Nereo Villa, "IL SACRO SIMBOLO DELL'ARCOBALENO, Numerologia biblica sulla Reincarnazione" (Prefazione), SeaR Edizioni, Reggio Emilia, aprile 1998

Prefazione (Descrizione degli undici capitoli) - Premessa (Distinzione fra unità di misura e unità aritmetica) - Introduzione - La creazione - Cap. 1° - Il riconoscimento dell'Io - Cap. 2° - La colomba, la nave e il pesce - Cap. 3° - Il mondo delle essenze - Cap. 4° - Imbarcazioni - Cap 5° - Non si può sopprimere l'arcobaleno - Cap. 6° - Dall'arcobaleno all'iride - Cap. 7° - L'arca, l'alfabeto astrale e il karma - Cap. 8° - Il geroglifico dell'infinito - Cap 9° - Il prete Gianni - Cap. 10° - L'albero della conoscenza... del Karma - Cap. 11° - La pentola d'oro

LA COLOMBA, LA NAVE E IL PESCE

Vediamo ora il nome di Giona, secondo il suo significato. In ebraico "Jonah" significa "colomba".

Il sapersi elevare dalle fenditure della roccia(1) e dalle gole profonde(2), capacità della colomba, ma che possiamo attribuire anche all'anima umana, nella sua facoltà di "volo" del pensiero, è il motivo per cui la figura della colomba veniva usata proprio a rappresentazione dell'emblema di Israele(3).

La Bibbia è per eccellenza un complesso di testimonianze che ha per fine ultimo l'elevazione spirituale dell'anima umana e ciò si riscontra in ogni suo libro.

Così la storia biblica di Giona è, secondo il "Libro dello Splendore" - testo canonico della tradizione esoterica ebraica - un'immagine di ciò che succede all'anima quando discende in un corpo: Jonah (l'anima) si imbarca per traversare il mare della vita, ma le onde del mare minacciano di sfasciare la nave e questo significa che quando l'uomo commette errori o agisce come Jonah, credendo di poter sfuggire a Dio, si trova in tempesta...

Il pesce che inghiotte Jonah è l'immagine della tomba; le viscere del pesce sono l'immagine dello "Sheol" (il luogo dei morti, l'"Ade" dei greci)...

A proposito di questa vicenda, Gesù è molto esplicito: come infatti Giona rimane tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così l'Io dell'uomo deve restare tre giorni e tre notti nel cuore della terra(4).

Gesù non usa qui il concetto "Io", bensì la formula "Figlio dell'uomo", che lo esprime(5), però in un altro momento dirà: "Distruggete questo tempio e Io in tre giorni lo farò risorgere..."(6).

Questi tre giorni di "costruzione del tempio" e i tre giorni in cui Giona rimane nel ventre del pesce rappresentano il contenuto della medesima conoscenza.

Nell'antico sapere, infatti, il primo dei tre giorni

equivaleva a quello del trapasso, il secondo era quello di permanenza nello sheol, cioè l'Ade, il luogo dei morti, per prepararsi al terzo giorno, che era quello della nuova incarnazione dell'Io in un nuovo corpo umano. E il tempio di cui parlava Gesù era, appunto, il corpo(7).

E' necessario a questo punto rilevare che, nei tempi paleo-cristiani, la venuta di Gesù era attesa in un periodo in cui, nella costellazione dei Pesci, ci fosse stata la congiunzione dei pianeti Giove e Saturno. L'evento della venuta di Gesù era pertanto simboleggiato dall'immagine di un pesce, o anche di una nave (navis), chiamata Argha (8). Questi due simboli, che sono presenti anche nella vicenda del profeta Giona, e la colomba, che è il significato del nome del profeta, erano i più importanti simboli di quel tempo, dal significato equivalente. La storia narra che Clemente Alessandrino (Atene 150-215 ca), maestro della scuola di filosofia cristiana della città di Alessandria, discutendo con i fratelli correligionari sulla scelta del simbolo più appropriato per ricordare Gesù, li consigliasse così: "L'incisione sulla gemma del vostro anello sia una colomba, o una nave che corre con il vento (l'Argha), o un pesce"(9).

Ora vedremo una curiosa affinità.

Un altro nome molto simile alla parola , "jonah" - in lettere ebraiche IOD, VAV, NUN, HE - è , "iavan" - IOD, VAV, NUN - che significa "greco". La parentela fra questi due nomi può essere estesa a due luoghi geografici e a due culture e per comprenderlo basta ricordare il racconto del diluvio.

Dopo il diluvio, la colomba di Noè, vola via per poi fare ritorno con un rametto di ulivo nel becco. L'ulivo, simbolo di pace, arriva con il ritorno della colomba.

Allo stesso modo, la parola ebraica, in quanto elemento della creazione, "ritorna" da destra a sinistra, (così si scrive l'ebraico), e sempre in tal senso il recipiente contenitore del mondo(10) viene consegnato dalla mano destra creatrice di Dio, alla sinistra.

"Iavan", "jonah" e la figura mitica di Kadmos(11), colui che portò l'alfabeto ai greci, testimoniano allora anche l'origine dell'alfabeto greco. Kadmos è infatti una parola derivante dall'ebraico "kedem", che vuol dire "proveniente da prima", "proveniente dall'est".

Guardando il mappamondo, la Grecia si trova infatti "a sinistra" della Terra Promessa, e dall'est come un sole sorgente Kadmos portò le lettere di cui poi si servì la lingua greca. E' per questo motivo che si hanno consonanze fra l'ebraico e il greco, per esempio "alef" e "alfa", "bet" e "beta", "iota" e "iod", ed altre.(12)

NOTE

(1) Cantico dei Cantici 2, 14.
(2) Geremia 48, 28.
(3) R. Graves - R. Patai, "I miti ebraici", ed. TEA, p.190 n. 7.
(4) Matteo, 12,40.
(5) Vedi nota 5 del capitolo primo a p.7.
(6) Giovanni, 2, 19.
(7) Giovanni, 2, 21-22.
(8) H. P. Blavatsky, "Iside svelata", Ed. Armenia, p.236.
(9) ibid.
(10) F. Weinreb, "Der symbolismus der biblische sprache", Ed. Thauros Weiler.
(11) M. Hadas-Lebel, "Storia della lingua ebraica". Ed. Giuntina, pp.15-16: "Nel V secolo, lo storico Erodoto scriveva: 'I Fenici che vennero in grecia con Cadmo vi introdussero varie scienze e, tra le altre, la conoscenza delle lettere. Dal momento che erano stati i Fenici che per primi le avevano fatte conoscere ai Greci, questi giustamente le chiamarono lettere fenicie' (Storie V, 58). I Greci riconoscevano dunque di aver appreso l'alfabeto dai Fenici, ma da questo non ne consegue necessariamente che i Fenici stessi ne siano stati gli inventori e già nel I secolo lo storico latino Tacito scriveva: 'Sono gli Egiziani che hanno inventato le lettere dell'alfabeto, i Fenici, che avevano il dominio del mare, le hanno portate in Grecia e in tal modo è stata attribuita a loro la gloria di aver inventato ciò che essi avevano invece ricevuto' (Annali XI, 58). La tesi dell'rigine egiziana dell'alfabeto si ritrova già in un famoso mito platonico (Fedro 274 d e Filebo 18 b). Il ricorso al mito, come del resto fa spesso Platone, può essere interpretato come il segno dell'imbarazzo della mente umana davanti a uno dei grandi misteri dell'evoluzione dell'umanità. L'apparizione della scrittura è certamente uno di questi: non si osa attribuirle un inventore né una data. Così Platone per bocca di Socrate, seguendo la tradizione egiziana, attribuisce al Dio egiziano Toth questa meravigliosa invenzione. Questo ruolo del dio Toth sarà poi assunto da Hermes presso i Greci e da Mercurio presso i Latini".
(12) Riportiamo, a proposito del motivo per cui i popoli semitici scrivono da destra a sinistra e i popoli ariani scrivono da sinistra a destra, anche quest'altra spiegazione di Fabre D'Olivet, contenuta nel libro di E. Schuré, I grandi iniziati, Ed. Newton: "Tutti sanno che in epoche preistoriche non esisteva una scrittura corrente, il cui uso si diffuse solamente con la scrittura fonetica, vale a dire l'arte di riprodurre con delle lettere il suono delle parole. Ma la scrittura geroglifica, la raffigurazione delle cose mediante ideogrammi, è antica quanto la civiltà umana. E sempre, in quell'epoca arcaica, quest'arte fu appannaggio della casta sacerdotale in quanto considerata cosa sacra, e, originariamente, ispirazione divina. Quando, nell'emisfero australe, i sacerdoti della razza nera, o razza del Sud, tracciavano i loro segni misteriosi su pelli di animali o tavole di pietra, usavano volgersi in direzione del Polo Sud; la mano si orientava verso Oriente, dove nasceva la luce. Scrivevano quindi da destra a sinistra. I sacerdoti della razza bianca, o nordica, appresero la scrittura da quelli neri e cominciarono a scrivere come loro. Ma una volta che in essi si fu sviluppato il senso della propria origine, la coscienza nazionale, l'orgoglio di razza, inventarono dei segni particolari e, anzichè volgersi a Sud, verso la terra dei neri, volsero il viso a Nord, alla terra degli Antenati, continuando però a tracciare i caratteri in direzione dell'Oriente. E la loro scrittura andò da sinistra verso destra; direzione in cui appunto si snodano le Rune celtiche, lo Zendo (o Avesta), il Sanscrito, il Greco, il Latino e tutte le scritture delle razze ariane - verso il sole, verso la fonte della vita terrestre; ma guardando al Nord, patria degli Antenati e fonte misteriosa delle aurore celesti".

Data creazione pagina: 21/03/2001