Il denaro di prestito

 

Oggi la gente crede di avere in banca i soldi che risparmia, senza avere la minima consapevolezza che tale categoria di denaro si chiama, in senso scientifico-spirituale "denaro di prestito", categoria diversa da quella del "denaro d'acquisto" e dall'altra denominata "denaro di donazione". Proprio per questa credenza, che dai tempi dei tempi (e soprattutto oggi) imperversa per assenza di giudizio critico (pensiero debole) nelle persone, le persone sono turlupinate.

 

Il denaro di prestito è detto anche denaro di impresa.

 

Chi mette temporaneamente in banca il suo denaro credendo di bloccare il passaggio dalle sue tasche a quelle di un un suo simile, e di attuare così il cosiddetto "risparmio", si sbaglia. Perché egli attua quel passaggio come prestito, dato che non appena tale denaro giace in banca, si crea la possibilità per qualcun altro di prenderlo in prestito. Quindi dal momento in cui il denaro è prestato ricomincia a passare di tasca in tasca.  

 

Chi prende denaro in prestito vuole avere la possibilità di usarlo, destinandolo per esempio ad un investimento. In questo caso, ricevendo denaro in prestito acquisterà con esso tutto quello che serve a produrre ciò che il suo progetto richiede.

 

Nell'atto del risparmiare - che in realtà è prestare - il denaro acquista dunque una dimensione nuova e una nuova qualità.

 

I rapporti che legano i risparmiatori-creditori e gli utilizzatori-debitori del denaro in prestito si esprimono in termini monetari.

 

Questi rapporti sono annotati nei libri contabili in cui vengono registrate le somme impegnate. Si arriva così al "bilancio", il bilancio proprio di qualsiasi banca: in una parte del registro di bilancio (parte destra) si riporta quanto il risparmiatore (l'intestatario del conto) vanta nei confronti della banca: il credito; nell'altra parte (sinistra) è registrato chi ha ricevuto il prestito dalla banca e il debito. La relazione tra il risparmiatore (il creditore) e il mutuatario (debitore) genera l'impegno della restituzione della somma. Ma anche un altro impegno: l'"interesse". Generalmente questa somma aggiuntiva è considerata una ricompensa per la disponibilità del risparmiatore che temporaneamente non ha soddisfatto sue necessità.

 

A tutt'oggi, il processo attraverso il quale il risparmio si trasforma in prestito si realizza quindi con l'intervento della banca.

Ciò che importa al risparmiatore è la certezza di riavere indietro il proprio denaro quando lo richiede, e di ottenere dal prestito concesso l'interesse più alto possibile. Dall'altra parte, chi prende il denaro in prestito si assume la duplice incertezza di 1) essere in grado di restituirlo e di 2) poter pagare gli interessi.

 

Il denaro di prestito ha essenzialmente a che fare con la dimensione del tempo: il risparmiatore che porta i suoi risparmi in banca può farlo in quanto la possibilità propria di spendere denaro per acquistare beni o servizi non sia usata per un po' di tempo. Per esempio, se io verso del denaro in un conto bancario, se cioè il denaro è "risparmiato", per qualcuno si crea la possibilità di spenderlo al mio posto finché io non ne avrò bisogno. L'altra persona prende in prestito il denaro. Ed è così che il denaro risparmiato diventa denaro prestato. Gran parte di questo denaro è preso in prestito da imprenditori che lo investono nelle loro attività.

 

Per motivi di chiarezza e di semplicità non prendo in considerazione ora il fatto che attualmente lo Stato richiede ingenti prestiti di denaro, né che gran parte di questo denaro è destinato, attraverso sistemi di rotazione, a sovvenzionare la produzione di beni e la prestazione di servizi. Non mi occupo qui neanche dei cosiddetti "pagamenti facilitati" o rateizzati (nei quali prima si acquista e poi si risparmia: per poter soddisfare la domanda del cliente l'imprenditore investe il proprio denaro; il denaro che egli chiede in prestito è fornito dalla banca: in tal modo il risparmio viene, entro certi limiti, anticipato). Infine non tengo conto qui neanche del fatto che gran parte del risparmio dei cittadini è utilizzato per finanziare altre attività come le assicurazioni, l'industria bellica, l'industria chimica, e così via.

 

Gli imprenditori, con l'aiuto di denaro, impiegando lavoro umano, impianti (macchinari ed edifici) e materie prime, cercano di soddisfare una domanda. Se l'imprenditore è capace di ricavare per lo meno la remunerazione dei costi (comprendente la propria retribuzione, l'interesse sul proprio denaro, l'ammortamento del capitale investito, e tutte le relative imposte reddituali scaricabili sui prezzi dei suoi prodotti) allora nel giro di un determinato tempo sarà in grado di restituire il suo debito. Fino a quando non estingue il proprio debito egli può fare assegnamento solamente sulla fiducia riposta nella sua attività, che gli viene riconosciuta sotto forma di credito dalle persone che gli hanno prestato denaro.

 

"Credito", dal verbo credere, vuol dire fiducia. Concedere un prestito, dare credito, significa avere fiducia nell'abilità dell'imprenditore che utilizza il denaro, che lo investe. È grazie a questa fiducia che il denaro, anziché essere speso, può venir risparmiato trasformandosi, attraverso il prestito, in mezzo di investimento.

 

Tutti i processi economici mondiali sono pertanto massimamente influenzati dal credito, e in ultima analisi dalla fiducia e dalle scelte dei consumatori, che spesso, nel momento in cui sono coinvolti in questi processi, è come se fossero addormentati.

 

Trattando del denaro di prestito si entra dunque in un ambito, in cui bisognerebbe chiedersi che cosa realmente stia avvenendo.

 

Quando prestiamo del denaro entra in gioco un "rapporto". Il rapporto si istituisce tra soggetti diversi: da una parte c'è chi vanta un credito, dall'altra chi ha un debito. Il primo gruppo è costituito dai prestatori di denaro, o creditori, il secondo dai mutuatari, o debitori.

 

Chi concede un prestito ha i seguenti interessi: 1) desidera mettere da parte il proprio denaro per un certo periodo dì tempo; 2) vuole essere certo di poterlo in seguito riprendere; 3) cerca di ricevere il più alto interesse possibile sui propri risparmi.

 

Il modo in cui si realizzano e la garanzia e l'interesse è cosa che non lo coinvolge più di tanto.

 

Chi riceve un prestito ha invece i seguenti interessi: 1) essere assoggettato il meno possibile a "garanzie"; 2) pagare l'interesse minimo e alla più lunga scadenza; 3) se possibile avere la massima libertà sui tempi di pagamento delle rate di rimborso e degli interessi.

 

Questo, in sintesi, è il dilemma in cui ci troviamo:

 

 

 

Sembra quasi che chi concede un prestito e chi lo riceve si voltino reciprocamente le spalle, e che ciascuno miri unicamente al proprio vantaggio. Nei rispettivi ruoli di risparmiatore e investitore non mostriamo alcun interesse reciproco. Eppure, per un certo periodo di tempo, siamo strettamente connessi l'uno all'altro. Oltretutto, se chi riceve il prestito non amministra oculatamente il mio denaro, sarà improbabile che io lo possa poi davvero riavere. In fin dei conti chi riceve un credito, determina quanto vale il mio risparmio. Ed il banchiere afferma: "Data questa tendenza a voltarsi le spalle l'un l'altro diventa necessario l'intervento di una terza persona che crei un collegamento tra parti che mostrano reciproco disinteresse. Questa funzione oggi è svolta dalle banche" (1)

 

La banca, in teoria, dovrebbe assumersi la responsabilità di offrire le garanzie richieste dal cliente che ha depositato risparmi, impegnandosi, in considerazione delle sue responsabilità verso i risparmiatori, ad assicurare il denaro necessario a chi lo domanda in prestito. "Da questa attività si determina il bilancio bancario. Questo bilancio rappresenta il ponte che lega le "coscienze opposte" rappresentate dai clienti risparmiatori e dai clienti in cerca di prestiti. È caratteristico il fatto che il risparmiatore e il mutuatario non siano ancora disponibili a considerare le necessità e le aspirazioni della controparte. In parole povere si può affermare che il risparmiatore, e l'utilizzatore di denaro in prestito, determinano - proprio attraverso la loro mancanza di consapevolezza reciproca - l'esistenza del bilancio bancario dall'equilibrio del quale deriva parte del potere riconosciuto alle banche. Tale potere è il risultato della reciproca indifferenza delle parti in gioco, della loro incapacità di sviluppare interesse per le aspirazioni dell'altra parte" (2).

 

Ecco perciò l'esigenza di sane comunità di risparmio e di prestito.

 

NOTE

 

(1) Rudolf Mees, "Ecologia del denaro. Etica ed economia per un mondo migliore". Ed. Filadelfia, Milano, 1996.

 

(2) "Ecologia del denaro...", op. cit.