Roberto Monti (1986)

La cintura di sicurezza (seconda puntata)

Fonte: R. Monti "Scritti di critica alla Teoria della

Relatività (1984-1987)" Ed. Andromeda, Roma 2018

 

A cura di Nereo Villa

 

Presentazione

Dopo le millenarie confessioni religiose della chiesa, da più di un secolo le confessioni religiose della scienza sorgono e scompaiono, e con formule sempre nuove risorgono per poi ancora scomparire come contorsioni di vermi o serpenti, che sempre più si dimenano, lasciando ovviamente il tempo che trovano, perché le loro contorsioni non sono e non saranno mai la circolarità universale, la quale per essere necessita di riconoscimento e di superamento del soggettivismo del sentire. Chi arrivò scientificamente a ciò, J. W. Goethe, non fu ascoltato in quanto il suo intendimento fu scambiato per un poetico favoleggiare. Perciò il mondo si è fatto immondo... Oggi la fisica dei corpi fisici si è fatta teorica dell'infinito, cioè matematica dell'infinito, escludente l'uomo. Tale esclusione permette ancora a vipere, serpenti, macachi, gattopardi, ecc., di credersi scienziati: in base a documenti di Stato, incartamenti, lauree, diplomi, ecc. Ma sono bestie. O tutt'al più: marcioni, zombies, cervelli completamente putrefatti, apparenti in forma umana... con tanto di Nobel, da mostrare come crisma di un'unzione finalizzata ad abbagliare anziché illuminare...

Nereo Villa, Castell'Arquato, 21 giugno 2018

 

Maledizione! Possa la mia mano disseccarsi e la mia lingua cadere come foglia d'autunno! (Oh, si fa per dire).

 

Posso aspettare!... Ci son cascato ancora, e m'han beccato.

 

Pensare che ricordo bene il momento in cui, sfidando gli Dei, stupivo il mio primo amore (che ti amavo, invece, non te l'ho detto mai) affermando stoltamente che i soldi non saranno mai un problema.

 

Mal me ne incolse... e più non dimandare.

 

Stavo dunque concedendomi un po' d'ozio dopo mesi di attività, non dico febbrile, ma senz'altro eccessiva (per i miei gusti) quando mi arrivò il Report del terzo Referee, con la solita lettera del subdolo Bertotti: [Si vedano le due lettere del Il Nuovo Cimento nelle pagine che seguono].

 

Note generali

 

Il lavoro solleva una questione interessante, meritevole di discussione. Tuttavia il lettore è sconcertato e sorpreso da affermazioni troppo forti e azzardate, come quelle presentate proprio all'inizio, nel secondo paragrafo. Conseguentemente il lettore (e il revisore) sono propensi a sentirsi maldisposti sin dall'inizio.

 

Alcune osservazioni

 

Il revisore è d'accordo sul fatto che le esistenti misure «elettriche» di c sono molto vecchie e che un nuovo approccio può oggi essere perseguito. Nondimeno bisogna tener conto del fatto che, quando una teoria è generalmente accettata, non tutte le sue conseguenze devono essere verificate sperimentalmente a meno che non emerga qualche buona ragione per agire diversamente.

Nuove tecniche sperimentali (dai tempi di Rosa è nata l'elettronica), il Teorema di Lampard e Thompson, l'effetto Von Klitzing, aprono oggi indubbiamente nuove vie per effettuare misure di precisione di grandezze elettriche e dei loro legami con le costanti fondamentali.
Il revisore è d'accordo anche sul fatto che la nuova misura di c proposta segue una via del lutto diversa da quelle adottate da Essen e Frome e, più recentemente, da Evenson, e cioè una misura in situ.

 

 

 

 

 

 

 

Un risultato, come quello previsto nel lavoro, avrebbe conseguenze non solo sulla Relatività Ristretta, come sottolineato dall'Autore, ma anche sull'intero elettromagnetismo, a partire dalle equazioni di Maxwell.
Le appendici A1 e A5 sono interessanti, rispettivamente, da un punto di vista storico e sperimentale, mentre le appendici A2, A3, A4 possono essere, senza alcun danno, fortemente limitate o, almeno, alleggerite da passaggi algebrici troppo dettagliati.

 

 

 

 

 

Relazione sul lavoro N. 7054/A

Autore: Roberto Monti

Titolo: La velocità della luce.
[...] Per concludere, il lavoro:
- Solleva una questione interessante.
- Dal punto di vista metrologico l'esperimento è maturo e fattibile.

- Lo stile sembra un po' messianico e dovrebbe essere alleggerito da affermazioni troppo azzardate.
Anche il linguaggio dovrebbe essere controllato; per esempio parole come "dampness" e "executable" non suonano inglese.

 

 

 

 

Li accantonai oziosamente. Non giudicavo degni di replica i patetici commentarli di un Vice Direttore dimissionario, né intendevo diffondermi in suggerimenti sul come il terzo Referee avrebbe potuto fare un uso appropriato della sua lingua (mi son dimenticato di dire che quel lavoro di Storia della Fisica scritto per il Congresso di Trieste l'avevo spedito a un' altra rivista): [Si veda lettera di PHYSIS nella pagina seguente].


Bene. La riposi delicatamente in uno dei miei posti facili da trovare. Aspettavo altra posta.
Come ho detto, ero stato in Germania.
lo mi ero spiegato abbastanza bene, penso, loro un po' meno.
In particolare non avevo capito in cosa consistessero le misure indirette di c0 . Che una grandezza fondamentale fosse misurabile indirettamente mi suonava male. Ma finché i dati andavano a favore della mia ipotesi potevo anche passarci sopra. A questo proposito voglio mettere in chiaro fin d'ora, a scanso di futuri equivoci, che io voglio assumere in ogni circostanza una parte precisa: la mia. Desidero perciò che nessuno, d'ora in avanti, osi tacciarmi di imparzialità. Io odio l'imparzialità. La gente imparziale, poi, ecc. ecc.
Tornando dunque da Braunschweig avevo sollecitato tuttavia Volkmar e Hans, amici ormai, a spedirmi una spiegazione dettagliata della questione.

 

 

 

 

Caro dottor Monti,
sono lieto di comunicarle che la direzione di questa rivista ha accettato di pubblicare il Suo articolo sulla storia delle misure elettromagnetiche della velocità della luce.
Per le sue caratteristiche (è piuttosto un elenco di misure e di dati interesse storico, che una trattazione sistematica di un problema e una discussione di tesi storiografiche), il saggio può essere inserito nella sezione "note critiche" della rivista.
Per renderlo accessibile anche a un pubblico di non fisici, sarebbe forse opportuno da un lato richiamare per sommi capi il dibattito teorico ed epistemologico che vede contrapposti su versanti diversi fisici "continentali" (come Weber) e fisici di scuola inglese (come Maxwell e W. Thomson) e che "sta alle spalle" del problema della misura, dall'altro lato estendere un poco, con qualche dettaglio in più, alcune considerazioni ed esposizioni di carattere tecnico (per es. metodi usati nella misura elettromagnetica di C).
Sull'opportunità e l'ampiezza di questi piccoli aggiustamenti decida Lei con la massima libertà.
Nel rimandarmi indietro l'articolo, La pregherei di controllare i punti segnati a matita. La pregherei inoltre di provvedere a inviarmi un dattiloscritto battuto secondo le regole redazionali della rivista e un testo riveduto (se già non lo ha fatto) da una persona di madre lingua inglese.
Sarebbe anche utile avere un breve riassunto in italiano e in inglese dell'articolo.
In attesa di Sue notizie, La saluto cordialmente.

 

 

 

 

Senonché ai primi di Novembre invece della spiegazione mi arriva una telefonata allarmata di Volkmar.
Un loro teorico, tal Simon (puro cacio sui maccheroni per il complotto sionista di Filippo), aveva scoperto che c'era un errore nella soluzione dell'equazione d'onda.
Gli risposi di spedirmi il tutto che ci avrei guardato:

 

 

 

 

 

Caro Roberto
In allegato la nota del Prof. Simon, che ti invio. Guarda per favore cosa è giusto o sbagliato.
Cari saluti.
Volkmar

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi bastò un'occhiata per capire che il nostro Simon era stato bravino, ma si era fermato troppo presto: era arrivato fino a δ² ma non l'aveva calcolato. Gli spedii il valore 4 ∙ 10-52 insieme ad una fotocopia del Coulson. Waves. P. 19: Assai spesso δ è abbastanza piccolo perché δ² possa essere trascurato ecc.

Contemporaneamente sollecitai a mia volta un chiarimento in forma scritta sulla misura indiretta di c0 , dicendo che volevo famrne l'Appendice 7 del mio lavoro, c Volkmar mi invitò di nuovo a Braunschweig.
Per essere sicuro di concludere chiesi una missione di 15 giorni. Ma Gianfranco (il mio Direttore) mi disse che non c'erano soldi neppure per uno. Ci mettemmo d'accordo per 7 (5 più 2 di viaggio) con mia grande indignazione.
Immaginavo infatti quello che poi capitò puntualmente: i primi 4 giorni li passai a rispiegare tutto ai vari teorici del PTB. L'ultimo parlai finalmente con Hans... e non riuscimmo a concludere.
Mi promise l'Appendice.
Promesse da samurai, direbbe Stecchetti.
E infatti dopo una lunga attesa fui costretto a mandare in stampa il secondo numero di Seagreen senza Appendice 7.
Ora, io sono sostanzialmente un ottimista, ma a questo punto cominciai a insospettirmi, specie tenendo conto di alcune note barzellette sulla tecnologia teutonica tipo quella del marchingegno grande come una casa che ci metti dentro l'erba ed esce il latte.
Perciò, quando mi arrivò la lettera che segue, rimasi deluso, ma non sorpreso: [Si veda la lettera della Physilcalisch-Technische Bundesanstalt nella pagina seguente].

 

 

 

 

 

 

Caro Roberto,
in allegato troverai i dati sperimentali esistenti, attualmente disponibili a livello internazionale, che il Prof. Bachmair (Hans) ha calcolato. Nelle 3 tavole i risultati teorici basati sulla relazione
cm = c0 (1- β²) con β = 2 ∙ 10-3 sono contrapposti ai vari dati sperimentali che sono riferiti alle unità conservate al BIPM (Ufficio Internazionale Pesi e Misure) aggiornate al 1 gennaio 1985.
Specialmente dal grafico si riscontra una discrepanza tra la (tua) teoria e l'esperienza per i fattori di conversione
KΩ, KA, e KV .

Poiché non esiste alcun supporto della teoria sulla base di questi esperimenti, noi raccomandiamo di non pubblicare questi dati. Noi pensiamo che a causa del legame tra unità elettriche e unità meccaniche è secondo la nostra opinione impossibile provare la predizione cm = c0 (1 - β²) nell'ambito di qualsiasi sistema in movimento. Sebbene i risultati possono non essere soddisfacenti per tutti noi, nondimeno le interessanti discussioni con te sulla questione ci hanno consentito una migliore comprensione dell'intera materia.
Facci sapere, per favore, se tu vedi un'altra soluzione a questo problema.
Con i migliori auguri e saluti personali, anche da H. Bachmar e F. Melchert, tuo sinceramente
                                                                                                                                V. Kose

 

 

 

 

Seguiva un mare di tabelle.

Non male, eh! Ammetterete che c'era di che innervosire persino uno come me. Per fortuna avevo già preparato la risposta: [Si veda lettera CNR Istituto T.E.S.R.E. nella pagina seguente].

 

 

 

 

Caro Volkmar,
ti ringrazio per la tua lettera.
Prima di cercare una soluzione al problema in questione, devo capire il problema stesso: io confesso che non ho ancora capito in quale modo la misura indiretta di c0 sia effettuata praticamente.
Il pomeriggio prima di partire da Braunschweig stavo discutendo con Hans la tavola seguente:

 

RELAZIONI POSSIBILI

Ricorda:
1) Misure di resistenza.
2) Bilancio di corrente.
3) Bilancio di voltaggio.
Puoi spiegarmi (tenendo conto che io non so niente di metrologia):
a) In quale modo si passa dalle proporzionalità alle identità numeriche?
b) In quale modo, e in quale momento, la quantità c0 , entra nelle identità numeriche?
c) Cos'è un «fattore di conversione» e in quale modo i «fattori di conversione di un sistema a riposo» sono determinati?
d) In quale modo sono determinati i vari f e I ?

Puoi facilmente capire che io ho due possibilità:
a) La mia teoria è sbagliata.
b) Una misura indiretta della quantità c0 non è possibile.
Cioè: dobbiamo effettuare una misura diretta (10-5, per cominciare, è meglio di 10-3).

Ovviamente io sono favorevole all'ipotesi b, e spero che mi scuserai se ti chiedo una spiegazione passo-passo della misura indiretta di c0. In attesa della tua risposta, desidero esprimere i miei migliori auguri e la mia stima personale a tutti voi.
                                                                                                                          R.M.

 

 

 

 

 

Evitai, ovviamente, di informare della faccenda il buon Gianfranco, per non turbarlo con spiegazioni troppo impegnative, e ci dormii sopra.
Riconoscendo a tutti la possibilità di sbagliare io amo infatti, in simili circostanze, concedere una notte di tempo anche al Creatore per rimettere, eventualmente, le cose a posto.
Devo riconoscergli tuttavia che, in questo caso, non c'entrava. Torniamo dunque a noi:
Con abile mossa Volkmar passò la mano ad Hans: [Si veda la lettera della Physikalisch-Technische Bundesanstalt nella pagina seguente].

 

 

 

 

 

Caro Roberto,
ti ringrazio per la lettera del 13 febbraio. Il Prof. Kose, il Prof. Melchert ed io abbiamo avuto una discussione dettagliata sulle tue domande, alle quali cercherò di rispondere in ciò che segue.
Durante la tua ultima permanenza a Braunschweig abbiamo discusso il problema da due diversi punti di vista: senza e con dilatazioni temporali e contrazioni spaziali. Nel primo caso, i fattori di conversione (spiegherò nel seguito il significato di questo termine) ottenuti con metodi diversi dovrebbero differire l'uno dall'altro, così che dovrebbe essere possibile distinguere tra un sistema in movimento ed un sistema a riposo. Nel secondo caso, si dovrebbe ottenere sempre lo stesso risultato, così che la distinzione tra un sistema di riferimento mobile ed uno in quiete non è possibile.
Per maggiori dettagli ti prego di vedere l'allegato 1, nel quale ho calcolato entrambi i casi per l'unità di resistenza.
Nella nostra ultima lettera tutti i fattori di conversione erano stati calcolati senza dilatazioni temporali e contrazioni spaziali.
Dai nostri calcoli non possiamo concludere che la tua teoria è sbagliata. Ma pensiamo che si deve tener conto delle dilatazioni temporali e delle contrazioni spaziali. In questo caso, si otterrà sempre lo stesso fattore di conversione indipendentemente dal metodo (induttore calcolabile ecc.) e non c'è alcuna possibilità di decidere se noi viviamo o no in un sistema in movimento.
D'altra parte, non c'è possibilità di determinare la velocità della luce in un sistema a riposo, perché il metodo cinematico è influenzato dal moto della Terra, ed anche il metodo elettromagnetico, infine, è connesso alla misura di grandezze meccaniche in un sistema in moto.
Noi non possiamo immaginare un esperimento per determinare
c indipendentemente da V, direttamente o indirettamente.

Spero che i miei calcoli nell'allegato 1 ti forniscano ulteriori informazioni e che tu possa essere in grado di vivere con l'ipotesi b, come hai scritto nella tua lettera. Con i migliori auguri e saluti personali da tutti noi.

 

 

 

 

Seguiva il solito mare di tabelle. Solito proprio nel senso che, a parte i «calcoli relativistici», non c'era niente di nuovo rispetto a quelle precedenti.
Ora questi tedeschi mi erano (e sono) veramente simpatici. Mi dispiaceva dunque essere troppo brusco e tuttavia non potevo tergiversare oltre.
Perché avevo realizzato che Hans, come altri prima lui tra gli esiste e non esiste della teoria del valore marxiana, si era lasciato invischiare tra gli esiste e non esiste delle dilatazioni e contrazioni einsteiniane, e ci aveva lasciato il suo buon senso. E avevo realizzato anche, ormai, che anziché partire per gli States o mietere allori, mi sarei trovato, ancora una volta, a dover dare spiegazioni.  Fu a questo punto che mi ricordai del Nuovo Cimento e di Physis, e mi precipitai a ripescare le lettere di cui dicevo sopra.
Ricerca che, ovviamente, mi costò inenarrabili fatiche, coronate tuttavia dal successo. Rileggendo la lettera del caro Cimino trovai facilmente lo spunto per giustificare il mio ritardo nel rispondergli: avevo riflettuto lungamente (due mesi, come poteva constatare) sui suggerimenti che mi aveva dato, e gli spiegavo le profonde motivazioni per le quali alcuni erano stati accettati ed altri no (specie - detto tra noi - quelli che mi sarebbero costati ulteriori fatiche). Vedete ragazzi, quando voglio io so essere non dico convincente, ma addirittura suadente. A brevissimo giro di posta mi arrivò, infatti, la seguente risposta: [Si veda la lettera della DOMUS GALILEANA nella pagina seguente].
Quanto al Nuovo Cimento, ricordai che il buon Gianfranco aveva cercato di frenare la mia giusta indignazione nei confronti del terzo referee (specie a proposito di quel quando una teoria è generalmente accettata, non tutte le sue conseguenze debbono essere verificate sperimentalmente), osservando che, in fondo, non aveva espresso un giudizio negativo sul mio lavoro. E si era addirittura spinto a propormi di riscrivere insieme a me alcune parti del lavoro per arginare la mia prosa entro i limiti del galateo scientifico. Questa mia prova di buona volontà sarebbe stata ricompensata, per di più, dal suo appoggio, in qualità di Direttore dell'Istituto TESRE, nel rimuovere eventuali ulteriori incomprensioni con la nuova Vice Direzione B. Bene. Ero pronto a sostenerla con la necessaria fermezza. Ne risultò, in breve tempo, una nuova versione di The speed of light, che spedii insieme alla seguente lettera: [lettera CNR Istituto T.E.S.R.E nella pagina seguente].

 

 

 

 

Caro Monti,
ho ricevuto il tuo dattiloscritto e l'ho inviato all'editore perché possa essere messo in lista per la pubblicazione.
Comprendo la tua scelta di non ampliare il testo e ne prendo atto.
Ti confermo la disponibilità della rivista ad ogni tuo contributo e ti prego di inviarmi la corrispondenza all'Istituto della Enciclopedia Italiana, Piazza Paganica 4, 00186 Roma.
Con viva cordialità
                                                           Guido Cimino

 

 

 

 

 

 

 

 

Sistemate queste pendenze ripresi i contatti con Ernesto (Arri) a Torino per essere certo di quello che avevo intenzione di rispondere ad Hans:

 

 

 

 

Cari Volkmar e Hans,
ho discusso il problema della misura indiretta di c0 con il Prof, Arri, e abbiamo raggiunto le stesse conclusioni, che sono le seguenti:
a) L'equazione:
cm = c0 (1-β²) è indipendente da dilatazioni temporali e contrazioni di corpi in movimento, come risulta dall'Appendice 1 Velocità della luce, che vi rispedisco.
b) Il modo in cui Hans ha calcolato gli effetti delle dilatazioni di tempo e le contrazioni dei corpi in movimento è erroneo.

c) Le «misure indirette di c0» suggerite, partono da cM e ovviamente ritornano a cM .
d) Una misura diretta di
c0 è possibile, e il modo di misurare c0 indicato da Arri, con incertezze dell'ordine di 10-8, è corretto.
Desideravo ritornare a Braunschweig per spiegarvi questi punti di vista, ma ho notato che Hans sarà a Gaithersburg durante il CPEM '86.
Ci sarò anch'io, perciò ho scelto di incontrarlo negli USA.
Spero che a Gaithersburg avremo tempo di discutere e chiarire il problema in questione.
                                                                                           Roberto Monti

 

 

 

 

Il 20 giugno 1986 mi imbarcai per l'America. Sarò breve: veni, vidi, vici.
Inesorabilmente incalzato, Hans fu costretto a spiegarmi com'era la sua famosa misura indiretta. Ovviamente, come avevo immaginato, era una misura diretta: nient'altro che l'esperimento suggerito da Arri, ma fatto in due tempi. Anziché mettere insieme un induttore e un condensatore, e ottenere la relazione (A6-3) di Seagreen n. 1, p. 76; si trattava di misurare separatamente una stessa resistenza prima con un condensatore, poi con un induttore e infine confrontare i due valori attraverso un fattore di conversione.
L'esperimento era tanto simile a quello di Arri che gli mancava la stessa cosa che mancava ad Arri: l'induttore calcolabile.
Mi bastò scrivere: you need a calculable inductor.

 

L'ultima tessera del mosaico era in un libercolo giallo, che mi era stato dato al momento dell'iscrizione al Congresso. Un'appendice stampata per metterei i lavori dei ritardatari.

Tra gli altri c'era anche quello degli Inglesi, National Physical Laboratory, Teddington, Middlesex, England.
Ora questi Inglesi dell'NPL fino a poco tempo prima erano uno dei pochi laboratori al mondo che, per realizzare l'Ampere SI, usava un induttore calcolabile (solenoide).
Volkmar aveva notato, appunto, che proprio questi tipi di misura davano, risultati discrepanti, rispetto a quelli ottenuti con il condensatore calcolabile, nel senso e nella misura giusta (vedi Seagreen n. 2 p. 62).


E sapeva anche che gli Inglesi ne stavano facendo altre. Ma si era limitato a chiedere quale era il loro nuovo risultato, non come l'avevano ottenuto. Cosi quando gli risposero che la discrepanza non c'era più mi spedì senz'altro la prima lettera del 10/2/1986 eccetera eccetera ...
A questo punto basta un'occhiata al lavoro ritardatario degli Inglesi per capire com'è andata:

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal momento che con il solenoide non riuscivano ad andare oltre 10-5 e tantomeno ad eliminare la discrepanza, l'hanno saltato: hanno ricavato il valore della resistenza, che avrebbero dovuto misurare con un solenoide, passando per un condensatore calcolabile.
In altri termini: l'intuizione e il progetto di misura di Volkmar e Hans erano ottimi... fino a quando gli Inglesi non avevano avuto la brillante idea di «saltare» il solenoide.
Ai fini di determinare c0 infatti, la situazione adesso era la seguente: la stessa resistenza era misurata prima con un condensatore calcolabile, e poi con un condensatore calcolabile.

I risultati erano, ovviamente, identici: la misura partiva da cM... e tornava a cM.
L'equivoco era ora tanto evidente e Volkmar e Hans così dispiaciuti che io quasi mi vergognavo di essere stato costretto il farglielo notare. Perché, come dicevo, ormai eravamo amici.
E amici siamo rimasti.
Dopo questa storia me ne andai in vacanza, e al mio ritorno trovai la seguente lettera, in data 30/7/1986:

 

 

 

 

 

 

Caro Prof. Monti,
La ringrazio per aver sottoposto il suo lavoro,
The speed of light, a Il Nuovo Cimento B. Sulla base del referee report, che ho accluso, noi giudichiamo che il lavoro non è pubblicabile nella sua attuale forma.
Cordialmente.

 

 

 

 

 

 

Rapporto del Revisore sul lavoro n. 8295 NCBR

                       
Ho molta simpatia per il desiderio dell'autore di migliorare la misura di
ε0 e μ0 , e di verificare la fondamentale relazione c² = 1 / ε0μ0 con la migliore precisione possibile.

Se la modema tecnologia consente un miglioramento nei confronti della misura di Rosa e Dorscy, vale innegabilmente la pena di effettuare tali misure. La motivazione di una tale misura rimane la stessa di quella dei tempi di Rosa e Dorsey: c² = 1 / ε0μ0 è una previsione cruciale della teoria di Maxwell, e deve essere verificata nel modo più rigoroso possibile.
Ricercando ulteriori motivazioni per tale misura, l'autore propone una
nuova forma di Relatività, diversa dalla teoria della Relatività Einsteiniana. Sfortunatamente la sua teoria contiene alcune inconsistenze interne e, per di più, è in chiaro contrasto con noti risultati sperimentali.
Le sue espressioni per la quantità di moto (eq. 9) e per l'energia (eq. 8) sono inconsistenti con la sua
legge di addizione delle velocità.
È facile mostrare che, sulla base del familiare Esperimento Ideale relativo alla collisione elastica tra due particelle (vedi, per esempio, A. P. French, Special Relativity, p. 170, o G. Joos, Fisica Teorica, p. 253, oppure vedi la bibliografia originale di Lewis e Tolman, Phil. Mag. 18, 510, 1909), l'espressione relativistica per la quantità di moto è una diretta conseguenza della legge di addizione delle velocità. Se questa legge di addizione viene sostituita con quella della fisica Newtoniana, come propone l'autore nell'eq. 5, allora l'espressione per la quantità di moto dedotta dall'Esperimento Ideale è necessariamente l'espressione Newtoniana:
P = m0 V, e non l'espressione relativistica scritta dall'autore nell'eq. 9.
Per ciò che mi risulta dal lavoro,
l'autore non fornisce alcuna deduzione per la sua espressione della quantità di moto: ed egli sembra esprimere l'opinione che la relazione tra quantità di moto e velocità possa essere scelta liberamente.
Inoltre, la legge di addizione delle velocità Newtoniana (eq. 5) è stata mostrata erronea in un decisivo esperimento con pioni e fotoni da T. Alvager ed altri (vedi Phys. Lett. 12, 260, 1964).
Tenendo conto delle inconsistenze interne della nuova versione della Relatività dell'autore e delle contraddizioni con risultati sperimentali ben stabiliti, devo prendere posizione contro la pubblicazione di questo lavoro.

 

 

 

 

Ma a questo punto è opportuno fare un passo indietro, fino al momento in cui avevo ripreso in mano la questione del Nuovo Cimento.
Conoscendo ormai bene il Bertotti, il suo suggerimento postumo (come Vicedirettore B del Nuovo Cimento, intendo) di allegare tutto il carteggio precedente se avessi sottoposto una nuova versione del lavoro alla nuova Vice-Direzione Rivista, mi aveva lasciato perplesso. Chi poteva essere questo nuovo Vicedirettore?
Come potete facilmente dedurre scorrendo il carteggio in questione nel secondo numero di Seagreen, la risposta sarebbe venuta in mente anche ad un bambino: l'imbecille.
Una breve telefonata alla Redazione del Nuovo Cimento me ne fornì il nome (del Vice-Direttore, naturalmente): Remo Ruffini.
Ovviamente, prima di trarre una conclusione definitiva mi riservai la verifica sperimentale.
Perciò, previo appuntamento, andai a Roma e consegnai personalmente al Remo copia della nuova versione del lavoro, unitamente ad una copia del giudizio del terzo revisore; ma senza la lettera del Bertotti che l'accompagnava e altri inutili carteggi.
Questa, di lasciar l'ultima parola all'esperienza, è veramente una cosa che non bisognerebbe mai perdere l'abitudine di fare.
Infatti quando Remo mi disse che il mio lavoro gli era già passato per le mani nel senso che l'aveva girato ad un suo amico Grande Esperto di Elettro Magnetismo (GEEM) che, per di più, aveva collaborato con Jackson al Jackson (vedi Seagreen n. 2, p. 58), intuii che, molto probabilmente, l'imbecille in questione era GEEM, mentre Remo si era reso responsabile unicamente di una imperdonabile leggerezza. Quando poi gli ho parlato personalmente (a GEEM) e, dopo avergli spiegato cos'era una misura elettromagnetica, ho accennato alla questione dei fotoni, la sua esilarante spiegazione di come fanno a scomparire non mi ha lasciato alcun dubbio: era proprio lui.
Quanto a Remo, avevo notato il suo sconcerto nel constatare che, dopo qualche minuto di conversazione, GEEM annuiva vigorosamente alle mie argomentazioni. E avevo valutato per ciò che prometteva la sua intenzione di non chiudere lì la faccenda.
Remo decide infatti su due piedi di dare a GEEM un paio d'ore per leggersi il lavoro; ma quando GEEM se ne ritorna dicendo che ha capito di che misura si tratta e che è da fare, lui si affretta a sostenere che, naturalmente, occorre il giudizio di un altro revisore.
Io obietto che ce l'aveva già: quello del revisore del Bertotti.
Lui replica che con la passata amministrazione non ci ha niente a che fare. Intendeva un altro suo.
M'è stata sui maroni ma ho abbozzato, e ci siamo salutati.
Beh, secondo me è andata così (e loro devono solo confessare): appena sono uscito dallo studio Remo gli fa: cos'è sta storia? GEEM replica che prima non aveva capito bene. Capita. Remo obietta: come la mettiamo con Einstein e il rompiballe? GEEM ribadisce che, ovviamente, Einstein non si tocca. Remo conclude che si rilegga bene il lavoro e trovi qualcos'altro a cui attaccarsi. E GEEM trova: lettera del 30/VII/1986 e fine del primo atto.

 

 

 

Secondo atto:

 

 

 

 

 

 

Bologna 27/6/1986

 

Caro Remo,
sono rimasto sorpreso della precipitosità della tua risposta. Come ricorderai, dopo che il tuo Grande Esperto di Elettromagnetismo (GEEM) si era velocemente rimangiato le sue infelici affermazioni sul "
vecchio problema... da lungo tempo risolto" (vedi Allegato 1), tu ti eri affrettato ad affermare la necessità (che non ho potuto non condividere) di sottoporre il lavoro ad un altro revisore per avere due giudizi. E io me ne attendevo, appunto, due.
Ne trovo invece uno solo. E dallo stile e dalle argomentazioni riconosco inequivocabilmente la mano del tuo GEEM.
Ora, caro Remo, io vorrei evitare che la prova di grande moderazione alla quale ho saputo sottopormi durante il nostro colloqui romano ti induca ad abusare oltre della mia pazienza.
Ti prego vivamente, perciò, di controllare di persona, d'ora in avanti, le sciocchezze del tuo GEEM prima di perdere tempo a spedirmele.
Io voglio infatti supporre che le dotte apparenze delle citazioni delle quali il tuo GEEM ama adornare i propri scritti abbiano, ancora una volta, colto alla sprovvista il tuo giudizio; piuttosto che ritenere di trovarmi di fronte al giudizio di uno sprovveduto.
Ma veniamo senz'altro all'ultima performance del tuo GEEM.
Anch'io, se non proprio "very much", sono abbastanza "in symphathy"
[... testo mancante nel libro - ndc].

 

[...] misura rimane la stessa dei tempi di Rosa e Dorsey... e cioè verificare la cruciale predizione della teoria di Maxwell: c² = 1 / ε0μ0 . D'altra parte l'evidenza del suo scritto lascia fondatamente supporre che egli sappia anche leggere ed abbia conseguentemente letto almeno una volta le parti essenziali del lavoro.
Non può dunque essere sfuggito al suo occhio ciò che la sua mente rifiuta tuttavia di accettare: la spiegazione del fatto che il punto cruciale della teoria di Maxwell consiste nella "predizione" dell'identità degli ordini di grandezza di
c0 e cM (vedi la copia dell'History of electromagnetic measurements che vi ho lasciato), e il fatto che ad una ben più rigorosa e altrettanto cruciale prova di identità numerica deve sottoporsi il secondo postulato della teoria Einsteiniana.
Il seguito, poi, è quasi commovente: GEEM, povero, non riesce neppure a concepire che qualcuno metta in discussione la Relatività. E fantastica che la mia banale riproposizione della Fisica Classica sia "
una nuova forma di Relatività".
Non dubitavo ovviamente, dopo queste premesse, che sarei stato "stato sfortunato"; e suppongo che il trovarsi "in chiaro conflitto con con noti risultati sperimentali" sia stato per lui di grande conforto morale... troppo, "unfortunately".
Tanto da indurlo ancora una volta a profluire, come direbbe Tacito, "ad incognitas citationes". Nel senso che, come nel caso Goldhaber-Nieto, GEEM non si cura di conoscere ciò che si picca di citare.
Vedi, è tutto in quel "oppure". French e Jans
[A. P. French e James Jeans - ndc], si capisce, li ha letti, ma non ha letto Lewis e Tolman [Gilbert Lewis e Richard Tolman - ndc], ai quali, in realtà, rimanda se stesso.
Inoltre, cosa che sospettavo, non si è degnato di leggere le Appendici del mio lavoro.
Nell'Appendice 2 egli avrebbe trovato, infatti, non solamente quella "
deduzione per l'espressione della quantità di moto" di cui lamenta l'assenza nel testo, ma anche l'indicazione dei due lavori di Lewis: quello del 1908 (dal quale ho preso, rimaneggiandola un po', la deduzione delle equazioni 8 e 9 che figura nell'Appendice 2. Vedi allegato 2); e quello, scritto insieme a Tolman, del 1909, nel quale Lewis osserva che: "Le conseguenze che uno di noi (Lewis 1908) ha ottenuto da una semplice ipotesi riguardante la massa di un fascio di luce e dalle fondamentali "leggi di conservazione" della massa, dell'energia e della quantità di moto, Einstein le ha dedotte dal Principio di Relatività e dalla teoria elettromagnetica. Ci proponiamo in questo lavoro (Lewis e Tolman 1909) di mostrare che tali conseguenze possono anche essere ottenute partendo semplicemente dalle leggi di conservazione e dal Principio di Relatività, senza alcun riferimento all'"elettromagnetismo" (vedi allegato 3).
È appunto quel "ben noto Esperimento Ideale" (nel senso che nessuno, ovviamente, l'ha mai fatto) che eviene riportato, insieme alla citazione dei suoi autori, su testi come il French, il Joos, il Panofsky, ecc., per edificare le menti dei giovani studenti.

Quanto alla questione delle "leggi di addizione delle velocità", persino quel reprobo del mio primo revisore della Physical Review (vedi allegato 4) non ha osato affermare che quella einsteiniana (2 + 2 = 2) possa ritenersi in qualche modo sperimentalmente fondata.
Mentre "il decisivo esperimento di T. Alväger e altri" (un professore svedese e tre studenti)
[T. Alväger e F. J. M. Farley, J. Kjellman, I. Wallin, in T. Alväger, J.M. Bailey, F.J.M. Farley, J. Kjellman & I. Wallin, Test of the second postulate of relativity in the GeV region, Physics Letters 12, pp. 260-262, 1964; in T. Alväger & al., Velocity of high-energy gamma rays, Arkiv för Fysik 31, pp. 145–157, 1965; cfr. anche Alvager_et_al.pdf - ndc], che ancora una volta GEEM cita senza aver letto, lungi dal mettere in causa la legge di Galileo e Newton (2 + 2 = 4), si proponeva di mostrare unicamente, per esplicita ammissione dei suoi autori che "la velocità della radiazione elettromagnetica è indipendente dal moto della sorgente", "provando" che la velocità dei raggi γ emessi da pioni veloci era press'a poco quella della luce. Risultato: cγ = (2,9977 ± 0,0004) 1010 (vedi allegato 5).
Probabilmente costoro pensavano che qualcuno, dopo Maxwell, potesse ancora dubitare del fatto che "la velocità delle onde elettromagnetiche dipende solo dalle proprietà
ε0 e μ0 del mezzo entro il quale avviene la propagazione" (o pensare che i raggi γ fossero qualcosa di diverso da un'onda elettromagnetica).
Mi pare che la cruciale importanza di questo "decisivo esperimento" si commenti da sola.
Fine.
E a questo punto, caro Remo, tenendo conto delle "inconsistenze interne" di GEEM devo prendere posizione contro il suo rapporto e la sua conclusione.
In altri termini: il lavoro
N° 8295 NCBR è "pubblicabile nella sua attuale forma".
Ti prego dunque di provvedere sollecitamente al riguardo.
Spero, infine, che la felice conclusione di questa serie di spiacevoli contrattempi possa contribuire a mantenerci reciprocamente "in sympathy" anche per i prossimi anni.
Cordiali saluti.
Roberto Monti

 

 

 

 

E voglio anche sperare, lettore mio, che tu sappia apprezzare, oltre alla forma, la fulmineità della mia risposta. Perché è per non privarti, in tempi cosi grigi, di una amena lettura che mi affrettai a spedirla approfittando dell'assenza di Gianfranco.
Al quale ne fornii una copia qualche giorno dopo, a Rapallo, invitandolo a coglierne ed apprezzare non solo la prova lampante della mia moderazione ma soprattutto l'insegnamento che avevo saputo trarre dai suoi suggerimenti in fatto di Galateo.
Egli mi confermò infatti, manifestando il suo disappunto, ciò che sospettavo, e cioè che, lui presente, in questa forma non sarebbe mai partita.
Fu comunque sollecito a mantenere il proprio impegno a sostenermi telefonando a Remo per fargli presente la nuova e difficilmente comprensibile leggerezza del suo referee.
Cosa ci facevamo a Rapallo?

È li che erano finiti i fotoni.
E per quanto io sia costretto a far vibrare una nota dolente non posso a questo punto esimermi dall'esaudire la giusta richiesta di una esauriente spiegazione:
Due anni prima (vedi Seagreenn 1 p. 64) avevo tentato di presentare al VI convegno Nazionale di Relatività, a Firenze, l'ormai ben noto lavoro sui fondamenti della Relatività einsteiniana, ricevendone la seguente risposta: [Si veda la lettera nella pagina seguente].

 

 

 

 

 

 

Questo lavoro non mi sembra sufficientemente valido e motivato da meritare l'inserimento nel programma del workshop A megliodel prossimo VI Convegno di Relatività.

Esso, infatti, mi risulta assai carente dal punto di vista teorico. Più precisamente, mi sembra che la teoria della Relatività Ristretta sia assai fortemente fondata dal punto di vista sperimentale; e pertanto, in quanto tale, (e a dispetto dell'opinione dell'autore), essa non necessiti di speculazioni pseudo-scientifiche del tipo qui esposto, ma semmai di ben più di approfondite e costruttive critiche. Non mi sembra affatto coerente affermare la necessità di verificare l'"evidenza sperimentale contro la validità dei suoi postulati", in quanto mi pare sia assolutamente sufficiente l'aver dimostrato l'evidenza sperimentale a favore dei suoi postulati, specialmente se, come mi risulta sia, non si hanno esperimenti concreti di carattere negativo rispetto ai detti assiomi.

Se, comunque, l'autore non si sente soddisfatto dello status sperimentale attuale della Relatività Ristretta, meglio sarebbe che, invece di presentare una serie di critiche imprecise, equivocabili e sostanzialmente infondate, suggerisse un insieme alternativo di esperimenti seriamente fattibili; o meglio ancora, basandosi su dati noti o nuovi dati concreti, provvedesse a suggerire un miglior schema teorico, mostrandone chiaramente le qualità e i pregi in confronto a quello universalmente (... o quasi!) accettato. Specifico che, in ogni caso, non mi sentirò mai di concordare con l'autore che l'equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale sia una "banale tautologia", né che il principio di equivalenza sia "il frutto metafisico di uno dei gedanke experimente einsteiniani" (parole dell'autore!...).

Ribadisco il mio netto rifiuto ad accettare questo lavoro per il workshop A. Se altri riterranno possa avere validità sperimentale, esso potrebbe essere ripreso in considerazione per  il workshop B C (cosa di cui, tuttavia, mi permetto, non competentemente, di dubitare).

 

 

 

 

Ora, sia ben chiaro, la nota dolente non consiste in questo primitivo rifiuto, che anzi mi fornì a suo tempo abbondante materiale per il mio epistolario (lo tengo in serbo per un'altra occasione). Ma nel fatto che, due anni dopo, la metà di questo lavoro, riguardante appunto la conducibilità elettrica dello spazio di fondo è stata accettata, e sarà pubblicata, negli Atti del VII Convegno:

 

 

 

 

 

 

 

 

È vero che, se nell'84 la legge di Hubble faceva acqua, nell'86 è ormai un colabrodo attraverso il quale la mia σ0 [la σ0 = conduttività elettrica sarà presumibilmente detta nei secoli futuri "la scoperta di Roberto Monti" - ndc] ha potuto facilmente insinuarsi.
Ciò non toglie tuttavia che, di questo passo, io finirò col non aver più il materiale per la terza puntata della Cintura di Sicurezza.
E la prospettiva di dover sopprimere una rubrica alla quale, in fondo, mi stavo affezionando (sono un sentimentale) mi pervade l'animo di una sottile malinconia. Per questo, comunque, ero a Rapallo. Gianfranco, invece, c'era per via del SAX (Satellite Astronomico X).
Quanto alla misura di c0 tornando dagli States non avevo mancato di informare Ernesto (Arri) sull'esito del confronto. E se da un lato c'era, in positivo, l'aver chiarito senza equivoci il significato e la necessità della misura ai metrologi dei principali laboratori nazionali; dall'altro restava, appunto, il fatto che la misura era ancora da fare.
Come al solito era una questione di soldi: come e dove trovarli?
Il modo più elegante consisteva nel tirar fuori una brillante idea su come costruire un induttore calcolabile duale al condensatore calcolabile di Lampard-Thompson: a questo punto, infatti, tutti i grandi laboratori di metrologia si sarebbero messi a costruirlo.

Più facile da dire che da fare. Comunque ci avremmo provato.
Nel frattempo non restava che far venire alla luce il problema nel modo più ufficiale possibile.
La prima occasione utile cadeva di lì a poco.
A Parigi era stato convocato, per il 15 settembre, con un anno di anticipo, il CCE (Comitivo Consultivo Elettricità). Una specie di assise degli Istituti Elettrotecnici durante la quale vengono messi a fuoco i principali problemi del momento e fomite «raccomandazioni» sugli esperimenti da farsi in via prioritaria. Queste raccomandazioni potevano essere presentate da ogni singolo Laboratorio Nazionale. Nel nostro caso, ovviamente, l'IEN (Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris).
Ernesto si prese l'incarico di preparare, in agosto, il testo della Raccomandazione. Io di telefonare a Volkmar per spiegargli la questione. Volkmar mi assicurò la sua disponibilità: ci saremmo risentiti a settembre.
Ma prima di procedere oltre è necessario che io mi soffermi brevemente ad introdurre una delle cosiddette note di costume.
Il nostro Ernesto, come avrete capito, è nel suo ramo uno dei migliori professionisti sulla piazza. Apprezzato e stimato, cosa che ho avuto modo di constatare personalmente, a livello internazionale.
Senonché, di questi tempi, uno non può raggiungere certi livelli di professionalità se non a scapito della coltivazione di Tessere.
Basta ricordare, a questo punto, che l'IEN dipende dal Ministero della Pubblica Istruzione, e voi avete già capito tutto.
Bene, è andata press'a poco così (premetto che eventuali imprecisioni sono addebitabili alla mia scarsa dimestichezza con le questioni burocratiche). Qualche anno fa all'IEN manca il Direttore. Scartate accuratamente tutte le persone competenti, da Roma viene nominato un Commissario esperto, a quanto pare, in questioni amministrative. Scarse prospettive e stipendio da fame spingono Ernesto ad abbandonare l'IEN per cogliere al volo un posto di Professore al Politecnico. Lasciando l'incarico al Galileo egli suggerisce che al suo posto sia messo il più competente tra i suoi collaboratori.
Beata ingenuità.
Viene scelto un sindacalista della CGIL. Bravo ragazzo, peraltro. L'ho conosciuto. Ma la sua elezione sembra dovuta soprattutto al desiderio del Commissario amministrativo di garantirsi buoni rapporti col personale.
Nell'anno 1986 scade anche il Commissario.
Con un classico Blitz di ferragosto, scartate accuratamente tutte le persone competenti, a dirigere l'Istituto Elettrotecnico Nazionale viene nominato un ingegnere meccanico. A quanto pare costui era stato trombato nella corsa a un Rettorato. Trattandosi tuttavia di persona di riguardo il premio di consolazione non poteva essere inferiore alla Direzione di un Istituto. Che l'Istituto fosse elettrotecnico era cosa del tutto irrilevante.
Al ritorno dalle vacanze gli Istituti elettrotecnici del Politecnico, che avevano ingenuamente designato una terna di competenti, inoltrano una vibrata protesta sulla faccenda, alla quale il destinatario non si degna neppure di rispondere.
Tanto questi non contano niente.
Quando rivedo Ernesto, in settembre, mi dice che a Parigi, per rappresentare l'IEN, ci va il sindacalista. Bravo ragazzo, ripeto, e molto disponibile. Solo che ha già il suo da fare a studiarsi l'elettrologia, sulla questione specifica lui non sa niente e dunque non è assolutamente in grado non già di sostenerla, ma anche
solo di presentarla.
A questo punto io telefono a Volkmar e ci diamo appuntamento davanti a Notre Dame, qualche ora dopo l'attentato alla Prefettura.
Dopo di che andiamo a mangiare in un ristorante lì vicino, insieme a sua moglie. Non faccio a tempo a mettere la mia borsa sotto il tavolo che un cameriere si precipita a raccoglierla e a sistemarla in bella vista su una sedia. Gentili questi francesi. Io volevo fare la stessa cosa ma temevo che avessero a ridire per via che gli ingombravo un posto a tavola. Perché alla mia borsa ci tengo.
Volkmar mi chiede se è venuto Ernesto. Gli spiego perché non è venuto. Lui mi dice che in Germania queste cose non succedono. Io gli garantisco che non ne dubito. Poi mi chiede chi è venuto. Il sindacalista. Lui mi ribadisce che queste cose in Germania non succedono. Ne sono convinto.
Poi passiamo al sodo. Mi informo su come funziona la cosa.
Lui mi spiega che il tempo del congresso è poco e gli argomenti molti. Ma che in realtà il grosso del lavoro si fa a tavola, e lì c'è più tempo. Se io ho del materiale lui è disposto a farlo circolare tra i vari Direttori convenuti. Io ho giusto cinque fotocopie dell'History e di The speed of light in una bella cartellina nella borsa. Compongo velocemente la combinazione e faccio scattare le serrature. I francesi si mettono sull'attenti. Io gli faccio un bel sorriso e poi, con calma, tiro fuori il malloppo. La cartellina è un omaggio. Volkmar mi ringrazia.
Poi mi spiega (e già Ernesto me l'aveva accennato) che in realtà il Comitato, nell'intenzione di alcuni noti metrologi, era stato convocato con un anno di anticipo per sanzionare il principio dell'adozione, già avviata con quella del metro, di un insieme di unità convenzionali, definite una volta per tutte, per le principali grandezze elettriche. Fortunatamente gli americani, poco tempo prima, avevano combinato un gran casino col Volt. E per seguire questa linea avrebbero dovuto cambiarlo ancora di brutto. Ma i loro stessi industriali gli avevano fatto osservare che se per i signori metrologi cambiare il valore di una grandezza era una bazzecola, a loro (gli industriali) costava un po' di milioni di dollari, sui quali non erano disposti a sorvolare. E già a Washington li avevano invitati a rifare in modo decente un insieme di nuove misure assolute, prima di proporgli l'adozione di un nuovo insieme di valori.
Ottimo. Ricordavo anch'io la vignetta col tizio che in sartoria misura un metro di stoffa con laser, orologio atomico e campana di vetro per vedere quanto spazio percorre la luce nel vuoto in 1/299792458 di secondo.
Di sicuro non passava, e sarebbe invece stato raccolto l'invito a rifare le misure fondamentali. Questa, comunque, era la posizione del PTB.
Bene, ci scambiammo i numeri di telefono e, salvo novità o imprevisti, ci saremmo sentiti alla fine del congresso.
Intanto però lui aveva una cosina molto carina tutta per me: una discrepanza del 10%.
Io lanciai la sinistra sotto il tavolo a toccarmi i maroni mentre col palmo della destra gli facevo moment pliiis!
Poi sorseggiai la mia birra mentre giravo il dischetto di cartone sotto. Che tanto scriveva sempre lì e se non lo giravo mi scriveva sul marchio e poi non ci capivo niente.
Ascoltai con calma fino alla fine. Gli dissi di spedirmi tutto il materiale, che ci avrei guardato. Che sarei anche andato in Germania a vedere l'esperimento dal primo bullone fino alla stampante. Dopodiché, eventualmente, avrei espresso la mia opinione al riguardo.
Volkmar esplode un Jaaaaah che non finisce più, e poi ci salutiamo. Ci risentimmo il giorno dopo la strage a Montparnasse.
Missione compiuta: il Comitato aveva deciso di aggiornare ogni decisione in materia di unità all'88, alla luce delle nuove misure assolute sollecitate. Al mio ritorno in Italia trovai una lettera di Remo per il caro Roberto:

 

 

 

 

Caro Roberto
Ti ringrazio per la tua lettera del 27/VIII/86 e i documenti allegati. Dovresti inviarmi una lettera scritta in Inglese come confutazione a) al primo referee, e b) allegare copie di ogni cosa per il secondo referee (se cosi desideri).
Cari saluti

 

 

 

 

Io raccolsi prontamente il ramo d'ulivo:

 

 

 

 

Caro Remo,
non dubitavo della tua perspicacia e apprezzo anche la sensibilità che mostri nei confronti di GEEM, col suggerirmi di rivolgergli le obiezioni, che ti ho esposto, nella sua lingua natia.
A mente fredda posso facilmente spingermi ad immaginare, infatti, che GEEM sia in fondo un bravo ragazzo e che rifiutandogli la possibilità di ravvedersi ulteriormente, dopo solo due errori, io abbia tratto conclusioni troppo frettolose sulla sua natura, lasciandomi con ciò prender la mano, ancora una volta, dal mio temperamento.
Ti accludo dunque la versione inglese e se, come spero, Geem saprà desistere dal perseverare, penso che tu possa procedere senz'altro alla pubblicazione del lavoro.
Cordiali saluti da parte mia e di Gianfranco.
                                                                                           Roberto Monti

 

 

 

 

Dopodiché aspettai la risposta con animo sereno. S'è fatto vivo per primo Volkmar:

 

 

 

 

 

 

Caro Roberto,
Qui ci sono le copie dei lavori riguardanti le misure di precisione di alti voltaggi per mezzo di elettroni accelerati.
L'equazione (10) del lavoro IEEE (1983) è la formula usata per determinare il voltaggio U. Il risultato è, attualmente, che i dati sperimentali non corrispondono ai risultati calcolati sulla base dell'equazione (10).
La discrepanza è dell'ordine del 10%.
Io sarò di ritorno dal mio viaggio in estremo oriente ai primi di Novembre. È stato un piacere incontrarti di nuovo a Parigi.
Cari saluti
V. Kose

 

 

 

 

Ora io ho appena finito di tradurre questa lettera, e fino ad oggi non ho ancora messo mano ai dati.
Ma adesso che l'articolo è quasi finito ci dò un'occhiata.
Così, tanto per guardare.