Buon Natale
a tutti
con l'Abete


Albero di Natale

e Tradizione solare

È noto che la cultura cattolico-romana non apprezza la simbologia dell'albero di Natale, preferendo la tradizione del presepio tramandato da Francesco d'Assisi a partire dal periodo a cavallo fra il XIII ed il XIV secolo, scotomizzando così la notte tra il 24 e il 25 dicembre dei secoli precedenti, celebrata dai Druidi come momento della nascita del Bambino Divino, cioè del Sole e della Luce, attraverso l'abete. È attraverso l'abete che si espletava infatti il "culto della luce" da cui deriva la parola "cultura", cioè culto di "Ur", che significa appunto "luce". La tradizione natalizia dell'abete, che appare rivestire pertanto un'importanza maggiore, almeno in ordine al tempo, viene così misconosciuta, destituita di significato, e "corretta" da Roma con l'adozione del "presepe".

Eppure, le relazioni tra cultura ed elemento vegetale sono radicate nel mito originario dell'Albero della Conoscenza, che fecondò le tradizioni di tutti i popoli. Ora, se i druidi sono i "molto sapienti", sono anche gli "uomini dell'albero", cioè coloro che officiano e insegnano nelle radure sacre nel cuore delle foreste. Ecco allora che ci si presenta una chiave di lettura perfino per la presenza e soprattutto per la magnificenza di cattedrali come Chartres. Senza cadere nel romanticismo di Chateaubriand, che vedeva nelle sue volte gotiche un'esaltazione della foresta, si può nondimeno interrogarsi sulla continuità che vuole che una "foresta di pietra" interamente dedicata alla Vergine della Saggezza sia stata eretta al centro di un'antica foresta, sacra ai druidi.

Ma che forma ha l'abete?

La forma della chioma rassomiglia a una A e nell'Europa settentrionale era riservato a quest'albero, lettera A dell'alfabeto degli alberi, il primo giorno del solstizio invernale celebrato a Natale. La lettera A e la lettera B - in greco "alfa" e "beta", in ebraico e caldaico "alef" e "bet" - formano d'altronde la stessa parola "alfa-beto". L'"A-bete" simboleggiava dunque anche un'espressione alfabetica, cioè letterale della nascita di tutte le cose, e perciò era celebrato a "Natale". Natale significa infatti nascita.

La parola ebraica "alef" significa testa taurina, dunque l'inizio del toro. L'espressione rovesciata della A assomiglia alla testa bovina, ed è nota la storia del vitello d'oro nell'epoca egizio-caldaica, in cui la precessione solare primaverile stava nella costellazione del Toro. Poi, nel periodo successivo il punto di primavera passò nell'Ariete, "Agnello" per l'astrologia ebraica. Ed il segno astrologico dell'Ariete è anch'esso simile ad una A rovesciata.

Nella lingua ebraica, le cui lettere sono in essenza valori numerici, per scrivere la parola "alef" si usano le lettere alef (A), lamed (L) e phe (F), i cui valori numerici sono 1, 30, 80. Se si sommano questi valori, si ha 111, singolare espressione di simbolismo triadico, massimamente importante per il mondo celtico e per quello cristiano (tri-unità). Eppure il monoteismo ebraico nega la realtà della Trinità, esattamente come il cattolicesimo romano nega l'importanza culturale dell'albero di Natale e con ciò della cultura stessa (culto della Luce). Si preferisce alla luce celeste, al cielo del Padre, ed al cielo solstiziale dell'Ariete-Agnello il terrestre "presepio". Ma una cultura del cielo sostituita da una coltura agricola non è una terrestrizzazione eccessiva, o terrificante, appunto, menzogna?

Quanto segue è una raccolta di osservazioni che potrebbero confermare il sospetto che tale oscuramento o menzogna sia una vera e propria sovversione della tradizione operata da vati potenti, la cui funzione, vaticana, sia talmente cambiata dal tempo del vaticinio, da opporsi perfino alla realtà della precessione solare. Quest'ultima, detta anche "anno cosmico", "anno platonico", "anno del punto equinoziale", o ancora "anno del punto di primavera", è costituita da una durata di 25.920 anni, e l'astronomia arriva vicino a questo numero e lo conferma arrotondando a 26 mila anni.

Quello che sto per dire potrà anche essere un caso, ma ventisei è anche il numero delle specie dell'abete bianco, il nostro albero di Natale.

Il teologo potrebbe obiettare che con tale relazione fra regno vegetale e regno dei cieli, si intende astrofisicamente il Padre nostro che sta nei cieli, mentre Gesù diceva che il regno dei cieli è "celato" nell'uomo: il regno dei cieli è dentro di voi. Tale obiezione però è costretta a scontrarsi con un'altra osservazione, che stabilisce non solo una relazione fra il numero delle specie dell'abete bianco ed il cosmo, ma anche fra questo numero e l'uomo: infatti entro 24 ore abbiamo approssimativamente 25.920 respiri (calcolando una media di 18 respiri al minuto), e questo è anche il numero degli anni che il punto di primavera percorre per attraversare un intero cerchio zodiacale.

Ma sul misterioso numero 26 vi è ancora molto da dire. Se ne può vedere per esempio un'altra importante connessione nella storia sacra: i patriarchi di cui parla la Bibbia, sono: Adam, Set, Enos, Kenan, Mahaleel, Jared, Henoch, Methusalach, Lamech, Noè, Sem, Arpachsad, Salah, Eber, Peleg, Regu, Serug, Nahor, Tharah, Abraham, Jizchak, Jacob, Levi, Kahat, Amram e Moshè. In tutto proprio VENTISEI!

E ancora: la 26ª lettera della prima frase ebraica della Bibbia, che dice: "in principio Dio creò il cielo e la terra, ecc..." è una alef. Questa lettera, che è la prima dell'alfabeto ebraico, è formata da tre geroglifici, che sono tre lettere: una iod in alto a destra, una vav al centro, trasversale, ed un'altra iod in basso a sinistra, speculare alla prima. Abbiamo anche qui un 26, formato dalla somma dei tre loro rispettivi valori numerici: 10+6+10=26. Con ciò si può comprendere l'importanza dell'Uno in rapporto al monoteismo ebraico. E con ciò è un'altra volta possibile vedere come l'Uno ebraico sia strutturato in modo tri-unitario, cioè con tre segni, anche se nel monoteismo ebraico non è contemplata la Trinità...

Il 26 dunque appare come un caso di misura che va oltre la terra, oltre il tempo, e oltre lo spazio.

Che esso sia un numero sopraterreno, risulta anche al di fuori del mondo biblico: la saggezza vedica afferma che anche il non credente può comprendere come il 26° elemento dell'universo sia identificabile con Dio: "Essi (i filosofi atei) scompongono l'universo in 24 elementi (5 elementi grossolani: terra, acqua, aria, fuoco, etere; 3 elementi sottili: mente, intelligenza, falso ego; oggetti dei sensi: odore, sapore, forma, tatto, suono; 5 organi di percezione: naso, lingua, occhi, pelle, orecchi; il ventiquattresimo: l'insieme di virtù, passione e ignoranza) e classificano l'anima individuale come il venticinquesimo elemento. Quando giungono a comprendere che l'anima trascende la materia, allora possono capire che al di sopra dell'anima individuale si trova Dio, la Persona Suprema, il ventiseiesimo elemento" (1).

Ma lasciamo ora il mondo dei numeri e dei "casi" numerici, anche vi sarebbe ancora moltissimo da dire sul 26, e non solo in merito al regno vegetale, al regno umano ed al regno dei cieli, ma in merito a Dio stesso. Basti pensare che il 26 è anche la somma dei valori numerici delle lettere che compongono il nome di Dio "Yhwh" (iod-he-vav-he = 10+5+6+5 = 26). Tutto ciò potrà anche sembrare un caso.

Immaginiamo dunque di cambiare aria e di fare una bella camminata con Goethe attraverso una foresta di conifere che ci riconduca ad un'atmosfera originaria della natura, in cui salga, col solenne suono del vento, la melodia di una Creazione passata... le colonne più superbe portino la potente volta della cattedrale, il profumo dell'incenso aleggi fra i tronchi... ascoltiamo un organo con le sue mille risonanze, e poi, quando tace, ascoltiamone il silenzio, pieni di devozione e rispetto... il cuore del viaggiatore vorrebbe diventare allora un altare aprendosi "ai sentimenti più antichi, i primi e i più seri della Creazione". Così si esprimeva Goethe (2).

In effetti, quando ci addentriamo in una foresta di abeti, la nostra interiorità, scossa dalle tribolazioni della vita, vi trova un benefico riposo, nonché la forza di riordinare il destino e quella che permette all'Io di ergersi. Dove mai potrebbe vivere in modo più perfetto la severa verticalità in cui l'Io si sforza perennemente di porre il corpo umano? Per questo nei tesori dell'antica lingua germanica veniva utilizzata la stessa parola tanto per indicare il pino quanto per riferirsi all'uomo: "Firaha" (3).

Nella sua semplicità il tipo delle Conifere, e ancor di più l'abete, ha dunque qualcosa di grandioso. "La priorità è data alla verticalità, al tronco, alla formazione del legno; tutto il resto è subordinato. Questo fusto viene circondato di rami, che sono come piccoli fusti secondari obliqui e gli si sottordinano a mo' di satelliti, come lune al loro pianeta; la forma base non si perde minimamente nella ramificazione, e così viene a mancare quel formarsi di corone in ogni direzione dello spazio che ammiriamo nelle Latifoglie. Domina l'elemento lineare, che perciò permette di ricavare da questi fusti le travi e le assi più diritte e più elastiche. Questo elemento governa anche le foglie, che non possono essere che degli aghi circondanti i rami, disposti a spirale.

La longevità delle Conifere ha regalato gli alberi più alti e più vecchi del mondo - gli aghi stessi possono vivere dieci anni (Araucarie). Si conoscono certe specie giganti di sequoia o tassodio d'America vecchie millenni e più alte dei grandi campanili del globo. I tronchi stessi, in certe specie, sono imputrescibili: dei Podocarpus abbattuti in Nuova Zelanda, dopo aver trascorso parecchi decenni coricati nella foresta, erano ancora utilizzabili. Dai depositi carboniferi della Slesia sono stati estratti dei tronchi di cipressi preistorici, con i quali si è stati in grado di fabbricare dei mobili" (4).

Vi è nell'abete un intenso processo siliceo, tanto che le sue ceneri contengono una percentuale di silice piuttosto significativa. Ciò fa dell'abete un amico della luce e del mistero e del Culto di essa, Culto di Ur, Cultura... C'è infatti qualcosa di molto curioso nella facoltà che hanno le Conifere di attirare così fortemente le forze cosmiche del calore, vivendo in un clima freddo, fino a pervenire ad una abbondante genesi di essenze e di resine. Questa facoltà ritorna a vivere in un braciere vitale interno, che può sfidare un lungo inverno e un grande freddo. "Si può vedere in questa proprietà il carattere "saturnino" delle Conifere. Saturno, il pianeta potente e lento, quello che dura e conserva, custodisce le reminiscenze di un universo estremamente lontano nel passato, un Cosmo di calore. Il lettore interessato può fare riferimento al libro di Rudolf Steiner intitolato La Scienza occulta. Saturno, che conserva la forza del calore malgrado la sua grande lontananza dal sole, è il pianeta che è all'origine degli alberi ad aghi" (5).

I sentimenti solenni e gravi che coglie colui che penetra nella cattedrale degli abeti e che gli fanno evocare i sottosuoli originali del Cosmo poggiano pertanto su elementi fondati.

(1) Abhay Charan De, "Bagavad Gita", Ed. Baktivedanta.
(2) J.W. Goethe: "Über den Granit", cit. in W. Pelikan, "Le piante medicinali", Vol. II, Ed. Natura e Cultura, Alassio 1999.
(3) Hegi, Flora von Mitteleuropa, vol. I, p. 597, cit. in W. Pelikan, "Le piante medicinali", op. cit.
(4) "Le piante medicinali", op. cit.
(5) ibid.