Spirito sociale e superstizione socialistica

 

 

Presentazione di Nereo Villa - Il potere, cioè il diritto di Stato, o la mafia che sostituisce lo Stato di diritto, è oggi concentrato nell’organismo economico privo di vita. In tal modo avviene che quanto ha soppresso l’economia, domina come fatto economico, mentre come cultura dell'obbligo (scuola dell'obbligo!!!) sottomette a sé ogni attività umana. Il fatto economico da mezzo è diventato fine. Questo non è avvenuto solo ad opera del materialismo marxista ma, regolarmente, anche ad opera di sistemi che sembravano opporsi al marxismo. Fatto sta che la cadavericità mondiale marxista permane tuttora il logico graduale compimento di un secolare processo dialettico e analitico-metodologico, che oggi è addirittura fornito di mistiche necessità dalle neo-sovietiche argomentazioni confessionali cattocomuniste, anzi, bisognerebbe dire, “mentecattocomuniste”…

 

Rudolf Steiner

“Spirito sociale e superstizione socialistica”

(“I punti essenziali della questione sociale”,

Ed. Antroposofica, Milano 1980, cap. 13° de

“In margine alla triarticolazione dell’organismo sociale”, p. 173)

Traduzione Schwarz-Bavastro a cura di Nereo Villa

Ogni capoverso (§) è qui numerato in base alla 4ª ed. italiana del 1980

 

1. Discutendo sulle cause del movimento sociale odierno [1920 - ndc] si accenna, tra l’altro, al fatto che tanto il padrone dei mezzi di produzione quanto l’operaio addettovi sono in grado di trasmettere al prodotto qualcosa che provenga da un immediato interesse personale alla sua produzione. Il padrone fa fare i prodotti per guadagno; l’operaio li fa per guadagnarsi la vita. Nessuno dei due è appagato dal prodotto fabbricato.

 

2. Con questo accenno alla mancanza di rapporto personale fra produttori e loro prodotti nell’ordinamento economico moderno, si tocca effettivamente un lato essenziale della questione sociale. Ma bisognerà rendersi conto che questa mancanza è la necessaria conseguenza della tecnica moderna e della meccanizzazione del lavoro ad essa collegata. È un difetto della vita economica che non può essere rimosso. Quanto è prodotto dalla grande industria tramite larga divisione del lavoro, non può toccare il produttore da vicino com’era invece per la produzione dell’artigiano medioevale. Bisogna ormai rassegnarsi al fatto che per gran parte di lavoro umano il genere d’interesse di prima non esiste più. Ma si dovrebbe anche capire che l’uomo non può lavorare senza prendere interesse a quel che fa. Se la vita ve lo costringe, sente la sua esistenza come insoddisfacente e arida.

 

3. Chi vuole onestamente affrontare il movimento sociale, deve pensare a sostituire con un altro interesse quello venuto meno. Ma non può riuscirci se vuol fare del processo economico l’unico contenuto dell’organismo sociale, relegandovi come specie di appendici l’ordine giuridico e la vita spirituale. In un grande consorzio economico ordinato marxisticamente, dove l’ordine giuridico e la vita spirituale sono soltanto una “sovrastruttura ideologica”, la mancanza totale d’interesse per qualsiasi lavoro renderebbe la vita umana un supplizio. Chi vorrebbe instaurare un tale consorzio non pensa che se un certo entusiasmo può essere destato dallo sforzo per raggiungere la meta, non appena questa fosse conseguita, l’attrattiva verrebbe meno e l’uomo si troverebbe impigliato in un meccanismo sociale impersonale che ne estirperebbe ogni voglia di vivere. Che una simile meta possa entusiasmare le masse non è che un [“compensativo” - ndc] risultato della mancanza dell’antico interesse ai prodotti del lavoro, mancanza non accompagnata dallo sviluppo di un interesse nuovo che lo sostituisca.

 

4. Il destare questo nuovo interesse dovrebbe essere compito di coloro che, per l’ereditata partecipazione alla cultura dello spirito, possono ancora pensare a bisogni sociali degli uomini che non siano unicamente quelli economici. Gli uomini dovrebbero abituarsi all’idea che al posto dell’antica sfera d’interesse al lavoro dovrebbero subentrarne altre due. In un ordinamento sociale fondato sulla divisione del lavoro, il lavoro, anche quando non appaghi in sé e per sé, può soddisfare quando sia fatto per amore dell’interesse verso coloro al cui vantaggio è rivolto [non tenerne conto conduce a ciò che ho spesso caratterizzato come imbecillità essenziale (o addormentamento essenziale, o alienazione essenziale) del “pensatore” politico post-moderno, il quale proprio grazie ai nuovi raggiungimenti tecnologici dell’automazione del lavoro potrebbe rilevare la possibilità umana di godere di un nuovo e più facile sostentamento; poiché però sembra rifiutarsi di tenerne conto, tende di fatto a generare schiavitù - perfino lui stesso diventa “cameriere dei banchieri” - più di quanto avvenisse nel tempo in cui le macchine non lavoravano ancora per lui. Infatti, se prima l’umanità faticava nel lavorare, ora invece fatica per trovare lavoro, dato che il lavoro è svolto sempre più dalle macchine. Ed è appunto questo il paradosso dell’imbecille, o dello zombi, o del morto che cammina, cfr. il video http://youtu.be/n9cxEp7vxs0 - ndc]. Questo interesse deve però svilupparsi in una vivente comunità [il grassetto è mio - ndc]. Un ordinamento giuridico, in cui il singolo viva come uguale tra uguali, desta l’interesse per il prossimo; vi si lavora per gli altri perché si stabilisce in modo vivente un rapporto con loro. L’ordine economico ci mostra solo ciò che gli altri richiedono da noi; nell’ordinamento giuridico vivente, l’uno diventa prezioso all’altro per impulsi di natura umana che si esauriscono nel bisogno che si ha uno dell’altro per la creazione di beni di cui si ha necessità.

 

5. A questa sfera d’interessi, risultante da un ordine giuridico indipendente di fronte alla vita economica, deve aggiungersene un’altra. Una vita umana il cui contenuto spirituale debba risultare dall’ordinamento economico, ove manchi l’interesse ai prodotti del lavoro, non può appagare nemmeno se l’interesse d’un uomo per l’altro sia guidato dall’ordinamento giuridico. Perché alla fine dovrebbe pur sorgere la consapevolezza che nell’economia si lavora l’uno per l’altro solo per amore dei beni economici. Il lavoro economico ha senso solo quando si riveli al servizio di contenuti della vita umana posti al di sopra dell’economia e del tutto indipendenti da questa. Il lavoro che di per sé non appaga, diventa pregevole quando sia compiuto in una vita che, da un punto di vista spirituale superiore, accenna a mete umane per le quali la vita economica non è che un mezzo. Una tale prospettiva spirituale si può ottenere unicamente da un organo spirituale autonomo dell’organismo sociale, mentre una vita spirituale che sia la “sovrastruttura” dell’ordinamento economico, appare solo come un mezzo della vita economica.

 

6. La complicazione della vita economica moderna, con la sua meccanizzazione del lavoro umano, rende necessaria, come polo opposto, la vita spirituale libera e indipendente. Epoche anteriori dell’evoluzione umana consentivano la fusione degli interessi economici con gli impulsi spirituali perché l’economia non era ancora in balia della meccanizzazione. Ma se l’uomo non deve soccombere alla meccanizzazione, è necessario che, mentre è immerso nell’ordinamento meccanico del lavoro, la sua attività interiore possa liberamente elevarsi a quei rapporti in cui si trova trasferito quando partecipa a una libera vita spirituale.

 

7. È di corta veduta chi, davanti all’accenno di una libera vita spirituale, e dell’ordinamento giuridico che l’uguaglianza umana esige, opponga che né l’una né l’altro possano comunque superare la disuguaglianza economica che è la più opprimente di tutte. L’ordinamento economico moderno ha portato a questa disuguaglianza appunto perché non ha ancora avuto il relativo ordinamento giuridico e l’educazione spirituale di cui ha bisogno. Il pensiero marxistico crede che ogni forma di produzione economica prepari da sé la successiva superiore forma di produzione, e che, quando questo processo di preparazione sia concluso, quella superiore sarà portata a sostituire quella inferiore grazie all’“evoluzione” stessa. In realtà, la forma moderna di produzione non si è sviluppata da forme economiche antiche, ma da forme giuridiche e da idee spirituali di un tempo passato. E sono queste che, mentre hanno rinnovata la forma economica, sono invecchiate e divenute bisognose di rinnovamento. Di tutte le forme di superstizione, la peggiore è quella di credere che si possano far sorgere magicamente il diritto e lo spirito dalla forma dell’economia; perché è una superstizione che offusca non solo il pensare, ma la vita stessa. Questa superstizione impedisce che lo spirito si rivolga alla sua propria fonte, dato che vuol trovargli una fonte falsa in ciò che non è spirituale. E l’uomo si lascia troppo facilmente ingannare da chi gli dice che lo spirito può sorgere da sé dal non-spirito; perché con questo inganno gli pare di potersi liberare dallo sforzo che invece deve riconoscere necessario quando comprende che lo spirito può essere conquistato solo dallo spirito col proprio lavoro.