La democrazia oggi è vissuta come qualcosa di assolutamente morale, mentre è solo un sistema formale che non ha in sé alcuna moralità, vedi la democrazia hitleriana che votò le leggi razziali.
Ecco alcune parole profetiche di Rudolf Steiner su questo argomento, gentilmente inviatemi ieri dallo studioso Massimo Francese, che ringrazio in quanto mi danno l'occasione di riproporre questa pagina che scrissi in gioventù: “Tutti avranno sentito quel che certa gente va strombazzando nel mondo, e cioè che la democrazia deve diffondersi in tutto il mondo civile. La democratizzazione dell’umanità porterà la salvezza; occorre sfasciare tutto affinché la democrazia si diffonda nel mondo. Se la gente continua a vivere con i concetti che ha, gli unici che si permette di avere, muovendo cioè solo dal concetto di democrazia, ne ha appunto qualcosa di paragonabile a quel concetto di uomo che spesso ricordo: un essere con due gambe e senza piume, vale a dire un gallo spennato. Quanto poco si conosce dell’uomo mostrando un gallo spennato, altrettanto poco si sa della democrazia limitandosi a glorificarla. Si prendono cioè i concetti per delle realtà. Così è allora possibile che l’illusione si metta al posto della realtà quando si tratta della vita umana, quando si assopiscono gli uomini con soli concetti. Essi credono allora che i loro sforzi tendono a che ognuno possa manifestare la sua volontà nell’ambito delle diverse strutture democratiche, e non notano che quelle strutture sono tali che sempre un paio di persone ne tirano i fili mentre gli altri vengono guidati. Poiché però viene sempre ripetuto che si è nella democrazia, non ci si accorge di essere guidati dai pochi che guidano. Tanto meglio i pochi possono guidare, quando tutti gli altri, quando tutti gli altri credono di essere loro a guidare e non di essere guidati. Con concetti astratti si può benissimo addormentare la gente e far credere il contrario della realtà. Così però possono appunto al meglio le potenze oscure. Se qualcuno poi si desta, non viene ascoltato. È interessante come nel 1910 sia stata scritta una delle più belle frasi, e cioè che il grande capitalismo è riuscito a fare della democrazia lo strumento più meraviglioso, efficace e duttile per lo sfruttamento della collettività [...]” (Rudolf Steiner, Dornach, 18 ottobre 1917, “La caduta degli spiriti delle tenebre. I retroscena spirituali del mondo”, Ed. Antroposofica, 2010, Milano).
Del resto la questione “Barabba” non è forse un primo esempio di strumentalizzazione democratica del popolo bue?

 

Nereo Villa
LA QUESTIONE BARABBA
ESEMPIO DI STRUMENTALIZZAZIONE DEL POPOLO BUE

 

La questione Barabba è, fino a prova contraria, un esempio di strumentalizzazione del popolo bue, causata da falsa democrazia cristiana, anzi protocristiana (sotto Pilato).

 

Si tratta di un problema da risolvere, che riguarda il nome "Barabba" e la vera identità e ruolo di colui che, così chiamato, partecipa alla circostanza del processo di Gesù di Nazaret "sotto Ponzio Pilato", procuratore romano.

 

La risoluzione del quesito è difficile ma comporta, credo, lo smascheramento di eventi, che altrimenti continueranno a costituire la radice del morbo della nostra attuale democrazia: l'assenza dell'antropos, che fa del nostro mondo un mondo totalmente alienato, in cui l'astratto domina il concreto.

 

Da duemila anni il popolo bue (cioè il popolo deficiente di antropos e abbondante di "animali sociali" scientificamente persuasi ad essere tali) è convinto di essere traditore del suo salvatore, cioè colpevole del "Crucifige" gridato a Pilato contro Gesù di Nazaret finito per questo motivo in croce.

 

Da quanto segue risulta che ciò non risponde a verità, in quanto, prima di tradire il suo salvatore, è il popolo bue stesso ad essere tradito dal Sinedrio e da Roma. E ciò - ripeto - fino a prova contraria...

 

Già dai suoi inizi, la vicenda di Barabba, così come è redatta nei testi evangelici, appare ambigua. Le traduzioni del relativo passo del vangelo - Matteo 27,16 - riguardanti la vicenda di Barabba sono infatti differenti e discordanti:

La prima domanda che mi viene spontanea è se Barabba sia un soprannome o un nome proprio: si tratta di un personaggio "detto Barabba", di "un certo Barabba" o di qualcuno "di nome Barabba"?

 

Il testo originale greco usa il termine legomenon, legomenon, che significa "detto", "chiamato", "soprannominato".

Dal testo originale so dunque che "Barabba" era un titolo o un soprannome.

 

In genere, "Barabba" viene invece tramandato come nome. E' il nome di un tale che - nonostante fosse un prigioniero accusato di ribellione e ritenuto dal potere romano un pericoloso bandito - il popolo preferì salvare al posto di Gesù di Nazaret.

Vi è poi dal 1976 una falsificazione dei vangeli, di cui stranamente nessuno parla, forse perché si tratta di una traduzione approvata da varie confessioni cristiane, dall'Alleanza Biblica Universale e, da parte cattolica, dall'autorità ecclesiastica.

 

La falsificazione consiste nel riportare in italiano una frase che non è assolutamente scritta nel testo originale. Si tratta del passo di Luca 23,19, in cui Barabba viene fatto diventare addirittura un omicida con la frase: "aveva ucciso un uomo" (1), frase che però nel testo greco non esiste.

 

Con tale proposizione si intendeva forse tradurre il testo dia stasin tina, dia stasin tina, che invece significa "in occasione di una sommossa", "poiché c'era stata una sommossa", "nel luogo della sommossa", "durante una sommossa"? Qui è mistero. Infatti, non si spiega come mai i traduttori, - "studiosi specializzati, esegeti e linguisti, che si sono serviti della revisione e della consulenza anche di altri studiosi" (2) - abbiano avuto bisogno, nella loro opera, di una simile "forzatura", capace di alterare il senso della frase, facendo diventare arbitrariamente Barabba il soggetto di una azione che invece è stata commessa da altri.

Secondo il resoconto dei testi originali, Barabba - riconosciuto fra l'altro come persona famosa - non era infatti uno dei briganti che avevano commesso l'omicidio, ma semplicemente uno che era stato arrestato in concomitanza con la sommossa di cui altri erano responsabili.

 

E' oltretutto reso noto dagli antichi manoscritti (3) che al posto dell'espressione "detto Barabba" (legomenon Barabban, legomenon Barabban) ve n'era un'altra, che è a dir poco sconvolgente. Si tratta di: "Gesù Barabba" (Ihsoun Barabban, Iesoun Barabban).

 

Costui dunque non si chiamava Barabba. "Barabba" non era altro che un titolo, affiancato al suo vero nome, che era "Gesù".

Secondo le antiche scritture i fatti sono dunque molto sorprendenti: nel corso del processo, durante il ballottaggio per la scarcerazione di un prigioniero, Pilato presenta al popolo due omonimi: il primo è un certo Gesù, condannato dai sacerdoti in quanto osa definirsi "figlio di Dio", e il secondo un altro Gesù, molto noto come "Barabba".

 

Ora veniamo a quel nome. Che significa?

 

Fregiarsi di un simile titolo è un onore, riconosciuto nel Talmud. Solitamente non si da' l'importanza dovuta ai nomi delle cose e delle persone, eppure essi, specialmente nel contesto biblico, hanno un preciso significato la cui conoscenza permetterebbe la comprensione di parte di molti misteri.

 

Barabba, bar Abbà, significa in ebraico "Figlio del Padre".

 


"bar" = "figlio"
(da destra a sinistra le lettere BET e RESH)


"
abbà" = "padre", "babbo", "papà"
(lettere ALEF, BET, ALEF)

 

Per comprendere l'importanza di quanto qui è in gioco, occorre fare un passo indietro nel tempo, fino all'interrogatorio che Gesù di Nazaret, qualche ora prima del processo, subisce di fronte a Caifa, sommo sacerdote, il quale, non sapendo trovare un capo d'accusa valido per emettere una sentenza di morte (così narra il vangelo), ad un certo punto gli chiede: "sei tu il figlio di Dio?", ottenendo la famosa risposta: "tu l'hai detto". Gli ebrei, si sa, non pronunciano il nome di Dio e dunque neanche il sommo sacerdote non si sarebbe mai azzardato a farlo.

 

Ma se in quella occasione egli veramente pone la domanda, in che modo può chiedere se il nazareno è "il figlio di Dio"? Può farlo semplicemente tramite uno dei molti termini diversivi usati dagli ebrei per riferirsi a Dio: "Adonai", "Eloah", "Signore", "Padre", ecc... Lo stesso Gesù di Nazaret, quando parla di Dio usa uno di questi termini diversivi: "il Padre mio", "il Padre che è nei cieli". La nota frase "Abbà, Padre, tutto è possibile per te" di Marco 14,16 risuona di ambedue queste espressioni.

 

Per gli ebrei contemporanei di Gesù di Nazaret il concetto di "figlio di Dio" poteva dunque essere bene espresso con la formula "figlio del Padre".

 

D'altra parte, anche nella liturgia latina, la traduzione letterale di tale formula - che rispecchia la parlata vernacolare corrente (aramaico) e che dunque è adottata anche da Caifa con le parole "bar Abbà" - è "filius Patris".

 

"Barabba", come contrazione di bar Abbà, è dunque un'antica espressione ebraica per "figlio di Dio".

 

Se da un lato sorprende che Barabba si chiami Gesù, dall'altro, colpisce ora che Gesù sia definito Barabba. E' un fatto che può dare se non altro un certo disorientamento...

 

Ciò che comunque meraviglia di più è che fino ad oggi, a terzo millennio iniziato, nessuno ancora, fra tutti i teologi, gruppi di preghiera, ecclesiastici vari e fra tutti i cristiani per quanto bene educati e catechizzati, reputi almeno un po' strana una situazione come questa: c'è un processo, durante il quale un funzionario politico indice un plebiscito presentando due persone a un popolo, che sembra avere qui un importante potere decisionale. Si tratta infatti di vita o di morte da decidere votando una o un'altra persona. Ma si tratta anche di un plebiscito posto in termini alquanto "mescolati" e molto simile a un bel gioco di prestigio dove c'è il trucco: come fa un popolo a scegliere fra Tizio e Caio, se Tizio è detto Caio, e Caio si chiama Tizio? Solo un popolo bue può accettarlo...

 

Il popolo doveva scegliere infatti fra un Gesù di Nazaret, che era detto figlio di Dio, cioè Barabba, e che fu poi condannato e giustiziato, e Barabba, che però si chiamava Gesù, e che fu graziato e rilasciato.

 

Cosa si nasconde dunque dietro questo incredibile intreccio di nomi e di titoli?

 

Provando a "leggere" questi nomi numerologicamente si ottiene, come somma dei valori numerici che formano il termine bar-abbà, la somma 206. Si tratta delle lettere BET, RESH, ALEF, BET, ALEF, rispettivamente 2, 200, 1, 2, 1, somma totale 206.

 


alef bet alef resh bet
1 - 2 - 1 - 200 - 2

 

LETTERE - VALORI
EBRAICHE - NUMERICI

 

Ho già esaminato questo numero a proposito del Nome di Dio(4), cioè di quel nome che gli ebrei non possono pronunciare, e la cui somma numerica totale è 26. Il 206 risulta infatti essere un valore numerico strutturale del corpo umano (206 sono infatti le ossa dello scheletro umano) e si può rilevare come la sua cifra centrale posta fra il 2 e il 6, cioè lo zero, possa bene armonizzarsi, come circolo cosmico, alla struttura del tempo terrestre nel nostro sistema solare: 26.000 anni di durata ciclica della precessione solare, detta anche anno platonico.

 

 

Il tempo dell'avvento del Figlio di Dio o del "Bar Abbà", scandiva per i Re Magi (e scandisce tutt'ora) l'inizio del ciclo precessionale nel punto gamma della costellazione dell'Ariete, che nella cosmogonia ebraica era ed è l'Agnello. Per questo motivo il "Bar Abbà" cosmico era, ed è - e sarà sempre - anche l'Agnello di Dio.

 

Ciò è testimoniato nello spirito del linguaggio, non solo per quanto attiene alla lingua ebraica, ma anche a quella greca, e cioè a quella usata per la redazione dei vangeli. In essa, "Ariete" si dice "Krios", una parola formata dalle lettere "kappa", "rho", "iota" "omicron" e "stigma", rispettivamente dai valori numerici 20, 100, 10, 70, la cui somma totale è 206, esattamente come quella di "Barabba".

Ariete = Krios
K r i o V
kappa rho iota omicron stigma
20 100 10 70 6
somma totale = 206

 

Le lettere greche, come quelle ebraiche, hanno anch'esse infatti valori numerici precisi:

 

LETTERE - VALORI
GRECHE - NUMERICI

 

Queste correlazioni numeriche possono meravigliare... Chi si meraviglia è già in sintonia con la meraviglia.

Chi invece rimane perplesso, diffidente o indifferente è l'animale sociale credente nella mera casualità di fatti che per la loro sincronicità non dimostrano "scientificamente" nulla...

 

A me pare tuttavia che, anche prescindendo dal contesto numerologico qui accennato, il vangelo non nasconda comunque la verità delle cose, visto che esse possono emergere a più livelli di comprensione.

 

Credo anzi che quanto affiora dal "dilemma Barabba" sia ulteriore insegnamento del vangelo, un insegnamento nuovo che non potrà più provenire da gruppi, chiese o partiti politici, ma che dovrà scaturire dall'interiore maestro presente in ogni essere umano.

Roma, sinedrio e plebiscito, sono espressioni simboliche del triplice legame esistente fra individualità e specie umana. In ogni razza, stirpe, popolo, famiglia, sesso maschile e femminile, Stato, Chiesa, tale legame è presente e si manifesta come potere politico, potere religioso e potere del vantaggio offerto dalla capacità associativa degli individui.

 

 

La conoscenza di questa triarticolazione di forze ha da sempre permesso ai "padroni" del pianeta di dominare le masse e le coscienze.

 

Da sempre, tutti i culti religiosi - da quello di Iside dell’antico Egitto fino a quello di Maria dei giorni nostri - costituiscono articolazioni formali dell'ideologia entropica ed arretrata del culto della madre, in cui, attraverso sacerdoti - essi stessi autentici credenti - si formalizzavano gli elementi da usarsi come strumenti per il controllo sociale, per lo sfruttamento e la distruzione della capacità creativa delle popolazioni sottomesse.

 

La medesima cosa può essere detta di tutti gli altri culti liturgico-ideologici finalizzati all’imposizione di modelli politici ed economici nemici del progresso umano, che costringano le popolazioni sottomesse a lavori forzati e non creativi - dalla costruzione dei monumenti agli dei ad ogni altro operare sotto l’imperio della necessità di sopravvivenza.

 

Tutto ciò sta oggi molto lentamente cambiando e il popolo - non il popolo bue ma la neosocietà - si sta accorgendo sempre più che anche passando dal culto livellatore del grembo materno a un altro culto le cose non cambiano, anche se - e soprattutto se - quest'ultimo è altrettanto livellatore entro un altro grembo, quello sociale. Qui infatti, la stasi e la perdita di slancio sono rappresentati dall'idolatria della scienza o dallo Stato stesso, che da' forma alle nostre rappresentazioni, persuadendoci scientificamente che l'operare secondo vocazione e non secondo necessità è un'utopia o addirittura che la società esista per lo Stato...

 

All'inizio del terzo millennio, queste tre forze sono individualizzate. Politica, religione ed economia sono poteri interni agli esseri umani.

 

Si tratta di forze imponenti ma anche impotenti se demandate a terzi.

 

Credo pertanto che l'insegnamento evangelico in merito al dilemma Barabba sia proporzionale alla capacità dell'individuo di liberarsi dalla conformità alla specie e dai suoi legami.

 

La specie umana è tutto quanto nell'uomo è razza, stirpe, popolo, famiglia, sesso maschile e femminile, Stato, Chiesa, da cui l'individualità si libera per essere tale: o si è specie, e dunque tutt'al più "animali sociali", oppure si è individualità sociali. Anche qui è questione di "essere" o di "non essere" e questo non può deciderlo il popolo bue, come la via, la verità o la vita in merito al "filius Patris" o al "bar-Abbà".

 

Comprendendo che non può esservi autentico processo davanti al sinedrio se qualcuno è arrestato per volontà di Roma che invia per questo una coorte (un corpo di 600 soldati con un tribuno al comando) sul monte degli ulivi, l'individualità comprende anche che anche il Sinedrio è falso. Gli ebrei sono falsi quanto i romani nel consegnare al procuratore l'accusato con la scusa di essere impossibilitati ad eseguire la sentenza di morte; ne hanno infatti eseguite innumerevoli e ce lo testimonia lo stesso Gesù di Nazaret, che rischia più volte la lapidazione da parte degli ebrei, l'adultera che corre lo stesso rischio, Stefano lapidato dagli ebrei all'indomani della morte di Gesù, Giacomo lapidato dagli ebrei sotto le mura del tempio e la testa mozzata del Battista...

 

Solo un uomo che non è riuscito ancora a liberarsi dalla conformità alla specie può accettare che il potere politico, simboleggiato qui da Pilato, rimanga davvero passivo ad aspettare che il popolo decida democraticamente quale dei due debba essere rilasciato, per poi lavarsene le mani attuando tale volontà democratica.

 

Qui doveva essere fatto fuori un uomo reputato non funzionale al potere e tutto doveva essere attribuito alla volontà del popolo. Punto e basta.

 

Se un uomo riesce a liberarsi dalla conformità alla specie, e ciò non di meno ci ostiniamo a volere spiegare tutto ciò che è in lui con i caratteri della specie, è segno che non abbiamo alcun organo per comprendere ciò che in lui è individualità.

 

È impossibile comprendere interamente un uomo - "bar Abbà" o "filius Patris" che sia - se si pone il concetto della specie a base del nostro giudizio. Chi giudica gli uomini secondo i caratteri della specie, si arresta proprio al limite, oltre il quale essi cominciano ad essere individui la cui attività si basa su libera autodeterminazione.

 

Ciò che sta al di sotto di questo limite, le particolarità di razza, tribù, popolo e sesso, certo lo possiamo investigare secondo criteri scientifici e farne poi contenuto scientifico, ma nella sfera di tale contenuto potrà rientrare solo chi vive unicamente come esemplare della specie. La scienza non può spingersi fino al contenuto particolare del singolo individuo. Dove comincia la sfera della libertà (di pensare e d'agire) cessa la possibilità di determinare l'individuo secondo le leggi della specie.

 

Per capire un individuo occorre entrare in lui. Fermarsi alle qualità comuni della specie significa non capire o non voler capire. In questo senso ogni singolo uomo rappresenta un problema... come Barabba... allora come oggi....

 

NOTE

(1) Parola del Signore, Traduzione interconfessionale in lingua corrente Elle Di Ci, Leumann, Torino, 1976, pag. 195.
(2) ibid. Presentazione, pag. III.
(3) cfr. Novum Testamentum Graece et Latine, a cura di A. Merk, Istituto Biblico Pontificio, Roma, 1933, n. pag. 101;
(4) Nereo Villa, Il sacro simbolo dell'arcobaleno, numerologia biblica sulla reincarnazione, SeaR Edizioni, Reggio Emilia, 1998, p. 90.