Spirito


 

In generale, l’idealista o lo spiritualista così argomenta: "Cos'è l'albero nella percezione? Oggi c'è ma fra cinquant'anni è sparito. È una realtà quella? Nel mio spirito l'albero è eterno. Quella è una realtà!".

 

Queste parole non sono una mia invenzione. Sono state incredibilmente dette recentemente in questo inizio del terzo millennio (precisamente nel 2007) e le puoi ascoltare al minuto 17,48 nella registrazione 05C, terza conferenza, venerdì pomeriggio, seconda parte da un ex prete che si spaccia per predicatore del contenuto del libro "La filosofia della libertà" di Rudolf Steiner.

 

Dico "incredibilmente" in quanto in tale bisecolare argomentare, che sembra preso dal modo di pensare di Johann Gottlieb Fichte (1), 1762 - 1814, si toglie realtà all'oggetto della percezione (in quanto "oggi c'è ma fra cinquant'anni è sparito")! Per Fichte infatti l'oggetto di percezione non esiste se non come risultato di attività dell'io, che lo pone come concetto, facendolo passare dal non-io all'io...

 

Nel libro "La filosofia della libertà" però l'oggetto di percezione costituisce uno dei due elementi della realtà; l'altro, quello immateriale o spirituale, è il concetto. Pur sapendo che

il percepibile, in quanto transitorio, "oggi c'è ma fra cinquant'anni è sparito", Steiner si guarda bene dal dire che esso non ha realtà ed, anzi, scrive che la realtà "ci si presenta come percezione e concetto" (R. Steiner, "La filosofia della libertà", cap. 5°, §8).

 

Allora come la mettiamo? Possibile che i credenti nello spirito ancora oggi neghino la materia? Come si comportava a questo proposito Gesù, detto il Cristo, nei vangeli?

 

Proviamo allora a chiederci come mai proprio il Cristo parli di spirito attraverso l'esempio di un oggetto di percezione transitorio come il vento: “Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va” (Giovanni 3,8: qui pnèuma, generalmente tradotto “spirito”, significa appunto “vento”).

 

Gesù paragona l’azione dello spirito a quella del vento. Pur essendo un elemento massimamente transitorio della natura, il vento non può essere in nessun modo manipolato.  né controllato, trattenuto o catturato, come invece vorrebbero fare con lo spirito gli spiritualisti, trasformandolo l'oggetto di percezione in mero concetto della loro unilaterale realtà, da cui sembra essere scemata ogni reale concretezza (sia quella offerta dal principio dell'involucro materiale, anticamente detta in sanscrito "prakriti", sia della concretezza del pensare spiegata da Steiner a proposito del gradino di organizzazione della chiocciola rispetto a quello del leone, cfr. R. Steiner, "La filosofia della libertà", cap. 5°, §26).

 

Anche in ebraico il vento, "ruach", è spesso usato per ciò che non è controllabile (cfr. Gb 6,26; 7,7; 8,2; 16,3; Pr 11,29; 27,15, 16; 30,4; Ec 1,14, 17; 2,11; Isa 26,18; 41,29) e tradotto anch'esso come “spirito”, aria in movimento (Ec 1,6). Altre espressioni e termini ebraici possono essere tradotti “tempesta”, “tempesta turbinosa” (Os 8,7; Ger 25,32; 23,19), “vento tempestoso” e “turbine” (Sl 148,8; 2Re 2,11), ancora elementi della natura che oggi ci sono e domani non più...

 
I venti possono iniziare all’improvviso e cessare altrettanto improvvisamente, perciò ben rappresentano la transitorietà della vita umana (Gb 7,7).

 

Non avendo sostanza solida, il vento può simboleggiare conoscenza e fatica vana, parole e speranze vuote (Gb 15,1, 2; 16,3; Ec 5,16; Os 12,1), come pure l'immateriale nulla (Isa 26,18; 41,29; Ger 5,13), e poiché le opere vane finiscono nel nulla, perseguirle è “un correr dietro al vento” (Ec 1,14; 2,11). Così chi reca ostracismo prende “possesso del vento”, cioè non ottiene nulla che abbia valore o vera sostanza (Pr 11,29). È esattamente quello che capita a coloro che ostracizzano le traduzioni italiane de “La filosofia della libertà” in nome del tedesco, cioè della lingua in cui questo libro fu scritto!

 

I venti disperdono e sollevano in aria oggetti, per cui essere “sparsi o divisi in tutti e quattro i venti” significa divisione o dispersione totale (Ger 49,36; Ez 5,10; 12,14; 17,21; Da 11,4) Come una nave senza rotta stabilita, sbattuta dai venti, gli immaturi sono “portati qua e là da ogni vento d’insegnamento per mezzo dell’inganno degli uomini, per mezzo dell’astuzia nell’artificio dell’errore” (Ef 4,13, 14).

 

L'inganno dell'idealismo (o dello spiritualismo) è spiegato da Steiner con le seguenti parole: “Lo spiritualista puro nega la materia nella sua esistenza indipendente, e la considera solo come un prodotto dello spirito. Se egli volge questa concezione del mondo alla soluzione dell'enigma della propria entità umana, si trova messo alle strette. All'“io”, che può venir posto dalla parte dello spirito, sta direttamente di fronte il mondo sensibile, a quest'ultimo non sembra aprirsi alcun accesso spirituale; esso deve essere percepito e sperimentato dall'io attraverso processi materiali, ma l'“io” non trova in sé tali processi se vuol farsi valere solamente come entità spirituale. In ciò che l'“io” si conquista spiritualmente non vi è mai il mondo dei sensi; pare che debba ammettere che il mondo gli rimane chiuso, se non si pone in relazione col medesimo per via non spirituale. Parimenti, quando passiamo nel campo dell'azione, dobbiamo trasformare i nostri propositi in realtà coll'aiuto di sostanze e di forze materiali. Non possiamo dunque fare a meno del mondo esterno”.

 

Allo stesso modo ogni maestro autentico non può togliere realtà all'universo materiale: "La manifestazione dell'universo materiale non è un sogno, è reale ma effimera, come una nuvola che passa nel cielo o come una stagione delle piogge che viene a nutrire i semi; quando la nuvola si allontana o la stagione termina, il raccolto si secca. La natura materiale segue un corso simile e si manifesta solo a intervalli: appare, rimane per un certo tempo, poi scompare. Ma poiché questo ciclo si ripete senza fine, la prakriti (principio materiale universale) è eterna. Il Signore la chiama "Mia prakriti" perché è una delle Sue energie, come l'essere vivente [...]" (Abhay Charan De, "La Bhagavad-gita così com'è", Ed. Bhaktivedanta, Verona, 1987).


Ecco perché il maestro dei nuovi tempi Rudolf Steiner chiama realtà non la mera realtà concettuale, bensì l'oggetto di percezione più il concetto.


Quindi è una scemata affermare che quell'albero non è reale in quanto fra cinquant'anni è scomparso. Se ciò fosse vero, non dovrebbe forse lo spiritualista coerente vietarsi l'uso dell'ombrello in caso di pioggia, dato che la pioggia oggi c'è e domani non c'è? C'è la pioggia o non c'è? C'è la nuvola o no? C'è il vento o no? Le stagioni o no? L'ombra o no? Il tempo o no? Gli eoni o no?


In Steiner lo spirito è concreto non perché tolga realtà agli oggetti di percezione! Per Steiner lo spirito non è una congetture idealistica e/o spiritualistica senza fondamento, dato che la mancanza di questo fondamento danneggiò la filosofia (Cfr. R. Steiner, "Verità e scienza", Prefazione §19): senza conoscenza dell'importanza del rapporto fra il campo delle percezioni dei sensi e quello concettuale, gli idealisti e/o spiritualisti come Fichte, Schelling e Hegel, non fecero altro che costruire errori sopra errori, unilateralità sopra unilateralità...
 

Ecco perché ho creato questo breve brano dal titolo "Spirito": sia esso una testimonianza che il transeunte non è la Maya della new age dei superficiali o degli esaltati, ma è qualcosa che pur passando come una effimera nuvola o come il vento che la spinge via, o una pioggia che da essa proviene, è reale nella sua ciclicità che si ripete senza fine come oggetto di percezione o come principio prakritico.

 

Su questo principio della manifestazione materiale, vedi la 2ª conferenza di Steiner del ciclo "La Bhagavad-Gita e Lettere di Paolo" ma sarebbe meglio dire: vedi tutta l'opera omnia di Steiner, prima di predicarlo come nelle solite omelie da prete, come se non vi fosse differenza alcuna fra Steiner e Fichte...

 

NOTA IMPORTANTE

(1) Benedetto Croce, pur schierandosi dalla parte dell'idealismo tedesco, non può fare a meno di ammettere che la visione politica di Fichte contenuta nel suo "Stato mercantile chiuso", non rappresenta una forma originale e nuova nell'ambito della scienza filosofica del diritto, soprattutto perché "la concezione ficthiana dello Stato chiuso rispondeva alle arretrate condizioni economiche della Germania dei principii del secolo XIX" (pp. 18-19)" ("La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce", 3, 1905, p. 147: Igino Petrone, "Lo Stato mercantile chiuso di G. Am. Fichte e la premessa teorica del comunismo giuridico", Memoria letta alla R. Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli - Napoli, tip. R. Università, 1904, 8°, pp. 51). "Il libro di Fichte" - continua Croce - "può essere criticato da due diversi punti di vista: col considerarlo cioè o come programma sociale, e quindi nella sua importanza per la storia sociale e politica; o come teoria filosofica del diritto, e quindi nella sua importanza per la storia della filosofia del diritto [...]. Dal primo punto di vista [...] la storia [...] ci mostra che l'opera di Fichte non ebbe efficacia pratica, e che se anche espresse talune condizioni della Germania del suo tempo, non ne interpretò i bisogni: i quali erano non già del chiudersi vieppiù in se stessa ma dell'espandersi, e ciò intraprese il nuovo Stato prussiano che, nel corso del secolo, mise capo all'impero. Dal secondo punto di vista, la critica fondamentale è nella idea [...] che la filosofia del diritto [...] debba trattarsi quale scienza formale, e quindi non abbia competenza né a criticare la società né a tracciarle in concreto le vie da seguire" (ibid.). Se dunque ammettiamo che "il formalismo, che è della 'scienza' del diritto" (ibid. p.148) non ha competenza a tracciare all'uomo le vie da seguire, perché mai dovremmo ammettere tale competenza - in nome della libertà del genere umano (?) - nel tracciare all'uomo le vie da NON seguire? Qui non si tratta di avere in avversione il "formalismo giuridico" come lo ebbero gli avversari di Fichte, criticati da Croce (quali Igino Petrone, per esempio) ma di non essere ipocriti. Infatti qual è la differenza esistente fra il dover pagare (legge positiva) un tributo da togliere al mio reddito - che da quel momento ovviamente non sarebbe più intonso -, e la proibizione (legge negativa) di percepire il mio reddito intonso (cioè senza quel toglimento)? Non vi è alcuna differenza, se non quella della libertà del pagare di più del dovuto. Sostenere che vi è differenza è sostenere un formalismo giuridico da avvocati azzeccagarbugli, non da filosofi! Sostenere che si è liberi di pagare più del tributo dovuto è sostenere la libertà di essere scemi... Dunque si tratta di essere conseguenti. Ripeto: se il formalismo è scienza del diritto, e se in quanto tale, come afferma Croce, non ha competenza nel tracciare all'uomo vie da seguire, non può nemmeno avere tale competenza nel tracciare all'uomo le vie da NON seguire. Per quanto blaterino gli zombi del fichtianesimo purtroppo ancora operanti nel terzo millennio come depravati del "dover essere" mascherato da "dover non essere per essere liberi" (sic!), il senso del diritto non consiste nel formulare leggi positive ("tu devi fare questo e quello..."), né nel formulare leggi negative ("tu non devi fare questo o quello..."), bensì nel raccordare convenzioni umane CHE CONVENGANO A TUTTI secondo l'uguaglianza fra gli uomini. E fin qui ci può arrivare da solo chiunque disponga di coerenza logica, senza nemmeno scomodare Steiner. Se poi si vuole parlare della triarticolazione auspicata da Steiner, il salvataggio fichtiano del "dover essere" kantiano nella formulazione delle sole leggi proibitive, non c'entra nulla. Steiner non ha mai parlato ipocritamente per salvare il dovere in nome della libertà della specie umana. Nell'ambito della triarticolazione dell'organismo sociale non può che essere il socio, cioè l'individuo ("maestro" o "commerciante" che sia) a liberamente richiedere alla giurisprudenza (cultura; sistema delle membra) le leggi necessarie da fare applicare grazie al servizio di pubblica sicurezza (giustizia amministrativa, governo; sistema del petto) in quanto liberamente richieste sia, ripeto, dalla cultura libera (sistema delle membra) che dall'economia fraterna (sistema della testa): fraterna non in senso fichtiano e/o formalmente moraleggiante, bensì in quanto scientificamente sostenuta dal sistema della divisione del lavoro! "Fichte" - continua il Croce - "non aveva sufficienti conoscenze storiche e politiche, ossia mancava (o meglio, mancò, quando costruì lo "Stato chiuso"" di senso pratico e politico" (ibid.). Inoltre - aggiungo io - non aveva per nulla scoperto l'idea della triarticolazione, che invece fu Steiner a scoprire, non di certo creandola dal nulla come vorrebbe Pietro Archiati, quasi che essa sia non un oggetto di percezione sovrasensibile ma una mera deduzione astratta di tipo fichtiano! Chi crede che i concetti e le idee, per esempio quella della triarticolazione dell'organismo sociale, siano invenzioni del pensare dimostra solo di non avere mai avuto un'idea (infatti lo spirito arcangelico del linguaggio fa dire: "ho avuto un'idea" non "ho inventato un'idea) . Egli semplicemente crede a mere congetture astratte di pensieri o deduzioni, altrui, che altro non sono se non pensati alieni, ed alienanti, e creduti - nella propria alienazione essenziale - invenzioni dal nulla...
Insomma, come il cuore umano non è una pompa pompata nei cervelli dei bambini dalla foga  della pseudocultura dell'obbligo statale ma, se vogliamo per forza paragonarlo a qualcosa di meccanicistico, esso assomiglia non ad una pompa ma ad una diga di raccordo fra il sangue venoso e quello arterioso, allo stesso modo la funzione del diritto è quella di armonicamente raccordare i due tipi di "sangue" o di "istanze", quelle provenienti dalla libera cultura (sistema delle membra) e quelle provenienti dall'economia fraterna (sistema della testa). Secondo le analogie esatte fra la triarticolazione sociale e la triarticolazione fisiologica del corpo umano, predicare le leggi meramente proibitive, come fa Archiati esaltato da Fichte, sarebbe come pretendere fisiologicamente che il cuore umano volesse accogliere il sangue proveniente non dal proprio organismo ma da fuori di esso, meccanicamente pompato da leggi di natura filtrate dai legulei come lui... Perciò Archiati, svegliati, che è ora... Pubblica pure come editore i lavori di Steiner - di questo ti ringrazio pubblicamente -, ma non continuare a dire pretescamente o ignorantemente scemate da trombone esaltato!