, un rivolgimento culturale talmente profondo che è ancora oltremodo odiato dai tradizionalisti confessionali.

 

Allo stesso modo, a partire dalla fine del XIX secolo, la nascita della scienza spirituale antroposofica fu la continuazione dello sviluppo di tale consapevolezza, che avrebbe dovuto produrre un altrettanto nuovo e più profondo rivolgimento epistemologico, sia noetico che etico: “le concezioni di Copernico e di Giordano Bruno, relative al superamento dell’apparenza sensibile nei riguardi dello spazio, scaturirono nel vero senso della parola dalle ispirazioni della corrente spirituale di cui è seguace anche la moderna scienza dello spirito” (R. Steiner, “La direzione spirituale dell’uomo e dell’umanità”, Ed. Antroposofica, Milano 1975, p. 675). Questo sviluppo non è avvenuto e ne stiamo tutti patendo le amare conseguenze. Non è avvenuto perché come il primo rivolgimento fu contrastato inutilmente dalla dogmatica religiosa, il secondo è stato ed è tuttora contrastato dal “religionismo”, cioè da quella stessa dogmatica creduta oggi acriticamente dall’uomo ridotto a “catecumeno” antilogico, cioè dall’uomo che, anziché rinnovarsi, si rinnova nel…neoprimitivismo, rimuovendo del tutto da sé il proprio giudizio critico, “bevendosi” anche una tutt’altra dogmatica, talmente occulta che fatica ad essere conosciuta come dogma di pensiero. Si tratta della dogmatica materialista e scientista, di fatto creduta come una specie di nuova mistica e divenuta ormai, grazie ai media, ai poteri economici, all’indolenza spirituale, ed al tiepidume dei più, credenza o fede collettiva.

 

Ciò ha generato un ulteriore errore, che è un contro-rivolgimento. Questo errore dovrebbe essere individuato affinché lo schiavo che così si è generato su tutti i piani possa rialzare la testa.

 

Continuare con la sostituzione del Logos per fare posto alla fede nel Logos, e continuare a catechizzare (contagiare) in tal modo la gente instaurando veri e propri conati di logica, cioè instaurando antilogica costante, è crocifiggere di nuovo il Cristo, rimuovendo del tutto la sua incarnazione in senso antievolutivo.

 

Il passaggio evolutivo dato dall’incarnazione del Logos consiste invece nel passaggio dal “Libro” (scritture sacre) alla “carne”. Con l’incarnazione dell’io logico, o Logos, avviene qualcosa di inaudito. Precedentemente l’uomo per identificare se stesso non usava il termine “io”, ma “anima” (Luca 1,46) o “spirito” (Luca 1,47).

 

Si può dire che con l’avvento del Cristo, avrebbe dovuto compiersi la completa trasformazione della conformazione atomico-molecolare del Libro materiale, che dal vecchio che era avrebbe dovuto diventare nuovo e sempreverde, cioè vivente: dal “messaggio” cartaceo del Libro si sarebbe dovuti passare alla “carne” vivente.

 

Così non è avvenuto perché il cattolicesimo ha sostituito il cristianesimo, derealizzandolo.

 

Perciò il cristianesimo di fatto non esiste.

 

Affinché però una società per l’uomo possa esistere, affinché le cose più importanti della società (la cultura, il diritto, e l’economia) funzionino, un cristianesimo del Logos deve incominciare ad esistere per davvero...